giovedì 25 novembre 2010

Il metropolita Ilarion: nessuna data e nessun preparativo concreto, ma ogni giorno ci avvicina all'incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca di Mosca

L'incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca Kyrill diventa ogni giorno più vicino, secondo la chiesa ortodossa russa. "Ogni giorno ci avvicina a questo incontro tra il Papa e il Patriarca" ha detto il metropolita Ilarion di Volokolam (nella foto con Benedetto XVI), che guida il Dipartimento delle relazioni esterne del Sinodo. "Per ora non siamo pronti a rendere nota la data, nè ci stiamo impegnando in prepararativi concreti, ma certamente siamo sempre più vicini. E' un fatto di calendario eastronomico" ha detto il metropolita ai giornalisti, secondo quanto riferisce Interfax. Il lavoro svolto insieme dalla Chiesa ortodossa e da quella cattolica mira a "migliorare il clima generale e a raggiungere un livello più elevato di comprensione reciproca".

Apcom

Benedetto XVI nel Principato di Monaco nel 2012. Sarà il primo Papa a recarsi in quasi 500 anni

Benedetto XVI ha accettato un invito a recarsi nel Principato di Monaco (foto), il primo viaggio di un Pontefice in quasi 500 anni. "Lo abbiamo invitato numerose volte e ora abbiamo ricevuto una risposta positiva", ha affermato Renè Giuliano, vicario generale dell’arcivescovado del Principato. Il viaggio dovrebbe svolgersi nel 2012. L’ultima volta di un Papa a Monaco, il secondo stato più piccolo del mondo dopo il Vaticano, risale al 1532 sotto il pontificato di Clemente VII. Nell’ottobre 2009, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata il principe Alberto II di Monaco, che si sposerà a luglio.

La Stampa.it

Il presidente del Pakistan concederà la grazia ad Asia Bibi non subito per evitare difficoltà con il governo islamico. La visita del card. Tauran

Il presidente Asif Ali Zardari non concederà subito la grazia ad Asia, ma potrebbe farlo in un secondo momento se i tempi del processo d'appello risultassero troppo lunghi. Lo ha dichiarato oggi il ministro delle Minoranze pakistano, Shahbaz Bhatti, che oggi ha incontrato Zardari. Concedere la grazia alla donna, che secondo un'indagine condotta da Bhatti è ''innocente'' ed è stata ingiustamente accusata di aver offeso il Profeta Maometto, potrebbe creare delle difficoltà politiche per Zardari, scrive il sito di Dawn. La coalizione di governo, infatti, è di stampo islamico e in Pakistan la maggioranza della popolazione è a favore della legge sulla blasfemia, che prevede la pena capitale per chi commette il reato. Ma Bhatti, che ha chiesto personalmente al presidente di concedere la grazia alla donna, ritiene comunque che Zardari ''non aspetterà mesi o settimane'' per dare il via libera al suo rilascio. Intanto, il card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, incontra oggi in Pakistan il presidente Zardari e il ministro Bhatti, nel quadro di un viaggio di tre giorni che cade nel pieno del caso di Asia Bibi. "La visita del card. Jean-Louis Tauran rappresenta un grande incoraggiamento per i cristiani in Pakistan: giunge in un momento critico, in cui si registrano crescenti tensioni sociali e religiose, per il caso di Asia Bibi e per altre ragioni", afferma all'agenzia Fides mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore e Presidente della Conferenza Episcopale del Pakistan. L'agenzia promossa dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli precisa che il viaggio è stato fissato da tempo, ma coincide con il delicato momento in cui il paese affronta e discute, a tutti i livelli, il caso di Asia Bibi. Il cardinale nei prossimi tre giorni avrà incontri con la comunità cattolica, con diverse Commissioni della Conferenza Episcopale e interverrà anche a un meeting interreligioso. Al presidente Zardari il card. Tauran esprimerà l'attenzione della Santa Sede sulla vicenda di Asia Bibi, portando gli auspici espressi nei giorni scorsi dall'appello di Papa Benedetto XVI. "In questo momento - ha detto a Fides mons. Saldanha - siamo preoccupati per il clima di crescente intolleranza. La tensione è salita, si susseguono manifestazioni e appelli dei gruppi islamici radicali che intendono acuire la polarizzazione sociale e religiosa. Speriamo che la missione del cardinale Tauran possa servire a rasserenare gli animi e contribuire alla soluzione del caso di Asia Bibi". "Per la Chiesa - ha sottolineato l'arcivescovo - la modalità più giusta per la soluzione definitiva del caso è una nuova indagine a la celebrazione del processo davanti all'Alta Corte, per accertare in modo inequivocabile la sua innocenza. Un chiaro pronunciamento giuridico di innocenza è l'unico modo per mettere a tacere le proteste". In alternativa, spiegano fonti di Fides, "la grazia presidenziale ha invece il significato di liberare una persona che ammette la sua colpevolezza. Questo causerebbe una autentica rivolta dei gruppi islamisti. Nella cultura feudale e nell'interpretazione islamica corrente, il perdono è inammissibile: all'offesa deve corrispondere una punizione adeguata e l'offesa al Profeta è un delle più gravi". L'agenzia ricorda che movimenti religiosi islamici hanno annunciato per oggi e nei prossimi giorni manifestazioni contro il Presidente Zardari e hanno lanciato minacce al ministro Bhatthi, che si è prodigato per il caso della Bibi. Il Presidente si trova oggi in una posizione molto scomoda, perchè sottoposto alle pressioni dei gruppi islamici che minacciano una rivolta religiosa.

Adnkronos, Apcom

'Luce del mondo'. Magister: Benedetto XVI un pastore che va alla ricerca della pecora smarrita e la prende sulle spalle, e prova molta più gioia

In sei ore di colloquio col giornalista bavarese Peter Seewald (foto) nella quiete estiva di Castel Gandolfo, distribuite in sei giorni come quelli della creazione e trascritte tali e quali in un libro fresco di stampa, Benedetto XVI ha consegnato al mondo la propria immagine più veritiera. Quella di un uomo incantato dalle meraviglie del creato, gioioso, incapace di sopportare una vita vissuta sempre e soltanto "contro", felicemente convinto che nella Chiesa "molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro". "Siamo peccatori", dice Papa Benedetto quando l'intervistatore lo mette all'angolo sull'Enciclica "Humanae vitae", quella che condanna tutti gli atti contraccettivi non naturali. Paolo VI la scrisse e pubblicò nel 1968, e da quell'anno fatidico essa è diventata l'emblema dell'incompatibilità tra la Chiesa e la cultura moderna. Joseph Ratzinger non smentisce una virgola, della "Humanae vitae". La "verità" è quella e tale rimane. "Affascinante", dice, per le minoranze che ne sono intimamente persuase. Ma subito il Papa sposta il suo sguardo sulle masse sterminate di uomini e donne che quella "morale alta" non vivono. Per dire che "dovremmo cercare di fare tutti il bene possibile, e sorreggerci e sopportarci a vicenda". È questo il Papa che emerge dal libro-intervista "Luce del mondo". È lo stesso che si era rivelato così nella sua prima Messa celebrata dopo la nomina a successore di Pietro. Un Pastore che va alla ricerca della pecora smarrita, e la prende sulle spalle come la lana d'agnello del pallio che indossa, e prova molta più gioia per la pecora ritrovata che per le novantanove nell'ovile. Solo che allora pochi l'avevano capito. Il Ratzinger delle figurine è rimasto a lungo il professore gelido, l'inquisitore ferrigno, il giudice spietato. C'è voluta, cinque anni dopo, la tempesta perfetta dei preti pedofili per stracciare definitivamente questa falsa immagine. A differenza di tanti altri personaggi di Chiesa, Benedetto XVI non lamenta complotti, non ritorce le accuse contro gli accusatori. Anzi, nel libro dice che "sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere con loro riconoscenti". E spiega: "La verità, unita all'amore inteso correttamente, è il valore numero uno. E poi i media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei". Dette dall'uomo che al vertice della Chiesa Cattolica è stato il primo a diagnosticare e combattere questa "sporcizia", e poi da Papa a portare il peso maggiore di colpe e omissioni non sue, sono parole che fanno impressione. Ma questo è lo stile con cui Benedetto XVI tratta altre questioni scottanti, nel libro. Va direttamente al cuore dei punti più controversi. Il sacerdozio femminile? Pio XII e gli ebrei? L'omosessualità? Il burka? Il preservativo? L'intervistatore lo incalza e il Papa non si sottrae. A proposito del burka dice di non vedere le ragioni di una proibizione generalizzata. Se imposto alle donne con la violenza, "è chiaro che non si può essere d'accordo". Ma se è indossato volontariamente, "non vedo perché glielo si debba impedire". Al Papa si potrà obiettare che un velo che ricopra completamente il volto ponga problemi di sicurezza in campo civile. Obiezione legittima, perché l'intervista lui l'ha data anche per aprire discussioni, non per chiuderle. Nella prefazione a un altro suo libro, quello su Gesù uscito nel 2007, Joseph Ratzinger scrisse che "ognuno è libero di contraddirmi". E tenne a precisare che non si trattava di un "atto magisteriale" ma "unicamente di un'espressione della mia ricerca personale". Dove il Magistero della Chiesa sembra tremare, nell'intervista, è quando il Papa parla del preservativo, giustificandone l'uso in casi particolari. Nessuna "svolta rivoluzionaria", ha prontamente chiosato padre Federico Lombardi, voce ufficiale della sede di Pietro. Infatti, già molti cardinali e vescovi e teologi, ma soprattutto schiere di parroci e missionari ammettono pacificamente da tempo l'uso del preservativo, per tante persone concrete incontrate nella "cura d'anime". Ma un conto è che lo facciano loro, un conto che lo dica a voce alta un Papa. Benedetto XVI è il primo Pontefice nella storia a varcare questo Rubicone, con disarmante tranquillità: lui che solo due primavere fa aveva aveva scatenato nel mondo un fragoroso coro di proteste per aver detto, in volo verso l'Africa, che "non si può risolvere il flagello dell'AIDS con la distribuzione di preservativi: ma al contrario, il rischio è di aumentare il problema". Era il marzo del 2009. Si accusò Benedetto XVI di condannare a morte miriadi di africani in nome della cieca condanna del protettivo di lattice. Quando in realtà il Papa voleva richiamare l'attenzione sul pericolo, in Africa comprovato dai fatti, che a un più largo uso del preservativo si accompagni non un calo ma un aumento del sesso occasionale e promiscuo e dei tassi di infezione. Nell'intervista, Papa Ratzinger riprende il filo di quel suo ragionamento, all'epoca largamente frainteso, e osserva che anche fuori della Chiesa, tra i maggiori esperti mondiali della lotta contro l'AIDS, è sempre più condivisa la maggiore efficacia di una campagna centrata sulla continenza sessuale e sulla fedeltà coniugale, rispetto alla indiscriminata distribuzione del preservativo. "Concentrarsi solo sul profilattico – prosegue il Papa – vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé". A questo punto uno si aspetterebbe che Benedetto XVI ribadisca la condanna assoluta del preservativo. E invece no. Prendendo il lettore di sorpresa, egli dice che in vari casi il suo uso può essere ammesso, per ragioni diverse da quelle contraccettive. E porta l'esempio di "un prostituto" che utilizza il profilattico per evitare il contagio: l'esempio, cioè, di un'azione che resta comunque peccaminosa, nella quale però il peccatore ha un sussulto di responsabilità, che il Papa giudica "un primo passo verso un modo diverso, più umano, di vivere la sessualità". Se questa comprensione amorevole vale per un peccatore, a maggior ragione deve quindi valere per il caso classico incontrato in Africa e altrove da parroci e missionari: quello di due coniugi uno dei quali è malato di AIDS e usa il profilattico per non mettere in pericolo la vita dell'altro. Tra i cardinali che hanno sinora prospettato, più o meno velatamente, la liceità di questo e di altri comportamenti analoghi vi sono gli italiani Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, il messicano Javier Lozano Barragán, lo svizzero Georges Cottier. Quando però nel 2006 La Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il previo controllo della segreteria di stato vaticana, affidò l'argomento a un grande esperto sul campo, padre Michael F. Czerny, direttore dell'African Jesuit AIDS Network con sede a Nairobi, l'articolo uscì purgato dei passaggi che ammettevano l'uso del preservativo per frenare il contagio. C'è voluto Papa Benedetto per dire quello che nessuno aveva fin qui osato, al vertice della Chiesa. E basta questo per fare di lui un umile, mite rivoluzionario.

Sandro Magister, L'Espresso