venerdì 21 dicembre 2012

Card. Scola: nella tensione positiva a incontrare l’uomo contemporaneo e tutte le sue espressioni culturali il prezioso lascito di Paolo VI. La sua figura filo che lega l’intenzione del Concilio di Giovanni XXIII all’attuale Pontificato

"A scuola da Paolo VI": è il titolo che campeggia in apertura dello speciale di quattro pagine che il quotidiano Avvenire ha dedicato nell’edizione di oggi alla figura di Papa Montini (nella foto con l'allora card. Ratzinger) in occasione del riconoscimento delle virtù eroiche decretato ieri da Benedetto XVI. Nello speciale figurano, tra l’altro, le interviste ai cardinali Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e Angelo Scola, oggi arcivescovo di Milano, che, come è noto, dal 1954 al 1963, ha avuto Giovanni Battista Montini come predecessore. In evidenza sulla prima pagina dell’inserto anche un inedito di un appunto autografo di Montini, datato 1928, tratto dall’archivio dell’Istituto Paolo VI di Brescia. Un testo in cui con degli accenni telegrafici viene illuminata la profondità del mistero cristiano: "L’incarnazione è la massima manifestazione di Dio: è la pubblicità del Bene: tutto il fine della creazione culmina qua". Sull’eredità di Paolo VI che l’arcidiocesi milanese è chiamata custodire si sofferma in particolare il card. Scola, che nell’intervista concessa a Francesco Ognibene, individua nella "tensione positiva a incontrare l’uomo contemporaneo e tutte le sue espressioni culturali" il "prezioso lascito" di Montini alla Chiesa ambrosiana. In questo senso, "l’indizione della missione per la città di Milano è ancor oggi considerata un punto di riferimento". Soprattutto, però, il porporato sottolinea come, "in un tempo in cui l’utopia dilagava", il Papa di Concesio "richiamò con forza il popolo cristiano a centrare la sua vita nella fede". Inoltre, "la figura di Paolo VI è legata, senza dubbio, alla prima attuazione del Concilio Vaticano II. In questo senso mi sembra che Paolo VI sia stato non solo colui che portò a termine l’intuizione del Beato Giovanni XXIII - e questo sarebbe già un grandissimo merito - ma anche colui che iniziò con decisione - a smentita di alcuni luoghi comuni - il compito di recezione del Vaticano II". C’è infatti "un filo che lega l’intenzione di Roncalli all’attuale Pontificato". Un filo che sarebbe impensabile "senza la figura di Paolo VI".

L'Osservatore Romano

Mons. Paglia: il Papa è stato geniale quando ha detto che facciamo bene a deplorare la manipolazione della natura, dell'ambiente, ma purtroppo siamo ciechi quando si parla dell'uomo, della donna e della vita umana. C'è come una contraddizione di fondo, che va sciolta!

"Mi auguro davvero che nel prossimo Governo si ripristini il ministero per la Famiglia. E speriamo che non sia, come le famiglie d'oggi, 'senza portafoglio', ma abbia anche possibilità concrete di intervenire". Così mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, in un'intervista a Famiglia Cristiana. "Le priorità non spetta a me definirle, ma credo fermamente che sia necessario riproporre la famiglia al centro del dibattito politico, economico e culturale, affrontando i tanti temi che la riguardano: dal problema dei figli alla fiscalità, dall'assistenza agli anziani e ai disabili a una seria politica della casa e del lavoro", afferma mons. Paglia. In una distinta intervista a Radio Vaticana, mons. Paglia torna sul discorso tenuto stamane dal Papa alla Curia romana. "Questa mattina il Papa è stato geniale quando ha detto che facciamo bene a deplorare la manipolazione della natura, dell'ambiente, ma purtroppo siamo ciechi quando si parla dell'uomo, della donna e della vita umana. C'è come una contraddizione di fondo, che va sciolta!".
 
TMNews
 

'L'infanzia di Gesù'. Mons. Forte: nella sua semplicità espositiva, nei contenuti forti che narrano di un Dio vicino, umano fino in fondo e non per questo meno divino si offre come una buona novella per il nostro tempo e il suo spirito insicuro, naufrago dai grandi sogni delle ideologie e orfano di patrie attendibili e gratificanti

Il successo editoriale dei libri di Benedetto XVI dedicati a Gesù di Nazaret, compreso l’ultimo, "L’infanzia di Gesù", sta nella capacità del Pontefice "di parlare allo 'spirito del tempo' in maniera tutt’altro che accomodante e tuttavia coinvolgente". È quanto sostiene il teologo e arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, in un ampio articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera che vi dedica l’intera copertina delle pagine culturali. Un successo, rileva Forte, che può apparire "singolare" in un’epoca che molti definiscono post-cristiana e che eppure risulta "affascinante". Il perché è presto detto. Il Papa "non ignora le grandi trasformazioni culturali degli ultimi decenni: da una fiducia diffusa, persino ingenua, nella capacità dei 'grandi racconti' ideologici di interpretare e trasformare il mondo, si è passati con sorprendente rapidità a una altrettanto diffusa sfiducia nei confronti di ogni orizzonte totalizzante di senso, compreso quello religioso". In pratica, l’uomo ridotto a "massa" dalle ideologie si è ritrovato improvvisamente solo, mentre lo spazio per l’altro, dal prossimo immediato fino a Dio, è irrimediabilmente ridotto. "Proprio per questo, però, risulta affascinante la proposta di un Dio diverso da quello che l’ideologia combatteva e che la post-modernità delle solitudini rifiuta". Infatti, mentre dalla cultura dominante spesso Dio viene visto come un "limite" alla libertà umana, la "proposta del Papa teologo attrae le donne e gli uomini di questa età post-cristiana, post-secolare e posta moderna: nella sua semplicità espositiva, nei contenuti forti che narrano di un Dio vicino, umano fino in fondo e non per questo meno divino, la trilogia su Gesù di Joseph Ratzinger si offre come una buona novella per il nostro tempo e il suo spirito insicuro, naufrago dai grandi sogni delle ideologie e orfano di patrie attendibili e gratificanti". Così "al disincanto degli orfani delle utopie ideologiche e delle loro violenze, viene offerto il volto di un Dio vicino". Bruno Forte si sofferma poi anche sul metodo scelto da Benedetto XVI per realizzare la sua opera cristologica. Si tratta di un metodo, afferma, che presenta un "marcato carattere post-moderno". Il Pontefice, infatti, "suppone l’affidabilità storica dei racconti evangelici, ma non lo fa in maniera acritica, bensì vagliando le testimonianze e applicando i criteri elaborati dal raffinato dibattito degli ultimi due secoli intorno alla storicità dei Vangeli". In questa lettura, precisa Forte, "ci sono accenti diversi, che vanno da un minimalismo a un massimalismo: la trilogia del Papa si colloca su una linea precisa, motivata da un’opzione di fondo, secondo cui l’accostamento alla figura del Gesù storico non è mai irrilevante per la mente e il cuore di chi lo opera".

L'Osservatore Romano
 

Lombardi: Benedetto XVI affronta cose su cui sente il dovere di manifestare il suo pensiero, andando ai fondamenti, con la nettezza e il coraggio che gli sono caratteristici. E' il suo dovere verso la Chiesa e l'umanità, anche se ciò può suscitare resistenze o reazioni negative

Nel discorso odierno alla Curia romana, "sulla famiglia, il Papa non entra nelle discussioni sulla legislazione e sui matrimoni omosessuali, e non riprende neppure le indimenticabili parole di vicinanza alle coppie in difficoltà pronunciate nella veglia di Milano ma riafferma che oggi qui è in gioco la stessa questione su 'chi è l'uomo'". Così il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, nell'editoriale per il settimanale del Centro Televisivo Vaticano "Octava Dies". Nel discorso il Papa affronta "cose su cui sente il dovere di manifestare il suo pensiero, andando ai fondamenti, con la nettezza e il coraggio che gli sono caratteristici: è il suo dovere verso la Chiesa e l'umanità, anche se ciò può suscitare resistenze o reazioni negative. I temi scelti quest'anno sono due: la famiglia e la dualità dell'uomo e della donna; e il dialogo e l'annuncio della fede". Sulla famiglia, in particolare, "la dualità dell'uomo e della donna è essenziale per l'essere umano. Da essa nascono le relazioni fondamentali fra padre, madre e figli. La dualità è iscritta nella natura della persona, nel disegno di Dio creatore. Negarlo è contrario alla verità, e affermare che è la persona umana stessa a determinare la sua identità è un passo distruttivo, che apre la via alla manipolazione arbitraria della natura, con conseguenze gravissime per la dignità dell'uomo; a cominciare dalla dignità dei figli, considerati come oggetto di un diritto e non più come soggetti di diritto. Nella 'lotta per la famiglia', insomma, ne va della stessa persona umana. Il Papa fa ampio riferimento a quanto scritto dal Gran Rabbino di Francia, dimostrando che la posizione della Chiesa non è strettamente confessionale, ma è quella della ragione, condivisa nella grande tradizione giudeo-cristiana".
 
TMNews
 

Il Papa: non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. Là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo

Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i cardinali, i membri della Curia romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi. Un 2012 caratterizzato da “molteplici situazioni travagliate, da grandi questioni e sfide, ma anche da segni di speranza”. Il Papa ha rievocato i momenti salienti dell’anno quasi concluso, menzionando innanzitutto le visite pastorali in Messico e a Cuba, definite “incontri indimenticabili con la forza della fede, profondamente radicata nei cuori degli uomini, e con la gioia per la vita che scaturisce dalla fede”. Benedetto XVI ha ricordato in modo particolare le “interminabili schiere di persone” che lo hanno salutato in Messico, “sventolando fazzoletti e bandiere”, oltre ai “giovani devotamente inginocchiati ai margini della strada per ricevere la benedizione del Successore di Pietro”, lungo la strada per Guanajuato e la “grande liturgia” davanti alla statua di Cristo Re, “diventata un atto che ha reso presente la regalità di Cristo – la sua pace, la sua giustizia, la sua verità”. I problemi sociali ed economici del grande paese centroamericano, ha aggiunto il Papa, “non possono essere risolti semplicemente mediante la religiosità, ma lo possono ancor meno senza quella purificazione interiore dei cuori che proviene dalla forza della fede, dall’incontro con Gesù Cristo”. Durante il viaggio a Cuba, ha proseguito il Pontefice, “si è resa percepibile la presenza di Colui al quale, per molto tempo, si era voluto rifiutare un posto nel Paese”. La questione della libertà nel paese caraibico, quindi, “non può riuscire senza un riferimento a quei criteri di fondo che si sono manifestati all’umanità nell’incontro con il Dio di Gesù Cristo”. Altro momento cruciale dell’anno ecclesiale è stata la visita pastorale a Milano, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, un evento che ha mostrato come “nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi”, ha commentato il Pontefice. "È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi”. “Nella questione della famiglia – ha proseguito - non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse”. Innanzitutto, con “il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza” scompaiono “anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio”; cadono, cioè, “dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana”. “Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, - ha detto - in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini”.
Benedetto XVI ha affermato: “Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: ‘Donna non si nasce, lo si diventa’ (‘On ne naît pas femme, on le devient’). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma ‘gender’, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi”. Il Papa ha espresso a questo punto una sua valutazione sul tema: “La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità - ha rimarcato - è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata”. “Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò’”, ha proseguito il Papa. “No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso”. Secondo Benedetto XVI, a questo punto “esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione”. Il Papa ne deduce che “in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria”. "Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo". Il Papa è poi passato al tema del dialogo: “il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi – ha affermato - la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni. La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità. Ciò che, nell’incontro tra rivelazione ed esperienza umana, è stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell’ambito della ragione, ma non costituisce un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse".
"Se l’uomo con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze, esse allargano l’orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica”. “Nella situazione attuale dell’umanità – ha proseguito - il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica" circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico, diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana. Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro”. Il Papa ha messo poi a confronto dialogo, identità e verità: “il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità”. Infine, Benedetto XVI ha fatto una breve annotazione sull’evangelizzazione, “il cui primo e fondamentale elemento è il semplice annuncio, il kerigma, che attinge la sua forza dalla convinzione interiore dell’annunciatore”. “La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti”. “Venite e vedrete!” è l’invito chiave di Gesù ad accompagnarlo e a conoscerlo di più, assieme alla Chiesa che è il suo corpo. “Alla fine dell’anno vogliamo pregare il Signore, affinché la Chiesa, nonostante le proprie povertà, diventi sempre più riconoscibile come sua dimora”, ha aggiunto il Papa, prima di rivolgere i saluti finali e gli auguri natalizi.

Zenit, Radio Vaticana, SIR

UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI - il testo integrale del discorso del Papa
 

Cantalamessa: la gioia cristiana è interiore, non viene dal di fuori, ma dal di dentro. Può far sì perciò che si abbondi di gioia anche nelle tribolazioni. Si esprime in pace del cuore, pienezza di senso, capacità di amare e di lasciarsi amare e soprattutto in speranza

"Se in mezzo alle angustie e alle tribolazioni, la Chiesa di oggi vuole ritrovare le vie del coraggio e della gioia, deve aprire bene gli occhi su ciò che Dio sta compiendo in lei". Non ha dubbi il sacerdote cappuccino Raniero Cantalamessa, che al tema dell’"evangelizzazione mediante la gioia" ha dedicato l’ultima predica di Avvento, tenuta questa mattina, nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI. Per il predicatore della Casa Pontificia, infatti, "il dito di Dio, che è lo Spirito Santo, sta scrivendo ancora nella Chiesa e nelle anime storie meravigliose di santità, tali che un giorno - quando sarà scomparso tutto il negativo e il peccato - faranno guardare alla nostra epoca con stupore e santa invidia". Dopo aver riflettuto sull’Anno della fede e sul Concilio Vaticano II, nel terzo appuntamento in preparazione al Natale, padre Cantalamessa ha esortato a riscoprire la gioia dell’incontro con Cristo. Questo non significa chiudere gli occhi "ai tanti mali che affliggono la Chiesa e ai tradimenti di tanti suoi ministri"; anzi, proprio perché il mondo e i media tendono a mettere in risalto solo le cose negative della Chiesa, "è bene sollevare lo sguardo" e vederne anche il lato luminoso, la sua santità. Perché "in ogni epoca - anche nella nostra - il soffio dello Spirito rianima il popolo di Dio e suscita carismi". Generando così un rinnovato "amore per la Parola" e una «partecipazione attiva dei laici alla vita della Chiesa", oltre che "l’impegno costante del magistero e di tante organizzazioni a favore dei poveri e dei sofferenti e l’anelito a ricomporre l’unità spezzata del Corpo di Cristo". Del resto, si è chiesto il predicatore, "in quale epoca passata la Chiesa ha avuto una tale serie di Sommi Pontefici dotti e santi come da un secolo e mezzo a questa parte e tanti martiri della fede?". Nella sua riflessione il religioso ha preso spunto dalle presenza nella Bibbia, soprattutto nei Vangeli dell’infanzia di Gesù, del termine "agallìasis", che indica "il giubilo escatologico per l’irrompere nel tempo messianico". Quindi, invitando a passare dalla Parola e dalla liturgia alla vita quotidiana, ha chiesto di interrogarsi su come questa gioia possa raggiungere la Chiesa di oggi e contagiarla. Infatti, ha spiegato, "noi abbiamo più ragioni oggettive per gioire, di quante ne avessero Zaccaria, Simeone, i pastori e, più in generale tutta la Chiesa nascente. Quante grazie, quanti santi, quanta sapienza di dottrina - ha commentato - e ricchezza di istituzioni. Quante volte la Chiesa ha dovuto allargare nei secoli, anche se non sempre ciò è avvenuto senza resistenze, la capacità di accoglienza, per far entrare le ricchezze umane e culturali dei diversi popoli". Passando poi dal piano ecclesiale a quello esistenziale e personale, il predicatore ha ricordato la campagna sui mezzi di trasporto pubblico di Londra, che diceva: "Dio probabilmente non esiste. Dunque smetti di tormentarti e goditi la vita". L’elemento più insidioso di questo slogan, ha sottolineato, "non è la premessa, ma la conclusione. Il messaggio è che la fede in Dio è nemica della gioia. Senza di essa ci sarebbe più felicità". Da qui la consegna di padre Cantalamessa a "dare una risposta a questa insinuazione che tiene lontani dalla fede soprattutto i giovani". In proposito il predicatore ha citato le due categorie del piacere e del dolore "che nella vita terrena si susseguono con regolarità: l’uso della droga, l’abuso del sesso, la violenza omicida, sul momento danno l’ebbrezza del piacere; ma conducono alla dissoluzione morale, e spesso anche fisica, della persona". Nell’ottica della fede, invece, "Cristo ha ribaltato il rapporto: non più un piacere che termina in sofferenza, ma una sofferenza che porta alla vita e alla gioia". A questo punto sarebbe facile un’obiezione: la gioia, dunque, è solo per dopo la morte. Ma il religioso l’ha smontata, evidenziando come, al contrario, nessuno sperimenti in questa vita la vera gioia quanto i credenti. "La gioia cristiana - ha argomentato - è interiore; non viene dal di fuori, ma dal di dentro. Può far sì perciò che si abbondi di gioia anche nelle tribolazioni. Si esprime in pace del cuore, pienezza di senso, capacità di amare e di lasciarsi amare e soprattutto in speranza". Ne scaturisce l’auspicio conclusivo che i cristiani siano i primi testimoni della gioia che il mondo cerca. "Tutti - ha asserito il cappuccino - vogliamo essere felici. È la cosa che accomuna buoni e cattivi. Se tutti amiamo la gioia è perché l’abbiamo conosciuta. Questa nostalgia della gioia è il lato del cuore umano naturalmente aperto a ricevere il 'lieto messaggio'". Dunque, "quando il mondo bussa alle porte della Chiesa - perfino quando lo fa con violenza e con ira - è perché cerca la gioia". E tra i maggiori cercatori di gioia ci sono soprattutto i giovani: "Il mondo intorno a loro è triste. La tristezza ci prende alla gola, a Natale più che nel resto dell’anno. Non dipende dalla mancanza di beni materiali, perché è molto più evidente nei Paesi ricchi che in quelli poveri". Secondo padre Cantalamessa "una Chiesa malinconica e timorosa non sarebbe all’altezza del suo compito; non potrebbe rispondere alle attese dell’umanità, soprattutto dei giovani»" Non sono i ragionamenti o i rimproveri, ma è la gioia "l’unico segno che anche i non credenti sono in grado di recepire e che può metterli seriamente in crisi". Perciò «i cristiani testimoniano la gioia quando, evitando ogni acredine e inutile risentimento nel dialogo con il mondo e tra loro, sanno irradiare fiducia, imitando Dio, che fa piovere la sua acqua anche sugli ingiusti". Non a caso Paolo VI, nella sua Esortazione Apostolica "Gaudete in Domino" del 1975, parla di uno "sguardo positivo sulle persone e sulle cose, frutto d’uno spirito umano illuminato e dello Spirito". Infine il predicatore della Casa Pontificia ha ribadito che "anche dentro la Chiesa c’è bisogno vitale della testimonianza della gioia". Da qui la suggestiva definizione del compito dei pastori nella Chiesa: quella di essere "collaboratori della gioia", valida soprattutto per quelli "che vivono in mezzo alle prove e alle calamità in alcune parti del mondo".
 
L'Osservatore Romano
 

Card. Amato: la santità non è mai troppa, quella dei Papi dimostra che il loro magistero era sostenuto e accompagnato da una profonda vita di fede, di speranza e di carità. Per la causa di Paolo VI nessuna corsia preferenziale

Oltre a quella di Paolo VI (nella foto con l'allora card. Ratzinger) sono in corso anche le cause di Beatificazione di Pio XII e di Giovanni Paolo I, mentre Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati già dichiarati Beati. Ieri, le 'eroiche virtù' di Paolo VI, che lo avviano verso l'onore degli altari. Non si rischia una 'inflazione' di Papi Santi? "Santa 'inflazione', è proprio il caso di dirlo", risponde in un'intervista ad Avvenire il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. "Così fu per i primi secoli, quando tutti i papi furono o martiri o confessori. La santità ­come la bontà, come la bellezza, come la giustizia - non è mai troppa. La santità dei Papi dimostra che il loro magistero era sostenuto e accompagnato da una profonda vita di fede, di speranza e di carità". Papa Paolo VI "ebbe una fede incrollabile nel Vangelo, nella santità della Chiesa, nella bontà dei valori della tradizione cristiana, nella difesa del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il suo Credo del popolo di Dio ne è prova convincente", afferma il porporato salesiano. Ora, "la causa segue il normale iter canonico. In concreto, se la postulazione presenta un'ipotesi di miracolo la Congregazione delle Cause dei Santi procede con i vari gradi di valutazione: consulta medica (se si tratta, ad esempio, di guarigione scientificamente inspiegabile), congresso teologico, seduta ordinaria dei cardinali e dei vescovi e, infine, decisione finale del Santo Padre. Subito dopo si può procedere alla beatificazione". Per Montini, ad ogni modo, non è prevista alcuna 'corsia preferenziale', come quella riservata alla causa del Beato Giovanni Paolo II. "Nelle cause dei Santi - afferma il card. Amato - non è possibile fare previsioni sui tempi. Le cause maturano quando tutti i passaggi sono stati espletati al meglio. In questa causa, come nelle altre, c'è grande sollecitudine, ma non fretta, anche per rispetto della grande figura di Papa Montini. In ogni caso, il decreto sull'eroicità delle virtù di Paolo VI costituisce una felice coincidenza nella celebrazione dell'Anno della fede". Oltre alla causa di Beatificazione di Paolo VI, ieri Benedetto XVI ha fatto avanzare anche altre cause, tra le quali quella di canonizzazione degli 800 beati martiri di Otranto "Perseguitati e uccisi per non tradire la loro fede in Cristo, i martiri sono testimoni credibili del Vangelo", spiega Amato. "La vicenda degli ottocento martiri d'Otranto è esemplare, anche se poco nota. Fatti prigionieri dagli ottomani nell'estate del 1480, ottocento uomini, giovani e anziani, furono massacrati per il loro rifiuto di convertirsi. Il loro martirio è, da una parte, un'ulteriore testimonianza di fedeltà a Cristo e alla sua parola di vita e di verità, e, dall'altra, un grido alla libertà religiosa, ancora oggi calpestata in tutto il mondo".

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