sabato 24 marzo 2012

Il Papa a Cuba. Becciu: la Chiesa è uscita dalle sagrestie dove era stata costretta a vivere, dal governo è riconosciuta nel ministero che svolge

"A Cuba la Chiesa è considerata, ha un gradimento da parte del Governo, è riconosciuta nel lavoro che essa compie nel ministero che essa sta svolgendo. Vi è - anzi - un senso di ammirazione per quello che la Chiesa sta compiendo, e sta compiendo proprio nel silenzio, sta compiendo a contatto con la gente. Non può fare grandi cose, non ha grandi mezzi, però ha la forza del Vangelo". Ex nunzio apostolico a L'Avana, il sostituto della Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu ha commentato così dal Messico l'attesa dell'arrivo del Papa a Cuba. L'arcivescovo Becciu rileva, da parte sua, come dopo l'incontro di Fidel Castro con Giovanni Paolo II nel 1998 siano cadute molte pregiudiziali del regime verso la Chiesa. "Rimangono ancora riserve - dice ai microfoni del Centro Televisivo Vaticano - da parte di di alcuni che vivono di una certa idea dello Stato, di una certa idea della vita che non collima, che non coincide con quella della Chiesa. Per cui, rimangono refrattari, rimangono diffidenti alla proposta della Chiesa. Però per molti altri vi è stato un mutamento di atteggiamento". "Si può dire - prosegue - che è uscita dalle sagrestie dove era stata costretta a vivere, ha sviluppato una maggiore attività catechetica e inoltre le è stata data la possibilità di svolgere la sua attività caritativa. Ed è soprattutto questo che ha fatto grande la Chiesa, che è diventata punto di attrazione per tanti che l'avevano abbandonata o, addirittura, non la conoscevano. Quindi, direi in sintesi, che le relazioni sono di un dialogo sincero, di un dialogo in cui la Chiesa può dire ai governanti quello che pensa, quello che vorrebbe che si realizzasse per il bene dello stesso popolo cubano". Becciu sottolinea in particolare come significativo il fatto stesso che i vescovi siano "chiamati a fare da intermediari". "Inoltre - ricorda - quando ci fu nel 2008 il terribile uragano che tanti danni ha provocato in molte parti del Paese, la Chiesa fu in prima linea nel cercare aiuti all'estero, quindi tramite tutta l'organizzazione caritativa internazionale della Chiesa, per aiutare le popolazioni danneggiate che avevano subito danni incalcolabili nelle abitazioni, oppure nella mancanza di cibo. Fu una collaborazione con il governo, questa, ed il governo apprezzò tanto quest'opera fatta dalla Chiesa". "Ma - afferma il numero due della Segreteria di Stato - questa è la grandezza della Chiesa: che essa si fa forte del Vangelo e si fa forte della sua opera caritativa. Anche se viene privata di mezzi esterni, di scuole, di ospedali, istituzioni, essa continua e cammina proprio illuminata e rafforzata dallo Spirito, dallo Spirito di Dio, dalla forza del Vanelo e dall'attività caritativa. Ed è questo che ha cambiato il cuore di tanta gente e che ha fatto ammirare la Chiesa". Mons. Becciu racconta "un piccolo emblematico episodio" sui rapporti tra Chiesa e Stato a Cuba: "Mi ricordo - racconta l'ex nunzio nell'isola caraibica - che ero appena arrivato in un ricevimento, mi avvicinai a due persone - un signore e una signora che poi mi dissero erano membri dell'Assemblea Popolare - e poi, parlando, mi dissero: 'Lei è il rappresentante del Vaticano? Bene! Noi abbiamo una grande ammirazione per la Chiesa: sa, il parroco della Chiesa dove qualche volta vado, vedo che si dà da fare molto con i poveri, organizza la mensa per i poveri. E ne parlavo con un mio compagno di partito, il quale diceva: 'Non è possibile, non possiamo permetterglielo. Questo è esclusiva del governo o del partito fare queste cose''. E questo signore mi disse: 'Subito gli rinfacciai: 'Ma perché non lo facciamo noi? Se lui lo fa, ne dobbiamo essere contenti, ed anzi dobbiamo rimanere ammirati per l'opera che stanno facendo''. Ecco, un piccolo esempio per dire che alcuni capiscono qual è l'azione vera, l'azione genuina della Chiesa, altri rimangono bloccati in una certa visione della vita e della società".

Agi, TMNews

Mons. Becciu: la Chiesa a Cuba è uscita dalle sacrestie

Lombardi: il Papa in Messico come messaggero di pace e speranza per incoraggiare la gente affinchè creda che può fare qualcosa per cambiare situazione

Il Papa "sapeva che c'era un grandissimo desiderio da parte dei messicani di vederlo e si è visto che questa era proprio la realtà. Ci sono stati sorrisi e soprattutto l'accoglienza - a parte naturalmente quella delle autorità e del presidente - lungo la strada di centinaia di migliaia di persone". Così il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Federico Lombardi. "Questa - ha detto il gesuita a Radio Vaticana - è una cosa caratteristica del Messico. Io ricordo, anche nei viaggi di Giovanni Paolo II, che c'erano queste muraglie umane lungo la strada, di persone sempre festose. Questo ci parla di una partecipazione di popolo molto ampia. Quindi, i cattolici sono numerosi, ma il popolo in sé esprime questo cuore nell'incontro con il Santo Padre. Nell'ultima delle risposte che ha dato sull'aereo, il Papa ha parlato del cuore e ha dato una risposta significativa, proprio perché metteva in rilievo come nella religiosità - una religiosità genuina - ci deve però essere anche lo spazio del cuore, non solo quello della mente. E certamente la dimensione mariana, la dimensione popolare della religiosità messicana - che va custodita, che va sempre purificata - è una religiosità del cuore, e questo lo si vede". "Il Papa sa bene qual è la condizione in cui vive questo popolo", ha detto ancora il portavoce vaticano. "Qui c'è questo aspetto della violenza, del sangue versato ogni giorno da tante persone, per le lotte connesse con il narcotraffico, con il crimine organizzato, che colpisce molto. E sono tante le persone che hanno perso i loro parenti, i loro figli, le persone care. Quindi, è un tema molto sentito. Il Papa naturalmente viene come messaggero di pace e di speranza; vuole incoraggiare, affinché la gente creda che può fare qualcosa, per cambiare realmente la situazione e renderla più degna di una convivenza umana, serena e pacifica". Per il Papa, del resto, il Messico può riscattare se stesso proprio perchè è il terreno ideale per incarnare quella missione continentale per la nuova evangelizzazione, lanciata da lui stesso a Aparecida nel 2007. "Il Messico - elenca infatti il portavoce della Santa Sede - ha alcune caratteristiche: è il Paese più grande di lingua spagnola del continente latino-americano; è il Paese della Madonna di Guadalupe, quello in cui, quindi, fin dall'inizio dell'evangelizzazione cristiana c'è stata una sintesi particolarmente felice e profonda tra la cultura e il sentire delle persone autoctone di questo continente e la fede cristiana". E se in passato "è stato il cuore della prima evangelizzazione cristiana, portando in sè anche questa Madre dell'Evangelizzazione, una Madre che presenta il Figlio a tutto il popolo cristiano", anche oggi "può essere certamente un luogo molto significativo per la nuova evangelizzazione, intesa appunto nella sua ricchezza, come annuncio della fede: sia come annuncio di una fede che opera nella carità e costruisce giustizia, sia come fede, che prende un po' tutta la persona umana e non è solo intellettuale, ma anche del cuore". "L'unico modo in cui si è cristiani - commenta ancora Lombardi - è vivere queste virtù", la fede, la speranza e la carità, "che però hanno non solo una loro intensità teologale, ma anche una loro espressività umana, cioè si esprimono in comportamenti, in azioni, che poi sono capaci di trasformare la vita della persona, ma anche la vita attorno a lei, la vita della società". "In un Paese come il Messico che si vuole laico, ma allo stesso tempo si vuole democratico, la Chiesa guadagna gradualmente gli spazi". Per il Papa, afferma Lombardi, "libertà religiosa significa non solo libertà di culto, ma anche possibilità di iniziativa della Chiesa nell'esprimere la sua missione con opere, con attività che possano anche essere pubbliche, non per prevaricare sugli altri, per imporre agli altri il proprio privilegio, ma per poter servire la comunità e il bene comune in un modo più efficace". In proposito, il portavoce del Papa ricorda che "il Messico viene da una storia di conflitto, anche di tensione, su questo tema: ci sono stati - spiega - momenti di grande oppressione e di martirio per i credenti". "Si è fatto però - riconosce il gesuita - un lungo cammino, una riconciliazione, e Giovanni Paolo II, nei decenni più recenti, ha dato a questo un grande contributo, aiutando quindi a riprendere i rapporti ufficiali tra il Messico e la Santa Sede". Da parte sua, ricostruisce padre Lombardi, "la Chiesa naturalmente ha sempre vissuto in Messico ed è sempre stata numerosa e forte, però ha avuto le sue difficoltà".

TMNews, Agi

Padre Lombardi: il Papa in Messico come messaggero di pace per una società più giusta

Il Papa a Cuba. Vescovi: porterà parole di incoraggiamento, fiducia e riconciliazione. Non escluso incontro con Fidel. 800 giornalisti lo seguiranno

A Cuba Papa Benedetto XVI porterà parole di ''incoraggiamento, fiducia e riconciliazione'' che contribuiranno a costruire il futuro di tutti i cubani e delle loro famiglie. Lo ha anticipato al quotidiano spagnolo Abc il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba, Dionisio Garcia, sottolineando che il Pontefice ''sarà accolto con il calore che caratterizza la nostra gente''. Fidel Castro potrebbe incontrare il Papa. A non escludere la possibilià è il nunzio apostolico, mons. Bruno Musarò. Contattato dall'agenzia Adnkronos, il nunzio dice: "E' possibile che Fidel sia nel palazzo presidenziale quando arriverà il Papa in visita. In tal caso potrebbero anche incontrarsi". Quanto alle ipotesi secondo le quali Fidel avrebbe abbracciato la fede, mons. Musarò evita l'argomento sostenendo che il tema non viene proprio "toccato" a Cuba. Il viaggio apostolico potrebbe sortire una spallata al regime di Fidel? "Bisogna aspettare - dice con cautela mons. Musarò - Il Papa sarà a Cuba come pellegrino della carità, viene a visitare la Chiesa pellegrina a Cuba e a confermare i suoi fratelli cubani nella fede. La Chiesa da tempo si è mobilitata per preparare questo grande evento per il quale tutti i cattolici pregavano". Quasi 800 giornalisti (797 per la precisione) provenienti da 33 Paesi seguiranno Benedetto XVI a Cuba. I dati sono stati forniti in occasione dell'apertura dei due centri-stampa allestiti a Santiago di Cuba e a L'Avana per la copertura dell'evento. All'inaugurazione ha partecipato il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez. "Nonostante gli ostacoli che affronta il nostro Paese per accedere alle novita' e agli avanzamenti tecnici di trasmissione e connessione come conseguenza dell'embargo (statunitense) sono state create le condizioni necessarie", ha detto Gustavo Machin, direttore della sala stampa internazionale. I due centri per la stampa sono stati allestiti in due noti hotel delle due città e offriranno la diretta dal vivo di tutte le attività del Pontefice nell'isola. Il ministero degli Esteri ha anche attivato una pagina web ufficiale benedictocuba.cubaminrex.cu per dare informazioni sull'evento.

Asca, Adnkronos, Il Paese Nuovo.it

Il Papa: il Concilio Vaticano II autentico segno di Dio per il nostro tempo. Interpretato nella tradizione è una grande forza per futuro della Chiesa

"Il Concilio Vaticano II è stato e resta un autentico segno di Dio anche per i nostri tempi". Lo ha sottolineato Papa Benedetto XVI, nel videomessaggio che ha aperto oggi a Lourdes l'incontro nazionale della Chiesa francese per celebrare i 50 anni dall'apertura del Concilio. "Se noi siamo in grado di leggere e interpretare il suo messaggio all'interno della tradizione della Chiesa e nel solco del suo magistero - ha sottolineato in particolare Papa Ratzinger - il Concilio si rivelerà anche ai giorni nostri una grande forza per il futuro della Chiesa" ed "io auspico vivamente che questo anniversario sia per voi e per tutta la Chiesa occasione di rinnovamento spirirtuale e pastorale". Un rinnovamento che "richiede - ha affermato ancora il Pontefice- un'apertura ancora più grande alla persona del Cristo e una riscoperta della parola di Dio per realizzare una conversione profonda dei nostri cuori, per consentirci di andare ancora per le strade di tutto il mondo a proclamare il Vangelo della speranza alle donne e agli uomini dei nostri tempi, in un dialogo che deve essere rispettoso di tutti". Nell'auspicio, ha concluso Benedetto XVI, "che questo tempo di grazia possa anche consolidare comunione all'interno della grande famiglia della Chiesa cattolica e contribuisca alla ritrovata unità fra tutti i Cristiani che è stato uno degli obbiettivi principali del Concilio".

TMNews

Videomessaggio all'Incontro nazionale della Chiesa di Francia per i 50 anni dall'apertura del Concilio Vaticano II [Lourdes, 24-25 marzo 2012] (24 marzo 2012)

Il Papa a Cuba. L’attesa dell’isola 'comunista': un paese non cattolico ma 'cattolicizzabile'. Gli importanti cambiamenti di cui nessuno parla

"A Cuba non c’è libertà religiosa, semmai una certa forma di libertà di culto". Nei corridoi del Vaticano lo dicono un po’ tutti, ma nessuno vuole essere citato. A pochi giorni dalla seconda vista di un Papa nella terra della rivoluzione castrista, si parla più o meno sottovoce del senso di questo viaggio. Benedetto XVI sarà a Cuba dal 26 al 28 marzo dopo i tre giorni in Messico per celebrare il bicentenario dell’Indipendenza dell’America Latina. A Cuba il Papa va a celebrare i 400 anni del ritrovamento dell’immagine veneratissima della Vergine della Carità del Cobre, ma anche a sostenere la Chiesa Cattolica che vive in un difficile equilibrio.Bocche cucite quindi tra i vertici vaticani su Cuba. E non certo per paura, piuttosto per difendere i cattolici dell’isola dei Caraibi che solo da poco hanno smesso di temere di entrare in una chiesa la domenica senza essere “segnalati” ai controllori del Comitato di difesa della Rivoluzione. Eppure di diplomatici che sono passati per Cuba, in Vaticano oggi ce ne sono diversi. Ma tutti sanno che la situazione è talmente delicata che basta un nonnulla per far tornare la situazione dei cattolici indietro di decenni.Negli anni sono stati molti gli “emissari” vaticani in visita a Cuba. A cominciare dal card. Tarcisio Bertone, nell’ottobre 2005, quando era arcivescovo di Genova. Ospite del vescovo e della diocesi di Santa Clara realizzò un intenso viaggio pastorale in diverse località dell’isola. Il card. Joseph Ratzinger era stato appena eletto Papa e così Bertone portò al nuovo Pontefice il primo invito per una visita a Cuba, formulato con grande rispetto e affetto. Fu Fidel Castro che in una lunga conversazione con Bertone definì Benedetto XVI "una buona e grande persona" e "che ha un volto che sembra quello di un angelo". Bertone dichiarò che "a Cuba la Chiesa è considerata con molto rispetto da parte del Governo". Anche il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il card. Renato Raffaele Martino, a Cuba nel febbraio del 2006 per presentare il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, incontra Fidel Castro e torna in Vaticano con un altro invito per il Papa. Invito naturalmente confermato al cardinale Bertone che, questa volta come segretario di Stato di Benedetto XVI, ritornò nel paese in occasione del decimo anniversario del viaggio di Giovanni Paolo II tra il 21 e il 26 febbraio del 2008.Cuba è un’isola. Non è una considerazione da poco in fondo. Perché essere isola significa alla fine essere isolati e un po’ isolazionisti. Questo di certo non aiuta la democrazia. Negli anni Cinquanta Cuba era un paese ricco, e la ricchezza era in mano alla maggioranza della popolazione. Canna da zucchero e agricoltura come prima risorsa. Anche le mucche erano di una razza particolare che dava fino a 12 litri di latte al giorno, le mucche creole. Ora nessuno muore di fame, ma c’è ovunque una grande malnutrizione. Il paradosso della rivoluzione castrista. La democrazia sembra una parola lontana per la gente della grande isola dei Caraibi. Terra di sogno per i turisti occidentali di oggi, terra di grandi speranze al tempo del colonialismo spagnolo, terra senza democrazia praticamente da sempre. E a Cuba l’unica istituzione che ha una credibilità è la Chiesa cattolica. Perché è vicina alla gente. Per questo la visita del Papa è importante. L’intento del governo con questo viaggio del Papa è quello di accendere la luce su Cuba, e quello della Chiesa è simile anche se con fini di fatto opposti. A Cuba se pure c’è una qualche apertura economica, manca il rispetto delle dignità della persona. Il regime castrista, la rivoluzione, è sempre presente. A partire dalle tasse sulle auto fino alla sessualità che è “gestita” da un’agenzia dello Stato, la Cenesex. Per far dimenticare la miseria e la corruzione che ne deriva, il regime cerca di “drogare” l’anima del popolo con una “educazione” sessuale di libertà assoluta e di precocità. Risultato: l’80 per cento delle donne ha abortito almeno una volta e i matrimoni durano in media 18 mesi. La tanto decantata sanità cubana si basa su medici che il governo “vende” ad altri paesi, come il Senegal o il Venezuela. Sono bravi i medici cubani, hanno un ottimo approccio con il paziente. Ma non hanno mezzi e neppure medicine. Allora ti mandano nelle parrocchie cattoliche. Lì arrivano le medicine, gli antibiotici. Eppure a Cuba ci sono mitologiche cliniche per ricchi. Così la scuola. Tutti studiano, molti sono anche preparati, ma alla fine la gente va nelle parrocchie per ripetizioni e lezioni. Di nascosto, perché alla Chiesa non è permesso educare, può solo avere ospizi per anziani e poveri. A Cuba il “nemico” ha un solo nome: Usa. L’annosa questione dell’embargo, del bloqueo, sembra ormai assestata su un traffico preciso. Cuba importa la maggior parte dei beni alimentari dagli States. Ma di nascosto e con pagamento anticipato in contanti. Nell’isola non si produce quasi più nulla. Le vecchie aziende dello zucchero sono in disarmo, e così tutta l’agricoltura. Del resto a Cuba l’embargo obbliga a stranezze. Il partito comunista stampa il suo giornale ufficiale su carta statunitense. Cuba vive di turismo, un po’ delle miniere di nichel e di rimesse dai cubani in esilio. Nel 1902, l’anno dell’indipendenza dalla Spagna, a Cuba il 60 per cento della popolazione era nera o creola. Nel 1958, al contrario, il 60 per cento erano bianchi, spagnoli. Sono loro che sono emigrati in questi anni e a Cuba sono rimasti i neri e i creoli che non hanno nessuna rimessa dall’estero. A Cuba la Chiesa non è mai stata perseguitata con vera violenza. Fidel Castro ha studiato dai gesuiti e ha mantenuto una sua personalissima forma di rispetto per la cultura cattolica. Ma c’è stata opposizione per qualunque cosa. E poi la prigione e i campi di rieducazione per i preti. Come quello dove è stato per un anno il card. Ortega y Alamino, arcivescovo de L’Avana che ha già ricevuto Giovanni Paolo II. Alcuni lo giudicano troppo indulgente con il regime. Ma del resto una Chiesa aperta è sempre meglio di una chiusa, dicono altri. Dopo il viaggio di Wojtyla sulla gente che va in chiesa c’è meno controllo, anche se i battezzati sono solo la metà della popolazione, e solo il 2 per cento frequenta. Invece la processione che ha portato in tutta l’isola l’immagine della Madonna del Cobre è stata vivacissima in tutta la nazione, con gente di tutti i tipi, anche un po’ per superstizione. Addirittura in alcuni paesi, in processione si sono visti i massoni con tutti i loro simboli. "Cuba non è un paese cattolico ma 'cattolicizzabile'", si dice. Il ruolo principale della Chiesa oggi è la carità. Dal 1958 non c’è il permesso di costruire nuove chiese cattoliche, e la riapertura del seminario a L’Avana, ad alcuni è sembrata più un’operazione pubblicitaria di Raul Castro che negli anni Sessanta lo sequestrò in nome della rivoluzione. A Natale il card. Ortega y Alamino pronuncia il suo discorso in tv, è vero, ma sul canale educativo che si riceve praticamente solo nella capitale. Insomma la strada per un vero cambiamento è lunga. E la Chiesa Cattolica cerca dei piccoli spiragli pur tra mille difficoltà. Come quando ha partecipato alla trattativa per l’uscita di prigione di 75 dissidenti un paio di anni fa. Qualcuno temeva che fosse un modo di farsi strumentalizzare, ma era anche un modo per poter far puntare i riflettori su Cuba, sulla drammatica mancanza di rispetto dei diritti umani in un paese isolato a pochi chilometri dalla costa degli Stati Uniti dove frotte di turisti vanno senza rendersi spesso conto che con quello che spendono per una cena una famiglia cubana deve vivere per un mese.Una fatica anche per la Chiesa, per i tanti religiosi e religiose che sono vicini alla gente e per quelli che vivono sul filo del rasoio con la psicosi di essere continuamente spiati e controllati. "Hay que resolver", dicono a Cuba e pragmaticamente cercano ogni mezzo per sopravvivere, con un po’ di indolenza caraibica e con la speranza che qualcuno si accorga di loro. La Chiesa fa quello che può, ma ci sono anche tanti sacerdoti che dopo un po’ si scoraggiano e chiedono di andar via, magari a Miami con la comunità di esuli cubani. E così a Cuba restano soprattutto neri e creoli avvolti dalla nuvola della Revolucion e condizionati dai riti magici dei culti di antica importazione africana. Non è raro trovare chi si guadagna la vita allevando galli da sacrificare per qualche rito della Santeria. La Chiesa affronta questa situazione basandosi su quello che è rimasto della cultura cattolica. E lo fa con coraggio e abnegazione, potendo lavorare solo nelle parrocchie. Niente scuole, niente università, niente accesso al mondo culturale insomma. I cattolici cubani da questa visita si aspettano anche l’annuncio della Beatificazione del servo di Dio padre Felix Varela. Rodolfo Meroli, postulatore della causa, conferma che la Congregazione per le Causa dei Santi ha approvato il decreto che ne dichiara le virtù eroiche. Giovanni Paolo II nel suo viaggio disse che "la fiaccola che, accesa da padre Varela, doveva illuminare la storia del popolo cubano fu raccolta, poco dopo la sua morte, da quella personalità eminente della nazione che fu José Martí". Un discorso tenuto all’Università in cui il Papa ricordava la venerazione dei cubani per padre Varela e José Martí. "Sono convinto – disse – che questo popolo ha ereditato le virtù umane di matrice cristiana di ambedue questi uomini, dato che tutti i cubani condividono in modo solidale la loro impronta culturale". Intanto la diplomazia vaticana è molto cauta. Il nunzio mons. Bruno Musarò, arrivato da poco a dare il cambio a Giovanni Angelo Becciu, diventato il numero due della segreteria di Stato vaticana, rilascia solo poche interviste ufficiali. In una dichiarazione al SIR, l’agenzia dei vescovi italiani, parla dei cambiamenti dopo il viaggio di Papa Wojtyla: "Tutti ricordiamo ancora le parole profetiche di Giovanni Paolo II: 'Che Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba!'. Proprio da quell’esortazione, pronunciata davanti a migliaia di cubani e a milioni di telespettatori, scaturisce gran parte dei cambiamenti che stanno caratterizzando la vita della nazione, incominciando dal dialogo tra Chiesa e governo. L’ultimo riguarda il campo economico con un insieme di riforme.Ma i cambiamenti più importanti sono quelli di cui nessuno parla e che si realizzano nel cuore e nella mente di coloro che hanno accolto il messaggio di Giovanni Paolo II. In sostanza si tratta della speranza nel futuro dell’isola, della gioia di sapersi amati e rispettati, intraprendendo così un cammino di riconciliazione e d’impegno per il bene comune. I prigionieri, i malati, le persone sole o abbandonate hanno trovato una ragione per andare avanti, superando con fiducia e coraggio tutti gli ostacoli. Questo è il vero cambiamento: la libertà interiore, il desiderio di crescere nell’amore vero, quello che solo il Signore Gesù ci può dare". Il cuore dei cubani è aperto a fede, cultura e musica. Cuba è un’isola piena di contraddizioni, ma dove c’è tanta voglia di vivere e di creare, di esprimersi. Anche per la fede. Ma la diplomazia deve mantenere il suo equilibrio. Come fa l’ambasciatore cubano presso la Santa Sede. Eduardo Delgado ricorda sempre che i rapporti diplomatici tra Cuba e Vaticano da 76 anni non sono mai stati interrotti. E Cuba è grata per la posizione della Santa Sede, ovviamente contraria all’embargo. Del resto la Chiesa si è sempre opposta a ogni azione le cui conseguenze ricadano sulla popolazione. "Il popolo cubano – dice l’ambasciatore – a mio avviso aspetta innanzitutto di vedere il Papa: desidera stargli vicino, ascoltarlo, ricevere il suo messaggio. La sua parola influisce positivamente sulle persone e sullo sviluppo della società". Insomma, Cuba è un paese difficile per tutti, a tinte forti, descritto in modi quasi opposti da chi pensa che la Chiesa dovrebbe prendere posizioni forti contro il regime e da chi invece pensa che il Vangelo passa per vie imprevedibili e che è meglio non rischiare l’espulsione, come è successo in passato a preti e suore. Nessun compromesso col regime ovviamente, ma una sorta di Ostpolitik caraibica che punta sulla vicinanza alla gente attraverso la carità e la disponibilità. Anche per questo la visita di Benedetto XVI è importante. Perché un padre non lascia mai soli i suoi figli. E qualcuno sogna addirittura una GMG a L’Avana.

Angela Ambrogetti, Tempi.it

Festante e coloratissima accoglienza per Benedetto XVI a Leon. 600-700 mila le persone lungo il tragitto. Lombardi: è rimasto molto impressionato

L'accoglienza riservata dalla gente di Leon a Benedetto XVI al suo arrivo in Messico formula auspici addirittura insperati per questo viaggio del Pontefice in America Latina. Una folla-record, veramente delle grandi occasioni, ha accolto il Papa fin dalla festosa e animatissima cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Leon-Guanajuato, e poi lungo tutti i 34 chilometri di strada percorsi in ''papamobile'' fino alla città di Leon e al Colegio Santísima Virgen de Miraflores di León, un complesso scolastico gestito dalle Suore Serve della Santissima Eucaristia e della Madre di Dio, che ospita il Santo Padre durante il Viaggio Apostolico. Secondo dati ''semi-ufficiali'', il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un briefing con i giornalisti ha parlato di ''600-700 mila persone''. Chiassoso e coloratissimo il panorama della gente che non ha voluto mancare al passaggio di 'Benedicto', acclamandolo con grida di saluto, sventolando bandierine bianche e gialle, agitando palloncini degli stessi colori. Moltissimi i giovani presenti. Numerosissimi anche i manifesti stradali con la foto del Papa: tra gli slogan, ''Mexico siempre fidel''.
All'ingresso nella città di Leon, molte le persone che erano salite sui tetti, sui cartelloni pubblicitari, persino sugli alberi. Mentre all'aeroporto non era mancata neanche la musica 'mariachi' e tutta la cerimonia era stata scandita dagli slogan in omaggio a Benedetto. ''Il Papa ha gradito molto l'accoglienza - ha detto Lombardi -, è rimasto molto impressionato''. Il portavoce vaticano ha parlato anche di un Papa ''in buona salute, in una condizione fantastica''. Sempre all'aeroporto, tra l'altro, Benedetto XVI ha avuto un primo colloquio col presidente federale Felipe Calderon. Un incontro ''molto cordiale'', lo ha definito Lombardi, in cui ''c'è stato un ricordo di Giovanni Paolo II, venuto cinque volte in Messico, si è parlato del gradimento del Papa per l'accoglienza e sono stati toccati alcuni dei principali problemi sociali oggi esistenti nel Paese''. La visita di cortesia al presidente Calderon nella Casa del Conde Rul di Guanajuato, prevista alle 18.00 locali di oggi (l'una di notte in Italia), sarà l'unico appuntamento della seconda giornata del Papa in Messico, seguito da un saluto ai bambini sulla antistante Plaza de la Paz.

Fausto Gasparroni, Ansa

All'aeroporto di Leon Benedetto XVI si china e abbraccia uno a uno i ragazzi e i malati che lo salutano, un gesto rilanciato dalle tv messicane

Benedetto XVI ha conquistato il Messico con un gesto spontaneo che gli è venuto dal cuore e che le tv messicane hanno mostrato nei loro notiziari. Al termine della cerimonia di accoglienza, lungo i corridoi del tragitto compiuto dal podio a una saletta dell'aeroporto, ha trovato ad attenderlo alcuni ragazzi handicappati e lui si è chinato sulla loro sofferenza, per abbracciarli uno ad uno. E baciare i loro volti, anche quello di un bambino sfigurato da un incidente, fermandosi con ciascuno per il tempo necessario a dire una parola di consolazione e di incoraggiamento.

Agi

Calderon al Papa: accoglierla ci riempie di gioia in un momento di grande sofferenza. Incoraggerà lo sforzo dei messicani e conforterà il loro animo

"La sua presenza fra noi, Santità, acquista un significano enorme in un momento infausto in cui la nostra Patria attraversa situazioni difficili e decisive". Lo ha detto il presidente del Messico, Felipe Calderon Hinojosa, durante la cerimonia di benvenuto a Benedetto XVI, all’aeroporto internazionale di Guanajuato. "Sono molte le sfide - ha detto il presidente - che noi messicani abbiamo dovuto affrontare negli ultimi tempi. L’accoglie, Santità, un popolo che ha sofferto molto per diversi motivi, e che, ciononostante, compie ogni giorno sforzi enormi per portare il cibo sulla mensa della propria casa, per educare i figli, per mandare avanti la famiglia". Il capo dello Stato ha fatto riferimento ai problemi che hanno afflitto il Paese negli ultimi anni, in particolare gli effetti della crisi economica internazionale, la violenza del crimine organizzato, le carestie, le inondazioni, le epidemie e i terremoti. "Non so se queste sfide - ha aggiunto - sarebbero state capaci di frantumare la volontà e la fermezza di altri popoli, ma, nonostante tutto, il Messico e ancora in piedi. E in piedi perchè noi messicani siamo un popolo forte. E in piedi perchè noi messicani siamo un popolo forte, perseverante nella speranza, nella solidarieta. Perchè siamo un popolo che ha valori e principi, che crede nella famiglia, nella libertà, nella giustizia, nella democrazia e nell’amore per gli altri. Crede in valori che sono solidi come la roccia. E per questo la sua visita ci riempie di gioia in un momento di grande sofferenza". Un riferimento, poi, agli sforzi compiuti per il bene comune. "Lavoriamo con impegno e dedizione - ha detto - per costruire un futuro migliore per le nostre famiglie, affinchè i nostri figli possano essere felici e diventare uomini e donne di bene e di pace. Lottiamo ogni giorno per offrire alle nostre famiglie condizioni di sicurezza e di vita degna e pacifica che permettano loro di svilupparsi pienamente. Ci sforziamo responsabilmente di superare i problemi, come la povertà e la disuguaglianza, e per creare migliori opportunità di educazione e di salute per tutti. So che la sua visita, Santità, incoraggerà lo sforzo dei messicani e conforterà il loro animo". Il presidente ha anche sottolineato l’importanza del viaggio del Pontefice per tutta la nazione. Una visita che, ha messo in evidenza, "è un gesto di solidarietà e di fraternità verso il nostro popolo, che non dimenticheremo mai. Sappiamo che lei è un uomo dal pensiero solido, saldo nelle sue idee, nei suoi valori e nelle sue credenze, che una buona parte del popolo messicano condivide. So anche che le sue saranno parole di consolazione e d’ispirazione per quanti ne hanno bisogno, e che rinnoveranno la speranza di milioni di famiglie messicane". Il presidente Calderon ha anche sottolineato come il Messico sia molto onorato di essere la prima nazione di lingua spagnola nel continente americano a essere visitata da Benedetto XVI. "Nel nostro Paese - ha detto - vivono più di 93 milioni di cattolici, oltre a quelli, la cui mancanza sentiamo profondamente, che numerosi, sono andati negli Stati Uniti alla ricerca di un futuro migliore per le loro famiglie. Siamo il secondo Paese del mondo per numero di cattolici. Accanto alle esperienze strazianti, in Messico è rimasta l’indelebile impronta dei pastori che sono venuti nella nostra terra e hanno infuso nel popolo il più alto senso dell’amore verso il prossimo, e in particolare verso gli indigeni". Ha poi ricordato alcune figure di spicco che hanno arricchito il Paese, tra le quali, fra Bartolomeo de las Casas, il vescovo Vasco de Quiroga, Tata Vasco, come i purepecha lo chiamavano affettuosamente, fra Jacobo Daciano. Infine, il presidente ha evidenziato che la presenza del Papa "costituisce una pietra miliare molto importante, perchè riflette una nuova epoca nei vincoli che uniscono il Messico allo Stato del Vaticano. Lei visita un Paese - ha concluso - che sta avanzando verso il consolidamento della democrazia, nel pieno rispetto della libertà, della libertà di culto, della pluralità politica, della pluralità religiosa, della pluralità ideologica, il che è possibile in uno Stato laico come il nostro".

L'Osservatore Romano

Il Papa: vivere la speranza in Dio come convinzione profonda, trasformandola in atteggiamento del cuore e impegno di camminare verso un mondo migliore

E’ iniziato, in un clima di gioia e di affetto, il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Messico. Il Papa è arrivato intorno alle 16.30 ora locale, in Italia le 23.30, all’aeroporto internazionale di León-Guanajuato, accolto dal presidente federale Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, con la consorte, e dall’arcivescovo di León, mons. José Guadalupe Martín Rábago. Con il nunzio apostolico mons. Christophe Pierre, erano presenti alcune Autorità politiche e civili, il Corpo Diplomatico, alcuni vescovi del Messico, una rappresentanza di fedeli e gruppi musicali caratteristici detti "mariachi". Un breve inchino e un saluto a mani giunte e poi la discesa senza nessun impaccio dalla scaletta dell'aereo, ai cui piedi era atteso dal presidente Calderon: questi i promi gesti del Pontefice, sorridente e in buona forma dopo 14 ore di volo. Nel corso della cerimonia di benvenuto, dopo il saluto del presidente federale, il Papa ha pronunciato il suo discorso. “Sono molto felice di essere qui, e rendo grazie a Dio per avermi concesso di realizzare il desiderio, presente nel mio cuore da molto tempo, di poter confermare nella fede il Popolo di Dio di questa grande nazione nella sua propria terra”. “È proverbiale – ha aggiunto - il fervore del popolo messicano verso il Successore di Pietro, che lo ha sempre molto presente nella sua preghiera. Lo dico in questo luogo, considerato il centro geografico del suo territorio, nel quale desiderò venire, sin dal suo primo viaggio, il mio venerato predecessore, il Beato Giovanni Paolo II. Non potendolo fare, lasciò in quella occasione un messaggio di incoraggiamento e benedizione quando sorvolava il suo spazio aereo”. “Con questa breve visita – ha affermato il Papa -, desidero stringere la mano di tutti i messicani e raggiungere le nazioni e i popoli latinoamericani, ben rappresentati qui da tanti vescovi, proprio in questo luogo nel quale il maestoso monumento a Cristo Re, nel ‘Cerro del Cubilete’, manifesta il radicamento della fede cattolica tra i messicani, che si mettono sotto la sua costante benedizione in tutte le loro vicissitudini”. Inoltre, “il Messico, e la maggior parte delle popolazioni latinoamericane, hanno commemorato il bicentenario della propria indipendenza, o lo stanno facendo in questi anni. Molte sono state le celebrazioni religiose per rendere grazie a Dio di questo momento così importante e significativo”. In esse "si è invocata con fervore Maria Santissima, che fece vedere con dolcezza come il Signore ama tutti e si consegnò per tutti, senza distinzioni. La Nostra Madre del cielo ha continuato a vegliare sulla fede dei suoi figli anche nella formazione di queste nazioni, e continua a farlo oggi dinanzi alle nuove sfide che si presentano loro". “Giungo come pellegrino della fede, della speranza e della carità – ha spiegato il Pontefice -. Desidero confermare nella fede i credenti in Cristo, consolidarli in essa e incoraggiarli a rivitalizzarla con l’ascolto della Parola di Dio, i sacramenti e la coerenza di vita. Così potranno condividerla con gli altri, come missionari tra i propri fratelli, ed essere fermento nella società, contribuendo a una convivenza rispettosa e pacifica, basata sulla incomparabile dignità di ogni persona umana, creata da Dio, e che nessun potere ha il diritto di dimenticare o disprezzare. Questa dignità si manifesta in modo eminente nel diritto fondamentale alla libertà religiosa, nel suo genuino significato e nella sua piena integrità”. Richiamando le parole di San Paolo, il Santo Padre, “come pellegrino della speranza”, ha sostenuto che “la fede in Dio offre la certezza di incontrarlo, di ricevere la sua grazia, e su questo si basa la speranza di chi crede. Sapendo ciò, il credente si sforza di trasformare anche le strutture e gli avvenimenti presenti poco piacevoli, che sembrano immutabili e insuperabili, aiutando chi nella vita non trova né senso, né avvenire”. “Sì – ha ribadito -, la speranza cambia l’esistenza concreta di ogni uomo e di ogni donna in maniera reale”. Inoltre, “quando si radica in un popolo, quando viene condivisa, essa si diffonde come la luce che disperde le tenebre che offuscano e attanagliano”. “Questo Paese, questo Continente – ha affermato Benedetto XVI -, sono chiamati a vivere la speranza in Dio come una convinzione profonda, trasformandola in un atteggiamento del cuore e in un impegno concreto di camminare uniti verso un mondo migliore”. “Insieme alla fede e alla speranza – ha ricordato il Papa -, il credente in Cristo, e la Chiesa nel suo insieme, vivono e praticano la carità come elemento essenziale della loro missione”. Nella sua accezione primaria, la carità “è anzitutto e semplicemente la risposta a una necessità immediata in una determinata situazione”, come è “soccorrere coloro che patiscono la fame, sono privi di dimora, sono infermi o bisognosi in qualche aspetto della loro esistenza”. “Nessuno – ha sottolineato - rimane escluso per la sua origine o le sue convinzioni da questa missione della Chiesa, che non entra in competizione con altre iniziative private o pubbliche, anzi, essa collabora volentieri con coloro che perseguono questi stessi fini. Tantomeno pretende altra cosa che non sia fare del bene, in maniera disinteressata e rispettosa, al bisognoso, a chi, molte volte, manca più di tutto proprio di una prova di amore autentico”. “In questi giorni – ha dichiarato il Pontefice - chiederò vivamente al Signore e alla Vergine di Guadalupe che questo popolo faccia onore alla fede ricevuta e alle sue migliori tradizioni; e pregherò specialmente per coloro che più ne hanno bisogno, particolarmente quanti soffrono a causa di antiche e nuove rivalità, risentimenti e forme di violenza”. “Già so – ha continuato - che mi trovo in un Paese orgoglioso della sua ospitalità e desideroso che nessuno si senta estraneo nella sua terra. Lo so, già lo sapevo, però ora lo vedo e lo sento in modo molto profondo nel cuore. Spero con tutta la mia anima che lo sentano anche tanti messicani che vivono fuori della propria patria natìa, ma che mai la dimenticano e desiderano vederla crescere nella concordia e in un autentico sviluppo integrale”.

Agi, SIR

VIAGGIO APOSTOLICO IN MESSICO E NELLA REPUBBLICA DI CUBA (23 - 29 MARZO 2012) (II) - il testo integrale del discorso del Papa