giovedì 14 gennaio 2010

Anno Sacerdotale. Mons. Piacenza: come San Giovanni Maria Vianney i presbiteri sono chiamati a saper amare sempre e comunque ogni persona

Un sacerdote “esperto nell'arte di amare” e quindi nell'arte di “far vedere l'Amore”, cioè “comunicare Dio”. così mons. Mauro Piacenza segretario della Congregazione per il Clero, definisce San Giovanni Maria Vianney (foto), che il Papa proclamerà nell'Anno Sacerdotale patrono di tutti i sacerdoti. In un intervento al ritiro spirituale per i sacerdoti e i diaconi amici del movimento dei Focolari, pubblicato da L’Osservatore Romano, mons. Piacenza fa notare che “l'eroismo del santo curato, le lunghe ore trascorse nel confessionale, il trasporto, l'austerità e la solennità con cui celebrava la Santa Messa e sostava in estasi davanti al tabernacolo, la pietà con cui si rivolgeva alla Beata Vergine Maria e ai santi, altro non erano se non evidenti segni, da tutti riconoscibili, di questo straordinario amore di Dio e per Dio, reso costantemente visibile”. “A questo – commenta il relatore - i sacerdoti di ogni tempo sono chiamati: rendere visibile l'Amore di Dio; non un generico sentimento d'amore, ma l'Amore reso visibile in Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, l'Amore che si è fatto inchiodare alla Croce per noi e per i nostri peccati, l'Amore di Gesù abbandonato”. L’arte di amare, conclude mons. Piacenza, per i preti deve tradursi nella “capacità di saper amare sempre e comunque, in ogni realtà e circostanza, ogni persona, qualunque sia la sua condizione culturale, storica, sociale e religiosa”.

SIR

'Cor Unum' rilancia l'appello del Papa per la popolazione di Haiti e coordina le sue istituzioni caritative per venire incontro ai bisogni più urgenti

La Santa Sede è accanto alle popolazioni di Haiti sconvolte dal terremoto e assicurerà l'impegno delle sue istituzioni caritative. La Sala stampa della Santa Sede annunciando oggi che sarà il Pontificio Consiglio 'Cor Unum' a coordinare gli sforzi umanitari, ha ricordato le parole di Papa Benedetto XVI che proprio ieri ha voluto rivolgere il suo pensiero alle popolazioni colpite assicurando che ''la Chiesa Cattolica non mancherà di attivarsi immediatamente tramite le sue istituzioni caritative per venire incontro ai bisogni più immediati della popolazione''. Una rete di aiuti, quella cattolica, che in diretto contatto con il Catholic Relief Services (Crs), l'agenzia umanitaria internazionale dei vescovi degli Stati Uniti, può contare sul posto già più di 300 tra tecnici e volontari, in grado di assicurare un ''pronto ed efficace coordinamento degli sforzi della Chiesa''.

Asca

Intervista esclusiva di 'H2onews' a don Giancarlo Centioni: Pio XII creò una rete clandestina per aiutare gli ebrei a sfuggire alle persecuzioni

E' stata pubblicata oggi su H2onews l'intervista esclusiva a don Giancarlo Centioni, l'ultimo testimone ancora in vita che fece parte della rete clandestina creata da Pio XII (foto) durante la seconda guerra mondiale per aiutare gli ebrei a sfuggire dalle persecuzioni naziste. “Questa rete consegnava passaporti e soldi alle famiglie ebree per poter fuggire” spiega don Centioni, che dal 1940 al 1945 lavorò come cappellano militare a Roma, precisando che “il denaro e i passaporti venivano dati da padre Anton Weber, uno dei capi della rete, e consegnati alle persone”. Documenti e soldi venivano “direttamente dalla Segretaria di Stato di Sua Santità, per nome e conto di Pio XII”. Secondo don Centioni centinaia di questi ebrei erano a conoscenza che ad aiutarli era “Pio XII, attraverso noi sacerdoti, attraverso la 'Raphael's Verein', attraverso i Verbiti Società Tedesca a Roma”. Il caso di don Centioni è stato scoperto e analizzato, comparando altre testimonianze, dalla Pave the Way Foundation creata dall'ebreo di New York Gary Krupp. Il racconto trova riscontro documentale nella decorazione concessa dal governo polacco in esilio a don Centioni, la croce d'oro con due spade “per la nostra e la vostra libertà”.

SIR

Il Papa: lo sviluppo integrale della persona, la famiglia e i giovani al centro dell'azione politica. Perseguire il bene comune in un clima di dialogo

La crisi in atto dà la possibilità, in primo luogo ai responsabili politici, di ripensare, a livello anche territoriale, un modello di sviluppo più vicino alla dignità umana. Lo ha detto qusta mattina Papa Benedetto XVI incontrando in Vaticano gli amministratori della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma, per il tradizionale scambio d'auguri di inizio anno. Nel suo discorso e rispondendo ai saluti del vice Presidente della Giunta Regionale del Lazio, Esterino Montino, del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e del Presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, il Pontefice è tornato a parlare della ''crisi che ha investito l'economia mondiale'' e che ''ha avuto conseguenze anche per gli abitanti e le imprese di Roma e del Lazio''. Una crisi che, però, ha subito aggiunto Papa Ratzinger, ''ha offerto la possibilità di ripensare il modello di crescita perseguito in questi ultimi anni''. Citando la sua Enciclica ''Caritas in veritate'' il Papa ha ripetuto che ''lo sviluppo umano per essere autentico deve riguardare l'uomo nella sua totalità e deve realizzarsi nella carità e nella verità''. Il Pontefice ha esortato a porre ''la persona umana al centro dell'azione politica'' aggiungendo che ''la crescita morale e spirituale'' dell'uomo ''deve essere la prima preoccupazione per coloro che sono stati chiamati ad amministrare la comunitaà civile''. ''E' fondamentale che quanti hanno ricevuto dalla fiducia dei cittadini l'alta responsabilità di governare le istituzioni avvertano - ha quindi aggiunto Papa Ratzinger - come prioritaria l'esigenza di perseguire costantemente il bene comune, che non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Affinchè ciò avvenga, è opportuno che nelle sedi istituzionali - ha quindi sottolineato il Papa - si cerchi di favorire una sana dialettica perchè quanto più le decisioni e i provvedimenti saranno condivisi tanto più essi permetteranno un efficace sviluppo per gli abitanti dei territori amministrati''. Il Papa, pur esprimendo ''apprezzamento'' per gli sforzi compiuti dalle amministrazioni ''per venire incontro alle fasce più deboli ed emarginate della società, in vista della promozione di una convivenza più giusta e solidale'' ha invitato ''a porre ogni cura perchè la centralità della persona umana e della famiglia costituiscano il principio ispiratore di ogni scelta. Ad esso, in particolare, - ha voluto sottolineare - occorre far riferimento nella realizzazione dei nuovi insediamenti della città, perchè i complessi abitativi che vanno sorgendo non siano solo quartieri-dormitorio''. In questo senso, ha poi detto il Papa, ''è opportuno che siano previste quelle strutture che favoriscono i processi di socializzazione, evitando così che sorga e si incrementi la chiusura nell'individualismo e l'attenzione esclusiva ai propri interessi, dannose per ogni convivenza umana''. Benedetto XVI ha poi voluto sottolineare la ''consolidata collaborazione'' tra la Chiesa e le autorità civili auspicando ''una sempre più feconda sinergia fra le diverse istituzioni che permetta il sorgere nelle zone periferiche, come anche nel resto della città, di strutture che aiutino i giovani genitori nel loro compito educativo. Auspico, altresì, - ha poi detto il Papa - che possano essere adottati anche ulteriori provvedimenti in favore delle famiglie, in particolare di quelle numerose, in modo che l'intera città goda dell'insostituibile funzione di questa fondamentale istituzione, prima e indispensabile cellula della società''. Ma Benedetto XVI, parlando della 'sua' diocesi ha voluto non dimenticare le nuove generazioni. ''Da alcuni anni la Diocesi di Roma e quelle del Lazio sono impegnate a offrire il loro contributo per far fronte alle istanze sempre più urgenti che pervengono dal mondo giovanile e che chiedono risposte educative adeguate di alto profilo - ha detto, infatti, il Papa -. E' davanti agli occhi di tutti la necessità e l'urgenza di aiutare i giovani a progettare la vita sui valori autentici, che fanno riferimento ad una visione 'alta' dell'uomo e che trovano nel patrimonio religioso e culturale cristiano una delle sue espressioni più sublimi''. In questo senso si inseriscono anche esperienze, ha detto ancora il Papa, come gli ''oratori dei piccoli'' venute in aiuto dei genitori che lavorano. Una esperienza positiva che Papa Ratzinger ha chiesto esplicitamente venga estesa in altre zone di Roma. Il papa ha poi chiesto agli amministratori di sviluppare, tra l'altro, anche ''proposte formative circa i grandi temi dell'affettività e della sessualità, così importanti per la vita'', evitando, però, ''di prospettare agli adolescenti e ai giovani vie che favoriscono la banalizzazione di queste fondamentali dimensioni dell'esistenza umana. A tale scopo, la Chiesa chiede la collaborazione di tutti, in particolare di quanti operano nella scuola, per educare a una visione alta dell'amore e della sessualità umana. Desidero, a tal proposito, invitare tutti a comprendere - ha detto Benedetto XVI - che, nel pronunciare i suoi 'no', la Chiesa in realtà dice dei 'sì' alla vita, all'amore vissuto nella verità del dono di sè all'altro, all'amore che si apre alla vita e non si chiude in una visione narcisistica della coppia''. Una Chiesa che resta convinta che, ha sottolineato Papa Ratzinger, ''soltanto tali scelte possano condurre ad un modello di vita, nel quale la felicità è un bene condiviso.Su questi temi, come anche su quelli della famiglia fondata sul matrimonio e sul rispetto della vita dal suo concepimento fino al suo termine naturale, - ha quindi concluso - la comunità ecclesiale non può che essere fedele alla verità che, sola, è garanzia di libertà e della possibilità di uno sviluppo umano integrale''. ''Infine, non posso non esortare le autorità competenti ad un'attenzione costante e coerente al mondo della malattia e della sofferenza. Le strutture sanitarie, così numerose a Roma e nel Lazio, che offrono un importante servizio alla comunità, siano luoghi - ha concluso Papa Ratzinger - nei quali si incontrano sempre più gestione attenta e responsabile della cosa pubblica, competenze professionali e dedizione generosa verso il malato, la cui accoglienza e cura, devono essere il criterio sommo di quanti operano in tale ambito''.

Morto nel violento terremoto di Haiti l'arcivescovo di Port-au-Prince. Le testimonianze dei missionari di San Giacomo presenti nel Paese

L'arcivescovo di Port-au-Prince, mons. Joseph Serge-Miot (nella foto con Benedetto XVI), è morto nel violento terremoto che ha devastato questo martedì la capitale di Haiti. Il suo corpo è stato rinvenuto tra le macerie dell'Arcivescovado, secondo quanto hanno confermato a Roma fonti missionarie. Il vicario generale dell'arcidiocesi, mons. Benoît Seguiranno, risulta disperso, ha aggiunto l'agenzia Misna citando i missionari della Società di San Giacomo, presenti ad Haiti da 40 anni. Mons. Serge-Miot, 63 anni, era arcivescovo da due ed era stato coadiutore dell'Arcidiocesi per più di dieci. Era stato consacrato vescovo nel 1997 da mons. Christophe Pierre, allora Nunzio apostolico ad Haiti e attualmente rappresentante papale in Messico. “Siamo a terra”, ha spiegato in un messaggio di posta elettronica padre Andre Siohan, dei missionari di San Giacomo, a Misna. “Sono stato in centro città stamani per visitare le comunità religiose amiche: la zona è totalmente devastata e ci sono migliaia di vittime. E' terribile. Tutti noi stiamo bene, ma siamo senza notizie di alcuni nostri seminaristi. Qualcuno è ferito, forse qualcuno è morto. Pregate per noi”, scrive ancora il missionario, che riesce a comunicare soltanto grazie a un sistema satellitare. Per telefono, ha continuato il racconto all'agenzia Misna un confratello di Siohan, padre Pierre Le Beller, tornato in Francia dopo circa trent'anni di lavoro a Haiti. “Sotto le tende allestite nel giardino della nostra casa danneggiata dal terremoto si trovano in questo momento i nostri confratelli, alcuni seminaristi, amici e vicini del quartiere di Pacot. Temiamo un numero altissimo di feriti: la vera emergenza sarà quella di curarli”, ha detto Le Beller, sottolineando che già in tempi normali i servizi ospedalieri sono carenti. Haiti è il Paese più povero della zona caraibica. “I racconti sono raccapriccianti, si sentono le urla e i pianti di gente ferita, ci chiediamo quanti sono intrappolati sotto le macerie. Ci dicono che la cattedrale è crollata, così come il Palazzo nazionale e quello dell'ONU, un edificio a cinque piani, sulla strada che porta verso il quartiere residenziale di Petionville”. Per padre Le Beller è molto difficile andare avanti nel riferire le notizie, soprattutto quelle della distruzione del Centro Caritas nel quartiere centrale di Saint Antoine, una struttura di aiuto, accoglienza e reinserimento dei ragazzi di strada che lui stesso aveva creato e al quale aveva dedicato anima e corpo. Per fortuna, per ora, sembra che tutti i giovani del centro siano vivi.

Zenit

Il rabbino Di Segni elogia Benedetto XVI ma non rinuncerà a parlare 'in qualche modo' di Pio XII durante la visita alla Sinanoga di Roma

Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni (nella foto con Benedetto XVI) non rinuncerà ad affrontare "in qualche modo" il nodo di Pio XII e della sua beatificazione durante la prossima visita di Papa Ratzinger in Sinagoga, ma ritiene fermamente che l'incontro, specialmente in una città come Roma, sarà "esempio" di come si possa "convivere" nella diversità. Nel suo studio al secondo piano degli uffici della Comunità ebraica romana proprio nella Sinagoga che domenica prossima vedrà l'ingresso di Benedetto XVI, il rabbino capo pazientemente si sottopone in singoli incontri al fuoco di fila delle domande di molti giornalisti italiani e stranieri. Fuori, davanti al Tempio di Lungotevere, già stazionano i mezzi delle televisioni di tutto il mondo che riprenderanno l'avvenimento. Di Segni non si sottrae alla domanda su cosa dirà al Papa riguardo Pio XII: "Non è ancora deciso, ci stiamo ancora riflettendo, ma in qualche modo durante la visita - risponde - parlerò di Pio XII. C'é modo e modo, ma ne parlerò". "Bisognerà vedere anche - aggiunge - se ne parlerà lui e in che modo". Fatto sta che nel programma ufficiale della visita, toccherà per primo proprio a lui parlare. Più cauto invece sui contenuti dell'incontro privato che avrà per pochi minuti con Benedetto XVI: "Su quello che gli dirò a quattr'occhi - dice - è in corso una grande riflessione, un 'brain storming'. E poi devo tener conto anche di quello che mi dirà lui". Non è la prima volta che Di Segni incontra Joseph Ratzinger e per questo il rabbino ci tiene a dire che "nei precedenti colloqui" è rimasto "sorpreso dalla profonda cultura del Pontefice nei riguardi dell'ebraismo, ma soprattutto dalla sua visione allargata". Così come si affretta a sottolineare di aver gradito la risposta del Papa al suo telegramma di auguri natalizi: "E' stato - sottolinea - un segno di grande attenzione". Ma la visita, alla quale parteciperanno, oltre i vertici dell'ebraismo nazionale e romano, gli esponenti del governo italiano, quelli della regione, della provincia, del comune e i rappresentanti diplomatici di Israele e del rabbinato israeliano, per Di Segni ha un valore assoluto nel suo "essere di esempio" per come si possa "convivere nella diversita". "Il tema di questa visita è capire cosa ci stanno a fare al mondo due religioni che un tempo erano in conflitto. La visita di Giovanni Paolo II - spiega - ha aperto un'era ma si collocava in un mondo diviso in due sfere constrastanti di influenza. La visita di oggi avviene in un'epoca aperta dalle Torri Gemelle e in cui la violenza si esprime anche sotto forma di scontro di civiltà, di intolleranza e fanatismo religioso. Di fronte a questo scenario il problema è quale sia il ruolo delle due religioni". E poi aggiunge: "Dare un segnale in questa città: dire che si può essere anche di opinioni differenti, che si può discutere su certe cose del passato per le quali abbiamo anche opinioni radicalmente opposte, questo è il fine. Abbiamo delle responsabilità e questo è il valore dell'incontro". Di Segni non nasconde poi che ci siano voci di dissenso da parte ebraica sulla visita di Papa Ratzinger che all'arrivo nel ghetto sosterrà proprio davanti la lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani del 1943, sotto il pontificato di Pio XII. "Sarebbe - nota con un sorriso - non consono alla tradizione ebraica; mi meraviglierei se ci fosse l'unanimità. Il ghetto è molto più maturo di quanto si pensi. E se anche uno dei sopravvissuti non verrà, rispetto profondamente le opinioni dissenzienti". "Il fatto che dopo la visita storica di Giovanni Paolo II, un Papa torni in Sinagoga è un segno di continuità. Soprattutto - conclude - dopo tutte le discussioni avvenute. Alla simbologia mediatica va poi aggiunto ciò che avverrà, ciò che ci si dirà e si potrà fare in base al clima che questi eventi creano".

Massimo Lomonaco, Ansa