sabato 3 ottobre 2009

Sinodo dei vescovi per l'Africa. Primo incontro su media e continente nero: comunicazione essenziale per promuovere giustizia, pace e riconciliazione

In vista del secondo Sinodo dei vescovi per l’Africa, che prenderà il via ufficialmente domani con la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Papa, ieri pomeriggio, presso la Sala Marconi della Radio Vaticana, si è svolto il primo incontro sul tema “Africa e media”, organizzato dall'emittente radiofonica vaticana insieme al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, che ha visto protagonisti alcuni Padri sinodali e numerosi giornalisti. Ad aprire i lavori, il direttore generale della Radio Vaticana padre Federico Lombardi (nella foto con Benedetto XVI). "Si parla spesso con delle prospettive non corrette o con delle prospettive troppo europee sulle questioni africane. Bisogna, invece, riuscire a trovare un’impostazione giusta, un’impostazione in cui anche gli africani siano veramente protagonisti del modo di parlare dell’Africa e sull’Africa, così che si trovi il posto giusto dell’Africa nell’informazione e nelle prospettive del mondo di oggi". Sulla stessa linea il cardinale nigeriano Francis Arinze, presidente delegato del Sinodo: "Quando qualcosa non funziona bene, allora sicuramente se ne parla in Europa. Ma quando qualcosa funziona veramente bene – e sono la maggioranza delle cose – non se ne parla, perché non fa notizia. A meno che non ci sia un europeo ucciso lì!" Di fronte ai problemi, “è meglio accendere una candela che condannare il buio”, ha ribadito il porporato, invitando anche i laici ad agire per dare il loro contributo ad un’informazione corretta: "I laici sono veramente chiamati al lavoro, qui. Non bisogna essere monaco, o sacerdote, o avere un dottorato dell’Università Gregoriana per essere presente in questo areopago". No ai paradigmi occidentali, dunque, per analizzare il mondo panafricano, ha continuato Filomeno Lopes, giornalista della redazione Portoghese Africa della Radio Vaticana. Perché “l’Africa è un soggetto, e non un oggetto, di relazioni, di informazioni, di comunicazioni, di cooperazione, di partenariato”. "Se informare significa plasmare la mente e il cuore degli africani, allora la sfida di partnership nella comunicazione e nell’informazione consiste, quindi, nell’aiutare l’Africa e gli africani a ricostruire la loro millenaria cultura comunicativa che si poggia sui valori di verità, giustizia, armonia. Se si vuole aiutare l’Africa a vincere la sfida comunicativa del futuro, bisogna investire nella cultura e nella comunicazione". Negli ultimi anni, l’Africa ha visto un grande dinamismo nel mondo della comunicazione: basti pensare che tra il 2000 ed il 2006 gli utenti africani di Internet sono cresciuti del 625,8%, rispetto al 195% del resto del mondo. In tutto questo, naturalmente, la Chiesa non resta indietro. Padre Janvier Yaméogo, membro del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali: "La comunicazione è sicuramente essenziale per promuovere giustizia, pace e riconciliazione. Ma non va, però, dimenticato – come scrive il Papa nella "Caritas in veritate" – che il senso e la finalità dei media vanno cercati nel fondamento antropologico. In un mondo mediatico, la Chiesa non può non essere mediatica, in quanto sacramento, segno e strumento per comunicare all’uomo la sua verità". La sfida per la comunicazione in Africa, dunque, è aperta. E se ne parlerà ancora in altri due incontri che si terranno, sempre presso la Radio Vaticana, sabato 17 e giovedì 22 ottobre.

Radio Vaticana

Il card. Bagnasco: dai media lettura parziale e stereotipata del Pontificato di Benedetto. Si sta cercando di nascondere il vero volto della Chiesa

Il modo, da parte anche dei mass media, di descrivere la Chiesa e il Pontificato di Papa Benedetto XVI non è stato sempre corretto e, anzi, ha dovuto spesso subire l'influsso di stereotipi. E tra questi vie è anche quello di una ''Chiesa dei 'no', nemica dell'uomo e indifferente ai suoi bisogni, oscurantista e contraria alla razionalità scientifica''. E' quanto ha precisato oggi l'arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale italiana, card. Angelo Bagnasco, che ha preso la parola nel corso dei lavori dell'Assemblea delle Chiese d'Europa in corso di svolgimento a Parigi, sul tema ''I Media e il Papa: un anno difficile''. ''In realtà, segnalare i rischi che la mancanza del rispetto incondizionato per l'essere umano può comportare per la dignità dell'uomo - ha spiegato il porporato - non è certamente segno nè di ostilità verso la scienza nè di ottusa resistenza verso il moderno'', anzi, ha ribadito ''è compito della Chiesa segnalarli, la loro segnalazione è piuttosto un sintomo di sollecitudine e di amicizia: l'amico non può non segnalare un pericolo''. "La Chiesa - ha detto ancora il porporato - non vuole imporre a nessuno la propria morale 'religiosa': essa enuncia da sempre e non può non enunciare, insieme a principi tipicamente religiosi, i valori fondamentali che definiscono la persona e ne garantiscono la dignità, senza alimentare polemiche ma privilegiando sempre il metodo del confronto sereno e costruttivo e la ricerca del bene comune". Per quanto riguarda, invece, l'impatto che il Pontificato di Joseph Ratzinger ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa, Bagnasco ha sottolineato che dopo un ''primo periodo dove la rappresentazione mediatica del Pontificato di Benedetto XVI è stata nel complesso adeguata e sostanzialmente positiva'', ha fatto seguito una nuova fase. Il presidente della CEI ha citato i case della Lectio magistralis a Ratisbona, il 'Motu proprio' che consente l'uso della liturgia preconciliare, la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, i chiarimenti circa la natura del dialogo interreligioso, e le considerazioni sui limiti dell'uso dei preservativi svolte nel corso del viaggio in Camerun e Angola. ''In tutti questi casi, una rappresentazione corretta avrebbe consentito di superare i fraintendimenti e di chiarire l'effettiva portata di interventi che, lungi dal giustificare talune aspre critiche che si sono registrate, in realtà sviluppano coerentemente alcune linee guida del pontificato''. Ad essere, invece, preferita sarebbe stata ''una lettura parziale e non di rado francamente scorretta, che induce a domandarsi - ha aggiunto Bagnasco - se in alcune componenti della cultura e dei mezzi di informazione non si stia facendo strada un anticlericalismo interessato a nascondere il vero volto della Chiesa e a distorcere il significato del suo messaggio, così che questo risuoni come incoerente o anacronistico e la Chiesa appaia animata solo dalla volontà di alzare muri e scavare fossati, soprattutto in materia di etica''. "Si vorrebbe forse da parte di taluni ambienti una Chiesa o supinamente allineata sull'opinione che si auto-proclama prevalente e progressista, o semplicemente muta". Ma "la Chiesa non può venire meno alla propria missione - ha sottolineato Bagnasco -. Partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, non può essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato". I media, ha aggiunto Bagnasco, svolgono "un ruolo essenziale per la conoscenza e la diffusione" dei valori fondamentali della Chiesa richiamati da Benedetto XVI, ma è auspicabile che "nell'esercizio di un compito così delicato prevalgano sempre le ragioni e i criteri di una responsabilità deontologica". Una responsabilità, ha detto il presidente dei vescovi italiani, "che se non esclude la possibilità di critiche fondate e costruttive, tuttavia trova la propria ultima verifica nella capacità di contribuire alla conoscenza e alla ricerca della verità".

Asca, Corriere della Sera.it

I Media e il Papa: un anno difficile - il testo integrale dell'intervento del card. Bagnasco

Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Prima riunione del Consiglio presinodale. Si riflette sull'unità nella pluralità delle Chiese

Nei giorni 21-22 settembre si è riunito per la prima volta il Consiglio presinodale per l’Assemblea speciale per il Medio Oriente della segreteria generale del Sinodo dei Vescovi. L’ordine del giorno prevedeva comunicazioni riguardanti la situazione ecclesiale nel contesto socio-politico delle Regioni mediorientali, in vista della preparazione dei Lineamenta per la stessa Assemblea, che si volgerà dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema: "La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)". Benedetto XVI ha voluto personalmente annunciare la convocazione e il tema dell’Assemblea speciale nell’incontro a Castel Gandolfo con i patriarchi ed arcivescovi maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris. Accogliendo l'invito del Santo Padre, la Chiesa Cattolica nel Medio Oriente, in questo particolare momento della sua storia, ritiene provvidenziale riflettere sul significato della comunione da vivere e della testimonianza da offrire negli ambienti in cui i cristiani vivono. Una particolare attenzione è stata rivolta al mondo ebraico e musulmano, in riferimento agli ampi spazi di collaborazione nel comune servizio all’uomo e nella promozione del bene comune. I membri del Consiglio, nelle discussioni comuni come anche nei lavori di gruppo hanno concentrato il proprio lavoro sulla stesura del documento preparatorio, i Lineamenta, che servirà come guida della riflessione delle Chiese particolari in vista di una buona preparazione al Sinodo stesso. Seguendo il tema stabilito per i lavori sinodali, i partecipanti hanno sottolineato la necessità di riflettere sull’unità nella pluralità delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e della Chiesa di rito latino, sull’esigenza di vivere una profonda comunione, frutto dell’azione dello Spirito Santo. Prima di essere membri di comunità diverse, infatti – è stato precisato - tutti sono cristiani ed è questo il primo titolo che li qualifica dinanzi al mondo. Proprio perché questa pluralità è una ricchezza, appare importante cercare una maggiore conoscenza reciproca mediante forme aggiornate di interscambio e di collaborazione, come uso comune dei media, momenti comuni di preghiera, incontri, educazione, opere di carità. Lo scopo della futura Assemblea sinodale per il Medio Oriente è quello di risvegliare nei cristiani, sia in quelli che vivono nella Regione, sia in quelli che se ne sono allontanati per varie ragioni, la consapevolezza della loro inconfondibile identità, rafforzare i vincoli della comunione ecclesiale ed offrire un rinnovato servizio all’intera società, nello spirito del Vangelo. Sulla traccia di queste riflessioni il Consiglio ha redatto uno schema generale, che fornirà il quadro di riferimento per la stesura finale dei Lineamenta.

Radio Vaticana

Benedetto XVI per l'ottobre missionario: l'annuncio del Vangelo il più alto servizio offerto all'umanità dai cristiani. Il Magistero sulla missione

L’intenzione missionaria di Benedetto XVI per il mese di ottobre 2009 - mese tradizionalmente dedicato all’attività apostolica - esprime l’auspicio che “tutto il Popolo di Dio, a cui è stato affidato da Cristo il mandato di andare e predicare il Vangelo ad ogni creatura, assuma con impegno la propria responsabilità missionaria e la consideri come il più alto servizio che può offrire all’umanità”. Un pensiero che in questi anni di Pontificato, Benedetto XVI ha declinato in molti dei suoi aspetti. “Guai a me se non evangelizzo”. Il monito che San Paolo rivolge a se stesso nella prima lettera indirizzata ai cristiani di Corinto conserva da venti secoli una straordinaria forza propulsiva. La stessa forza che ha permesso al Messaggio di Cristo di raggiungere deserti, foreste e ghiacci agli antipodi della Galilea e della Giudea dove risuonò per la prima volta, di inculturarsi in Paesi lontanissimi dalla sensibilità cristiana, di trasformare con inesauribile costanza donne e uomini di ogni epoca in testimoni coraggiosi o geniali, popolari o sconosciuti, della medesima Buona Notizia. Benedetto XVI, al pari dei suoi predecessori del ventesimo secolo, ha sviluppato questa pagina specifica del suo magistero in sintonia con l’intuizione di Pio XI, “inventore” 83 anni fa della Giornata Missionaria Mondiale. Era il 1926, l’anno dell'Enciclica missionaria "Rerum ecclesiae", con la quale Papa Ratti incoraggiava la cristianità a collaborare per la "ricostruzione" delle missioni distrutte nel corso della Prima Guerra Mondiale. A partire da “La carità anima della missione” del 2006 - titolo del primo dei quattro Messaggi dedicati finora alla Giornata missionaria mondiale che portano la sua firma - Benedetto XVI ha tenuto a ribadire un concetto di fondo: non c’è missione senza carità, perché “la missione parte dal cuore”. “Il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco”, aveva affermato il 10 settembre 2006 da Monaco. Un mese più tardi, domenica 22 ottobre 2006, in uno degli Angelus di quell’ottobre missionario, completa: “In effetti, la missione, se non è animata dall’amore, si riduce ad attività filantropica e sociale. Per i cristiani, invece, valgono le parole dell’apostolo Paolo: 'L’amore del Cristo ci spinge'. (…) Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può così cooperare alla missione di Gesù, che si riassume in questo: recare ad ogni persona la buona notizia che ‘Dio è amore’ e, proprio per questo, vuole salvare il mondo” (Angelus, 22 ottobre 2006).
Il “coraggio” e la “gioia” distinguono il cristiano che ha deciso di diventare annunciatore del Vangelo. Se esiste questo corredo, non c’è ambito della vita sociale, civile, lavorativa, vocazionale che non possa essere rinnovato dalle parole di Cristo, testimoniate prima ancora che annunciate.
“La missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio; per chi vive con spirito cristiano il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico, parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono” (Angelus, 22 ottobre 2006).
Nel Messaggio 2007, Benedetto XVI esorta “Tutte le Chiese” ad essere “per tutto il mondo”. E all’Angelus del 21 ottobre, in Piazza Plebiscito a Napoli dov’è in visita pastorale, spiega: “Ogni Chiesa particolare è corresponsabile dell’evangelizzazione dell’intera umanità”. Ciò significa, ripete, che a chi vive la missione in prima linea – e per questo affronta spesso gravi difficoltà e perfino persecuzioni - non deve mancare “il sostegno spirituale e materiale” di tutti gli altri credenti.
Del resto - aggiunge idealmente il Papa all’Angelus del 19 ottobre 2008 da Pompei - “il primo impegno missionario di ciascuno di noi è proprio la preghiera”: “E’ innanzitutto pregando che si prepara la via al Vangelo; è pregando che si aprono i cuori al mistero di Dio e si dispongono gli animi ad accogliere la sua Parola di salvezza” (Angelus, 19 ottobre 2008).
Qualche mese prima, il 17 maggio, ricevendo in udienza i partecipanti all’Incontro del consiglio superiore delle Pontificie Opere Missionarie, Benedetto XVI aveva ripreso uno dei cardini della coscienza missionaria della Chiesa e di ogni cristiano - quello del diritto-dovere dell’annuncio di Cristo - mettendone in risalto le ricadute non solo spirituali.
“Questo impegno apostolico è un dovere ed anche un diritto irrinunciabile, espressione propria della libertà religiosa, che ha le sue corrispondenti dimensioni etico-sociali ed etico-politiche” (Ai partecipanti all'incontro del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie (17 maggio 2008)).
Senza dimenticare che tale diritto è sempre stato inteso dalla Chiesa anche dal versante di chi l’annuncio lo riceve. Nella Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della fede su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, presentata il 14 dicembre 2007, si ricorda questa celebre frase di Giovanni Paolo II contenuta nell’Enciclica Redemptoris Missio: “Ogni persona ha il diritto di udire la ‘buona novella’ di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione”.

Radio Vaticana

Sinodo dei vescovi per l'Africa. Un continente tra ferite e speranze: i problemi e le prospettive sui cui rifletteranno i Padri sinodali

Questioni di grande attualità a­nalizzate dall’interno della Chiesa e della società africa­na. Sono i temi su cui riflette­ranno i Padri sinodali durante la se­conda Assemblea speciale per l’Afri­ca che si apre domani in Vaticano.
L’Africa nella globalizzazione. L’ In­strumentum laboris è in questo senso un documento coraggioso, approfon­dito, critico. Analizza il contesto afri­cano da un punto di vista religioso, politico, economico e sociale. Colloca l’Africa all’interno di un mondo glo­balizzato, fatto di interdipendenze che tuttavia tendono ad "emarginare il continente". E se punta il dito contro le "forze internazionali" che "fomen­tano le guerre per la vendita delle ar­mi, sostengono poteri politici irri­spettosi dei diritti umani e dei princi­pi democratici per assicurarsi, come contropartita, dei vantaggi economi­ci", non risparmia neppure coloro che, all’interno del continente, sono spin­ti da "egoismo, avarizia, corruzione" e "sete di potere", che "provoca il di­sprezzo di tutte le regole elementari di buon governo, utilizza l’ignoranza dei popoli, manipola le differenze po­litiche, etniche, tribali e religiose, e i­stalla la cultura del guerriero come e­roe".
Famiglia in primo piano. Sulla base di questa analisi, l’attuale Sinodo si pone nella traiettoria di quello prece­dente, sia nel riprendere il tema della Chiesa-famiglia di Dio, come model­lo di evangelizzazione mediante la te­stimonianza (e "segnalando tra le con­dizioni di una testimonianza credibi­le: la riconciliazione, la giustizia e la pace"), sia proponendo piste di rispo­sta ai problemi cruciali a cui l’Africa si trova confrontata oggi. In termini di Chiesa, i compiti da realizzare riguar­dano la famiglia, la dignità della don­na, la missione profetica, l’autosuffi­cienza, le comunicazioni e le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Cresce la società civile. Sul piano so­cio-politico si sottolinea l’insensibi­lità di molti leader, ma anche la man­canza di coscienza e di educazione ci­vica dei cittadini. Tuttavia si mette in evidenza, in positivo, anche la pre­senza di una società civile attiva, che "si fa sempre più visibile nella lotta per i diritti umani; uomini e donne in po­litica si mostrano assetati della rina­scita del continente in ogni ambito". In campo socio-economico il docu­mento prende atto della "volontà di creare ricchezza per ridurre la povertà e la miseria, e migliorare la salute del­le popolazioni"; ma non tace il "mal­funzionamento delle istituzioni stata­li che dovrebbero accompagnare gli attori economici", e i "programmi di ristrutturazione delle economie africane, proposti dalle istituzioni finan­ziarie internazionali", il cui esito è de­finito addirittura "funesto". Infine non si tace il ruolo nefasto giocato da al­cune tradizioni: la stregoneria, ad esempio, che "lacera le società dei vil­laggi e delle città", ma anche la viola­zione della dignità e dei diritti della donna, "in nome della cultura o della tradizione ancestrale".
Chiesa, no ai conflitti etnici. Il docu­mento di lavoro del Sinodo è severo anche nei giudizi che riguardano la Chiesa stessa. Una Chiesa che in al­cuni casi è segnata da "divisioni etni­che o tribali, regionali o nazionali e at­teggiamenti e intenzioni xenofobi", ma anche da "situazioni di discordia" e "prese di posizione di alcuni vesco­vi in favore di un determinato partito politico". Si auspica che i "vescovi se­guano criteri oggettivi e non etnici" nella scelta dei futuri sacerdoti e del­le persone consacrate. Si ribadisce an­che quella che è una debolezza di sem­pre: il non adeguato coinvolgimento dei laici, che "non sono pienamente integrati nelle strutture di responsa­bilità della Chiesa e nella progettazio­ne del suo programma pastorale".
Dialogo tra i credenti. Si affronta an­che la questione della dignità delle donna, del dialogo islamo-cristiano e di quello con la religione tradizionale africana, e dell’ecumenismo. Il tutto in una prospettiva di promozione, a tutti i livelli – ecclesiale, sociale, poli­tico ed economico -, della giustizia, della pace e della riconciliazione, che sono i temi di fondo che guideranno i lavori del Sinodo.

Anna Pozzi, Avvenire

Sinodo dei vescovi per l'Africa. L'itinerario dell'assise: a quindici anni dal primo evento, il continente nero torna protagonista

Tema del Sinodo è: "La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. 'Voi siete il sale della terra...voi siete la luce del mondo' (Mt 5,13.14)". La nuova consultazione episcopale dedicata al Continente africano si tiene a quindici anni dalla prima, che si era svolta, sempre in Vaticano, dal 10 aprile all’8 maggio 1994 sul tema "La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000". Giovanni Paolo II decise di convocare la Seconda assemblea speciale per l’Africa il 13 novembre 2004. Il 22 giugno 2005 Benedetto XVI confermava il progetto del predecessore. L’iter sinodale proseguiva con la presentazione dei Lineamenta (27 giugno 2006), suddivisi in cinque capitoli che prendono in esame i diversi aspetti, ecclesiali, sociali, politici, della situazione del continente. Come è prassi nei lavori preparatori del Sinodo, a quel documento era allegato un questionario con 32 domande, suddivise secondo i rispettivi capitoli, per dare modo alle realtà ecclesiali africane di esprimersi direttamente. Il 28 giugno 2007 veniva annunciata l’indizione del secondo Sinodo nei giorni 4-25 ottobre 2009, in Vaticano. Venivano designati quali presidenti delegati il card. Francis Arinze, nigeriano, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino, il card. Théodore­Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar (Senegal) e il card. Wilfrid Fox Napier, frate minore, arcivescovo di Durban (Sudafrica). L’incarico di relatore generale veniva affidato al card. Peter Kodwo Appiah Turkson, arcivescovo di Cape Coast (Ghana), mentre l’arcivescovo di Luanda (Angola) Damião António Franklin e il vescovo di Sarh (Ciad) Edmond Djitangar venivano nominati segretari speciali. In vista dell’assise, Benedetto XVI ha compiuto nel marzo di quest’anno un viaggio in Africa, in Camerun e in Angola (17­-23 marzo 2009), allo scopo di consegnare ai presidenti delle Conferenze episcopali dell’Africa l’Instrumentum laboris della seconda Assemblea speciale. Il documento che fornisce la base dei lavori sintetizza le risposte al questionario dei Lineamenta, inviate dalle 36 Conferenze episcopali ed è suddiviso in quattro capitoli. In particolare si rileva la Chiesa è impegnata nell’evangelizzazione e nel servizio verso tutti attraverso le sue istituzioni educative e sanitarie e i suoi programmi di sviluppo; è aperta al dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali, con la religione tradizionale africana e con l’islam. Si sottolinea il ruolo trainante dei cristiani impegnati in politica, nell’economia, nell’educazione, nella cultura, nei mezzi di comunicazione sociale, negli organismi internazionali.

Fabrizio Mastrofini, Avvenire

Il Papa: don Sturzo modello di integerrimo, competente e appassionato servizio al bene comune

Un "modello di integerrimo, competente e appassionato servizio al bene comune". Così il Papa, in una lettera a firma del card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, definisce la figura di don Luigi Sturzo, al centro di un Convegno internazionale che si è aperto ieri a Catania, alla presenza di oltre 1000 partecipanti. "La presenza al simposio di eminenti rappresentanti della Chiesa e dello Stato - si legge nel messaggio - attesta che la figura di don Luigi Sturzo conserva tuta la sua attualità per i sacerdoti e per i fedeli laici. Per tutti i cittadini, e in special modo per quanti rivestono responsabilità amministrative e di governo, egli è modello di integerrimo, competente e appassionato servizio al bene comune, in modo tale da anticipare, per molti aspetti, quella "Caritas in veritate" che Sua Santità ha scelto quale tema centrale della sua recente enciclica di tagli sociale".

Apcom

Sinodo dei vescovi per l'Africa. La testimonianza di due missionari sul ruolo della donna nella riconciliazione etnica e sull'opera educativa

“Cammini di pace sono stati aperti dai Pastori, dalle persone consacrate, dalle Comunità Ecclesiali Viventi, dai laici, individualmente o in associazioni. Restano ancora degli ostacoli da superare […] La Chiesa ha partecipato, a diversi livelli, a ristabilire la pace in un certo numero di Paesi, grazie all’insegnamento e all’azione dei suoi Pastori. Nei Grandi Laghi, ad esempio, le Conferenze Episcopali hanno lavorato a costruire la pace favorendo l’avvicinamento dei giovani dei Paesi in conflitto”. E’ scritto nell’Instrumentum Laboris della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa (n.63, 67). Queste affermazioni trovano una personale conferma nelle parole di padre Richard Baawabr, sacerdote ghanese dei Padri Bianchi (Missionari d’Africa), presenti in Africa dal 1868 e impegnati concretamente per l’evangelizzazione e il dialogo con l’Islam in 22 paesi africani. “La Chiesa ha sempre avuto un ruolo fondamentale di mediazione tra gli attori in conflitto – ha detto padre Richard all’agenzia Fides – sia a livello nazionale che regionale e locale. È soprattutto l’impegno quotidiano a contatto con la vita delle persone che può portare i suoi frutti. Abbiamo visto che la lettura della Parola di Dio e la preghiera in comune motivano moltissimo le persone a cercare vie di soluzione ai conflitti e alle tensioni etniche.” Le vie dell’evangelizzazione in questi secoli di incontro del Vangelo con i popoli africani hanno percorso diverse strade. Sembra che la più efficace oggi sia quella delle piccole Comunità ecclesiali di base. “Le piccole comunità di base – spiega il missionario - sono formate da piccoli gruppi e guidate da persone adeguatamente formate e responsabili per la fede del gruppo. Si crea un clima di famiglia e di conoscenza molto profonda, per cui lo spirito di carità e assistenza reciproca diventa molto spontaneo e immediato”. Si realizza così l’auspicio espresso nell’Instrumentum Laboris al n. 84 e 88: “Forza di coesione e di costruzione di comunità cristiane e di società più giuste e più fraterne, la Parola di Dio ridinamizza e rivivifica i membri delle nostre comunità. È importante dunque ascoltare, meditare ed approfondire la Parola, luogo privilegiato in cui si realizza il progetto meraviglioso di Dio sulla persona umana e sulla creazione. Le esperienze di certe famiglie in cui la Bibbia è al centro della loro vita e serve all’educazione dei figli e alle relazioni tra i genitori, attestano che la Parola di Dio ristabilisce l’armonia e la concordia nella casa, e rinsalda i legami familiari [..] L’immagine della Chiesa come Famiglia ha messo in rilievo i valori familiari africani di solidarietà, condivisione, rispetto dell’altro, coesione”. Anche in Africa la differenza sociale ed economica tra città-metropoli e zone rurali incide sulla realtà della famiglia. “Il valore della famiglia – continua padre Richard – è ancora molto forte in Africa, ma certamente in città è diventato un legame più debole, fragile e sottoposto a forti pressioni e spinte negative. Invece nei villaggi i matrimoni e i legami familiari sono ancora robusti.” In questo contesto, la realtà africana deve ancora crescere nei confronti del rispetto della donna, sia nell’ambito della vita familiare sia in quella ecclesiale, sia civile. “Ciascuno deve prendere il suo posto e fare la sua parte. Deve essere in grado di poterla fare - afferma il missionario ghanese – poiché le mamme dentro la propria casa, le suore nella chiesa e le donne in generale nella società civile devono essere maggiormente ascoltate e valorizzate. La donna ha un ruolo molto prezioso per operare quella riconciliazione tra le persone e le etnie che rende anche il messaggio di Cristo più credibile”. Le guerre fratricide sono uno dei mali più scandalosi e tragici di molti paesi africani. “Purtroppo – come spiega il missionario – le cause risiedono nel fattore esterno, quali le nazioni ricche che approfittano delle guerre per dare lavoro, per creare e mantenere la confusione sociale e politica, così da controllare ed agire meglio a vantaggio dei propri interessi, ed in un fattore interno, determinato dalla incapacità degli attori politici e sociali di consolidare un tessuto sociale ed economico sano”.
“Ho vissuto 20 anni come missionario in Etiopia – racconta sempre all’agenzia Fides padre Giuseppe Cavallini, dei Missionari Comboniani – per testimoniare le diverse fasi del rapporto tra cristiani e musulmani. Fino al ’90 il dialogo tra fedi diverse era naturale, soprattutto nella vasta area dell’Africa sub-Sahariana. Era molto comune trovare famiglie i cui membri appartenevano alla Chiesa cattolica, all’Islam e alle religioni tradizionali. Poi le cose sono cambiate, soprattutto perché gli Stati islamici hanno rafforzato il finanziamento per la costruzione di scuole e moschee e soprattutto introducendo l’elemento politico”. Una realtà fotografata dalle parole del’Instrumentum Laboris: “In certi luoghi, la convivenza con i nostri fratelli musulmani è sana e buona; in altri, invece, la diffidenza da entrambi i lati impedisce un dialogo sereno: i conflitti occasionati dai matrimoni misti ne sono una prova. L’intolleranza poi di certi gruppi islamici genera ostilità e alimenta i pregiudizi. Non aiutano neanche le posizioni dottrinali di alcune correnti a proposito della Jihad. La tendenza a politicizzare le appartenenze religiose è del resto un pericolo comparso laddove si era iniziato il dialogo. Tuttavia, all’interno delle crisi, in alcune regioni la collaborazione in materia di educazione civica ed elettorale si è rivelata fruttuosa” (n.102). Non tutto è negativo, ma è vero che anche in Africa si sente il clima diverso che si respira anche in altre parti del mondo. “La sfida dell’evangelizzazione – spiega il missionario – è diventata più impegnativa e faticosa. La Chiesa annuncia il Vangelo senza assumere gli atteggiamenti radicali e pretenziosi di alcune minoritarie frange dell’Islam”. Il ruolo e il significato dell’Etiopia, da secoli il baluardo della cristianità in Africa, sembra sia diventato l’obiettivo dei musulmani, tanto che nel 2004 avevano proclamato Adis Abeba la capitale dell’Islam nel continente. Spiega ancora padre Cavallini: “i musulmani considerano l’africano come ‘naturalmente fatto’ per l’Islam; così cercano di saldare il proprio credo dentro la religione tradizionale, facendo emergere i numerosi tratti in comune, come la poligamia, la famiglia, il ruolo della donna limitato alla famiglia, l’unico dio”. “Il Vangelo si radica nel tessuto umano della cultura. Le società africane constatano, impotenti, la disgregazione delle loro culture. La Chiesa può formare cristiani autentici solo prendendo seriamente in mano l’inculturazione del messaggio evangelico” dice ancora l’Istrumentum Laboris (n.73). La strada migliore per incidere sul tessuto umano e sociale e per rendere vivo e vero per gli africani il messaggio di Cristo, secondo padre Cavallini, “è la scuola. Essa trasforma molto di più di tante altre vie e strategie. Dobbiamo continuare nella nostra opera educativa e formativa.”

Fides