lunedì 16 luglio 2012

Presentata al Papa dal card. Fiorenzo Angelini la struttura della 'Cittadella della carità' dedicata a Benedetto XVI, che verrà inaugurata in Congo

Novantasei anni, li compirà tra due settimane, ma non li dimostra e soprattutto non li sente. Tanto che il cardinale Fiorenzo Angelini, per festeggiarli, si reca nel cuore dell’Africa, a Butembo, nella Repubblica Democratica del Congo, dove sarà lui a portare un dono: la "Cittadella della carità". Ieri, alla vigilia della partenza, il porporato, romano di nascita, ne ha parlato con Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Quella che farà nella regione africana, martoriata da tredici anni di guerra civile, non è infatti una gita di piacere; andrà a inaugurare quella struttura così fortemente voluta per venire incontro alle necessità di una popolazione straziata. L’opera è stata realizzata con l’aiuto delle Suore benedettine riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo, congregazione religiosa fondata dal Servo di Dio Abate Ildebrando Gregori, di cui il card. Angelini è stato figlio spirituale. Era stato proprio il Papa a benedire la prima pietra dell'opera, durante la sua visita del 6 agosto 2010 a Carsoli, nella casa delle religiose dove il porporato si trovava in vacanza. E il card. Angelini è stato orgoglioso di potergli mostrare le fotografie che documentano come nel giro di un paio d'anni l'iniziativa sia stata portata a compimento, nonostante "laggiù persista ancora una situazione di conflitto" spiega, e qui da "noi la crisi economica si faccia sentire anche per le offerte", aggiunge sorridendo. L’incontro con Benedetto XVI, avvenuto subito dopo l’Angelus, lo ha talmente gratificato che ha voluto raccontare a L'Osservatore Romano la storia, a volte tormentata, di questa realizzazione. Nata tra fede, coraggio e profezia, la "cittadella" e costituita da sette complessi: la chiesa, la casa delle religiose, il dispensario sanitario e ambulatorio medico, la scuola primaria, la scuola superiore dedicata a Benedetto XVI, l’edificio per l’accoglienza, l’orfanotrofio e la casa per sacerdoti anziani e malati. "A Butembo - spiega - vivono oltre un milione di persone. Abbiamo portato l’acqua potabile e costruito le poche strade che ci sono". Un lavoro non da poco visto che, come spiega madre Maria Maurizia Biancucci, superiora generale della congregazione, l’acqua potabile, prima dell’intervento, era lontana almeno dodici chilometri. E dove oggi ci sono le strade dominava una fitta boscaglia. L’onda dei ricordi prende il sopravvento e il racconto del card. Angelini si arricchisce di tanti episodi, vicende ora rischiose ora drammatiche. "Sono già stato - dice - sei volte a Butembo. Nel 1998, per esempio, ho assistito alla consegna delle prime lauree nella locale facoltà collegata con l’università cattolica di Graben in Belgio. E nell’estate dello stesso anno sono andato per ordinare l’attuale vescovo Melchisedek Sikuli Paluku. Erano i giorni in cui scoppio la guerra civile". Una pausa per riannodare il filo dei ricordi, poi il racconto prosegue: "Eravamo in un grande spazio aperto, con quattrocentomila fedeli presenti, quando giunse minaccioso un gruppo di ribelli. Ci portarono in salvo venticinque miliziani 'armati' soltanto di vecchi fucili, di un cappellaccio con su scritto 'Polizia' e con al collo le corone del rosario del Papa: gliele avevo portate in dono". Per arrivare al confine con l’Uganda, distante appena duecento chilometri, i fuggiaschi impiegarono dodici ore: tanto che furono dati per dispersi. "Ci cercarono dappertutto - ricorda - persino impiegati di ambasciate e consolati". Parlando di questi avvenimenti, il card. Angelini trova il modo di scherzare anche sulle flotte aeree locali. "Sono vecchi arnesi da pochi posti, che i sovietici vendettero agli africani, sui quali non puoi nemmeno imbarcare i bagagli, che viaggiavano via terra. E quando si e in volo l’unica conversazione che si faceva era: 'A che punto siamo? Ma quanto manca all’atterraggio?'". E anche quando i velivoli sono piu sicuri, magari non lo sono altrettanto le rotte. "Basti pensare - gli fa eco madre Biancucci - che dovevamo partire lo scorso anno e purtroppo abbiamo dovuto rimandare perche l’aereo che avremmo dovuto usare era stato abbattuto". Ma subito il cardinale sdrammatizza, alleggerendo i toni della conversazione. "Abbiamo persino spedito un forno per fare la pizza napoletana e il pane, e soprattutto abbiamo insegnato loro come si fa; altrimenti da quelle parti vanno solo a banane", conclude con il linguaggio colorito del dialetto romanesco: non per mancanza di rispetto, esprime piuttosto la preoccupazione del pastore per un popolo affamato e disperato, manifestando la sua viva partecipazione nel sostenere opere di giustizia e carità. Spesso, tende lui stesso la mano per aiutare i poveri, i bisognosi, i malati. E ora, anche grazie all’inesauribile "fantasia della carità" del card. Angelini e delle suore del Santo Volto, e "grazie alla buona volontà e al sacrificio" di tanti amici, le cose per questa gente stanno cambiando in meglio. Con il porporato, che rientrerà il prossimo 24 luglio, si recano infatti in Africa 36 tra medici universitari e ospedalieri dell’Associazione dei medici cattolici italiani, infermieri e fisioterapisti. Tutti generosamente si alterneranno nei servizi alla "Cittadella della carità", che sorge sulla sommità di una delle tante colline di Butembo, a Ngengere, periferico e popoloso quartiere sprovvisto di tutto. Da lì si muoveranno anche per visite a domicilio e per prestare assistenza sanitaria all’ospedale locale di Matanda.

Gianluca Biccini, L'Osservatore Romano

'Die Welt': Vaticano abisso di gelosia e invidie. Gabriele difficilmente unico colpevole dello scandalo che dimostra debolezze umane nella Santa Sede

Vatileaks? Uno scandalo umano, troppo umano, come direbbe Nietzsche, fatto di intrighi, gelosie e ripicche del mondo che si nasconde dietro il manto papale. Tra le mura vaticane la sfiducia e l’ostilità sono i sentimenti che prevalgono tra chi collabora col Santo Padre secondo il quotidiano Die Welt. Da più di 50 giorni Paolo Gabriele (foto), il 46enne ex aiutante di camera del Papa, siede dietro le sbarre delle prigioni vaticane. Fino ad ora Gabriele rimane l’unico indiziato per la pubblicazioni di documenti segreti di Papa Benedetto XVI, usciti negli ultimi mesi ed in larga parte pubblicati da Gianluigi Nuzzi. L’autore di “Sua Santità. Le carte segrete del Papa” ha chiamato la sua fonte “Maria”, descrivendola come “cattolici praticanti, che lavorano o vivono in Vaticano, e che godono di una tale fiducia, da avere accesso a documenti riservati”. Son “piccoli eroi” del libro che Nuzzi ringrazierà sempre. Paolo Gabriele, per tutti “Paoletto”, però difficilmente saprà cosa fare dei ringraziamenti di Nuzzi, visto che è stato arrestato per la pubblicazione di una fattura che solo lui avrebbe potuto consegnare. Pagina 311 del libro di Nuzzi è diventata la condanna di “Paoletto”, che Benedetto XVI amava come un figlio, come ha detto il card. Bertone. Nonostante questo sentimento il maggiordomo però ha iniziato a rubare da molti anni, documenti segreti ammassai in casa sua, anche lettere in tedesco che non avrebbe mai potuto comprendere. Die Welt nota come a Gabriele, l’amato Paoletto, manchi praticamente tutto perché sia la figura principale dello scandalo Vatileaks. Una persona che voleva fare sempre “bella figura”, semplice e gentile con tutti, tanto che secondo il quotidiano tedesco voleva essere “buonista”. Gabriele aveva iniziato la sua carriera come pulitore di marmi nella Basilica di San Pietro e negli altri Sacri Palazzi, ma poi grazie alla segnalazione di mons. Paolo Sardi, ora cardinale, è riuscito a diventare il maggiordomo del Papa, nonostante il suo predecessore, il leggendario Angelo Gugel, lo avesse sconsigliato. Proprio Paolo Sardi è una delle tre personalità che Die Welt cita come figure vicine al Papa o agli altri poteri vaticani, che covavano risentimento per esser stati messi fuorigioco, e che coltivavano rapporti stretti con “Paoletto”. Oltre a Sardi c’è tra queste persone Ingrid Stampa, che abita nella stessa casa di Gabriele ed era considerata fino a qualche anno fa una sorta di papessa, per la sua estrema vicinanza a Benedetto XVI iniziata nel 1991, quando proprio Woytila la consigliò come governate all’allora card. Ratzinger. Per Die Welt l’invidia della Stampa verso qualsiasi persona che si avvicina al Papa è nota in tutti i corridoi vaticani. La Stampa è da molto tempo confidente di Josef Clemens, che è stato per diciannove anni segretario di Joseph Ratzinger. La sua promozione a vescovo e l’affidamento ad altri incarichi vaticani lo hanno però fatto allontanare da Benedetto XVI quando questi è diventato Papa, e lo stesso Papa Ratzinger pose fine alle famose cene organizzate da Clemens con Ingrid Stampa, che lo vedevano consueto ospite. Il legame tra Paolo Gabriele e questo cerchio di confidenti, in parte ex, di Benedetto XVI è costituito dallo strettissimo rapporto tra la Stampa e Paolo Sardi. Per Die Welt queste tre figure, molto conosciute tra le mura vaticane visto che nella Santa Sede tutti sanno tutto di tutti, simboleggiano la vera natura di Vatileaks. Ovviamente le tre persone citate dal quotidiano tedesco, vicine a Gabriele, sono assolutamente innocenti fino a prova contraria, ma rappresentano quel clima di sfiducia reciproca, invidia e gelosia delineato dallo scandalo. Una vicenda che non è una rivoluzione o una congiura anti Ratzinger, bensì una caduta nell’abisso delle debolezze umane. “Cor omini abysuss”, diceva Sant’Agostino, uno dei Padri della Chiesa preferiti di Benedetto XVI. Ora il Papa sa che questo scandalo ha evidenziato la distruzione della sua casa, invasa da sentimenti che mostrano quanto umano e fragile sia il Vaticano.

Dario Ferri, Giornalettismo

Cattiva Liturgia: al Congresso Eucaristico internazionale di Dublino la rivincita dei vecchi baroni. Contraddette le indicazioni di Benedetto XVI

The Tablet è un settimanale cattolico inglese di impronta “liberal”, che in Italia ha forse il suo corrispettivo più simile nel quindicinale Il Regno. Ma, al pari della rivista bolognese, dà spazio nella sua documentazione anche a testi importanti di indirizzo conservatore. È ciò che ha fatto nel suo ultimo numero, in data 14 luglio. The Tablet ha pubblicato per intero un discorso tenuto a fine giugno a Salt Lake City da mons. Andrew R. Wadsworth, direttore esecutivo del segretariato della International Commission on English in the Liturgy, con sede a Washington. Nel suo discorso, Wadsworth prende spunto dal messaggio indirizzato da Benedetto XVI al Congresso Eucaristico internazionale tenuto a Dublino dal 10 al 17 giugno. Per mostrare come la Messa conclusiva del Congresso non abbia affatto attuato le indicazioni del Papa, ma anzi le abbia contraddette. Wadsworth non fa nomi. Ma la sua critica va direttamente a colpire il presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici internazionali. Che è l’arcivescovo Piero Marini (nella foto con Benedetto XVI), l’indimenticato regista delle Celebrazioni Liturgiche del Pontificato di Giovanni Paolo II, nonché colui che fece cacciare il maestro Domenico Bartolucci da direttore perpetuo del coro della Cappella Sistina, giudicato incompatibile col nuovo corso. Nel suo messaggio, Benedetto XVI assegna al Concilio Vaticano II “il più ampio rinnovamento del rito romano mai visto prima”. E così prosegue: “Oggi, a distanza di tempo dai desideri espressi dai Padri conciliari circa il rinnovamento liturgico, e alla luce dell’esperienza universale della Chiesa nel periodo seguente, è chiaro che il risultato è stato molto grande; ma è ugualmente chiaro che vi sono state molte incomprensioni ed irregolarità. Il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero...Tuttavia, non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno. Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla via del vero rinnovamento liturgico”. Wadsworth commenta punto per punto queste considerazioni del Papa, con esempi concreti. E come esempio negativo, per mostrare come “la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno”, prende proprio la Messa conclusiva del Congresso Eucaristico di Dublino. La requisitoria di Wadsworth è molto dettagliata, specie sulla scelta dei canti. A suo giudizio, la celebrazione risentiva molto di uno stile “anni Ottanta”, aveva l’aria di uno “spettacolo”, era frequentemente “salutata da applausi” e c’era un ripetuto allontanamento dalle regole dell’Ordinamento Generale del Messale Romano. E ancora. Era praticamente assente la lingua latina, nonostante il carattere internazionale dei convenuti. Assente il canto gregoriano. Ignorate le antifone proprie della Messa del giorno. Il Credo letto da vari lettori e inframmezzato dal grido di “Credo, Amen”. Alla comunione la performance di tre tenori, con un motivo di musica leggera. Insomma: “Il deprimente effetto cumulativo del mancato rispetto dell’ordinamento del Messale, in una Messa di grande impatto, celebrata da un legato pontificio e trasmessa in tutto il mondo, non può essere sottovalutato...È come se i vecchi baroni dell’establishment liturgico abbiano trovato [nei Congressi Eucaristici internazionali] una nuova e formidabile arena di attività nella quale modellare i loro esempi di mediocre liturgia”.

Sandro Magister, Settimo Cielo

Il Papa: la preghiera confidente sia anima dell’apostolato affinché risuoni con meridiana chiarezza e vigoroso dinamismo messaggio redentore di Gesù

Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto pervenire un messaggio a mons. Jesús Garcia Burillo, vescovo di Avila (Spagna), in occasione del 450° anniversario della fondazione del monastero di San José di Avila (foto) e l'inizio della riforma del Carmelo ad opera di Santa Teresa di Gesù, che ricorrono il prossimo 24 agosto. “La riforma del Carmelo, il cui anniversario ci colma di gioia interiore, nasce dalla preghiera e tende alla preghiera. Promuovendo un ritorno radicale alla Regola primitiva, allontanandosi dalla Regola mitigata, Santa Teresa di Gesù voleva propiziare una forma di vita che favorisse l’incontro personale con il Signore, per la qual cosa è necessario ‘porsi in solitudine e guardare dentro di sé, e non estraniarsi da un così buon ospite’”, scrive il Papa. “Il fine ultimo della Riforma teresiana e della creazione di nuovi monasteri, in mezzo a un mondo scarso di valori spirituali, era alimentare con la preghiera l’azione apostolica; proporre un modo di vita evangelica che fosse modello per chi cercava un cammino di perfezione, nella convinzione che tutta l’autentica riforma personale ed ecclesiale passa per riprodurre ogni volta meglio in noi la ‘forma’ di Cristo”, ha chiarito il Papa. “Anche oggi, come nel secolo XVI, e in mezzo a rapide trasformazioni, è necessario che la preghiera confidente sia l’anima dell’apostolato - ha sottolineato il Pontefice -, affinché risuoni con meridiana chiarezza e vigoroso dinamismo il messaggio redentore di Gesù Cristo. È urgente che la Parola di vita vibri nelle anime in modo armoniosa, con note sonore e attraenti”. In questo appassionante lavoro, “l’esempio di Teresa d’Avila ci è di grande aiuto. Possiamo affermare che, a suo tempo, la Santa evangelizzò senza tiepidezze, con ardore mai appagato, con metodi lontani dall’inerzia, con espressioni piene di luce”. Questo, per il Papa, “conserva tutta la sua freschezza nella congerie attuale, che sente l’urgenza che i battezzati rinnovino il loro cuore attraverso la preghiera personale, centrata anche, seguendo i dettami della Mistica di Avila, nella contemplazione della sacrissima umanità di Cristo come unico cammino per trovare la gloria di Dio”. Così “si potranno formare famiglie autentiche, che scoprano nel Vangelo il fuoco della loro casa; comunità cristiane vive e unite, fondate in Cristo come sulla pietra angolare e che abbiano sete di una vita di servizio fraterno e generoso”. Infine è auspicabile che “la preghiera incessante promuova la coltivazione prioritaria della pastorale vocazionale, sottolineando peculiarmente la bellezza della vita consacrata”.

SIR

Messaggio all'arcivescovo di Avila (Spagna) in occasione del 450° anniversario della fondazione del Monastero di San José en Ávila e dell'inizio della Riforma del Carmelo (16 luglio 2012)

'Beati gli operatori di pace', tema del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013: il Papa intende incoraggiare tutti a sentirsi responsabili

“Beati gli operatori di pace”: è questo il tema scelto da Benedetto XVI per la 46° Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2013. Il Messaggio del Papa, riferisce un comunicato del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, “nel complesso contesto attuale intende incoraggiare tutti a sentirsi responsabili riguardo alla costruzione della pace” e abbraccerà “la pienezza e molteplicità del concetto di pace, a partire dall’essere umano: pace interiore e pace esteriore, per poi porre in evidenza l’emergenza antropologica, la natura e incidenza del nichilismo e, a un tempo, i diritti fondamentali, in primo luogo la libertà di coscienza, la libertà di espressione, la libertà religiosa”. Il testo offrirà quindi “una riflessione etica su alcune misure che nel mondo si stanno adottando per contenere la crisi economica e finanziaria, l’emergenza educativa, la crisi delle istituzioni e della politica, che è anche – in molti casi – preoccupante crisi della democrazia”. “Il Messaggio guarderà anche al 50° anniversario del Concilio Vaticano II e dell’Enciclica di Papa Giovanni XXIII, 'Pacem in terris', secondo la quale il primato spetta sempre alla dignità umana e alla sua libertà, per l’edificazione di una città al servizio di ogni uomo, senza discriminazioni alcune, e volta al bene comune sul quale si fonda la giustizia e la vera pace”. “Beati gli operatori di pace” sarà l’ottavo Messaggio di Papa Benedetto XVI per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace. I temi dei precedenti Messaggi: “Nella verità la pace” (2006), “Persona umana, cuore della pace” (2007), “Famiglia umana, comunità di pace” (2008), “Combattere la povertà, costruire la pace” (2009), “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato” (2010), “Libertà religiosa, via per la pace” (2011), “Educare i giovani alla giustizia e alla pace” (2012).

Radio Vaticana

TEMA DELLA 46° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2013)

COMUNICATO: TEMA DELLA 46° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2013)

Al 'Ratzinger Schuelerkreis' ci sarà anche Walter Kasper, il più anti romano dei cardinali, in cerca di una terza via ecclesiale

Joseph Ratzinger e Walter Kasper (foto), il più “romano” e il più “anti romano” e anti curiale tra i vescovi-teologi di una gloriosa generazione tedesca, si ritrovano a fine agosto a Castel Gandolfo per il consueto raduno con gli ex alunni del “Ratzinger Schuelerkreis”, che il Papa ha voluto dedicare quest’anno a un tema quanto mai attuale tra le diverse sensibilità teologiche della Chiesa di Roma: i rapporti tra cattolici, luterani e anglicani, che sarà sviscerato proprio anche a partire da un libro di Kasper del 2009: “Raccogliere i frutti”, una summa del rapporto tra le Chiese cristiane. Il tema ribolle non da oggi. In passato, infatti, ha diviso Ratzinger e Kasper, come ha diviso le anime della cattolicità. Convinto del necessario primato della Chiesa universale sulla Chiesa locale, Papa Ratzinger si è dovuto confrontare per anni con colui che Giovanni Paolo II mise a capo del “ministero” vaticano che si occupa di ecumenismo, Kasper appunto, sostenitore al contrario che il primato spettasse alle Chiese locali. Che in estrema sintesi significa: perché non dare maggiore autonomia alle Chiese locali, magari concedendo loro la possibilità di eleggersi i vescovi? Sotto c’è la grande controversia dell’esercizio del primato di Pietro, dibattuta da secoli e anche, aspramente, durante il Concilio Vaticano II. E’ stato Hermann Josef Pottmeyer, per più quinquenni membro della Commissione Teologica internazionale, a riassumere con un’immagine suggestiva l’essenza della controversia: “Se si paragona la teologia a un paesaggio, la tradizione teologica intorno al ministero petrino assomiglia a una regione di frontiera tra due paesi da lungo tempo nemici. Si inciampa dappertutto sulle tracce dei combattimenti: antiche trincee, vecchi bunker e, tra i residuati bellici più pericolosi, alcune mine. La mina più pericolosa è il dogma sul primato del Successore di Pietro, pronunciato al Concilio Vaticano I”. Secondo il teologo ribelle Hans Küng, il Vaticano I aveva definito il primato come una monarchia papale assoluta e l’infallibilità papale come un’infallibilità a priori. Mentre il Vaticano II parla di ecclesiologia di comunione. Riusciranno le due visioni a conciliarsi? Riuscirà Joseph Ratzinger a sorprendere e a trovare una terza via? La storia insegna che, in passato, Ratzinger e Kasper si sono trovati spesso divisi su più questioni, seppure non siano mai in nessun modo arrivati alla rottura. Al di là delle vicende ecumeniche, celebre fu la controversia che negli anni Novanta riguardò il rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali, con Ratzinger che assegnava il primato alla prima e Kasper alle seconde. Un’altra controversia, di carattere più pastorale, riguardò la comunione ai divorziati risposati: Kasper, assieme al cardinale tedesco Karl Lehmann, era più possibilista, mentre Ratzinger più rigorista. E ancora lo scontro sul lasciapassare all’aborto indirettamente rilasciato dai consultori cattolici in Germania. All’epoca, a mediare tra l’episcopato tedesco e l’ex Sant’Uffizio governato dal card. Ratzinger c’era, come nunzio in Germania, Giovanni Lajolo. Ma su altre vicende i due si ritrovarono, a sorpresa, vicini. In particolare sul concetto di Gesù Cristo “unico salvatore di tutta l’umanità”, oggetto della dichiarazione “Dominus Iesus” emessa da Joseph Ratzinger nel 2000. Kasper si distaccò dal coro dei critici, tra i quali anche alti ecclesiastici, e contestò “le interpretazioni cosiddette liberali, che si definiscono progressiste, ma che sono in realtà sovversive”. Così anche su un altro tema particolarmente sensibile per Papa Ratzinger: la liturgia. Kasper arrivò a dire, contro coloro che intendono la liturgia come collaterale alla vita di fede: “La crisi della concezione dell’Eucaristia è il nucleo stesso della crisi della Chiesa odierna”. E oggi? A cosa serve l’incontro di fine agosto al “castello”? E’ solo un modo tramite il quale il Papa intende farsi un’idea più approfondita dello stato dei lavori oppure c’è di più? Rispondere non è facile. Di certo c’è un fatto: la Costituzione Apostolica "Anglicanorum Coetibus" che permette agli anglicani che lo desiderano di tornare alla piena comunione con Roma pur mantenendo i propri riti e le proprie tradizioni, come anche altri segnali lanciati dal Papa ai protestanti (non ultima l’effettiva riabilitazione di Lutero che Benedetto XVI ha voluto fare pubblicamente durante la celebrazione ecumenica a Erfurt) confermano che un certo fermento è in atto. Tra l’altro, è con dovizia di particolari e competenza che un officiale della Congregazione per la Dottrina della fede, Riccardo Bollati, ha da poco dato alle stampe per Città Nuova un lavoro che senz’altro Papa Ratzinger avrà modo di visionare: “L’alba dell’unità. In dialogo con Jean-Marie Tillard”. Ecumenista domenicano scomparso nel 2000, Tillard partecipò ai lavori del Vaticano II come esperto insieme a Ratzinger, allora entrambi ricevettero la nomina giovanissimi, e fu poi, nel dopo Concilio, protagonista ai massimi vertici del dialogo teologico della chiesa cattolica sia con le Chiese ortodosse, sia con la Comunione anglicana, due straordinarie avventure di dialogo che molto hanno prodotto e che sono ancora in corso. Fra i frutti di questi dialoghi, vi sono numerosi documenti di accordo. Di grande interesse è l’ecclesiologia soggiacente ad alcuni di quei testi, dietro cui si intravede l’importante contributo del pensiero di Tillard, la cui lezione, “chissà perché rimasta per anni al margine della querelle Kasper-Ratzinger”, ha scritto recentemente la rivista Jesus, puntava appunto sulla natura della Chiesa di Gerusalemme. Essa, per Tillard, era chiesa locale, nella quale la Chiesa di Dio si realizza come cattolica e apostolica: le altre Chiese locali non aggiungono nulla e non sono appendici di quella, perché con essa comunicano, in una economia che è la stessa dell’Incarnazione. Per Tillard, in sostanza, il primato di Pietro resta, seppure occorrerebbe che la Chiesa di Roma restituisse alle altre chiese quei loro diritti che essa si è invece riservata. E ciò varrebbe, in primo luogo, per la nomina dei vescovi. Si tratta di una prospettiva interessante, colma di spunti e di provocazioni, di luci e di ombre, la cui ricchezza, forse, si sta cominciando solo ora a sondare a fondo. In questa direzione va il tentativo di Bollati. Di certo, il contributo che proviene dal pensiero di teologi come Ratzinger, Kasper e Tillard, ha ancora molto da dire ai dialoghi ecumenici in corso e sarà oggetto di discussione anche nel corso dell’annuale “schülerkreis” di Castel Gandolfo.

Paolo Rodari, Il Foglio

Portavoce vescovi europei: apprezzamento e stima per trasparenza sostenuta dal Papa. Rammaricati per sofferenze da giornalismo che non rispetta leggi

“La Chiesa non ha nulla da nascondere, anche nell’ambito della gestione delle finanze!”. Lo ribadiscono i portavoce delle Conferenze episcopali d’Europa in un comunicato stampa diffuso oggi, a conclusione del loro annuale incontro, che si è svolto a Colonia, dall’11 al 14 luglio. Nel comunicato i portavoce esprimono “il loro apprezzamento e la loro stima per la politica di trasparenza, anche nelle finanze della Santa Sede, sostenuta dal Santo Padre”. E “come comunicatori”, “rammaricati per le sofferenze che un giornalismo poco rispettoso delle leggi, gli ha recato, ribadiscono la loro piena fedeltà al Successore di Pietro”. L’incontro di Colonia, organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali europee, si è centrato quest’anno sulle modalità di comunicazione delle finanze della Chiesa. “L’impegno per una comunicazione trasparente sulle finanze della Chiesa - si legge nel comunicato - è un dovere che deve toccare l’insieme delle istituzioni ecclesiali: dalle parrocchie, alle associazioni e movimenti cattolici, alle scuole. La Chiesa non ha nulla da nascondere, anche nell’ambito della gestione delle sue finanze!”. I portavoce sottolineano che “quello che a volte potrebbe sembrare opaco o poco trasparente, in realtà può essere ricondotto alla difficoltà di comunicare le finanze di una moltitudine di strutture e realtà istituzionali che costituiscono la Chiesa”. Nel comunicato si precisa che “non esiste un unico bilancio economico della Chiesa: esistono migliaia e migliaia di bilanci di parrocchie, diocesi, scuole, ospedali, ospizi che costituiscono nel loro insieme il bilancio della Chiesa. Tutte queste realtà sono già da tempo impegnate, con risultati più o meno felici, nel tentativo di comunicare in modo trasparente il frutto del loro esercizio economico”. Oggi, prosegue la dichiarazione dei portavoce europei, “la trasparenza è di fatto divenuta il prezzo della fiducia”, “anche per la Chiesa”. Pertanto “tutte le realtà ecclesiali, e le Conferenze episcopali in primo luogo, devono attrezzarsi per presentare nel modo migliore la propria realtà e la loro missione”. E aggiungono: “Molti degli attuali preconcetti sono spesso anche frutto di una disinformazione che purtroppo rischia di modificare la percezione, anche nella cultura ecclesiale, del rapporto che la Chiesa intrattiene con il denaro. La Chiesa non è una società di profitto; e il denaro è solo un mezzo per realizzare la propria missione di annuncio di Cristo nella storia”. Gran parte dell’incontro è stato poi dedicato alla conoscenza della Chiesa Cattolica in Germania e dei mezzi di comunicazione che vi operano. Ai lavori è statopresentato anche un rapporto sulle attività svolte dall’agenzia europea “SIR Europa”.

SIR

Il padre di Paolo Gabriele: come padre e come cristiano spero che emerga tutta la verità e si realizzino le parole del Papa sulla pulizia nella Chiesa

"Come padre e come cristiano spero che emerga tutta la verità" e che si realizzi "la pulizia necessaria nella Chiesa". Lo scrive Andrea Gabriele, il padre di Paolo (foto), l’ex assistente di camera di Benedetto XVI attualmente agli arresti, in una lettera inviata a Claudio Brachino conduttore di "Top Secret", in onda ieri su Tgcom24. "L’inchiesta sta facendo il suo percorso e non vogliamo interferire con le indagini. Molte delle notizie apparse in queste settimane sulla vicenda di mio figlio Paolo sono distorte e, spesso, false e offensive della sua riconosciuta dignità personale", scrive Andrea Gabriele. "Desidero decisamente sottolineare - continua - l’assoluta onestà di Paolo, la sua grande generosità e integrità morale, che gli provengono dalla sua morigerata famiglia di origine, il suo profondo amore per la Chiesa di Cristo, per il suo Pontefice Benedetto XVI, come per il Beato Giovanni Paolo II, il quale ha conosciuto bene il suo cuore". "Come padre e come cristiano - sottolinea ancora Gabriele - spero che emerga tutta la verità, a proficuo vantaggio della Chiesa di Cristo, di cui tutti i cristiani sono corpo unico. Spero soprattutto che questo tremendo sacrificio porti frutto allo spirito di chi è chiamato alle responsabilità, nella Chiesa, di ogni ordine e grado, davanti a Dio. Auguro alla Sposa di Cristo che si realizzino le parole continue del Papa Benedetto XVI sulla pulizia necessaria nella Chiesa". "Paolo - conclude il padre - sta pagando in prima persona una realtà non facile a comprendere ancora, fin quando la motivazione di ciò che è accaduto non sarà resa pubblica".

Vatican Insider