lunedì 16 luglio 2012

Presentata al Papa dal card. Fiorenzo Angelini la struttura della 'Cittadella della carità' dedicata a Benedetto XVI, che verrà inaugurata in Congo

Novantasei anni, li compirà tra due settimane, ma non li dimostra e soprattutto non li sente. Tanto che il cardinale Fiorenzo Angelini, per festeggiarli, si reca nel cuore dell’Africa, a Butembo, nella Repubblica Democratica del Congo, dove sarà lui a portare un dono: la "Cittadella della carità". Ieri, alla vigilia della partenza, il porporato, romano di nascita, ne ha parlato con Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Quella che farà nella regione africana, martoriata da tredici anni di guerra civile, non è infatti una gita di piacere; andrà a inaugurare quella struttura così fortemente voluta per venire incontro alle necessità di una popolazione straziata. L’opera è stata realizzata con l’aiuto delle Suore benedettine riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo, congregazione religiosa fondata dal Servo di Dio Abate Ildebrando Gregori, di cui il card. Angelini è stato figlio spirituale. Era stato proprio il Papa a benedire la prima pietra dell'opera, durante la sua visita del 6 agosto 2010 a Carsoli, nella casa delle religiose dove il porporato si trovava in vacanza. E il card. Angelini è stato orgoglioso di potergli mostrare le fotografie che documentano come nel giro di un paio d'anni l'iniziativa sia stata portata a compimento, nonostante "laggiù persista ancora una situazione di conflitto" spiega, e qui da "noi la crisi economica si faccia sentire anche per le offerte", aggiunge sorridendo. L’incontro con Benedetto XVI, avvenuto subito dopo l’Angelus, lo ha talmente gratificato che ha voluto raccontare a L'Osservatore Romano la storia, a volte tormentata, di questa realizzazione. Nata tra fede, coraggio e profezia, la "cittadella" e costituita da sette complessi: la chiesa, la casa delle religiose, il dispensario sanitario e ambulatorio medico, la scuola primaria, la scuola superiore dedicata a Benedetto XVI, l’edificio per l’accoglienza, l’orfanotrofio e la casa per sacerdoti anziani e malati. "A Butembo - spiega - vivono oltre un milione di persone. Abbiamo portato l’acqua potabile e costruito le poche strade che ci sono". Un lavoro non da poco visto che, come spiega madre Maria Maurizia Biancucci, superiora generale della congregazione, l’acqua potabile, prima dell’intervento, era lontana almeno dodici chilometri. E dove oggi ci sono le strade dominava una fitta boscaglia. L’onda dei ricordi prende il sopravvento e il racconto del card. Angelini si arricchisce di tanti episodi, vicende ora rischiose ora drammatiche. "Sono già stato - dice - sei volte a Butembo. Nel 1998, per esempio, ho assistito alla consegna delle prime lauree nella locale facoltà collegata con l’università cattolica di Graben in Belgio. E nell’estate dello stesso anno sono andato per ordinare l’attuale vescovo Melchisedek Sikuli Paluku. Erano i giorni in cui scoppio la guerra civile". Una pausa per riannodare il filo dei ricordi, poi il racconto prosegue: "Eravamo in un grande spazio aperto, con quattrocentomila fedeli presenti, quando giunse minaccioso un gruppo di ribelli. Ci portarono in salvo venticinque miliziani 'armati' soltanto di vecchi fucili, di un cappellaccio con su scritto 'Polizia' e con al collo le corone del rosario del Papa: gliele avevo portate in dono". Per arrivare al confine con l’Uganda, distante appena duecento chilometri, i fuggiaschi impiegarono dodici ore: tanto che furono dati per dispersi. "Ci cercarono dappertutto - ricorda - persino impiegati di ambasciate e consolati". Parlando di questi avvenimenti, il card. Angelini trova il modo di scherzare anche sulle flotte aeree locali. "Sono vecchi arnesi da pochi posti, che i sovietici vendettero agli africani, sui quali non puoi nemmeno imbarcare i bagagli, che viaggiavano via terra. E quando si e in volo l’unica conversazione che si faceva era: 'A che punto siamo? Ma quanto manca all’atterraggio?'". E anche quando i velivoli sono piu sicuri, magari non lo sono altrettanto le rotte. "Basti pensare - gli fa eco madre Biancucci - che dovevamo partire lo scorso anno e purtroppo abbiamo dovuto rimandare perche l’aereo che avremmo dovuto usare era stato abbattuto". Ma subito il cardinale sdrammatizza, alleggerendo i toni della conversazione. "Abbiamo persino spedito un forno per fare la pizza napoletana e il pane, e soprattutto abbiamo insegnato loro come si fa; altrimenti da quelle parti vanno solo a banane", conclude con il linguaggio colorito del dialetto romanesco: non per mancanza di rispetto, esprime piuttosto la preoccupazione del pastore per un popolo affamato e disperato, manifestando la sua viva partecipazione nel sostenere opere di giustizia e carità. Spesso, tende lui stesso la mano per aiutare i poveri, i bisognosi, i malati. E ora, anche grazie all’inesauribile "fantasia della carità" del card. Angelini e delle suore del Santo Volto, e "grazie alla buona volontà e al sacrificio" di tanti amici, le cose per questa gente stanno cambiando in meglio. Con il porporato, che rientrerà il prossimo 24 luglio, si recano infatti in Africa 36 tra medici universitari e ospedalieri dell’Associazione dei medici cattolici italiani, infermieri e fisioterapisti. Tutti generosamente si alterneranno nei servizi alla "Cittadella della carità", che sorge sulla sommità di una delle tante colline di Butembo, a Ngengere, periferico e popoloso quartiere sprovvisto di tutto. Da lì si muoveranno anche per visite a domicilio e per prestare assistenza sanitaria all’ospedale locale di Matanda.

Gianluca Biccini, L'Osservatore Romano