sabato 19 gennaio 2013

Mons. Superbo: abbiamo rivolto al Papa l'invito a venire in Basilicata. La Regione ha un legame forte col lui, lo ascolta, cerca di mettere in pratica i suoi insegnamenti e seguirlo in questo percorso che ci porta ad attraversare la porta della fede

Come vescovi della Regione, "abbiamo rivolto al Papa l'invito a venire in Basilicata, a visitarci. Sceglierà lui come e quando. Non sappiamo se verrà, ma noi - ha spiegato dopo la visita "ad limina" compiuta ieri l'arcivescovo di Potenza Agostino Superbo intervistato dalla Radio Vaticana - gli abbiamo rivolto questo invito perchè non è mai venuto in Basilicata". La nostra regione, ha aggiunto mons. Superbo, "ha un legame forte col Papa, lo ascolta, cerca di mettere in pratica i suoi insegnamenti e seguirlo in questo percorso che ci porta ad attraversare la porta della fede, come lui dice". Il colloquio di ieri, ha riferito ancora Superbo, "è stato cordialissimo, di grande intensità affettiva e di grande comunione con la sede di Pietro, da parte nostra, e di grande preoccupazione, affettuosa, paterna, da parte sua, per le nostre comunità diocesane". Al Papa, ha detto ancora mons. Superbo, abbiamo presentato "le problematiche più gravi del nostro territorio. che riguardano il lavoro e l'emigrazione continua dei giovani". "Questo lo ha impressionato. Noi perdiamo circa 1200 abitanti l’anno e la maggior parte sono giovani laureati".
 
Agi
 

Lettera di otto pagine dal segretario di 'Ecclesia Dei' Di Noia alla Fraternità San Pio X: le relazioni sono ancora aperte e piene di speranza, dibattere le questioni controverse con uno spirito di apertura

Nuova mossa della Santa Sede verso la Fraternità San Pio X: il vicepresidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" mons. Augustin Di Noia, nelle cui mani da pochi mesi Benedetto XVI ha affidato lo scottante dossier lefebvriano, ha scritto al vescovo Bernard Fellay. E attraverso di lui si è rivolto a tutti i sacerdoti della Fraternità, indicando un percorso per riannodare i fili di un dialogo interrotto dallo scorso giugno. Come si ricorderà, dopo anni di discussioni dottrinali, nel giugno 2012 la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva consegnato al superiore lefebvriano un preambolo dottrinale approvato da Papa Ratzinger la cui sottoscrizione era premessa per l’accordo e la sistemazione canonica che avrebbe riportato la Fraternità alla piena comunione con Roma. La Santa Sede attendeva una risposta nel giro di alcune settimane. Ma la risposta non è mai arrivata. I lefebvriani hanno studiato la proposta vaticana, ci sono state tensioni interne, per cause preesistenti, che hanno portato all’espulsione di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi ordinati da mons. Lefebvre nel 1988, tristemente famoso per le sue dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Il cammino intrapreso è sembrato però interrotto, e le dichiarazioni dalle due parti non sono apparse concilianti: il nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gehrard Müller ha criticato in modo aspro le posizioni lefebvriane, mentre stanno facendo ancora discutere le controverse dichiarazioni di Fellay sui "nemici della Chiesa" che si sarebbero opposti all’accordo con Roma, tra i quali il vescovo lefebvriano ha inserito anche gli "ebrei". La mossa di Di Noia rappresenta una novità. L’arcivescovo statunitense, domenicano, è un teologo preparato e realista. Nella lettera che ha inviato a Fellay prima di Natale, chiedendo al superiore della San Pio X di farla arrivare a tutti i preti della Fraternità, Di Noia propone un metodo per riprendere il dialogo, compiendo così un ultimo tentativo di fronte allo stallo e a difficoltà che sembrano oggettivamente difficili da superare. Secondo l’autorevole vaticanista francese Jean Marie Guenois, l’ispiratore della missiva sarebbe lo stesso Benedetto XVI, che l’avrebbe riletta e autorizzata. Nella missiva, informa Guenois, si parla del forte desiderio di "superare le tensioni" esistenti. Nel documento, di otto pagine, vengono toccati tre punti essenziali: lo stato attuale dei rapporti, lo spirito di questi rapporti e il metodo per riprendere il dialogo interrotto. A proposito dell’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, uno dei punti più controversi del dialogo, Di Noia ritiene che le relazioni siano ancora "aperte" e "piene di speranza", nonostante certe recenti dichiarazioni di parte lefebvriana. Il vicepresidente di "Ecclesia Dei" sancisce forse per la prima volta così autorevolmente l’esistenza, nei rapporti con la San Pio X, di un "impasse" di fondo e l’assenza di passi in avanti sull’interpretazione del Concilio. Nella seconda parte del documento si sottolinea l’importanza dell’unità della Chiesa e dunque la necessità di evitare "l’orgoglio, la collera, l’impazienza". Il "disaccordo su dei punti fondamentali" non deve escludere di dibattere delle questioni controverse con uno "spirito di apertura". Infine, la terza parte della lettera, propone due vie d’uscita per uscire dallo stallo attuale. La prima è il riconoscimento del carisma di mons. Lefebvre, e dell’opera da lui fondata, che era quello della "formazione di preti" e non quello della "retorica controproducente", né quello di "giudicare e correggere la teologia" o ancora di "correggere pubblicamente gli altri nella Chiesa". La seconda, presente nel documento "Donum Veritatis" pubblicato nel 1990 a proposito della dissidenza dei teologi progressisti – consiste nel considerare legittime, nella Chiesa Cattolica le "divergenze" teologiche, ricordando però che le obiezioni devono essere espresse internamente, non pubblicamente, per "stimolare il Magistero" a formulare meglio i suoi insegnamenti. E non devono dunque mai prendere la forma di un "magistero parallelo". A Roma ora di attende una risposta. Sperando che questa volta sia positiva.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Card. Sarah al Papa: importante ricuperare nella nostra attività a favore dell’uomo, e nella discussione con altri interlocutori internazionali, il senso di una umanità aperta a Dio, sorgente di vita e di amore, e aperta all’altro

Essere "portatori di una visione cristiana dell’uomo, la sola che garantisce la piena dignità e dunque l’autentico sviluppo della persona". È questo "il compito di cruciale importanza per il mondo oggi" che hanno gli organismi cattolici impegnati sulla frontiera della carità, secondo quanto detto dal card. Robert Sarah (foto), presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", nel saluto al Papa. "L’individuo - ha affermato - non basta a se stesso anche se alcune correnti di pensiero negano la dimensione trascendente e relazionale della persona. Perciò è importante ricuperare nella nostra attività a favore dell’uomo, e nella discussione con altri interlocutori internazionali, il senso di una umanità aperta a Dio, sorgente di vita e di amore, e aperta all’altro. Un’umanità che si compie nell’amore". "Ma per arrivare a un’umanità che si realizza pienamente nell’amore - ha proseguito il card. Sarah - l’uomo stesso deve bere sempre di nuovo a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio. Questo frutto della rivelazione cristiana anima il nostro lavoro e rappresenta un contributo importante a quella nuova evangelizzazione" voluta dal Papa "in questo Anno della fede. Del resto - ha concluso - è proprio la fede a schiudere all’uomo quella porta al mistero nel quale il suo desiderio trova soddisfazione".

L'Osservatore Romano

Il Papa: il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al 'punto di vista di Dio', al suo progetto su di noi. La reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore

Questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio "Cor Unum" sul tema “Carità, nuova etica e antropologia cristiana”. La fede instilla una “dimensione profetica” nella carità: nel suo discorso il Papa ha rimarcato il “rapporto dinamico tra fede e carità”, sottolineando che “il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al ‘punto di vista di Dio’, al suo progetto su di noi. Questo nuovo sguardo sul mondo e sull’uomo offerto dalla fede fornisce anche il corretto criterio di valutazione delle espressioni di carità, nel contesto attuale”. Il Papa ha quindi messo in luce le “tentazioni culturali” delle quali, “in ogni epoca”, è stato vittima l’uomo quando non ha cercato il progetto divino, tentazioni chi “hanno finito col renderlo schiavo”. “Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale – ha osservato – si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria”. E se “oggi si condivide sempre più un sentire comune circa l’inalienabile dignità di ogni essere umano e la reciproca e interdipendente responsabilità verso di esso; e ciò a vantaggio della vera civiltà, la civiltà dell’amore”, “d’altro canto, purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio”. Il riferimento del Pontefice è “a una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un ‘prometeismo tecnologico’”. “Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia – ha proseguito – emerge un’antropologia nel suo fondo atea”, per la quale l’uomo è ridotto “a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana a un destino di autorealizzazione”, “prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno”. Ma “nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata”. È l’insidia, questa, dell’“assolutizzazione dell’uomo”, che “pretende di essere indipendente e pensa che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità”. Da qui l’invito di Benedetto XVI a “prestare un’attenzione profetica a questa problematica etica e alla mentalità che vi è sottesa”, alla luce della fede e con un “sano discernimento”. Perciò “la giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi di fronte a queste gravi ideologie, e i Pastori della Chiesa” hanno “il dovere di mettere in guardia da queste derive tanto i fedeli cattolici quanto ogni persona di buona volontà e di retta ragione”. In concreto, “di fronte a questa riduzione antropologica, quale compito spetta a ogni cristiano, e in particolare a voi, impegnati in attività caritative, e dunque in rapporto diretto con tanti altri attori sociali?”, ha chiesto il Papa. La risposta riprende quanto scritto nel recente Motu Proprio sul “servizio della carità”, laddove prescrive tra l’altro di “evitare che gli organismi di carità” siano “finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa”, chiedendo di “esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana”. “Ma positivamente – aggiunge – la Chiesa è sempre impegnata a promuovere l’uomo secondo il disegno di Dio, nella sua integrale dignità, nel rispetto della sua duplice dimensione verticale e orizzontale. A questo tende anche l’azione di sviluppo degli organismi ecclesiali”. La visione cristiana dell’uomo, precisa papa Benedetto, “è un grande sì alla dignità della persona chiamata all’intima comunione con Dio, una comunione filiale, umile e fiduciosa”, ricordando che “l’essere umano non è né individuo a sé stante né elemento anonimo nella collettività, bensì persona singolare e irripetibile, intrinsecamente ordinata alla relazione e alla socialità”. A tal riguardo, rimarca in conclusione, “la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore”.

SIR
UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM" - il testo integrale del discorso del Papa
 

Il Papa: Sua Beatitudine Isaac Ibrahim Sidrak, possa il Signore assisterla nel suo ministero di 'Padre e Capo' per annunciare la Parola di Dio, perché sia vissuta e celebrata con devozione secondo le antiche tradizioni spirituali e liturgiche della Chiesa copta!

“Un evento importante per tutta la Chiesa”: così Benedetto XVI definisce l’elezione del Patriarca di Alessandria dei Copti, Sua Beatitudine Isaac Ibrahim Sidrak (foto), nella Lettera apostolica con cui ieri ha accolto la richiesta di “Ecclesiastica communio”. Il nuovo Patriarca, nato 57 anni fa a Beni-Chokeir in Egitto, è stato canonicamente eletto il 15 gennaio 2013 al Cairo dal Sinodo della Chiesa copta cattolica. “Sono sicuro – scrive il Papa al Patriarca - che con la forza di Cristo, Vincitore del male e della morte con la sua Risurrezione, e con la collaborazione dei Padri del vostro Sinodo patriarcale, in comunione con il Collegio episcopale, voi avrete l’energia per guidare la Chiesa copta”. “Possa il Signore – è la preghiera del Papa - assisterla nel suo ministero di 'Padre e Capo' per annunciare la Parola di Dio, perché sia vissuta e celebrata con devozione secondo le antiche tradizioni spirituali e liturgiche della Chiesa copta! Che tutti i vostri fedeli trovino conforto nella sollecitudine paterna del loro nuovo Patriarca!”. Benedetto XVI rivolge infine il suo saluto fraterno al predecessore dell’attuale Patriarca, il card. Antonios Naguib, e ai membri del Sinodo della Chiesa Patriarcale. Il Patriarca Ibrahim Isaac Sidrak, intervistato dall’Agenzia Fides, parla delle inquietudini dei cristiani in Egitto: “C'è incertezza, c'è paura – afferma - tutti si chiedono: che sarà di noi, domani? Forse oggi il nostro primo compito è rassicurare, riconciliare. La parola chiave è proprio riconciliazione. Cioè favorire tutto ciò che riflette la pace e l'amore di Cristo”. Il nuovo Patriarca copto cattolico fa grande affidamento sulle nuove prospettive di collaborazione che sembrano aprirsi con la Chiesa copta ortodossa. “La scelta di Tawadros come nuovo Papa dei copti ortodossi” – sottolinea - “è un segno forte che il Signore ci ha dato per invitare i cristiani all'unità. I suoi primi gesti, le sue visite, la sua sensibilità spirituale, suscitano grande speranza” e “questo ci aiuterà a affrontare insieme la situazione confusa che abbiamo davanti”. Il nuovo Patriarca non concorda con le letture che descrivono l'Egitto come un Paese ormai invivibile per i cristiani, ma registra le influenze negative importate dall'Arabia e dai Paesi del Golfo, che rischiano di alterare il volto tradizionale dell'Islam egiziano. “Di queste infiltrazioni” – osserva - “hanno paura non solo i cristiani, ma anche tanti musulmani. Conforta vedere che tanti giovani e tutte le persone con retto giudizio stiano reagendo davanti a tutto questo”. A titolo di esempio, racconta ciò che gli è capitato a Natale: “Quest'anno alcuni predicatori islamisti avevano detto che è peccato fare gli auguri ai cristiani in occasione della solennità natalizia. Io immaginavo che dopo quell'avvertimento, nessun musulmano sarebbe venuto a farci le tradizionali visite di omaggio. E invece ne sono venuti più che negli anni scorsi. Gruppi di giovani, famiglie, associazioni islamiche, si sono presentati perfino alla Messa di Natale. Volevano far vedere che quella era la loro risposta”. Secondo il nuovo Patriarca copto cattolico, nell'Egitto degli ultimi anni la tentazione settaria ha rischiato di contagiare anche i cristiani, spingendoli a volte a crearsi un mondo parallelo chiuso in se stesso: “Penso alla scelta di creare circoli sportivi 'per cristiani' nelle strutture ecclesiastiche. O a certi leader cristiani che hanno ammonito di non avere contatti con i musulmani, perché poteva essere pericoloso. Ma in questo modo - fa notare - “si perde la libertà e l'apertura che è propria dei discepoli di Cristo, i quali non hanno paura di perdere la fede per colpa degli altri. Il mio motto come vescovo di Minya era la frase di San Paolo: Dove c'è lo spirito del Signore c'è libertà”.

Radio Vaticana
 

Padre Lombardi: come ha detto il Papa tutti siamo sconvolti dalle stragi in Siria, ma le armi continuano ad arrivarvi. La pace nasce dal cuore, ma sarà più facile raggiungerla se avremo meno armi

Il fenomeno dell'aumento delle armi preoccupa non poco Papa Benedetto XVI. "Bisogna ripetere senza stancarsi mai gli appelli per il disarmo, per contrastare la produzione, il commercio, il contrabbando delle armi di ogni tipo, alimentati da indegni interessi economici o di potere" sostiene nell'editoriale per il settimanale del Centro Televisivo Vaticano "Octava dies" il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. "Come diceva il Papa volando verso il Libano - spiega - tutti siamo sconvolti dalle stragi in Siria, ma le armi continuano ad arrivarvi. La pace nasce dal cuore, ma sarà più facile raggiungerla se avremo meno armi". Nell'intervento trasmesso oggi dalla Radio Vaticana, padre Lombardi ricorda che "già nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, Benedetto XVI denunciava con forza un aumento preoccupante delle spese militari e un commercio delle armi sempre prospero, mentre continua a ristagnare nella palude di una quasi generale indifferenza il processo relativo al disarmo". "Mentre la società americana è impegnata in questo dibattito di doverosa crescita civile e morale, non possiamo - conclude il portavoce della Santa Sede - non allargare lo sguardo per ricordare che le armi, in tutto il mondo, saranno anche in parte strumento di legittima difesa, ma sicuramente sono ovunque lo strumento principale per portare minacce, violenza e morte".

Giornale di Puglia

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. I passi del cammino ecumenico con la Chiesa Ortodossa: uniti nell’incoraggiare il dialogo. Le tappe percorse nel 2012

di Andrea Palmieri
Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani

Nel 2012 è proseguito il cammino di preparazione di una nuova sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. L’ultima sessione plenaria della Commissione mista ha avuto luogo a Vienna nel 2010. Al termine della riunione, è stata accantonata l’idea di preparare un documento comune sul primato del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa del primo millennio, che avrebbe dovuto approfondire la riflessione sull’affermazione centrale del documento di Ravenna, "Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità" (2007), sulla necessità di un primato nella Chiesa anche a livello universale. Tale decisione è dovuta alle difficoltà nel giungere a interpretazioni condivise delle testimonianze storiche, soprattutto patristiche e canoniche, sulla tematica. Nella stessa sessione plenaria, i membri si sono impegnati a proseguire il lavoro della Commissione con la redazione di un nuovo testo sulla relazione teologica ed ecclesiologica tra primato e sinodalità. Seguendo le indicazioni della plenaria, è stato avviato il complesso iter di redazione del nuovo documento. Nel giugno del 2011, si è riunito a Rethymno, nell’isola di Creta, un gruppo di redazione, per preparare un testo da sottoporre all’esame del Comitato di coordinamento della Commissione mista. Lo studio del testo è iniziato durante una riunione tenutasi a Roma nel novembre del 2011, dove però non è stato possibile portare a compimento l’intero lavoro. Il Comitato di coordinamento della Commissione mista internazionale si è riunito nuovamente dal 19 al 23 novembre 2012, a Parigi, grazie alla generosa ospitalità offerta dal metropolita di Francia, Emmanuel Adamakis, del Patriarcato ecumenico. Alla riunione, che era co–presieduta dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e dal metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, del Patriarcato ecumenico, erano presenti sette membri cattolici, mentre da parte ortodossa partecipavano nove membri in rappresentanza del Patriarcato ecumenico, del Patriarcato greco ortodosso di Alessandria, del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, del Patriarcato di Mosca, del Patriarcato di Serbia, del Patriarcato di Romania, della Chiesa di Cipro e della Chiesa di Grecia. Dopo una lunga e accurata analisi del testo, il Comitato di coordinamento è giunto a un sostanziale consenso sul fatto che la bozza di documento, emendata in più punti, possa essere presentata a una prossima sessione plenaria della Commissione mista. Inoltre, trattandosi di un testo ancora provvisorio, i membri del Comitato sono stati unanimi nello stabilire che la bozza del documento resti sotto embargo fino a quando la Commissione non deciderà in merito alla sua pubblicazione. Nel corso della riunione di Parigi non è stato possibile, per motivi pratici, fissare date precise per la prossima sessione plenaria della Commissione mista, ma è stato proposto che tale riunione abbia luogo alla fine del 2013 o all’inizio del 2014. La conclusione del processo di redazione del testo sulla relazione tra primato e sinodalità, nella vita della Chiesa a livello locale, regionale e universale, rappresenta un risultato certamente positivo, che si spera possa offrire un quadro teologico e ecclesiologico per affrontare in seguito la spinosa questione della modalità dell’esercizio del primato del vescovo di Roma a livello universale quando la piena comunione tra le Chiese di Oriente e di Occidente sarà finalmente ristabilita. La preparazione di questo testo ha richiesto un lungo e complesso lavoro in quanto, attraverso una franca presentazione delle proprie posizioni e un vivace confronto mirato a chiarire i punti essenziali, si è cercato di far emergere quanto è possibile affermare insieme, cattolici e ortodossi, sul delicato tema in oggetto, seguendo la metodologia che la Commissione mista internazionale si è data sin dalla sua istituzione nel 1980, piuttosto che limitarsi a esporre in modo comparativo le differenze che ancora ci separano. Questa scelta metodologica ha presupposto uno sforzo, per così dire, teologicamente creativo, per trovare, senza tradire in alcun modo la dottrina di fede, nuovi modi di esporre insieme il patrimonio tradizionale della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa, superando le contrapposizioni polemiche e apologetiche che nel corso dei secoli si sono sviluppate da entrambe le parti. Sarà innanzitutto la Commissione mista internazionale nella sua prossima plenaria a valutare se tale passo è stato adeguatamente realizzato nella bozza di documento che sarà presa in esame in quella sede. Da questo punto di vista, non mancano oggettivamente difficoltà, non solo perché permane una certa diversità nell’approccio alla tematica in oggetto tra cattolici e ortodossi, ma anche perché esistono diversi punti di vista sulla questione all’interno delle stesse delegazioni. Un forte incoraggiamento a proseguire il dialogo tra cattolici e ortodossi è stato espresso da Papa Benedetto XVI nel suo messaggio al Patriarca ecumenico Bartolomeo, trasmesso da una delegazione ufficiale della Santa Sede in occasione della festa di Sant’Andrea apostolo, patrono del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, celebrata lo scorso 30 novembre al Fanar in Istanbul. Il Santo Padre, consapevole dei progressi finora compiuti ma anche delle difficoltà tutt’ora esistenti, ha ribadito l’importanza di procedere insieme con fiducia nel cammino che conduce al ristabilimento della piena comunione: "In questo cammino, grazie anche al sostegno assiduo e attivo di Vostra Santità, abbiamo compiuto tanti progressi, per i quali le sono molto riconoscente. Anche se la strada da percorrere può sembrare ancora lunga e difficile, la nostra intenzione di proseguire in questa direzione resta immutata, confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo ha rivolto al Padre: 'siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda' (Giovanni, 17, 21)". Un motivo di grande speranza per ulteriori progressi in questo dialogo viene, inoltre, dai recenti sviluppi relativi alla prossima convocazione del grande sinodo pan-ortodosso. A questo proposito, il Patriarca ecumenico, nel discorso rivolto alla delegazione della Santa Sede al termine della celebrazione della festa di Sant’Andrea, più sopra ricordata, così si esprimeva: "La nostra santa Chiesa ortodossa si trova nella lieta posizione di poter annunciare che i preparativi per il suo santo e grande sinodo sono stati quasi completati, sono nelle fasi finali e presto verrà convocato. Si pronuncerà, tra le altre cose, sulle questioni del dialogo tra l’ortodossia e le altre Chiese, e prenderà decisioni adeguate nell’unità e nell’autenticità, al fine di procedere verso l’unità di fede nella comunione dello Spirito Santo". Quanto è stato realizzato nel corso del 2012 acquista particolare senso alla luce del cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II che, come è noto, ricorreva lo scorso 11 ottobre. Il Vaticano II, infatti, ha dato inizio a un periodo nuovo nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa e in tal modo ha aperto la strada all’istituzione della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico. Significativamente, Papa Benedetto XVI, salutando i membri della delegazione del Patriarcato ecumenico giunti a Roma per partecipare alle celebrazioni in onore dei Santi Pietro e Paolo, patroni della città e della Chiesa di Roma, lo scorso 29 giugno, affermava: "È proprio in concomitanza con questo concilio, al quale, come ben sapete, erano presenti alcuni rappresentanti del Patriarcato ecumenico in qualità di delegati fraterni, che ebbe inizio una nuova importante fase delle relazioni tra le nostre Chiese. Vogliamo lodare il Signore innanzitutto per la riscoperta della profonda fraternità che ci lega, e anche per il cammino percorso in questi anni dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, con l’auspicio che anche nella fase attuale si possano fare dei progressi". Un segno particolarmente eloquente della profondità delle relazioni che legano la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa è stata sicuramente la presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo accanto a Papa Benedetto XVI sul sagrato della Basilica di San Pietro in Vaticano durante la celebrazione eucaristica, la mattina dell’11 ottobre 2012, in occasione della commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e dell’inizio dell’Anno della fede. Nel saluto che il Patriarca ecumenico rivolgeva al Santo Padre e a tutti i presenti, prima della conclusione della messa, tra le altre cose egli osservava che "nel corso degli ultimi cinque decenni, le conquiste raggiunte da questa assemblea sono state varie. Abbiamo contemplato il rinnovamento dello spirito e il “ritorno alle origini” attraverso lo studio liturgico, la ricerca biblica e la dottrina patristica. Abbiamo apprezzato lo sforzo graduale di liberarsi dalla rigida limitazione accademica all’apertura del dialogo ecumenico che ha condotto alle reciproche abrogazioni delle scomuniche, lo scambio di auguri, la restituzione delle reliquie, l’inizio di dialoghi importanti e le visite reciproche nelle nostre rispettive sedi". L’impegno profuso, nel corso dell’anno che da poco si è concluso, per il proseguimento del prezioso lavoro della Commissione mista internazionale può essere considerato, dunque, come un piccolo passo in avanti nel lungo viaggio verso la piena comunione visibile tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Anche se la strada appare non priva di ostacoli, dobbiamo rallegrarci del fatto che questo cammino continua. La constatazione della sincera disponibilità dei cattolici e degli ortodossi di proseguire in questa direzione e la profonda fiducia nell’opera della grazia che agisce nella nostra storia permettono di mantenere viva anche oggi la speranza, coltivata dai Padri conciliari, "che, tolta la parete che divide la Chiesa occidentale dall’orientale, si avrà finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola" ("Unitatis redintegratio", n. 18).

L'Osservatore Romano