lunedì 3 settembre 2012

Il Papa: il card. Martini uomo di Dio che ha amato intensamente la Sua Parola. Egli accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa

“In questo momento desidero esprimere la mia vicinanza, con la preghiera e l’affetto, all’intera arcidiocesi di Milano, alla Compagnia di Gesù, ai parenti e a tutti coloro che hanno stimato e amato il card. Carlo Maria Martini e hanno voluto accompagnarlo per questo ultimo viaggio”. Così Benedetto XVI nel messaggio letto questo pomeriggio dal suo inviato card. Angelo Comastri, vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica papale di San Pietro in Vaticano, durante i funerali del porporato, scomparso il 31 agosto, presieduti nel Duomo di Milano dal cardinale arcivescovo Angelo Scola. Richiamando le parole del salmista, “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”, il Papa ha sottolineato come queste “possono riassumere l’intera esistenza di questo Pastore generoso e fedele della Chiesa. È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse ‘ad maiorem Dei gloriam’, per la maggior gloria di Dio”. Proprio per questo, secondo il Pontefice, il card. Martini “è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore”. E il card. Martini è stato capace di farlo “con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere ‘pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’. Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza”. Benedetto XVI ha, quindi, ricordato un passaggio di un’omelia del cardinale scomparso: “Ti chiediamo, Signore, che tu faccia di noi acqua sorgiva per gli altri, pane spezzato per i fratelli, luce per coloro che camminano nelle tenebre, vita per coloro che brancolano nelle ombre di morte. Signore, sii la vita del mondo; Signore, guidaci tu verso la tua Pasqua; insieme cammineremo verso di te, porteremo la tua croce, gusteremo la comunione con la tua risurrezione. Insieme con te cammineremo verso la Gerusalemme celeste, verso il Padre”. “Il Signore, che ha guidato il card. Carlo Maria Martini in tutta la sua esistenza - ha concluso il Papa -, accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa nella Gerusalemme del Cielo. A tutti i presenti e a coloro che ne piangono la scomparsa, giunga il conforto della mia benedizione”. “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me”: riprendendo questo passo del Vangelo di Luca, il card. Scola ha iniziato la sua omelia nelle esequie del card. Martini, la cui “lunga vita”, ha osservato il porporato, “è specchio trasparente di questa perseveranza, anche nella prova della malattia e della morte”. “Per lui - ha aggiunto il card. Scola - è pronto un regno come quello che il Padre ha disposto per il Figlio Suo, l’Amato. Il fatto che non sia un luogo fisico, a nostra misura, non ci autorizza a ridurre il paradiso a una favola. Il card. Martini, che ha annunciato e studiato la Risurrezione, l’ha più volte sottolineato”. Perciò, “il nostro cardinale Carlo Maria, tanto amato, non si è quindi dileguato in un cielo remoto e inaccessibile”. Piuttosto, “egli, entrando nel Regno, partecipa del potere di Cristo sulla morte ed entra nella comunione con il Dio vivente”. “Il card. Martini non ci ha lasciato un testamento spirituale, nel senso esplicito della parola. La sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero e noi dovremo continuare ad attingervi a lungo”. “Affidare al Padre questo amato pastore - ha proseguito - significa assumersi fino in fondo la responsabilità di credere più che mai in questo Anno della fede e la responsabilità di testimoniare il bene della fede a tutti. Ci chiede il nostro amato cardinale di diventare, con lui, mendicanti di Cristo”. Secondo il card. Scola “questo è il grande lascito del card. Carlo Maria: davvero egli si struggeva per non perdere nessuno e nulla. Egli, che viveva eucaristicamente nella fede della risurrezione, ha sempre cercato di abbracciare tutto l’uomo e tutti gli uomini. E lo ha potuto fare proprio perché era ben radicato nella certezza incrollabile che Gesù Cristo, con la Sua morte e risurrezione, è perennemente offerto alla libertà di ognuno”. Nel suo ministero il card. Martini ha riversato, tra l’altro, “disponibilità all’accoglienza di tutti, sensibilità ecumenica e al dialogo interreligioso, cura per i poveri e i più bisognosi, ricerca di vie di riconciliazione per il bene della Chiesa e della società civile”. E infine l’auspicio conclusivo: "Caro arcivescovo Carlo Maria, la Madonnina, l’Assunta, con gli Angeli e i Santi che affollano il nostro Duomo, ti accompagni alla meta che tanto hai bramato: vedere Dio faccia a faccia".
6mila persone all'interno del Duomo e altre 15mila fuori, a seguire la funzione da due maxischermi. Così Milano ha reso l'ultimo saluto all'arcivescovo che ha guidato la diocesi ambrosiana per più di vent'anni. La cerimonia ha visto una significativa presenza di delegazioni di diversi credi e fedi religiose: buddisti, musulmani, cristiani ortodossi, coopti, protestanti e valdesi. Presenti inoltre, secondo le cifre fornite dalla diocesi, 39 vescovi, 1200 sacerdoti. Tra le autorità e i politici anche il presidente del Consiglio Mario Monti, in prima fila accanto alla moglie Elsa. Sul feretro, come nei giorni della camera ardente, è stato posta una copia dell'Evangelario Ambrosiano, aperto sulla pagina del Vangelo della Resurrezione Pasquale. L'appello lanciato all'inizio della funzione di evitare battiti di mani e altri comportamenti poco rispettosi è stato vano. Terminata la funzione, all'interno della Cattedrale che dalla folla riunita in piazza si è sollevato un lungo e commosso applauso. Infine il saluto di Scola, uscito sul sagrato a portare la propria benedizione ai fedeli rimasti fuori dal Duomo. ''La sofferenza per la dipartita di questa grande personalità non ci toglie la certezza che egli è vivo e che continuerà ad accompagnare ciascuno di noi nei suoi bisogni, nelle sue domande e nelle sue urgenze''.

SIR, IncrociNews, Vatican Insider

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN OCCASIONE DELLE ESEQUIE DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI

L'omelia del card. Scola

Esce in Germania il libro di Nuzzi 'Sua Santità' con documenti finora inediti. L'irritazione del Papa verso i vescovi tedeschi e la Nunziatura

L'uscita in Germania del libro "Sua Santita'" di Gianluigi Nuzzi, arricchito per questa circostanza di documenti finora inediti, rivela "una profonda spaccatura tra Vaticano ed Episcopato tedesco", ma anche "l'irritazione di Benedetto XVI per le critiche di Angela Merkel (foto) nei suoi confronti". Der Spiegel rivela che i vescovi tedeschi attendono con ansia il volume che rivela "nuovi scottanti documenti" sul conflitto tra la Chiesa tedesca, la Curia e il Papa. Il libro di Nuzzi, anticipa il giornale tedesco, rivela che in una nota confidenziale Benedetto XVI scrisse che "la reazione del nunzio alle affermazioni della signora Merkel è troppo fiacca. Sarebbero state necessarie forti parole di protesta". Il Papa si sarebbe lamentato anche del poco risalto dato dal nunzio e dai vescovi tedeschi al suo incontro con i protestanti in occasione del suo ultimo viaggio in Germania del settembre dell'anno scorso. Nuzzi afferma che "il Papa si arrabbia di continuo sia con alcuni cardinali tedeschi, sia con la Nunziatura di Berlino", mentre "anche da parte dell'Episcopato tedesco le lamentele non ufficiali mostrano che il potere centrale di Roma procura mal di pancia". Secondo l'autore, il Vaticano e la Chiesa tedesca sono "due mondi completamente diversi, che ormai vanno da così tanto tempo ognuno per proprio conto che non è più possibile rimetterli insieme". L'insoddisfazione del Vaticano sarebbe concentrata soprattutto sul nunzio apostolico a Berlino, mons. Jean-Claude Perisset, considerato troppo accondiscendente con le posizioni della Chiesa tedesca, in particolare in occasione delle polemiche scatenate dall'annullamento nel 2009 della scomunica nei confronti dei vescovi dellla Fraternità di San Pio X, tra cui il negazionista Richard Williamson. In quella circostanza Angela Merkel aveva invitato il Papa a "chiarire che la negazione è inammissibile", ciò che fino al quel momento "non è stato sufficientemente affermato". In una nota ai suoi più stretti collaboratori, Papa Ratzinger avrebbe espresso la sua amarezza per il modo in cui la Chiesa tedesca agirebbe nei suoi confronti. "Mi meraviglia che il nunzio condivida 'completamente' le raccomandazioni del card. Lehmann, il quale ha affermato che il Santo Padre si dovrebbe scusare con gli ebrei. Da quello che sento, il vescovo di Rottenburg-Stoccarda, ma anche l'arcivescovo di Amburgo, hanno criticato il Santo Padre". Nei giorni scorsi il nunzio apostolico Perisset in un'intervista al quotidiano Koelner Stadt-Anzeiger ha detto di non essere meravigliato che "anche nella Chiesa di Cristo non tutto corrisponde al Vangelo". La cosa peggiore, aveva aggiunto, è che "non si può avere più fiducia nemmeno nella nostra cerchia più ristretta". In un'intervista alla Berliner Zeitung, Nuzzi spiega che "tutto lo scandalo sul vescovo negazionista Williamson ha irritato molto il Pontefice. Ci sono stati contrasti con il nunzio apostolico e ci si attendeva che i cardinali tedeschi prendessero chiaramente posizione contro le critiche del cancelliere Merkel al Papa".

Agi

Card. Martini: Benedetto, il testimone della fede. Le sue parole mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione

di Carlo Maria Martini

La mia prima conoscenza con l'opera del card. Joseph Ratzinger rimonta alla fine degli anni Sessanta. Erano anni di grandi turbolenze spirituali e culturali. Mi trovavo in ritiro in una casa ospitale nella Selva Nera e cercavo di preparare una conversazione che avrei dovuto tenere in Italia a un gruppo di sacerdoti. Mi aspettavo, come era d'uso a quel tempo, molte domande, contestazioni, difficoltà. Ero alla ricerca di un qualche libro che mi aiutasse a mettere giù le idee in modo chiaro e sereno. Fu così che ebbi tra le mani il testo tedesco della "Introduzione al Cristianesimo" di Joseph Ratzinger, uscita poco prima (1968). Ricordo ancora oggi il gusto con cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione. Sentivo che venivano da qualcuno che aveva a lungo meditato sul messaggio cristiano e lo esponeva con sapienza e dolcezza. Conservo ancora oggi quegli appunti. Fu in particolare da quella lettura che ritenni il tema del "forse è vero" con cui si interroga l'incredulo, e che mi guidò poi per realizzare la "Cattedra dei non credenti". In quel decennio avevo avuto un'altra occasione di incontrarmi, questa volta in maniera più personale, con l'allora prof. Ratzinger. Mi trovavo a Münster per una ricerca sulla critica testuale, e partecipavo saltuariamente ad alcune altre lezioni nell'Università. Fu così che, alla vigilia della festa del Corpus Domini, andai ad ascoltare una lezione del prof. Ratzinger. Aveva proprio come tema l'Eucaristia e l'adorazione eucaristica, e fece dei riferimenti alla grande processione cittadina che si sarebbe tenuta il giorno seguente. Mi colpì la pertinenza, la delicatezza, la chiarezza e il coraggio delle sue asserzioni. Avevo davanti a me un grande cattedratico che non temeva di fare dei riferimenti alla vita concreta e agli eventi di una Chiesa locale. Un terzo momento di conoscenza più diretta fu durante il Sinodo sulla famiglia del 1980, di cui il card. Ratzinger fu il relatore. Per un mese intero potei osservarlo nell'Aula sinodale, vedere con quanta attenzione ascoltava i discorsi che si facevano e con quanta pertinenza interveniva e rispondeva. Mi colpì il fatto che, in un momento particolarmente delicato dei lavori sinodali, confessò con semplicità che, avendo lavorato fin tardi nella notte seguente, non era riuscito di fatto a mettere insieme il testo che ci si aspettava, e così chiedeva di rimandare il suo intervento. Non sapevo se ammirare di più la sua saggezza o la sua sincerità. Era stato molto prudente nel non affrettare le conclusioni su un problema difficile e insieme aveva avuto il coraggio di riconoscere che il gruppo di lavoro non era ancora riuscito a terminare il suo compito. Quando egli divenne prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ebbi più frequenti occasioni sia di leggere i suoi scritti sia di frequentarlo nelle sessioni ordinarie della Congregazione. Potei così ammirare maggiormente questo mio confratello nel l'episcopato che svolge un servizio dottrinale e pastorale di grande rilievo accanto al Successore di Pietro. Egli è impegnato a servire il ministero di unità nella Chiesa universale in campo dottrinale. Un compito difficile, perché occorre da una parte accettare e accogliere la molteplicità dei contributi in campo dottrinale che pervengono dalle diverse aree del pensiero e della cultura: non si tratta infatti di ricondurre tutto a un pensiero uniforme, ma di valorizzare le diversità. Dal l'altra occorre difendere la fede dalle sue contraffazioni e mettere in guardia di fronte ai pericoli. Si tratta di un compito arduo e difficile, a cui si può rispondere solo con la riflessione, la preghiera, la pazienza e l'ascolto. Bisogna anche accettare di dare tempo al tempo. Vi sono cose poco chiare che si chiariranno, vi sono intenzioni recondite che verranno svelate. La Chiesa confida nella forza dello Spirito Santo che sorregge i pastori e guida il senso di fede dei fedeli. Il card. Ratzinger ha portato a esecuzione, come prefetto, il cambiamento intercorso nel compito della Congregazione per la Dottrina della Fede, da un ruolo meramente difensivo a un ruolo più propositivo, voluto dalle norme di Paolo VI del 1965. Ci si trova così di fronte a grandi sfide: come articolare pluralismo e unità nella fede? Come garantire la promozione dell'inculturazione del messaggio e al tempo stesso la comunione e la comunicazione fra i linguaggi in cui esso si esprime? Qual è il confine fra le esigenze della custodia del "depositum" e quelle dell'incoraggiamento e della promozione, finalizzata a rendere l'annuncio percepibile nei diversi orizzonti ermeneutici? Come aiutare i teologi senza dar loro l'impressione di sentirsi sotto tutela o censura? Mi sembra che la collocazione del card. Joseph Ratzinger di fronte al problema di questa nostra svolta epocale dipenda anzitutto dalla sua fede e dalla sua rettitudine, in secondo luogo dalla sua perizia teologica e dalla sua straordinaria capacità dialettica e infine anche, come per ciascuno di noi, dalla sua biografia. Egli ha sperimentato, nelle università tedesche degli anni Sessanta e dell'inizio degli anni Settanta, le conseguenze di atteggiamenti troppo disinvolti e facili, in particolare degli studenti, verso le ricchezze della tradizione. Ha sentito personalmente la durezza di una contestazione che partiva da premesse anche valide, come la riconduzione del cristianesimo alla sua primitiva semplicità e povertà e la preoccupazione per la giustizia, ma rischiava di lasciarsi irretire da una parte dalla politica e dall'altra da un oblio e quasi da un risentimento verso il cammino della grande tradizione e verso la sua saggezza. Sono le preoccupazioni che ho letto con interesse e con attenzione critica soprattutto nei suoi libri, diciamo così, "di battaglia" o "di missione", derivanti da prediche o da interviste, dove esprime con calore le sue convinzioni al di là dei complicati rivestimenti del linguaggio scientifico. Mi riferisco in particolare al notissimo libro "Rapporto sulla fede" uscito nella prima metà degli anni Ottanta. Ricordo bene che ebbi occasione di rifletterci in particolare durante un viaggio in Africa, ripensando ai diversi modi di dire il Vangelo nelle diverse culture e riflettendo, nel quadro di un corso di esercizi spirituali che predicavo ai missionari, sui modi di parlare di Dio oggi, confrontati col linguaggio parabolico di Gesù. Il tema della diversità dei linguaggi e del loro rapporto reciproco attraversa infatti tutta la storia della Chiesa e richiede una continua attenzione per valutare, nei casi difficili, la continuità dell'unica tradizione.Il cammino della Chiesa lungo i secoli è sempre stato percorso da fremiti dottrinali, da convulsioni e insieme da aperture feconde, da slanci e da orizzonti nuovi. Ciascuno di noi cerca di capire e di discernere per distinguere il vero dal falso, l'oro dalle scorie, e di servire così la verità al meglio delle proprie forze e della propria intelligenza, affidandosi infine al mistero di Dio che è sempre più grande del nostro cuore e della nostra capacità di esprimerlo. In questo contesto, la passione per la verità che Joseph Ratzinger ha testimoniato coerentemente in tutti questi anni, va intesa come risposta al "debolismo" della post-modernità. È significativa la stima di cui Joseph Ratzinger gode anche fra uomini di cultura non credenti. Nello stesso tempo non ci si può aspettare che un'opera così delicata riceva facilmente il plauso di tutti né che vengano evitati casi dolorosi. Vi sono sempre stati casi difficili nella storia della Chiesa, e talora il senno di poi ha mostrato che forse si sarebbe potuto procedere in altro modo. Ma il senno di poi è dato ai posteri, mentre ai contemporanei si richiede di agire ciascuno nel massimo della buona coscienza e della competenza. In queste cose Joseph Ratzinger ci è di modello e di stimolo.

Il Sole 24 Ore

Il Papa in Libano. Patriarca Rai: in questi giorni di attesa e preparazione siamo testimoni di amore e verità nel Paese e in tutta la regione

Il Patriarca maronita Bechara Rai (foto) ha invitato tutti i libanesi a far sì che le loro divisioni interne non mettano in crisi la qualità dell'accoglienza da riservare a Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Libano dal 14 al 16 settembre. Proprio ieri, all'Angelus, il Pontefice ha confermato in modo indiretto il suo viaggio in Libano per firmare e diffondere il testo dell'Esortazione Apostolica a seguito del Sinodo delle Chiese del Medio oriente, tenutosi in Vaticano nell'ottobre 2010. Nel corso di una visita pastorale alla regione del Monte Libano, il Patriarca ha detto: "Ci prepariamo a ricevere in Libano il Papa Benedetto XVI. Riceviamolo con il nostro tipico senso di ospitalità. Viviamo un tempo privilegiato in cui il Libano ha un importate ruolo da giocare. Non è un caso che il Papa venga in Libano e da questa terra lanci il messaggio all'Oriente. Non accettiamo che questo ruolo sia compromesso dalle nostre divisioni e divergenze, dalle nostre crisi economiche e sociali... Il Papa sarà con noi per i cristiani d'Oriente; il documento che egli firmerà qui da noi è più di un documento: è ciò che lo Spirito dice alle Chiese in questo tempo che viviamo. È l'annunciatore di una nuova primavera per la Chiesa e custodisce il principio vitale di una primavera araba". Il Patriarca ha anche deplorato che la lezione della lunga guerra in Libano (1975-1990) non sia servita a nulla per la Siria: "Che almeno i libanesi - ha aggiunto - conservino le lezioni del proprio passato". Il Patriarca Rai ha poi abbozzato un quadro preoccupante dello stato delle relazioni sociali e politiche in Libano. Egli è testimone "della durezza dei cuori", del fatto che "la menzogna e l'ipocrisia inquinano le relazioni", della "profondità dell'odio che si portano uomini e donne, con espressioni che scoppiano al minimo pretesto". Constatando le divisioni che vi sono nel mondo arabo, egli ha aggiunto che tale mondo "ha bisogno dei cristiani del Libano e del mondo arabo", dei cristiani che a suo parere "non sono né una minoranza, né degli ospiti di passaggio..., dei cristiani che portano il messaggio del Vangelo della pace, che è nato in questa parte del mondo a cui noi abbiamo l'onore di appartenere". "In questi giorni di attesa e preparazione - ha concluso - siamo testimoni di amore e verità in Libano e in tutta la regione; è la nostra missione in tutte le circostanze difficili che abbiamo conosciuto fin dal 1975: che sia tracciata una strada di giustizia nel deserto dell'oppressione; una strada d'amore nel deserto dell'odio; una strada di verità nel deserto della menzogna; una strada di umiltà nel deserto dell'orgoglio".

Fady Noun, AsiaNews

Il Patriarca Gregorios Laham: la visita del Papa in Libano è un messaggio di pace per tutto il Medio Oriente

Padre Horn: per il Papa è necessario la purificazione della memoria con i luterani. Grande serenità interna nel parlare di Vatileaks, non è fragile

A margine dell'incontro di studio dei suoi ex allievi, Benedetto XVI ha fatto riferimento a Vatileaks, cioè alla fuga di documenti riservati dal suo appartamento. "Ha parlato anche di queste cose con grande serenità interna e rimane saldo nel suo ministero: non è fragile, ma lavora normalmente", ha affermato ai microfoni di Radio Vaticana il presidente del "Ratzinger Schulerkreis", padre Stephan Horn. "Noi tutti - ha aggiunto - abbiamo l'impressione che questo incontro sia stato uno dei migliori. Avevamo già meditato il tema, dentro di noi, prima dell’incontro con il Santo Padre, e abbiamo parlato delle nostre esperienze specialmente nell’incontro con i luterani in Germania. Abbiamo l’impressione, dunque, che si siano fatti dei progressi e che si sia sviluppata una maggiore amicizia". Per il sacerdote non "grandi nuovi sviluppi, ma in molti sensi di una grande vicinanza. Questa è pure l’idea che il Santo Padre ha sottolineato: il dialogo, anche il dialogo della vita, è un vero progresso ecumenico. Non è utile pensare solo a una definitiva unità, ma a compiere i passi che possiamo fare. E questo dialogo è davvero molto necessario e utile". In vista del 500° anniversario della Riforma protestante, "è stata sviluppata l’idea di un 'mea culpa' di ambedue le parti. Il Santo Padre ha sempre avuto l’idea che fosse necessario la purificazione della memoria. E’ un tema - ha affermato padre Horn - che ha sviluppato da tempo. Naturalmente, i fatti storici non possono essere cancellati, però la differenza sta nel come si vedono queste cose: cancellare il veleno di questi conflitti è un vero risanamento. Questo aiuta molto per una maggiore vicinanza nel futuro. Forse, però, non è utile organizzare solo un grande evento: compiere queste cose nella vita quotidiana dei cristiani sembra essere di grande aiuto". All'inizio dell'incontro il Papa, in particolare, ha raccontato il religioso salvatoriano, "è stato colpito specialmente dalla gioia della fede trovata nel Benin, come anche in Messico, mentre a Cuba, forse, la società non può mostrare così liberamente i sentimenti del proprio cuore". "Questa gioia della fede - ha concluso padre Horn - procura sempre grande gioia al Santo Padre. Anche l'incontro con le famiglie a Milano gli ha procurato grande gioia".

Agi

"Ratzinger Schülerkreis". Il presidente, padre Horn: il Papa pensa alla purificazione della memoria con i luterani