lunedì 17 settembre 2012

Il Papa in Libano. Franceschini: la missione affidata da Benedetto XVI alla comunità cristiana di lavorare per costruire la pace è ardua ma urgente

“Il mondo islamico ha bisogno di capire che il cristianesimo non si deve confondere con l’Occidente e che la Chiesa non è nemica della comunità dei credenti dell’Islam. Il viaggio del Papa, i suoi interventi, i suoi gesti, sono stati dei segni inequivocabili in tal senso”. Lo ha detto all'agenzia SIR mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne e presidente della Conferenza episcopale di Turchia, parlando del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano per la firma e la consegna dell’Esortazione post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”. “Il Papa - ha spiegato l’arcivescovo - ha affidato alla comunità cristiana il compito di lavorare attivamente alla costruzione di una società in cui la pace e il rispetto della coscienza dell’altro siano mete imprescindibili. Questa missione della comunità cristiana in questo contesto è ardua ma urgente”. Per l’arcivescovo, “tutto ciò che sta accadendo in seguito alle vicende del film blasfemo deve imporre all’Occidente un serio esame di coscienza sul suo modo di relazionarsi con il fatto religioso. D’altra parte la legittima indignazione per le offese alla sensibilità religiosa deve prendere le distanze da comportamenti violenti e omicidi, che offendono Dio in maniera non diversa da un’esplicita bestemmia”.

SIR

MESSAGGIO DAL LIBANO - Dare sapore alla fede: mons. Ruggero Franceschini, presidente dei vescovi di Turchia, sul viaggio di Benedetto XVI

Il Papa in Libano. Vian: moltissimi coloro che hanno visto in quest’uomo di Dio gentile e reso trasparente dagli anni il vero volto della Chiesa

Essere uno “spazio di armonia che sia testimonianza dell’esistenza di Dio e della comunione tra gli uomini, qualunque sia la loro sensibilità politica, comunitaria e religiosa”. Così Gian Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, in un editoriale pubblicato oggi sul “compito esemplare” affidato dal Papa al Libano, “in una regione martoriata da troppo tempo da violenze e da guerre, fino alla tragedia siriana, più volte tornata nelle parole e nei gesti del Papa”. Con il suo 24° viaggio apostolico, Benedetto XVI “lascia molto, e non soltanto al Libano”. A iniziare dall’“impegnativo documento” "Ecclesia in Medio Oriente", testo tradotto anche in arabo e consegnato personalmente dal Papa “anche ai maggiori esponenti delle altre confessioni cristiane e dell’islam”, dai quali “è stato ascoltato con interesse e rispetto”. Di questi giorni libanesi, per il direttore de L’Osservatore Romano resta però soprattutto un fatto: “Moltissimi sono stati coloro che hanno visto in quest’uomo di Dio gentile e reso trasparente dagli anni — in un viaggio che ha voluto e mantenuto con un coraggio impressionante — il vero volto della Chiesa. Volto che Benedetto XVI ha saputo mostrare a tutti, spiegandolo poi in un commento improvvisato davanti ai patriarchi cattolici dopo l’incontro con i giovani. Dicendo che l’identità cristiana si riassume nel cuore aperto di Gesù”.

SIR

Il vero volto della Chiesa

Il Papa in Libano. Muhammad Sammak: ha riproposto principi della dignità umana. Tutti erano felici e si auguravano che il viaggio durasse più a lungo

“La visita di Benedetto XVI in Libano ha mostrato al mondo che il popolo libanese, cristiani e musulmani, è tutto dalla stessa parte, mentre i partiti e le fazioni si dividono e generano conflitti. La speranza è che anche gli uomini politici in Libano imparino qualcosa dallo spettacolo di unità che si è visto nei giorni della visita papale”. Così spiega all’agenzia Fides Muhammad Sammak, consigliere politico del gran Mufti del Libano e Segretario generale del Comitato libanese per il dialogo islamico-cristiano. I giorni del Papa in Libano sono stati per tutti una parentesi di sollievo nella fase a rischio di nuove lacerazioni vissuta dal Paese dei cedri. Sammak racconta questa percezione condivisa attraverso un aneddoto: “Le reti televisive per qualche giorno si sono concentrate sulla visita papale, e i politici con le loro contrapposizioni sono spariti dagli schermi. Tutti erano felici di ciò, e si auguravano anche per questo che il viaggio papale in Libano durasse più a lungo”. Sammak confida a Fides di essere l’autore del messaggio che il gran Mufti Mohammed Rashid Gabbani ha consegnato al Santo Padre Benedetto XVI durante il suo incontro con i rappresentanti delle comunità islamiche: “Ho espresso in quel testo il concetto che ogni male fatto a un cristiano è una male fatto a tutti i musulmani, e ogni attacco portato a una chiesa è un attacco contro tutte le moschee. Un messaggio che si può ritrovare negli insegnamenti stessi del Profeta Muhammad”. Il consigliere del gran Mufti definisce “fenomenale” lo spirito con cui tutte le componenti musulmane hanno preso parte ai diversi momenti del viaggio papale: “Le relazioni tra sunniti e sciiti ora in Libano non sono buone, eppure tutti hanno partecipato insieme agli incontri ufficiali, alla Messa, ai momenti di benvenuto e di arrivederci”. Sammak valorizza l’approccio alle relazioni tra cristiani e musulmani espresso da Benedetto XVI nei suoi discorsi: “Il Papa ha presentato la libertà religiosa come la madre di tutti i diritti. E mi colpisce quando dice che l’antidoto agli estremismi non è la tolleranza. Non vogliamo relazioni islamo-cristiane basate solo sulla tolleranza. Esse si devono fondare sui diritti di cittadinanza condivisi tra tutti i cittadini, e poi sulla mutua fiducia e l’amore reciproco. La tolleranza, da sola non è sufficiente”. Sui riferimenti al conflitto siriano, Sammak apprezza l’intento papale di non entrare sul terreno delle controversie politiche: “Il Papa non voleva riferirsi direttamente alle situazioni politiche o geo-politiche. Ma ha riproposto a tutti i principi della dignità umana e della salvaguardia dei diritti dei popoli a decidere il proprio futuro. Ogni tentativo di strumentalizzare le sue parole è destinato a fallire. Benedetto XVI è il capo della Chiesa, non un capo politico. Per questo non entra direttamente nell’agenda politica. E per questo le sue parole possono essere apprezzate da tutti”. Muhammad Sammak partecipò come ospite speciale al Sinodo dei Vescovi del 2010 dedicato al Medio Oriente. Confida con soddisfazione a Fides che il suo intervento pronunciato nell’aula del Sinodo è circolato in tutti i Paesi arabi, Arabia compresa, riscuotendo consensi dovunque. In quell’occasione disse che il pericolo di un calo della presenza dei cristiani in Medio Oriente “è una preoccupazione sia cristiana che islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma per tutti i musulmani del mondo”.

Fides

Presidente Tribunale vaticano: nella mattina del 29 settembre la prima udienza del processo nei confronti di Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti

Il presidente del Tribunale della Città del Vaticano, Giuseppe Dalla Torre, ha emesso oggi il decreto che stabilisce per il giorno 29 settembre prossimo, alle 9.30, la prima udienza del processo nei confronti degli imputati Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI) e Claudio Sciarpelletti, rinviati a giudizio con sentenza del giudice istruttore del 13 agosto scorso. E' quanto si legge in un comunicato della Sala stampa della Santa Sede. L'udienza avrà luogo nell'Aula delle udienze del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Il decreto è stato notificato agli interessati.

TMNews

COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

Il Papa in Libano. Le speranze dei patriarchi della Siria: questo viaggio darà frutti e sarà una spinta potente per trovare nuove strade di pace

Soddisfazione e speranza dei patriarchi cristiani di Damasco per un futuro di pace e riconciliazione in Siria: all’indomani della conclusione del viaggio del Papa i leader cristiani damasceni, tutti presenti in Libano, rimarcano la “piena sintonia” con Benedetto XVI sull’urgenza di una “soluzione pacifica” della crisi siriana, attraverso il dialogo e la riconciliazione. Fra gli oltre 200 vescovi che hanno partecipato all'incontro con il Papa erano presenti il patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham, il patriarca greco-ortodosso Ignatius IV Hazim, il patriarca siro-cattolico Ignatius III Younan, il patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas che, pur malato e bisognoso di cure di dialisi, ha fortemente voluto esserci. In una dichiarazione rilasciata all’agenzia Fides, i patriarchi esprimono “grande consolazione per essere dalla stessa parte del Santo Padre sulla visione dell'esistenza insostituibile dei cristiani in Medio Oriente”. I leder notano che, a proposito della crisi siriana, il Papa, “come suprema autorità morale, ha offerto criteri etici senza interferire nel campo politico, ricordando alla comunità internazionale la responsabilità di salvare la vita della popolazione e in special modo delle minoranze”. I patriarchi , in particolare, apprezzano il passaggio in cui il Santo Padre ha ricordato che “ogni cristiano deve farsi strumento di pace e riconciliazione in Medio Oriente”, dicendo “mo all’estremismo, alla violenza, alle armi; Sì alla pace, al dialogo e alla riconciliazione”. “Siamo certi – concludono – che questo viaggio darà frutti e che sarà una spinta potente per trovare nuove strade di pace in Siria”.

Fides

'Ecclesia in Medio Oriente'. Cosa può dire l'Esortazione Apostolica all'Europa: deve esistere la possibilità di una libera confessione della religione

Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano, tra le molteplici sue dimensioni, è stato una particolare occasione per l’incontro e l'interazione fra diverse culture, tradizioni, confessioni e religioni. Uno dei suoi molteplici frutti è il documento che il Papa ha consegnato alla Chiesa locale. L’Esortazione Apostolica "Ecclesia in Medio Oriente" prova a riconciliare e mettere insieme diversi complicati processi storici e religiosi: in quella terra, come attraverso una lente d'ingrandimento, si concentrano problemi che investono tutto il mondo contemporaneo, compresa l'Europa. Il Medio Oriente è la terra che ha dato i natali a tre grandi religioni monoteistiche. Per tutta l’umanità, e specialmente per noi cristiani, è la terra del Dio salvatore, la terra di Gesù di Nazaret. Il Santo Padre, parlando alla Chiesa in Medio Oriente, vuole dunque far riflettere anche gli abitanti del Vecchio Continente? Il documento papale si può leggere ed analizzare in diverse chiavi e contesti. Quello però che in esso domina è un invito pressante, quasi un grido, al dialogo, che assume un'eccezionale dimensione nel contesto Medio Orientale. Vi si incrocia in modo palese la presenza e l'attività di tre religioni monoteistiche. In quella terra si sente in modo particolarmente forte la voce delle preghiere innalzate dai diversi rami del cristianesimo diviso. Lì anche celebrano le loro liturgie, in diversi riti, le Chiese Cattoliche orientali unite al successore di San Pietro, mantenendo le loro secolari tradizioni e peculiarità. Le piattaforme e possibilità per il dialogo sono molte. Però come è difficile avviarlo e condurlo. Come sono gravi le conseguenze del dialogo mancato. Lo testimonia la storia dolorosa, spesso molto sanguinosa di quella terra. Una storia, nella quale si iscrivono le vicende dell’epoca recente, degli ultimi anni, mesi e giorni, legata alle divisioni interne dell’islam, alla strumentalizzazione del fondamentalismo religioso per scopi politici, al terrorismo, al commercio di droga, agli interessi politici ed economici degli stati di diversi continenti.Parlando del dialogo interreligioso il Papa sottolinea che nella prospettiva Medio Orientale esso non è dettato da pragmatiche considerazioni politiche o sociali, bensì è costruito prima di tutto sui fondamenti teologici riferiti alla fede. E’ allora che la fede conforta l'uomo nella convinzione dell’esistenza di Dio, della sua bontà ed amore offerto all'uomo. Perciò la fede, indipendentemente dall'appartenenza religiosa, rende l'uomo capace di aprirsi al bene e alla verità, che chiunque può possedere, anche se crede in modo diverso.In Europa si parla molto del dialogo. Ugualmente si parla molto della libertà in tutti i suoi aspetti. Perché il dialogo è inseparabilmente legato alla libertà. E forse proprio alla luce della nuova Esortazione pontificia gli abitanti dell'Europa per l'ennesima volta dovrebbero interrogarsi sul significato della libertà e del dialogo. In Medio Oriente, dove non soltanto mancano da sempre pace e stabilità, ma per i credenti in Cristo sono a rischio le più elementari condizioni di sopravvivenza, pur tuttavia i cristiani danno prova di un'identità che rimane molto forte, nonostante siano in minoranza e soggetti a persecuzioni e discriminazioni. Grazie alla fede, che non soltanto dà le basi per un dibattito teologico, ma prima di tutto dà la forza di vivere un'esistenza creativa in una comunità multiculturale, il grido dei cristiani per il dialogo e la libertà sembra avere un forte fondamento. In tale clima il Papa chiede il rispetto della libertà religiosa, e la fine della violenza, della discriminazione e dell'odio. Ricordando l’insegnamento del Concilio Vaticano II, scrive che la libertà religiosa è il culmine di tutte le libertà. E’ un diritto santo e inalienabile, da praticare sia a livello individuale che comunitario. Nella religione e nell'espressione del culto, la libertà segue la voce della coscienza, consentendo di scegliere la religione che uno ritiene vera e dando la possibilità di esprimere pubblicamente la propria fede. Deve esistere la possibilità di una libera confessione della propria religione, e l'esposizione dei suoi simboli, senza rischiare la vita e la libertà personale. Forse questo è uno dei pensieri che Benedetto vuole consegnare all’Europa. Perché essa, paradossalmente, nel nome della libertà, della modernità e della correttezza politica, costantemente promuove un certo modello di atteggiamento anticristiano, e con particolare efficacia si allontana dalle radici religiose sulle quali è formata. Forse l’Europa crede che senza fede e quindi senza fondamenti teologici, si possa costruire in questa terra un dialogo duraturo, pace e benessere. Naturalmente possiamo immaginarci questo continente con le chiese trasformate in gallerie d’arte e palestre, senza croci esposte in pubblico, senza valori retrogradi che difendono il matrimonio e famiglia, e tra tutto questo uno sparuto pugno di cristiani che si nascondono dal mondo in qualche moderna catacomba. Sarà allora ancora la terra nella quale l’uomo maturerà nella sua pienezza? Sarà ancora l’Europa?

Leszek Gęsiak SJ, Radio Vaticana

Il Papa in Libano. Il modello proposto da Benedetto non è un sogno, un'utopia: è fatica. Perchè ci sia la pace deve diventare la bella fatica di tutti

Potrebbe sembrare una ricetta a cavallo tra il libro dei desideri e un’utopia impossibile. A ripercorre i discorsi di Benedetto XVI in Libano, in particolare quello alle istituzioni politiche, religiose e culturali libanesi, la pace sembrerebbe una cosa facile. Lì, quasi a portata di mano. Il suo ragionamento non fa una piega, come si usa dire; ma perché, allora, laggiù, in Medio Oriente, appare impossibile. Perché si combatte, si soffre, si muore? Perché? E davvero, come dice il Papa, il “modello libanese”, dove pure una crudele guerra civile mostra ancora le sue tracce recenti, è un qualcosa di esportabile, di attuale, di applicabile nella realtà di un’area in ebollizione come mai prima? Papa Ratzinger ci ha abituato ai suoi “perché” scomodi, alle sue domande stringenti, agli interrogativi che scavano l’anima. Ma considerare le sue risposte come i sogni di un Papa anziano e fuori della realtà, di un prete, in fondo, che fa il suo mestiere di chiamare a una “vita buona”, significa non conoscere la realtà di quella terra per noi così vicina e così lontana, o volerla ignorare. Quella realtà che il Sinodo del 2010, dedicato al Medio Oriente, seppe raccontare tanto e bene, cogliendo aneliti ancora invisibili ai più, e che Benedetto XVI ha fatto suoi e ulteriormente attualizzato in un’Esortazione Apostolica, che ha consegnato ai popoli di una regione tanto tormentata, che davvero si rivolge a tutti. A Ratisbona, nel 2006, in uno dei suoi discorsi più importanti, e sicuramente il più frainteso, il Papa aveva sollecitato il mondo occidentale a un recupero vero, anche razionale e positivamente laico, delle proprie radici cristiane, passaggio indispensabile in questo terzo millennio, soprattutto dopo l’11 settembre, per potersi confrontare con un islam chiamato dalla storia a confrontarsi, a sua volta, con la modernità. Esattamente sei anni dopo, qui a Beirut, è andato oltre. E lo ha fatto, come sempre, rifiutando l’affermazione della dimensione “confessionale”, ma calcando l’accento sulle giustificazioni “naturali” di quel dialogo tra fede e ragione che, nella sua visione, è il momento imprescindibile per la crescita dell’uomo, della società, della convivenza nel suo insieme. Ecco dunque il motivo per cui la libertà religiosa, e la libertà di poterla esprimere in tutti i settori della convivenza senza, per questo, cadere nella teocrazia, è il fondamento di ogni altra libertà umana. Ecco perché difendere la vita, sempre, vuol dire lavorare per la pace. Ecco perché le differenze arricchiscono, e non mortificano. Passa di qui il rifiuto del Papa per ogni "sedicente tolleranza", perché la vera convivenza, la vera pace, si realizza nel confronto maturo tra uomini liberi. Attraverso un dialogo aperto alla ragione, e che non escluda mai lo spirito. L’insistenza nell’indicare il “modello libanese” come riferimento sul cammino, non significa ovviamente che Papa Benedetto pensi che esso sia riversabile nelle altre realtà regionali. Significa sottolineare, e non per un omaggio di maniera, che esso è in grado di dimostrare senza possibilità di equivoco come il dialogo e il confronto paziente, costante, cercato anche nei momenti più drammatici (come in un dopo–guerra civile), sia in grado di innescare un processo virtuoso, capace di dare frutti positivi a una società complessa, senza escludere nessuno e di nessuno a danno. Non è un caso se, celebrando lo scorso ottobre ad Assisi i 25 anni dal primo incontro di preghiera per la pace voluto da Papa Wojtyla, Benedetto XVI volle invitare in quell’occasione non solo i leader religiosi, ma anche i rappresentanti dei non credenti. Perché è con la realtà che il dialogo deve misurarsi. In ogni situazione, in Medio Oriente come altrove. E questo non è un sogno. Non è un’utopia. È fatica. Perché ci sia la pace, deve diventare la bella fatica di tutti. Nessuno può chiamarsene fuori.

Salvatore Mazza, Avvenire

'Ecclesia in Medio Oriente'. I cristiani che arrivano nella regione da Paesi lontani: oggetto dell’attenzione di Dio, meritano rispetto e accoglienza

Se il tema è il Medio Oriente dei cristiani, è logico che la parola migrazioni evochi immediatamente il dramma delle centinaia di migliaia di arabi che a motivo delle discriminazioni patite per la fede in Gesù in questi anni sono stati spinti a cercare un futuro lontano dalla propria terra. Ma questa in realtà è solo una faccia della medaglia. Perché ci sono anche dei cristiani che oggi arrivano in Medio Oriente da Paesi lontani: anche il loro è un numero a tanti zeri. E anche loro oggi si trovano ad affrontare problemi estremamente gravi. A ricordarlo è proprio il Papa nell'Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente", un documento in cui Benedetto XVI ha compiuto una scelta interessante: quella di mettere in comunicazione tra loro i due fenomeni. Forse anche in questo caso non c'era Paese migliore del Libano per mostrare come l'accostamento non sia affatto peregrino. Perché è vero: da Beirut negli ultimi anni tanti giovani cristiani hanno preso la strada dell'Occidente. Ma il Paese dei Cedri è anche una realtà in cui vivono un milione di lavoratori immigrati stranieri: domestiche, camerieri d'alberghi, giardinieri, autisti. E tra loro ci sono anche molti cattolici provenienti dall'Asia o dall'Africa. La stessa cosa, poi, succede in Israele, dove ormai, ad esempio, tra i fedeli di rito latino i filippini, gli indiani o i sudanesi presi tutti insieme sono più numerosi degli arabi. Per non parlare poi dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo Persico, dove questi cristiani venuti da lontano (ma solo temporaneamente e in una condizione molto precaria) sono complessivamente alcuni milioni. "Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà - scrive Benedetto XVI nell'"Ecclesia in Medio Oriente" -. Sono stranieri nel Paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia". E aggiunge subito che "lo straniero è oggetto dell’attenzione di Dio e merita dunque rispetto. La sua accoglienza sarà messa in conto nel Giudizio finale". Sono parole forti rivolte in primo luogo ai governanti. Ma chiamano in causa anche le stesse comunità cristiane. Perché non sempre, al loro interno, i rapporti con i nuovi arrivati sono facili: la situazione più normale, in Medio Oriente, è quella di gruppi che vivono una vita parallela anche nella stessa parrocchia. Al contrario il Papa dice ai fedeli arabi: l'accoglienza dello straniero è anche compito vostro, perché queste persone hanno compiuto "una scelta altrettanto lacerante di quella dei cristiani medio-orientali che emigrano". E non possono, dunque, essere guardati come qualcosa di estraneo rispetto al proprio contesto. Di fatto Benedetto XVI propone il Medio Oriente come un laboratorio di una Chiesa nella quale, per via della globalizzazione, l'universalità non può più essere solo un'idea astratta: "Mi rivolgo all’insieme dei fedeli cattolici della regione - sono le parole conclusive del paragrafo 35 dell'Esortazione Apostolica -, i nativi e i nuovi arrivati, la cui proporzione si è ravvicinata in questi ultimi anni, giacché per Dio non vi è che un solo popolo, e per i credenti, che una sola fede! Cercate di vivere rispettosamente uniti e in comunione fraterna gli uni con gli altri, nell’amore e nella stima reciproci, per testimoniare in maniera credibile la vostra fede nella morte e risurrezione di Cristo". Per il Papa, dunque, si gioca anche sull'atteggiamento verso i "nuovi arrivati" la possibilità che il Medio Oriente volti davvero pagina.

Giorgio Bernardelli, Vatican Insider

Il Papa in Libano. Apprezzamento dei musulmani: presenza cristiana necessaria allo sviluppo della nazione. Colpire una chiesa come colpire una moschea

Il momento più toccante è senz'altro quello dell'incontro coi giovani cristiani e musulmani nella spianata di Bkerké, quando il Papa li ha ringraziati di essere venuti. Ma fin dal suo arrivo in Libano, Benedetto XVI è stato circondato da folle di musulmani, sunniti e sciiti. Proprio fra i musulmani occorre registrare voci sempre più insistenti sull'importanza della convivenza coi cristiani in Medio Oriente, soprattutto quando succede qualche attacco a una chiesa o vengono uccisi dei cristiani. Tutto questo è nuovo ed importante. I messaggi di pace e di augurio per il papa e la Chiesa emersi in questi giorni il Libano hanno un valore ancora più grande, dato il momento di grande tensione e scontro fra oriente e occidente, con l'assalto di sedi diplomatiche e simboli occidentali da parte di gruppi di musulmani fondamentalisti. Fra tutti i messaggi risalta una lettera che il Mufti della Repubblica libanese, Mohammed Rachid Kabbani ha consegnato a Benedetto XVI, nel momento di incontro con i dignitari libanesi al palazzo presidenziale di Baabda. Il capo dei musulmani (sunniti) libanesi esprime il suo più caloroso benvenuto al capo della Chiesa Cattolica e dice pure tutto il suo attaccamento alle libertà pubbliche, soprattutto alla libertà religiosa. Egli afferma anche che "le relazioni privilegiate" fra cristiani e musulmani tessute fra le comunità libanesi "sono il loro messaggio al mondo". Venerdì 14 settembre, al momento dell'arrivo del Papa all'aeroporto di Beirut non era presente il Mufti. Questo ha sparso alcune perplessità e timori. Ma in seguito il Mufti ha spiegato che la sua assenza era dovuta solo al fatto che nello stesso orario egli doveva presiedere l'incontro di preghiera in moschea. Inoltre, nel protocollo, alla presenza del presidente della Repubblica, come era per la cerimonia di benvenuto al Pontefice, il Mufti non può essere sostituito da nessun vice. In tal modo, il suo messaggio consegnato al Papa risulta ancora più significativo. "I musulmani e i cristiani del Libano e di tutti i Paesi arabi - egli dice - formano una sola nazione. Essi sono uguali nei diritti e nei doveri nel caso che una mancanza colpisca gli uni o gli altri, essi lavorano insieme per garantirla. Essi aspirano alla realizzazione dei loro obbiettivi comuni nel rispetto della dignità umana, la salvaguardia delle libertà pubbliche, e soprattutto della libertà religiosa. Noi musulmani consideriamo che ogni aggressione contro un compatriota cristiano è un'aggressione contro tutti i musulmani e ogni aggressione contro una chiesa sia come perpetrare un'aggressione contro una moschea". "Gli sviluppi che stanno influenzando il Medio Oriente - continua - sono portatori di grandi speranze e rischiarano l nostro avvenire comune, di cristiani e musulmani; ma essi sono allo stesso tempo portatori di pericoli che ci minacciano tutti. Ma come abbiamo forgiato un passato comune, così forgeremo un avvenire di vita comune". "Noi sosteniamo l'appello rivolto ai cristiani del Machrek [Medio Oriente] per preservare la loro presenza nel mondo arabo e sosteniamo pure l'Esortazione che è stata indirizzata a loro di ricoprire il loro ruolo nel quadro di un'azione nazionale comune, nella fiducia che questo preserverà l'unità del tessuto sociale di questa parte del mondo". "Noi appoggiamo anche il Vostro appello per l'uguaglianza di tutti i cittadini nei diritti e nei doveri, senza alcuna discriminazione religiosa, confessionale o razziale. Si tratta di un principio nazionale, tendente a garantire a tutti la sicurezza". "Noi rispettiamo le relazioni privilegiate fra i rappresentanti religiosi musulmani e cristiani in Libano, sul piano personale, nazionale e spirituale: queste relazioni sono state sempre delle valvole di sicurezza davanti ai numerosi episodi interni che ci hanno colpito. Queste relazioni sono state mantenute in pratica e sono il messaggio del Libano all'Oriente e al mondo, a cui teniamo molto". Anche Hezbollah e Amal, entrambi sciiti, hanno accolto con calore il pontefice in Libano. Commentando il viaggio di Benedetto XVI, Hussein Hajj Hassan, ministro dell'agricoltura (di Hezbollah), è arrivato a dichiarare: "Il Libano è un porto di dialogo civile e intellettuale non solo fra l'islam e il cristianesimo, ma anche per i musulmani fra di loro e i cristiani fra di loro". A sua volta, Ali Khreiss, deputato del partito di Amal, ha indicato a più riprese che "l'imam Moussa Sadr ha sempre affermato che il Libano e il Medio Oriente non potrebbero sopravvivere senza la coesistenza islamo-cristiana". "L'applicazione dell'Esortazione Apostolica - ha aggiunto - per i musulmani e per i cristiani sarà lo strumento più importante contro il complotto sionista mondiale". Secondo Ali Khreiss, tale complotto tende a sbriciolare la regione in piccoli Stati confessionali.

Fady Noun, AsiaNews