lunedì 24 ottobre 2011

Assisi, capitale mondiale della pace, è in pieno fermento in vista della Giornata di dialogo, riflessione e preghiera. I numeri dell'organizzazione

La macchina organizzativa e l'intera città di Assisi è in pieno fermento per la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo che si terrà giovedì nella città di San Francesco. Assisi si sta preparando a questo importantissimo evento, che riconferma la città del poverello "capitale mondiale della pace", con veglie di preghiera e funzioni religiose. Tantissimi sono i pellegrini e i giornalisti attesi ad Assisi per l'arrivo del Papa. Per l'occasione sono stati allestiti 2 centri accoglienza, 5 sale stampa per i giornalisti e 10 megaschermi posizionati sulla piazza della Basilica Superiore ed Inferiore di San Francesco (foto), nella Porziuncola e nella piazza di Santa Maria degli Angeli. Saranno circa 300 gli esponenti delle varie fedi mondiali che si uniranno al Papa nella città di San Francesco, raggiungendola insieme a lui in treno da Roma. Rispetto ai precedenti incontri di Assisi (dopo quello del 1986 ci furono quelli del 1993 in piena crisi dei Balcani e del 2002, dopo l'attentato al World Trade center) c'é un aumento dei delegati musulmani e per la prima volta parteciperanno anche personalità 'non credenti': tra i delegati ci saranno gli intellettuali Julia Kristeva, Remo Bodei, Guillermo Hurtado e Walter Baier. ''Un pellegrinaggio ad Assisi, città amata e visitata da uomini di ogni cultura e religione - ha sottolineato il custode del Sacro convento di Assisi, padre Giuseppe Piemontese - trova il suo senso più vero, in quanto é il luogo in cui é vissuto e ha proposto instancabilmente il messaggio di pace e di bene San Francesco, il fratello universale, che nel suo essere pienamente uomo di Dio e immagine di Gesù Cristo crocifisso, ha rispettato, amato e servito ogni uomo come fratello e sorella e ogni essere creato''.

San Francesco Patrono d'Italia.it

La presentazione della Nota di Giustizia e Pace. Mons. Toso: proposte in linea con quelle degli 'indignados', ma più che altro con il Magistero

Questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, è stata presentata la Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace "Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale". Sono intervenuti il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, mons. Mario Toso, segretario del medesimo Pontificio Consiglio e Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica all'Università di Roma "Tor Vergata". Un’autorità politica mondiale che governi la finanza e l’economia, “con potestà di decidere con metodo democratico e sanzionare sulla base del diritto”, per rispondere alla grave crisi economica internazionale. “L’autorità dovrà avere il fine specifico del bene comune – ha precisato il card. Turkson - e dovrà lavorare ed essere strutturata non come ulteriore leva di potestà dei più forti sui più deboli. In questo senso, essa dovrà svolgere quel ruolo super partes che, attraverso il primato del diritto della persona, favorisca lo sviluppo integrale dell’intera comunità umana, intesa come ‘comunità delle nazioni’”. Il cardinale ha precisato che la nota è un contributo “per il discernimento” che “può essere utile per le deliberazioni del G20” che si svolgerà nel mese di novembre a Cannes, in Francia. “Sì dà il caso che le nostre proposte appaiono in linea con quelle degli ‘indignados’, ma più che altro sono in linea con il precedente Magistero”: così mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, ha risposto alle domande dei giornalisti. “Questo non significa – ha precisato – che le proposte degli ‘indignados’ non abbiano una loro razionalità o che non vadano sostenute. Il problema è se si propone questo gridando oppure in un’altra maniera. Noi scegliamo la strada del ragionamento pacato”. Nel suo intervento mons. Toso ha auspicato “un netto salto di qualità rispetto alle istituzioni e ai fora informali esistenti”: “Occorre innovare rispetto ad esse, all’Onu, alle fallimentari istituzioni di Bretton woods, al G8 o al G20”. Anche il G20, ha puntualizzato, “è una soluzione ancora insoddisfacente ed inadeguata”, perché “non è parte dell’Onu ed è sempre un forum informale e limitato, che mostra di perdere efficacia più viene ampliato”: “Allo stato attuale delle cose, il G20 manca di legittimazione e di un mandato politico da parte della comunità internazionale”. Va quindi superato – come illustrato nella nota - con l’istituzione di “un’autorità pubblica a competenza universale, con riferimento all’ambito economico e finanziario”.

SIR

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA NOTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE "PER UNA RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO INTERNAZIONALE NELLA PROSPETTIVA DI UN’AUTORITÀ PUBBLICA A COMPETENZA UNIVERSALE"

Nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica mondiale

E' stata pubblicata la Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace "Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale". “La costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune” è “l’unico orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo”. La nota del dicastero vaticano che vuole offrire “un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà” di fronte all’attuale crisi economica e finanziaria mondiale che “ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala”. Il documento sottolinea che “è in gioco il bene comune dell’umanità e il futuro stesso”: oltre un miliardo di persone vivono con poco più di un dollaro al giorno, sono “aumentate enormemente le disuguaglianze” nel mondo, “generando tensioni e imponenti movimenti migratori”. “Nessuno, in coscienza – sottolinea il testo - può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri”, “nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come ‘un lupo per l’altro uomo’, come diceva Hobbes: “se non si pone un rimedio” alle ingiustizie che affliggono il mondo, “gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide”. Si analizzano le cause della crisi, riscontrate “anzitutto” in “un liberismo economico senza regole e senza controlli”. I pericoli del liberismo erano già stati “lucidamente e profeticamente denunciati da Paolo VI” con l’Enciclica "Populorum progressio", del 1967; e “dopo il fallimento del collettivismo marxista”, Giovanni Paolo II aveva già messo in guardia dal rischio di “un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci”. La nota denuncia “l’esistenza di mercati monetari e finanziari a carattere prevalentemente speculativo, dannosi per l’economia reale, specie dei Paesi più deboli”. Parla di “un’economia mondiale sempre più dominata dall’utilitarismo e dal materialismo”, caratterizzata da un’espansione eccessiva del credito e da bolle speculative, che hanno generato “crisi di solvibilità e di fiducia”; un fenomeno culminato nel 2008 nel “fallimento di un importante istituto finanziario internazionale” negli Stati Uniti – deciso proprio in seguito ad “un orientamento di stampo liberista, reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati”, con conseguenze nefaste su miliardi di persone. La crisi – rileva la nota – è causata anche da altre ideologie che hanno “un effetto devastante”: anzitutto l’utilitarismo e l’individualismo, secondo le quali “l’utile personale conduce al bene della comunità”. Ma non sempre è così. Infatti, nonostante i progressi dell’economia mondiale, “non è aumentata l’equa distribuzione della ricchezza”, anzi, in “in molti casi è peggiorata”: per questo è necessaria la solidarietà. Benedetto XVI denuncia anche “una nuova ideologia, l’ideologia della tecnocrazia”, ossia “di quell’assolutizzazione della tecnica che 'tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia' ed a minimizzare il valore delle scelte dell’individuo umano concreto che opera nel sistema economico-finanziario, riducendole a mere variabili tecniche” con la conseguenza di impoverire “sempre più, sul piano materiale e morale, le principali vittime della crisi”. La radice di una crisi, come afferma Benedetto XVI, “non è solamente di natura economica e finanziaria, ma prima di tutto di natura morale”. L’economia “ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento”. “Occorre recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza”. E’ necessario colmare il divario tra “formazione etica e preparazione tecnica” evidenziando la sinergia tra “praxis” (agire morale) e “poièsis” (agire tecnico e produttivo). In questa prospettiva sono ipotizzabili: “misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque”, anche per “contribuire alla costituzione di una riserva mondiale, per sostenere le economie dei Paesi colpiti dalle crisi, nonché il risanamento del loro sistema monetario e finanziario”; “forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti 'virtuosi' e finalizzati a sviluppare l’economia reale”; la “definizione dell’ambito dell’attività di credito ordinario e di Investment Banking. Tale distinzione consentirebbe una disciplina più efficace dei 'mercati-ombra' privi di controlli e di limiti”. La nota ipotizza “la riforma del sistema monetario internazionale” per dare vita “a qualche forma di controllo monetario globale” riscoprendo “la logica di fondo, di pace, coordinamento e prosperità comune che portarono agli Accordi di Bretton Woods” nel 1944, sulla regolamentazione della politica monetaria internazionale, sospesi nel 1971. Accordi che portarono all’istituzione del Fondo monetario internazionale che oggi ha perso la sua capacità di garantire la stabilità della finanza mondiale. Si tratta di mettere “in discussione i sistemi dei cambi esistenti, per trovare modi efficaci di coordinamento e supervisione” in “un processo che deve coinvolgere anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo”. E’ necessario “un corpus minimo condiviso di regole” per gestire il “mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell’economia reale” grazie all’”abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali” e alla “deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie”. “Sullo sfondo si delinea, in prospettiva, l’esigenza di un organismo che svolga le funzioni di una sorta di 'Banca centrale mondiale' che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua delle Banche centrali nazionali”. Già Papa Roncalli nella "Pacem in terris", del 1963, avvertendo che “il mondo si stava avviando verso una sempre maggiore unificazione...auspicava la creazione, un giorno, di 'un’Autorità pubblica mondiale'”. Su questa scia, anche Benedetto XVI, sottolineando che la crisi “ci obbliga...a darci nuove regole”, “ha espresso la necessità di costituire un’Autorità politica mondiale” di fronte alla “crescente interdipendenza” tra gli Stati. “Tale Autorità sovranazionale deve...essere messa in atto con gradualità, con l’obiettivo di favorire...mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro giuridico”. “Si tratta di un’Autorità dall’orizzonte planetario, che non può essere imposta con la forza, ma dovrebbe essere espressione di un accordo libero e condiviso” e “dovrebbe sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà”, coinvolgendo “coerentemente tutti i popoli”, nel pieno rispetto delle loro diversità. “L’esercizio di una simile Autorità, posta al servizio del bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamente super partes”. I Governi non dovranno “servire incondizionatamente l’Autorità mondiale. È piuttosto quest’ultima che deve mettersi al servizio dei vari Paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà”, offrendo il suo “sussidio” nel rispetto della libertà e delle responsabilità di persone e comunità: si evita così “il pericolo dell’isolamento burocratico” dell’Autorità, creando le condizioni indispensabili “all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche” e promuovendo, attraverso l’adozione di “politiche e scelte vincolanti”, “un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale”. La nota indica l’Onu come punto di riferimento di questo processo di riforma: “Un lungo cammino – si legge nel testo - resta però ancora da percorrere prima di arrivare alla costituzione di una tale Autorità pubblica a competenza universale”. Obiettivo che, tra l’altro, non può essere raggiunto “senza la previa pratica del multilateralismo”. Positivo, in questo senso, è il passaggio dal G7 al G20, con un coinvolgimento di più Paesi nei processi decisionali mondiali. Oggi esistono le condizioni “per il definitivo superamento di un ordine internazionale 'westphaliano', nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle rispettive sovranità per il bene comune dei popoli” (la pace di Westfalia del 1648, seguita alla Guerra dei 30 anni, segna convenzionalmente la nascita degli Stati moderni). “È compito delle generazioni presenti riconoscere e accettare consapevolmente questa nuova dinamica mondiale verso la realizzazione di un bene comune universale. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali”. Oggi “appare surreale e anacronistico” che uno stato possa ritenere “di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini”. “La globalizzazione sta unificando maggiormente i popoli, sollecitandoli a muoversi verso un nuovo 'stato di diritto' a livello sopranazionale”, verso “un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa delle identità di ciascun popolo, entro la molteplice ricchezza di un’unica umanità”. Si tratta di “costruire soprattutto un futuro di senso per le generazioni a venire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anche se possono destabilizzare equilibri di forze preesistenti che dominano sui più deboli”. Paolo VI ha sottolineato la forza rivoluzionaria dell’"immaginazione prospettica", capace di percepire nel presente le possibilità in esso inscritte, e di orientare gli uomini verso un futuro nuovo. Liberando l’immaginazione, l’uomo libera la sua esistenza. Mediante un impegno di immaginazione comunitaria è possibile trasformare non solo le istituzioni ma anche gli stili di vita, e suscitare un avvenire migliore per tutti i popoli”. Impegnarsi in questo processo di cambiamento è “una missione al tempo stesso sociale e spirituale”. E’ passare dallo spirito di Babele, dove regna la divisione o l’unità di facciata, allo Spirito di Pentecoste, che è il “disegno di Dio per l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità. Solo uno spirito di concordia, che superi divisioni e conflitti, permetterà all’umanità di essere autenticamente un’unica famiglia, fino a concepire un nuovo mondo con la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune”.

Radio Vaticana

Testo del documento in lingua italiana

Il Papa alla Fondazione 'Giovanni Paolo II': cercare di conservare e sviluppare questa eredità spirituale, trasmettendola alle generazioni future

Circa 300 i membri e gli amici della Fondazione "Giovanni Paolo II", accompagnati dai cardinali polacchi Stanisław Dziwisz e Stanisław Ryłko, hanno affollato questa mattina la Sala Clementina in Vaticano per incontrare Benedetto XVI. L'udienza è avvenuta in occasione della chiusura del trentesimo anniversario di questa Istituzione, voluta da Karol Wojtyla (nella foto con l'allora card. Ratzinger), con l’obiettivo di offrire supporto materiale, e di altro tipo, ad iniziative di natura religiosa, culturale, pastorale e caritativa, collegate al suo pontificato. Un grazie per i tanti frutti maturati in tutto il mondo ed un incoraggiamento a proseguire nell’impegno di conservare e sviluppare la preziosa eredità spirituale di Giovanni Paolo II. “Miei cari amici”, ha detto loro Benedetto XVI, ricordando le origini storiche della Fondazione, istituita da Karol Wojtyla il 16 ottobre 1981, proprio su richiesta di alcuni connazionali che si trovavano in patria o erano emigrati. Da qui ‘nero su bianco’ nello statuto l’obiettivo della Fondazione che “consapevole della grandezza del dono che la persona e il lavoro del Papa polacco rappresenta per la Chiesa, per il suo Paese natio e per il mondo, cerca di conservare e sviluppare questa eredità spirituale, che si propone di trasmettere alle generazioni future”. “Io stesso - ha detto Benedetto XVI - posso sperimentare l’efficacia di questi sforzi, quando ricevo l’amore e il sostegno spirituale di così tante persone in tutto il mondo che mi accolgono con affetto quale Successore di Pietro, chiamato dal Signore a confermarle nella fede”. Il Papa ha quindi evidenziato il prezioso ruolo svolto dal Circolo degli amici della Fondazione, sparsi in ogni continente, migliaia di benefattori che ne sostengono le attività finanziariamente e spiritualmente. Ed ancora il lavoro a Roma del Centro di documentazione Giovanni Paolo II, in collaborazione con l’ospizio di Santo Stanislao, “che offre assistenza pratica e spirituale ai pellegrini”. Ed ancora l’opera svolta dalla Fondazione nella formazione del clero e dei laici, specialmente nel centro-est europeo: “Spero - l’augurio del Papa – che questo lavoro sarà continuato, sviluppato e darà abbondanti frutti”. Infine una parola di gratitudine per tutte quelle persone che sostengono la Fondazione: “Non si limitano ad una memoria sentimentale del passato, ma cercano di discernere i bisogni del presente, guardano al futuro con sollecitudine e fiducia, e si impegnano a permeare in profondità il mondo più con lo spirito di solidarietà e di fraternità”.

Radio Vaticana, SIR

Ai membri della Fondazione "Giovanni Paolo II" - il testo integrale del discorso del Papa

Mons. Sorrentino: ad Assisi la preghiera sarà il ‘silenzio’, nel quale tutte le forme possono prendere la forma consona alle tradizioni religiose

“Il silenzio sarà il filo d’oro che unirà tutti i livelli e tutte le forme della preghiera. Forse anche quella implicita dei non credenti alla ricerca di Dio”. Così il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, presenta in una lunga intervista rilasciata al settimanale cattolico dell’Umbria La Voce e rilanciata oggi dall'agenzia SIR, la Giornata di dialogo, riflessione e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che si svolgerà nella città di San Francesco giovedì prossimo. “Il 27 ottobre – sottolinea mons. Sorrentino – non ci sarà nessuna forma di preghiera esplicita. La preghiera sarà il ‘silenzio’, nel quale tutte le forme di preghiera possono prendere la forma consona alle differenti esperienze e tradizioni religiose”. Due le “novità” di Assisi 2011 sottolineate da mons. Sorrentino rispetto all’incontro del 1986. La prima è il tema della “verità” perché “alla violenza si può arrivare per la presunzione di avere tutta la verità, ma anche per la convinzione che una verità non ci sia, per cui ogni decisione e istinto, anche violento, finisce con l’auto-legittimarsi”. La seconda novità è la presenza delle persone non credenti. Una “novità importante – afferma mons. Sorrentino – ma che non stupisce chi, dalla migliore teologia, come quella autorevole del Concilio Vaticano II, ha imparato che l’esperienza della fede affonda le sue radici nelle regioni profonde del cuore umano, lì dove spesso si invoca Dio senza saperlo e lo si incontra senza chiamarlo con questo nome”.

SIR

Il filo d'oro del silenzio: intervista con mons. Domenico Sorrentino

La diplomazia della Santa Sede secondo Benedetto XVI: è arte della speranza. Né calcoli o interessi, la forza della Chiesa sta nella fede in Cristo

Il pensiero di Benedetto XVI sulla diplomazia estera. Per la prima volta in un secolo e mezzo ai vertici del Vaticano ci sono un Pontefice e un segretario di Stato che non provengono dal servizio diplomatico della Santa Sede. Lo stesso card. Tarcisio Bertone, nel momento del suo insediamento alla terza loggia del Palazzo Apostolico, si definì "un segretario di Chiesa più che di Stato". In realtà la geopolitica di Benedetto XVI ha tratti specifici che hanno consentito di spostare in avanti il fronte del dialogo laddove la situazione era ferma da tempo, come nel confronto ecumenico con la Chiesa Ortodossa russa. Nell’udienza al nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, Joseph Weterings, Benedetto ha tracciato il quadro della sua diplomazia: né calcoli o interessi, la forza della Chiesa sta nella fede in Cristo. La voce più autorevole in difesa dei cristiani è sempre quella del Papa, seppure molte di queste minoranze, è il caso dei copti egiziani, non siano in piena comunione con Roma. Sono 179 i Paesi nel mondo ad avere relazioni diplomatiche con il Vaticano. Manca ancora all’appello la Cina popolare: è il più grande tra i Paesi che non hanno rapporti diplomatici con la Santa Sede. Quindi sedici stati, perlopiù asiatici, in buona parte a maggioranza islamica. In nove di questi Paesi non è presente nessun inviato vaticano (Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popolare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tuvalu e Vietnam). Mentre sono in carica dei delegati apostolici, rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i governi, in altri sette Paesi: tre africani (Comore, Mauritania e Somalia) e quattro asiatici (Brunei, Laos, Malaysia, Myanmar). Con alcuni di questi paesi comunque la Santa Sede ha già dei contatti. Con il Vietnam sono iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici. La diplomazia è l’arte della speranza. E i diplomatici vaticani sanno che questa speranza ha un nome, perché è diplomazia di sacerdoti. Del resto la diplomazia della Santa Sede è nata dalla storia, cioè la Santa Sede fin dall’origine ha goduto di una personalità giuridica internazionale. Quindi, può svolgere anche tutte quelle attività che sono tipiche dei soggetti di diritto internazionale, che sono fondamentalmente gli Stati. C’è anche la possibilità di inviare degli ambasciatori e di ricevere degli ambasciatori. Il servizio diplomatico è uno strumento di cui si serve la Santa Sede come governo centrale della Chiesa cattolica, per lo svolgimento della sua missione. Il Vaticano cerca di entrare nelle situazioni di difficoltà o di crisi nel mondo: situazioni di inquietudine e di preoccupazione per tutta la comunità internazionale. E’ forte in Benedetto XVI la preoccupazione per la difesa e la promozione della dignità umana, una dignità fondata sulla dimensione trascendente delle persone, altro aspetto sul quale la Santa Sede ha una visione integrale dell’uomo, che non è ridotto ad una sola dimensione, solo alla dimensione fisica, alla dimensione materiale, alla dimensione economica, ma è visto, invece, nella sua integralità. E su questa integralità la Santa Sede insiste. Quindi, il tema della difesa della dignità dell’uomo, della difesa dei suoi diritti, a cominciare dal diritto della vita, del momento del concepimento fino alla morte naturale, ed alla difesa della sua libertà. L’altro aspetto è quello dell’educazione alla pace, la pace intesa come tutta quella serie di condizioni che permettono all’uomo di svilupparsi come uomo e come figlio di Dio e di creare intorno a sé dei rapporti sereni e fruttuosi con gli altri. L’autorevolezza della Chiesa in ambito internazionale poggia, secondo Joseph Ratzinger, su una base: la forza disarmata dei princìpi che scaturiscono dalla sua fede in Cristo. Quindi, libera dai calcoli legati alla conquista del consenso elettorale o dalle sudditanze che il denaro crea nelle relazioni fra Stati poveri e Stati ricchi. L’influenza che la Santa Sede esercita nel mondo vola più alto, sulle ali del messaggio del Vangelo e dei valori cristiani, calati dovunque nel vissuto dell’umanità, specie di quella più debole. La Chiesa ha vissuto e vive così la sua missione, anche se qualcuno per debolezza ogni tanto la tradisce. "Con vigore e la consueta trasparenza", evidenzia Radio Vaticana, il Papa sceglie di impostare il suo discorso al nuovo ambasciatore olandese accreditato in Vaticano partendo da una constatazione spesso sottolineata in queste circostanze. “La Santa Sede non è una potenza economica o militare”. E il suo contributo alla diplomazia internazionale è costituito in gran parte nell’articolazione di quei principi etici che dovrebbero sostenere l’ordine sociale e politico e nel richiamare l’attenzione sulla necessità di intervenire per rimediare alle violazioni di tali principi. Di qui, il dialogo diplomatico che impegna la Santa Sede viene condotto né in modo confessionale né per ragioni pragmatiche, ma sulla base dei principi universalmente applicabili, reali tanto quanto lo sono gli elementi fisici dell’ambiente naturale. Quella della Chiesa, e in particolare della Santa Sede è la voce forte di chi non può farsi udire perché indifeso, povero, ammalato, anziano, in minoranza o perché semplicemente non è ancora nato. La Chiesa cerca sempre di promuovere la giustizia naturale come è suo diritto e dovere di fare. Quindi, con schiettezza, precisa il Pontefice: "Pur riconoscendo con umiltà che i suoi stessi membri non sono sempre all'altezza degli elevati standard morali che essa propone, la Chiesa non può far altro che continuare a esortare tutte le persone, inclusi i suoi stessi membri, a cercare di fare tutto ciò che è in accordo con la giustizia e la retta ragione e a opporsi a ciò che è loro contrario". A giudizio di Benedetto XVI la diplomazia è l’arte della speranza, come dire che basta un tenue segno, un tenue accenno e si possono tessere delle trame importanti per l’uomo. Arte della speranza significa che c’è la possibilità di risolvere in maniera pacifica le difficoltà e i conflitti che ci sono. Ci sono stati numerosi esempi, tante situazioni, che hanno dimostrato come si sono realizzati gli sforzi della diplomazia. Non sempre i risultati sono all’altezza delle aspettative, ma la speranza aiuta la diplomazia pontificia ad andare avanti anche quando non si vedono immediatamente dei risultati. La Santa Sede lavora anche sui tempi lunghi. La diplomazia della Santa Sede è una diplomazia di sacerdoti, sorretti dalla grazia divina. Ogni inizio d’anno il Papa si rivolge agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. E’ il momento dell’anno in cui si rende evidente il ruolo della chiesa cattolica nello scenario "geopolitico" mondiale. Attualmente ci sono paesi in cui i cristiani divengono martiri. Benedetto XVI raccoglie il loro grido d’aiuto.

Giacomo Galeazzi, Vatican Insider