martedì 27 dicembre 2011

'Africae munus'. La donna secondo il documento: trasmettitrice di vita, è effettiva garanzia anche dell’incarnazione del processo di pace nella storia

Nell’Esortazione Apostolica postsinodale "Africae munus", Benedetto XVI praticamente all’inizio (Introduzione, 4) dichiara di essere rimasto impressionato dal realismo e dalla lungimiranza degli interventi al Sinodo del 2009. Vale per tutti gli aspetti della riflessione fatta dalla Chiesa universale sulla sua condizione in Africa, ma vale anche per comprendere meglio l’azione di quelle Chiese locali, di quelle società civili che in parte educano e formano, degli attori di questa realtà. Terra tradizionalmente di missione, l’Africa trova oggi, nonostante la sua persistente emarginazione dai grandi consessi internazionali, una sua propria capacità di missione che è anche servizio sociale, contributo culturale e persino antropologico alla costruzione di una convivenza internazionale diversa. In questo il ruolo più cruciale, il sentire più qualificante, del quale l’"Africae munus" dà conto, è forse quello al femminile. Del resto, intorno alla donna si costruisce la casa e si definisce la pace. Una pace che non è parentesi tra situazioni di conflitto, ma assunzione di senso, persino oltre il tempo contingente. La donna, trasmettitrice di vita, è effettiva garanzia anche dell’incarnazione del processo di pace nella storia. Non a caso, l’Esortazione ricorda che "nella visione africana del mondo, la vita viene percepita come una realtà che ingloba gli antenati, i vivi e i bambini che devono nascere, tutta la creazione e ogni essere: quelli che parlano e quelli che sono muti, quelli che pensano e quelli che non hanno alcun pensiero. L’universo visibile e invisibile viene considerato come uno spazio di vita degli uomini, ma anche come uno spazio di comunione ove le generazioni passate sono a fianco, in maniera invisibile, delle generazioni presenti, madri a loro volta delle generazioni future" (III, 69). Di questa duplice direzione, che per il cristiano è comunione dei santi e apertura alla vita, le donne sono la principale forza visibile. Di questo alle donne africane il Papa dà un riconoscimento non solo religioso e spirituale, ma anche, in linea con la cifra antropologica del suo ministero così come è andato delineandosi negli anni, sociale e persino propriamente politico, offrendo loro la dottrina sociale della Chiesa come strumento prezioso per impegnarsi con discernimento nei diversi progetti che le riguardano, portando alla società tutta il contributo dei doni propriamente femminili, l’amore e la tenerezza, l’accoglienza e la delicatezza, e infine la misericordia. Questi valori, che le donne sanno trasmettere ai figli e di cui il mondo ha bisogno, sono quelli che favoriscono la riconciliazione degli uomini e delle comunità, in sintesi la costruzione della pace (II, D, 59). Azione propriamente politica è colmare i ritardi, in Africa come altrove, che ostacolano ancora il riconoscimento della donna nella sua dignità e nei suoi diritti. Di qui, anche il forte invito del Papa "a combattere ogni atto di violenza contro le donne, a denunciarlo e a condannarlo" e l’ammonimento secondo il quale "converrebbe che i comportamenti all’interno stesso della Chiesa siano un modello per l’insieme della società" (II, D, 56).

Pierluigi Natalia, L'Osservatore Romano

Dignità al femminile: la donna secondo il documento conclusivo del Sinodo speciale per l’Africa

La nomina del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e lo strano caso della teologia della liberazione rivalutata in Vaticano

La possibile candidatura di Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona, quale nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede al posto del card. William Joseph Levada, ha suscitato qualche perplessità all’interno della Curia romana per via dei suoi legami con il fondatore della teologia della liberazione, il prete peruviano domenicano Gustavo Gutiérrez. Il 23 dicembre, tuttavia, è stato L’Osservatore Romano a ricalibrare la figura di Müller pubblicando un suo articolo uscito lo scorso 6 dicembre sulla Tagespost. Il vescovo Müller, che vanta nel suo curriculum la cura dell’“Opera omnia” del teologo Joseph Ratzinger, ricorda che proprio all’interno della prossima uscita in Germania, nel febbraio 2012, del volume dedicato all’Escatologia saranno pubblicati due testi di Papa Ratzinger nei quali egli, oltre a enucleare i “pericoli” insiti nel movimento teologico ne mostra anche “i princìpi positivi”. Se risulta difficile affermare con certezza che l’uscita del quotidiano vaticano sia stata pensata per rivalutare il curriculm di Müller agli occhi dei critici, si può invece sostenere che all’interno della Santa Sede è in atto una sorta di rivalutazione di una teologia che, durante gli anni di Pontificato di Giovanni Paolo II, era stata costantemente criticata. A una visione della teologia politicizzata che ha rischiato di ridurre la Chiesa ad attività terrene, ha risposto anzitutto Wojtyla il quale, nel 1979 in Messico, dichiarò che la “concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa”. Il prefetto Joseph Ratzinger aveva la medesima visione di Wojtyla. Ma è anche vero che, come dice Müller, i documenti usciti dalla sua penna quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, “Libertatis nuntius” del 1984 e “Libertatis coscientiae” del 1986, non contenevano solo critiche. Dice Müller che, al contrario, prepararono la strada a “una vera teologia della liberazione che è strettamente legata alla dottrina sociale della Chiesa e che nel mondo di oggi deve levare la propria voce. Una visione che, partendo dalla fede, realizza la realtà intera, storica del’uomo, come singolo e come società, offre orientamenti comportamentali non solo a singoli cristiani, ma anche sul piano delle decisioni politiche ed economiche”. Oggi la teologia della liberazione è ancora viva. Recentemente è stato il suo fondatore, il prete peruviano Gustavo Gutiérrez, a dichiarare che essa “è ancora viva in America latina nonostante le ultime quattro decadi e il suo messaggio centrale, l’opzione preferenziale per i poveri, si ripercuote sul compito pastorale della Chiesa”. A Roma c’è un prefetto di Congregazione che viene da quell’esperienza. E’ l’arcivescovo brasiliano João Braz de Aviz, chiamato a guidare la Congregazione dei religiosi. Quando lo scorso febbraio arrivò a Roma, rilasciò un’intervista su L’Osservatore Romano nella quale spiegò che la teologia della liberazione “non è solo utile ma anche necessaria’”. Perché ha permesso alla Chiesa di scoprire “l’opzione preferenziale per i poveri”, che è una “opzione evangelica”.

Paolo Rodari, Il Foglio

Il Papa: giovani, la fiducia attinta nella fede in Cristo rende più lungimiranti e disponibili per rispondere alle numerose sfide e difficoltà di oggi

Benedetto XVI ha inviato un messaggio alla Comunità di Taizè in occasione dell’appuntamento europeo dei giovani, organizzato ogni anno dalla Comunità per gli ultimi giorni dell'anno, che si tiene per la prima volta a Berlino, da domani al 1° gennaio 2012, su invito delle Chiese cattolica e protestante e del Comune berlinese. "Mentre siete riuniti a Berlino con migliaia di giovani di tutta l’Europa ed anche di altri continenti, per cercare insieme ai fratelli della Comunità di Taizè di approfondire le sorgenti della fiducia, Sua Santità, Papa Benedetto XVI si unisce a voi nella preghiera e vi incoraggia ad aprire percorsi di fiducia in tutto il mondo", si legge nei passi del messaggio pubblicati sul sito della Comunità. "Voi lo sapete, la fiducia non è cieca ingenuità - aggiunge il Papa -. Liberandovi dalla schiavitù della paura, questa fiducia, attinta nella vostra fede in Cristo e nella vita del suo Spirito Santo nei vostri cuori, vi rende più lungimiranti e disponibili per rispondere alle numerose sfide e difficoltà alle quali devono far fronte gli uomini e le donne di oggi".

Vatican Insider

Berlino: Estratti dai messaggi ricevuti

Il 2011 di Benedetto XVI. Le catechesi delle Udienze generali: un viaggio tra i giganti della Chiesa e il valore della preghiera

Quella che Benedetto XVI presiederà domattina alle 10.30, in Aula Paolo VI, sarà la 45° e ultima udienza generale del 2011. In questi dodici mesi, circa 400mila persone hanno partecipato agli incontri del mercoledì per ascoltare le catechesi del Papa, contrassegnate da una grande varietà di argomenti. Dopo aver terminato nella prima parte dell’anno la rassegna sulle grandi figure di Santi e Sante del XVI e XVII secolo, Benedetto XVI ha sviluppato un’ampia riflessione sul rapporto tra l’uomo e la preghiera, per poi proseguire in questi ultimi mesi con una serie di meditazioni su alcuni Salmi. Prima gli esempi, poi gli strumenti. Il colpo d’occhio generale dei temi trattati finora dal Papa nell’arco delle 44 Udienze generali del 2011, esclusa quella di domani, sembrerebbero suggerire, fra altri possibili, questo legame. Prima gli esempi, cioè i Santi; poi gli strumenti, ovvero la preghiera come attitudine da coltivare e sviluppare e i Salmi come forma antica e intramontabile di rivivere l’eterno rapporto tra l’uomo e Dio. Benedetto XVI apre l’anno, ma in realtà è una prosecuzione dal 2010, con una figura femminile, Caterina da Genova, e chiude il ciclo dedicato ai Santi del 1500 e del 1600 con un’altra donna, Teresa di Lisieux. In mezzo, il Papa passa di personaggio in personaggio, fra Teresa d’Avila e Francesco di Sales, Giovanna d’Arco e Alfonso Maria de' Liguori, per concludere in aprile con una confidenza: “Per me non solo alcuni grandi Santi che amo e che conosco bene sono ‘indicatori di strada’, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede” (13 aprile 2011).
Proprio queste parole dedicate dal Papa a tanti giganti della Chiesa fanno spiccare meglio la semplice e mai scontata verità del cristianesimo che fa della santità una meta per chiunque. Ma partendo da dove? Nella stessa udienza conclusiva del ciclo, Benedetto XVI lascia un “indizio” sulle sue intenzioni per le catechesi successive: “Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio” (13 aprile 2011).
La preghiera, dunque. È qui che il Papa approda dopo la Pasqua. Per dieci, intense meditazioni, da maggio ad agosto, il Pontefice si addentra nel paesaggio spirituale della preghiera, in quel “corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente”, come la definisce in una occasione. Illuminismi, ateismi di Stato, secolarismo rampante, afferma, nonostante i loro sforzi non hanno schiacciato il “mondo del sacro”, perché l’acqua di un’ideologia non disseterà mai davvero un’anima: “L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena...L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare” (11 maggio 2011).
Dai Profeti a Cristo, Benedetto XVI spazia tra i millenni della Bibbia fino a stringere, dopo l’estate, sulla strada dei Salmi, in parte già trattati all’inizio del Pontificato sulla scia delle udienze generali di Giovanni Paolo II. Toccante, fra le altre, è la riflessione sull’apparente “silenzio di Dio” che talvolta sperimenta chi prega in preda al dolore e che sfiora, per un abissale momento di solitudine, anche Gesù sulla Croce. Parole ispirate dal Salmo 22 che nascono da una sapienza antica e che descrivono con lucida esattezza lo strazio patito dai tanti cristiani in queste ore, vittime di un odio cieco: “Quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità” (14 settembre 2011).
Ma ecco che, per il cristiano, è proprio la scena di violenza del Calvario a dare un senso alle violenze senza spiegazione che abbondano in troppe cronache. Benedetto XVI lo ricorda a fine ottobre, alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace di Assisi. Una consolazione che scaturisce nei cuori e nelle menti di coloro che sanno parlare di Dio e con Dio: “La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore” (26 ottobre 2011).

Radio Vaticana