lunedì 18 ottobre 2010

'L'Osservatore Romano': per Benedetto XVI c'è ancora bisogno di santi e di preti che lascino trasparire la luce di Dio che illumina ogni uomo

“C'è ancora bisogno di Santi e di preti? A porre la domanda è Benedetto XVI di fronte alle canonizzazioni che ha presieduto in Piazza San Pietro e nella Lettera ai seminaristi. E la questione è radicale, perché riguarda la presenza di Dio nel mondo”: si apre con queste parole l’editoriale odierno su L’Osservatore Romano a firma del direttore Giovanni Maria Vian dal titolo “La presenza di Dio”. “Il tono della lettera di Benedetto XVI è ancora una volta quasi confidenziale, e lascia trasparire un'esperienza personale profonda – annota il direttore del giornale vaticano -. Di fronte alle convinzioni che i preti appartengano al passato il Papa risponde che al contrario anche oggi c'è bisogno di loro, cioè di "uomini che esistono per Lui e che lo portano agli altri". Se Dio infatti non viene più percepito "la vita diventa vuota". Ecco perché vale la pena diventare sacerdoti. In un cammino che non si fa da soli - ecco la sapienza del seminario - ma in comunità”. Vian sintetizza poi la Lettera papale definendola “un’agenda del prete, ma utile ad ogni credente”. Infine, afferma che “c'è da aspettarsi che l'attenzione dei media sia ancora una volta attirata da quanto il Papa scrive sullo scandalo degli abusi sessuali di bambini e giovani da parte di sacerdoti. Ma Benedetto XVI punta più in alto, sottolineando che la dimensione della sessualità deve essere integrata nella persona, perché altrimenti "diventa banale e distruttiva". Come mostrano gli esempi innumerevoli di preti autentici - e dei santi - che proprio per questo sono convincenti. Nel lasciare soprattutto trasparire la luce di Dio che illumina ogni uomo”.

SIR

Undicesima Congregazione generale. Il vero ed equo posto della donna e la sorte delle scuole cattoliche negli inteventi degli uditori

“Nell’Instrumentum laboris non si fa menzione delle questioni riguardanti le donne, in un Sinodo del Medio Oriente dove la donna è in secondo piano”. La denuncia è di suor Claudia Achaya Naddaf, superiora delle religiose del convento di Nostra Signora della carità del buon Pastore (Siria) che oggi è intervenuta, in qualità di uditrice, al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente in corso in Vaticano. “Vorrei che questo Sinodo presentasse delle proposte che aiuterebbero ad applicare le convenzioni internazionali a favore delle donne nei nostri Paesi arabi” ha detto la suora che ha rimarcato come “in Siria le religiose assumono incarichi importanti in campo sociale, educativo e pastorale, ma sono emarginate a livello di diocesi e parrocchie”. Per tale motivo suor Naddaf ha proposto di “far partecipare attivamente le religiose ai consigli diocesani e parrocchiali, sostenerle nelle loro attività pastorali, servirsi della loro competenza nei campi della catechesi e contribuire alla loro formazione permanente sul piano pastorale, spirituale, tecnico e mettere a punto una pastorale delle vocazioni, dove clero e religiose, possano investire nei movimenti giovanili”.
“Occorre dare alla donna il suo vero ed equo posto”. A chiederlo è stata suor Marie-Antoinette Saadé, della Congregazione delle Suore Maronite della Santa Famiglia (Libano) che ha posto anche l’accento sul ruolo e sull’importanza della famiglia. “La Chiesa non deve forse essere all’avanguardia in questo ambito di fronte alle pratiche diffuse in alcuni ambienti musulmani in cui la donna viene picchiata, schiavizzata, schernita, maltrattata, privata dei suoi diritti e caricata solo di opprimenti doveri? Questa sarebbe una vera testimonianza. Ricucire insieme il tessuto sociale promuovendo la persona umana al centro della famiglia e a partire da essa, mi sembra la risposta per una pastorale urgente e efficace” ha sostenuto la religiosa. Davanti alla disgregazione della famiglia è necessario “progettare insieme una pastorale familiare” come anche “creare insieme un centro di accoglienza per le coppie con quadri e agenti pastorali qualificati, accompagnatori che sappiano ascoltare le coppie in difficoltà; dei quadri che offrano presenza, ascolto, consiglio e accompagnamento, prima di arrivare ai tribunali, perché prevenire è meglio che curare”.
“La scuola in Medio Oriente è minacciata, è in pericolo nei nostri rispettivi Paesi”: è il grido d’allarme lanciato oggi nell’Aula del Sinodo da suor Daniella Harrouk, Superiora generale della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria (Libano). “Ascoltate il nostro appello angosciato – ha detto la religiosa - solo per darvi un’idea, la sorte di 192.000 alunni in Libano, senza scuole cattoliche, è insostenibile. Se la Chiesa venisse a perdere il suo ruolo di Madre e di Educatrice, a partire dalle istituzioni educative, quando potrà recuperarlo o esercitare la sua missione? Dove sarà il Libano, messaggero plurale, conviviale e multiconfessionale?”. “Salvate l’educazione e in particolare le scuole sovvenzionate dallo Stato, uno Stato che come altri non tiene fede agli impegni, nonostante le nostre rivendicazioni coraggiose e reiterate – ha denunciato suor Harrouk -. In linea con la comunione, la condivisione e la testimonianza, creiamo una cassa di risparmio per le scuole del Medio Oriente” dove versare “il vostro contributo che auspico generoso e regolare per assicurare alle famiglie a basso reddito e agli alunni delle regioni limitrofe, un insegnamento di qualità. Così la Chiesa universale e del Medio Oriente contribuiranno a promuovere l’uomo e ogni uomo mediante una cooperativa educativa con una buona gestione e un’eclatante trasparenza”.

SIR

Relazione dopo la discussione: i cristiani non sono soli. Fedeli alla Parola di Dio e non proselitismo. No all'antisemitsmo e alla violenza

Mattinata densa oggi al Sinodo per il Medio Oriente. Alla presenza di Benedetto XVI il relatore generale Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei copti in Egitto, ed il segretario speciale Joseph Soueif, arcivescovo di Cipro dei Maroniti, hanno presentato la “Relazione dopo la discussione” in cui sono stati riassunti gli argomenti principali trattati finora dal Sinodo, in base ai quali si elaboreranno le Proposizioni finali.
“Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità e rinnovare la comunione ecclesiale per offrire ai cristiani le ragioni della loro presenza, per confermarli nella loro missione di rimanere testimoni di Cristo”: questi gli scopi del Sinodo dei vescovi. “La nostra regione – ha detto il Relatore – rimane fedele alla Parola di Dio, fonte di ispirazione della nostra missionarietà e testimonianza. I nostri fedeli hanno grande sete della Parola di Dio e non trovandola da noi, vanno spesso a dissetarsi altrove. Per questo abbiamo bisogno di molte persone specializzate in Sacra Scrittura, abbiamo bisogno che la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione nelle nostre famiglie, Chiese, scuole, soprattutto nella nostra condizione di minoranze in società a maggioranza non cristiana, dove predominano valori e cultura di questa maggioranza che invadono tutti i campi della vita pubblica e rischiano di impadronirsi del nostro pensiero e dei nostri comportamenti”. Naguib ha passato in rassegna la situazione dei cristiani in Medio Oriente evidenziando la necessità dell’essere missionari, “l’annuncio è un dovere”, e “se rispettoso e pacifico non è proselitismo”. “La formazione missionaria è indispensabile. E’ auspicabile stabilire nella regione almeno un istituto di formazione missionaria”. Missionarietà che deve sostenere il ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo: “i cristiani appartengono all’identità stessa dei loro Paesi, bisogna rafforzare questa convinzione per aiutarli a vivere con serenità e impegno nella loro patria”. Parlando di “laicità positiva”, Naguib ha ribadito che la “religione non deve essere politicizzata né lo Stato prevalere sulla religione. E’ richiesta una presenza di qualità perché possa avere un impatto efficace sulla società. Ciò che conta non è il numero di persone nella Chiesa ma che queste vivano la fede e servano onestamente il bene comune”. Il Relatore ha insistito sul “formare le menti alla cittadinanza” anche attraverso i media, la presentazione della Dottrina sociale della Chiesa, l’istruzione, “campo privilegiato della nostra azione. Le scuole devono essere mantenute ad ogni costo”. “Per assicurare la sua credibilità evangelica – ha rimarcato il Relatore – la Chiesa deve trovare i modi per garantire la trasparenza nella gestione del denaro”. Ripercorrendo le principali sfide che i cristiani devono affrontare, tra le quali i conflitti politici nella regione, il Patriarca Naguib “pur condannando la violenza da dovunque provenga ed invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese” ha espresso la solidarietà del Sinodo al popolo palestinese, “la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq. I cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia, la pace e la laicità positiva. Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi per gli dimenticando il punto di vista degli altri”. Nella Relatio il Sinodo condanna anche “l’avanzata dell’Islam politico che colpisce i cristiani nel mondo arabo” poiché “vuole imporre un modello di vita islamico a volte con la violenza e ciò costituisce una minaccia per tutti” e la limitazione dell’applicazione di diritti quali la libertà religiosa e di coscienza che comporta, ha ricordato il patriarca, anche “il diritto all’annuncio della propria fede”. Conseguenza delle crisi politiche, del fondamentalismo, della restrizione delle libertà è l’emigrazione, che pur essendo “un diritto naturale”, interpella la Chiesa che “ha il dovere di incoraggiare i suoi fedeli a rimanere evitando “qualsiasi discorso disfattista”. “La comunione è la prima necessità nella realtà complessa del Medio Oriente e la migliore testimonianza alle nostre società” si legge nella Relatio post disceptationem che nella seconda parte passa in rassegna temi più pastorali, come la comunione, la testimonianza, il dialogo ecumenico ed interreligioso. A tale riguardo il documento raccomanda ai pastori “di insegnare e annunciare il senso della Chiesa una e la bellezza della varietà plurale della Chiesa; espressione concreta di questa comunione sarebbe la solidarietà del personale e dei beni fra le diocesi”, e ricorda come “il confessionalismo e l’attaccamento esagerato all’etnia rischiano di trasformare le nostre Chiese in ghetti. Una Chiesa etnica e nazionalista è in contrasto con la missione universale della Chiesa”. Vanno perciò incoraggiate “le relazioni inter-ecclesiali anche con le chiese orientali, con quella latina della diaspora in stretta unione col Papa”. Incoraggiamento che deve estendersi anche alla comunione ecclesiale tra vescovi, clero e fedeli. Sul piano ecumenico “occorre uno sforzo sincero per capirsi” ed il Sinodo dovrebbe favorire “la comunione e l’unità con le chiese sorelle ortodosse” attraverso “comportamenti appropriati: preghiera, conversione, scambio di doni, rispetto, amicizia” e proposte come “commissioni locali di dialogo, un congresso ecumenico per ogni Paese, media cristiani ecumenici”. “Le nostre chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo”. “Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi ed il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà politica e religiosa. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti” ribadisce il testo che, parlando di dialogo interreligioso, ricorda le iniziative pastorali di dialogo con l’ebraismo, come ad esempio “la preghiera in comune a partire dai Salmi, la lettura e meditazione dei testi biblici”. Il Sinodo esorta anche il Vicariato per i cristiani di lingua ebraica “ad aiutare la società ebraica a conoscere meglio la Chiesa, per favorire “una presenza pacifica dei cristiani in Terra Santa. L’interpretazione tendenziosa di alcuni versetti della Bibbia giustifica e favorisce la violenza”. Il dialogo interreligioso e interculturale tra cristiani e musulmani “è una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”. Riprende le parole di Benedetto XVI a Colonia nel 2005 per riaffermare l’importanza del dialogo islamo-cristiano. “Le ragioni per intessere rapporti con i musulmani sono molteplici, sono tutti connazionali, condividono stessa cultura e lingua, le stesse gioie e sofferenze. Fin dalla sua nascita l’Islam ha trovato radici comuni con Cristianesimo ed Ebraismo. Il contatto con i musulmani può rendere i cristiani più attaccati alla loro fede”. Per il Sinodo vanno, tuttavia, “affrontati e chiariti i pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti. Nel dialogo sono importanti l’incontro, la comprensione reciproca. Prima di scontrarci su cosa ci separa, incontriamoci su ciò che ci unisce, specie per quanto riguarda la dignità umana e la costruzione di un mondo migliore”. “Serve – si legge nella Relatio – una nuova fase di apertura, sincerità e onestà. Dobbiamo affrontare serenamente e oggettivamente i temi riguardanti l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori della vita sociale dignitosa e la reciprocità. La libertà religiosa è alla base dei rapporti sani tra musulmani e cristiani. Dovrebbe essere un tema prioritario nel dialogo interreligioso”.


Radio Vaticana, SIR


Il Papa all'ambasciatore di El Salvador: un'intesa reciproca e una cooperazione generosa in nome del giusto progresso e della stabilità internazionale

“E' importante che esistano voci che invitino all'intesa reciproca e alla cooperazione generosa, in nome del giusto progresso e della stabilità della comunità internazionale” in tutto il Centroamerica. Il Papa lo ha affermato ricevendo questa mattina in Vaticano il nuovo ambasciatore di El Salvador presso la Santa Sede, Manuel Roberto López Barrera (foto), in occasione della presentazione delle sue lettere credenziali. Nel suo discorso, Benedetto XVI ha sottolineato il compito della Chiesa a El Salvador, che “con la sua competenza specifica, con indipendenza e libertà, cerca di servire la promozione del bene comune in tutte le sue dimensioni e di favorire quelle condizioni che consentono negli uomini e nelle donne lo sviluppo integrale della propria persona”. Il Pontefice ha alluso ad alcuni problemi attuali a El Salvador, affermando che “evangelizzando e rendendo testimonianza dell'amore per Dio e per ogni uomo senza eccezioni, diviene un elemento efficace per sradicare la povertà e un impulso vigoroso a lottare contro la violenza, l'impunità e il narcotraffico, che tanti danni stanno causando, soprattutto fra i giovani”. “Contribuendo nella misura del possibile alla cura dei malati e degli anziani, o alla ricostruzione delle regioni devastate dalle catastrofi naturali, vuole seguire l'esempio del suo Divino Fondatore”. L'esempio di Cristo, ha spiegato, “non le permette di restare estranea alle aspirazioni e alle dinamiche dell'essere umano, e neppure di limitarsi a guardare con indifferenza quando si indeboliscono esigenze tanto importanti come l'equa distribuzione della ricchezza, l'onestà nello svolgimento delle funzioni pubbliche o l'indipendenza dei tribunali di giustizia”. “La comunità ecclesiale non smette neanche di sentirsi interpellata quando a molti manca un alloggio degno o un impegno che permetta loro di realizzarsi e di mantenere la propria famiglia, costringendoli a emigrare lasciando la propria Patria”. “Allo stesso modo, sarebbe strano che i discepoli di Cristo restassero neutrali dinanzi alla presenza aggressiva delle sette, che appaiono come una facile e comoda risposta religiosa, ma che, in realtà, scuotono la cultura e le consuetudini che, da secoli, hanno plasmato l'identità salvadoregna, oscurando anche la bellezza del messaggio evangelico e incrinando l'unità dei fedeli attorno ai loro Pastori”. “Al contrario, l'opera materna della Chiesa nel suo costante impegno nel difendere l'inviolabile dignità della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, - così come proclama anche la Costituzione del Paese -, il valore della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna e il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni morali e spirituali, crea un clima in cui il vero spirito religioso si fonde con il coraggio per raggiungere mete sempre più alte di benessere e di progresso”. Il Papa ha apprezzato le “doti personali” del nuovo ambasciatore e la sua “vasta esperienza in diversi campi dell'insegnamento, dell'amministrazione pubblica e della vita sociale”, sottolineando anche gli “stretti vincoli che uniscono i fedeli salvadoregni” al Successore di Pietro e il “patrimonio di valori fermentato dal lievito evangelico” che gli abitanti del Paese devono nutrire.Ha anche definito “consolante” lo sforzo di El Salvador “per edificare una società sempre più armoniosa e solidale, avanzando lungo il sentiero sgombro intrapreso dopo gli Accordi firmati nel 1992”. “Grande gioia proverà il popolo salvadoregno, dallo spirito pronto al sacrificio e laborioso, se il processo di pace verrà quotidianamente confermato e si potenzieranno le decisioni volte a favorire la sicurezza civile”. In questo senso, ha segnalato l'importanza che i salvadoregni “si convincano che con la violenza nulla si ottiene e tutto peggiora, poiché è una via senza uscita, un male detestabile e inammissibile, una lusinga che raggira la persona e la colma d'indegnità”. “Quale dono del Divino Salvatore, è anche un compito a cui tutti devono collaborare senza esitare, trovando a tal fine nello Stato un paladino fermo attraverso disposizioni giuridiche, economiche e sociali pertinenti, come pure attraverso adeguate Forze e Corpi di Polizia e di Sicurezza, che, nel quadro della legalità, veglino sul benessere della popolazione”. “La Sede Apostolica contribuirà ad affrontare il cammino di dialogo e di convivenza pacifica intrapreso dalle Autorità del suo Paese, di modo che ogni salvadoregno consideri la propria patria come un autentico focolare domestico che lo accoglie e gli offre la possibilità di vivere con serenità”. Nel suo saluto al Papa, riportato da L'Osservatore Romano, l'ambasciatore ha ricordato che El Salvador “ha radici profondamente cattoliche” e che il Paese dal 2009 “è diventato un esempio positivo per le Nazioni del mondo, per il felice processo di transizione del potere a un Governo nel quale sono rappresentati ampi settori della popolazione in passato esclusi dai processi decisionali”. “Il Presidente Funes ha affermato che durante il suo mandato avrebbe seguito gli insegnamenti della nostra guida spirituale, mons. Óscar Arnulfo Romero, e ha esortato tutti i salvadoregni a guardare avanti, con la pace nel cuore, di modo che il sacrificio dei nostri eroi religiosi abbia un senso”. L'ambasciatore ha ricordato anche le “grandi sfide” che il Paese deve affrontare, come i fenomeni naturali che hanno provocato morte e distruzione negli ultimi anni e “il flagello della violenza”. In questo contesto, ha affermato che “è necessario riconoscere e rendere grazie per l'importantissimo ruolo che la Chiesa cattolica svolge come mediatrice per recare sollievo e trovare soluzioni alle tematiche più importanti che affliggono il nostro Paese”. “Le chiediamo, Santità, di levare le sue preghiere affinché tutti i salvadoregni mantengano viva la speranza e affinché l'opera d'inclusione sociale, la creazione di fonti di lavoro degne, la promozione dei valori morali e civili nel sistema e educativo e l'adeguato orientamento spirituale ci trasformino in un Paese nuovo, che sia sempre degno di portare il nome del Salvatore del mondo, caso unico nel concerto delle Nazioni”, ha concluso, invitando il Papa a nome del Presidente Mauricio Funes e del suo Governo a recarsi a El Salvador.

Zenit

All'Ambasciatore di El Salvador (18 ottobre 2010) - il testo integrale del discorso del Papa

Il Papa all'ambasciatore colombiano: la Chiesa non esige alcun privilegio, aspira solo a poter servire coloro che le aprono le porte del cuore

Il rispetto della legge naturale: lo ha raccomandato Benedetto XVI al nuovo ambasciatore della Colombia, César Mauricio Velásquez Ossa (foto), ricevuto questa mattina in udienza per la presentazione delle Lettere credenziali. “La Chiesa in Colombia non esige alcun privilegio", ha chiarito il Papa, ma “solo aspira di poter servire i suoi fedeli e tutti coloro che le aprono le porte del loro cuore, con la mano tesa”. Una Chiesa, ha aggiunto, che da sempre sostiene “l’educazione delle nuove generazioni, la cura degli infermi e degli anziani, il rispetto dei popoli indigeni e le loro legittime tradizioni, lo sradicamento della povertà, del narcotraffico e della corruzione, l’attenzione a prigionieri, sfollati, emigranti e lavoratori, così come l’assistenza alle famiglie bisognose”. Si tratta, dunque, di continuare con lo Stato “una leale collaborazione per la crescita integrale delle comunità”. Ricordando che quest’anno ricorre il 165° anniversario delle relazioni tra Santa Sede e Colombia, Benedetto XVI ha chiesto ancora una volta “di tutelare e promuovere l’inviolabile dignità della persona umana, per la quale è fondamentale che l’ordinamento giuridico rispetti la legge naturale, in ambiti tanto essenziali come la salvaguardia della vita, dal concepimento al suo termine naturale; il diritto a nascere e vivere in una famiglia fondata sul matrimonio di un uomo ed una donna o il diritto dei genitori a che i figli ricevano un educazione in accordo con i propri principi morali e credenze”. Sono questi “pilastri insostituibili – ha osservato il Santo Padre - nell’edificazione di una società veramente degna dell’uomo e dei valori che le sono propri”. Ha rivolto quindi i migliori auspici al nuovo presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos Calderon, perché possa realizzare gli impegni presi finalizzati al progresso del suo Paese, che commemora i 200 anni del processo d’avvio dell’ìndipendenza, occasione per intensificare “iniziative e misure atte a consolidare la sicurezza, la pace, la concordia e lo sviluppo integrale di tutti i suoi concittadini e per guardare con serenità e speranza al futuro che si avvicina”. Nel saluto che ha rivolto al Papa, riporta L'Osservatore Romano, l'ambasciatore ha detto di giungere in rappresentanza di un popolo che nonostante le difficoltà “oggi si rialza con coraggio per dire al mondo che il male non ha l'ultima parola e che il male si combatte con abbondanza di bene”. Ricordando i rapimenti, una delle piaghe che affliggono la Colombia, ha chiesto al Pontefice “di continuare a pregare per quanti ancora sono nell'inferno del sequestro”. Altri problemi sono il terrorismo e il narcotraffico, che “procedono di pari passo; attentano contro l'ecologia umana e l'ecologia ambientale, infrangono l'unità familiare e sociale. Sono un inganno, un'illusione piena di malvagità”, ha aggiunto. “Quando in alcuni Paesi industrializzati si propone la depenalizzazione delle droghe, si dimentica che il narcotraffico è un delitto che dovrebbe essere ritenuto di estrema gravità, poiché distrugge l'umanità e diviene motore di omicidi, sequestri, massacri, schiavitù, torture, sparizioni forzate e stupri – ha avvertito –. Senza dimenticare che presuppone anche la negazione della dimensione spirituale e umana della persona”. L'ambasciatore ha sottolineato che i drammi vissuti dalla Colombia “hanno risvegliato un sentimento cristiano nella maggioranza dei colombiani, provati nell'avversità”. “La storia della Colombia, come quella dell'Europa, ha profonde radici cristiane che non possiamo recidere. Una parte essenziale della nostra identità è radicata nella Fede e nella Speranza della Buona Novella”. “Oggi in Colombia il sangue versato non grida vendetta, ma invoca sì rispetto per la vita e la pace. A tale proposito, mi permetta di ribadire il fervente desiderio del popolo colombiano di accoglierla nuovamente nella nostra patria, che Lei, Santità, ha visitato quando era cardinale”, ha concluso.

Radio Vaticana, Zenit

All'Ambasciatore di Colombia (18 ottobre 2010) - il testo integrale del discorso del Papa

Il Papa: gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, che si è mostrato in Gesù. I seminaristi ne siano messaggeri. Gli abusi sfigurano il sacerdozio

Dal cuore del Papa al cuore dei seminaristi. Benedetto XVI si rivolge con stile personale ai giovani che aspirano a diventare sacerdoti, in una lettera inviata nell’ambito della conclusione dell’Anno Sacerdotale e resa pubblica oggi. Ricorda che, nel dicembre 1944, quando fu chiamato al servizio militare, affermò di voler diventare sacerdote. Gli fu risposto che nella “nuova Germania” nazista non ci sarebbe stato più bisogno dei sacerdoti. Ma, scrive, “sapevo” che “dopo le enormi devastazioni portate da quella follia sul Paese ci sarebbe stato più che mai bisogno di sacerdoti”. “Oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia una ‘professione’ per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato. Voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino verso il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica, contro tali obiezioni e opinioni. Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione”. “Il seminario è una comunità in cammino verso il servizio sacerdotale – prosegue -. Con ciò, ho già detto qualcosa di molto importante: sacerdoti non si diventa da soli. Occorre la ‘comunità dei discepoli’, l’insieme di coloro che vogliono servire la comune Chiesa”. Chi vuole diventare sacerdote “deve essere soprattutto un ‘uomo di Dio’’”. Un Dio, scrive, che per noi “non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il ‘big bang’”. E il Papa continua: “Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdozio e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio in Gesù Cristo. Il sacerdote non è l’amministratore di una qualsiasi associazione, di cui cerca di mantenere e aumentare il numero dei membri. È il messaggero di Dio tra gli uomini”. Circa la spiritualità del presbitero, il Papa ha poi rivolto ai seminaristi l’invito a imparare “a vivere in contatto costante con Dio. Quando il Signore dice: ‘Pregate in ogni momento’, naturalmente non ci chiede di dire continuamente parole di preghiera, ma di non perdere mai il contatto interiore con Dio. Esercitarsi in questo contatto è il senso della nostra preghiera. Perciò è importante che il giorno incominci e si concluda con la preghiera”. Allo stesso modo, Benedetto XVI ha poi sviluppato una meditazione sul ruolo dei sacramenti per la vita di fede: “Il centro del nostro rapporto con Dio e della configurazione della nostra vita è l’Eucaristia. Celebrarla con partecipazione interiore e incontrare così Cristo in persona, dev’essere il centro di tutte le nostre giornate”, ha sottolineato aggiungendo che i futuri preti debbono imparare “a conoscere, capire e amare la liturgia della Chiesa nella sua forma concreta”. Analoga riflessione è stata proposta per il sacramento della Penitenza, descritto come uno strumento per “opporsi all’abbrutimento dell’anima, all’indifferenza che si rassegna al fatto” che “domani farete di nuovo gli stessi peccati”. Circa questi ultimi, ha ricordato che “è importante restare in cammino, senza scrupolosità, nella consapevolezza riconoscente che Dio mi perdona sempre di nuovo”. Nella Lettera ai seminaristi, Benedetto XVI ha quindi sottolineato l’importanza di tenere viva “la sensibilità per la pietà popolare” perché – ha notato – “attraverso di essa la fede è entrata nel cuore degli uomini” ed è “un grande patrimonio della Chiesa”. Ha poi evidenziato l’importanza dello studio, affermando che “la fede cristiana ha una dimensione razionale e intellettuale che le è essenziale. Senza di essa la fede non sarebbe se stessa”, e quindi ha rivolto l’invito: “Studiate con impegno! ... non ve ne pentirete”. Ha quindi elencato alcuni dei rami del sapere teologico che un prete è particolarmente chiamato ad approfondire: la Sacra Scrittura, la patristica, la dogmatica, la teologia morale, la dottrina sociale cattolica, la teologia ecumenica, il diritto canonico. Passando poi agli aspetti umani della “maturazione” di un futuro sacerdote, Benedetto XVI ha richiamato le “virtù teologali” accanto a quelle “cardinali”, riservando uno specifico passaggio alla sessualità. Di questa ha affermato che “quando non è integrata nella persona” essa “diventa banale e distruttiva allo stesso tempo”. A questo proposito, ha citato i “sacerdoti che hanno sfigurato il loro ministero con l’abuso sessuale di bambini e giovani”, perchè ''anzichè portare le persone ad un'umanità matura ed esserne l'esempio, hanno provocato, con i loro abusi, distruzioni di cui proviamo profondo dolore e rincrescimento''. Il Papa aggiunge che l'abuso “non può screditare la missione sacerdotale, la quale rimane grande e pura”. Nella parte conclusiva della Lettera ai seminaristi, Benedetto XVI ha poi evidenziato che, “oggi gli inizi della vocazione sacerdotale sono più vari e diversi che in anni passati. La decisione per il sacerdozio si forma oggi spesso nelle esperienze di una professione secolare già appresa. Cresce spesso nelle comunità, specialmente nei movimenti, che favoriscono un incontro comunitario con Cristo e la sua Chiesa, un’esperienza spirituale e la gioia nel servizio della fede”. “I movimenti – ha spiegato - sono una cosa magnifica. Voi sapete quanto li apprezzo e amo come dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Devono essere valutati, però, secondo il modo in cui tutti sono aperti alla comune realtà cattolica, alla vita dell’unica e comune Chiesa di Cristo che in tutta la sua varietà è comunque solo una”. Dopo aver notato che “il seminario è il periodo nel quale imparate l’uno con l’altro e l’uno dall’altro”, il Papa ha anche rilevato che “i candidati al sacerdozio vivono spesso in continenti spirituali completamente diversi”. Pertanto, ha messo in luce come “potrà essere difficile riconoscere gli elementi comuni del futuro mandato e del suo itinerario spirituale. Proprio per questo il seminario è importante come comunità in cammino al di sopra delle varie forme di spiritualità”, ha concluso.