venerdì 15 gennaio 2010

Il card. Etchegaray dimesso dal Policlinico Gemelli. E' in buone condizioni e proseguirà le attività riabilitative a casa propria

Il card. Roger Etchegaray (nella foto con Benedetto XVI) è stato dimesso oggi in buone condizioni dal Policlinico universitario Gemelli di Roma. Come da programma proseguirà le attività riabilitative al proprio domicilio. Il card. Etchegaray, si ricorda in una nota della Cattolica di Roma, è stato ricoverato la notte del 24 dicembre 2009 per la frattura del collo del femore destro, in seguito all'incidente nella Basilica Vaticana nel quale la giovane Susanna Maiolo ha provocato la caduta senza conseguenze di Papa Benedetto. Il 27 dicembre è stato operato di artroprotesi totale dell'anca destra dai professori Lorenzo Aulisa e Carlo Fabbriciani. All'intervento riuscito è seguita la prima fase della riabilitazione in reparto.

Apcom

Andrea Riccardi: la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma come la costruzione di un ponte, un'opera più complessa ma necessaria

di Paolo Rodari
Il Foglio

In una stanza della sede della Comunità di Sant’Egidio dedicata agli ebrei (ogni libro parla di loro) lo storico Andrea Riccardi (nella foto con Benedetto XVI) mostra alcuni volumi. Tra questi “Il tempio maggiore di Roma”, dedicato alla Sinagoga romana. Un luogo carico di storia perché bimillenaria è la storia degli ebrei nella capitale. “Ricordo che ne parlava ad Assisi nel 1986 il rabbino Elio Toaff. Ne parlava con la gente. Per lui il rapporto degli ebrei con Roma era importante. E, in effetti, anche la visita che nell’86 Wojtyla fece alla sinagoga sancì il valore di questo rapporto”.
Per il Papa andare nella Sinagoga romana non è la stessa cosa che entrare nei templi statunitensi. E nemmeno è come visitare i luoghi di culto ebraici europei. La diaspora di Roma è la più antica d’Europa e la vicinanza fisica al Vaticano dice molto. Spiega Riccardi: “La comunità ebraica di Roma è vicina alla chiesa geograficamente e storicamente ma insieme è lontana: il ghetto con tutto quello ha significato, la divide dalla Chiesa. C’è la terribile memoria del ghetto, la memoria dell’umiliazione ebraica subita fino al 1870, l’anno dell’emancipazione. E, infatti, non fu a caso che prima della visita di Wojtyla nel 1986, Toaff fece presente al Papa polacco questa particolarità della presenza ebraica in Roma. E Wojtyla si scusò per questo”.
Già, Giovanni Paolo II. Un Papa polacco in Sinagoga. E quasi ventiquattro anni dopo di lui, il successore, un Papa tedesco, compie lo stesso gesto: “Ogni uomo ha la sua storia – dice Riccardi –. Benedetto XVI porta nel suo cuore e nella sua memoria la vicenda dolorosa di un paese violentato dal nazismo e, insieme, violentatore a causa del nazismo. Credo, comunque, che non a caso le due visite sono avvenute sotto questi due pontificati: un Papa tedesco e un Papa polacco sentono la questione ebraica con una maggiore intensità di come l’ha sentita, ad esempio, Paolo VI”.
Torniamo al ghetto. Perché la visita del Papa si svolge anche qui, non solo in sinagoga. “Non si può dimenticare cosa significhi il ghetto per Roma, per gli ebrei e i cattolici. Fu Pio IX, ad esempio, il 17 aprile 1848, ad abbattere il muro che circondava il ghetto e, poi, a far rientrare nel quartiere pur privo di porte e recinzione gli stessi ebrei. Roma è stata un città teocratica, tutta cattolica, nella quale non c’è stato pluralismo religioso. Ma anche una città nella quale stranamente gli ebrei ci sono sempre stati. E questa presenza ha creato, se non un rapporto di osmosi, un rapporto di vicinanza. E tutto ciò rappresenta un unicum: ben diversa, ad esempio, è la storia del cattolicesimo spagnolo, un cattolicesimo senza ebrei, che ha fatto il discorso sulla ‘limpieza de sangre’, la purezza di sangue. A Roma tutto è stato diverso: gli ebrei qui sono per forza di cose lontani ma anche vicini ai cattolici”.
Poi ci sono tante altre cose. Vicende che avvicinano e allontanano le due parti, a cominciare dai silenzi di Pio XII dei quali ha detto ieri il rabbino Riccardo Di Segni di volerne parlare col Papa. Ma già molto il Vaticano ne ha parlato, non ultimo il direttore dell’Osservatore Romano il cui lavoro è confluito in “In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia”: “E’ una vicenda su cui si sono versati fiumi d’inchiostro – dice Riccardi –. Si è scritto molto di quei giorni che vanno dall’8 settembre 1943 al giugno 1944, quei terribili mesi – mesi a cui Riccardi ha dedicato ‘L’inverno più lungo’, ndr – con la deportazione degli ebrei di Roma in quel 16 ottobre del 1943. Un momento terribile, di vicinanza di tanta parte del mondo cattolico, soprattutto preti e suore . Ma anche tante famiglie accolsero e nascosero degli ebrei. Con loro anche tanti renitenti alla leva, politici, giovani: qui i cristiani furono molto vicini agli ebrei”.
Il 16 ottobre del ’43 resta ancora oggi una ferita aperta per tutta Roma: “Le radici del 16 ottobre vengono da lontano, dalle leggi razziali, da quando una parte dei romani (più romani dei romani) furono isolati dal resto della popolazione e si disse che si fece poco per loro. Tutti tuttavia hanno detto e hanno fatto niente in quel 1938. Tutti. Nessuno capì che quella fu l’anticamera di un dramma enorme. Non si riuscì a comprendere la verità di quanto una volta mi disse il rabbino Toaff: ‘Si comincia con gli ebrei e poi arriva l’ora di tutti’. La questione dei silenzi di Pio XII è venuta dopo. E’ una questione che un po’ mi accompagna dall’adolescenza. Già in classe al liceo Virgilio dove c’erano molti ragazzi ebrei (nella seconda metà degli anni sessanta) si discuteva se Pio XII avesse delle responsabilità o meno. I giudizi erano e sono differenti. E’ certo che il Papa scelse di non parlare perché considerò che una sua aperta dichiarazione avrebbe creato più problemi che vantaggi. Questa fu la posizione del Papa il quale, inoltre, fece sì che gli ebrei venissero nascosti negli ambienti cattolici. E la cosa avvenne non senza gravi rischi. A quest’opera di nascondimento degli ebrei, a mio avviso, partecipò con molta insistenza anche l’allora monsignor Giovanni Battista Montini. Del resto, in un colloquio con Roncalli del 10 ottobre del 1941, disse che lo stesso Pio XII gli chiese se il suo “silenzio” – così disse – non fosse giudicato male…Certo, l’ebraismo giudica oggi insoddisfacente questo atteggiamento di Pio XII. Io ho cercato di dare un contributo alla ricostruzione storica degli avvenimenti. Perché la storia deve aiutarci a comprendere. E sono oggi convinto che dobbiamo guardare avanti condividendo una memoria: quel 16 ottobre deve diventare una memoria condivisa di tutti i romani perchè è la pagina più nera della città da secoli. Con una lezione: mai isolare una comunità. Mai lasciar crescere la predicazione dell’odio”.
La visita in Sinagoga del Papa è un forte valore simbolico. Nonostante il dialogo teologico tra le due parti non sia facile. Tutt’altro. “La visita di Benedetto XVI che lui stesso ha voluto fare è per dire agli ebrei che bisogna guardare il futuro e che cristiani ed ebrei è necessario si parlino. Anche la comunità ebraica ha voluto questa visita, non ha caso è stata lei a invitare il Papa, e l’ha voluta perché crede che occorre parlare. La visita di Giovanni Paolo II fu la caduta di un muro. Oggi, quella di Benedetto XVI, mi appare invece come la costruzione di un ponte. Quindi l’opera è più complessa e per certi aspetti può provocare minore emozionalità. Ma forse, proprio per questo, resta ancor più necessaria. Oggi in questo mondo caotico siamo tutti soli e senza legami. In questo mondo è rotto ogni rapporto con la tradizione e la trasmissione della fede. E quindi è proprio in questo mondo che cristiani ed ebrei hanno una responsabilità comune. Quando guardo la Sinagoga sul Tevere non penso soltanto al passato più triste. Per me la Sinagoga rappresenta un riferimento alla fede nel Dio unico nel cuore di questa città. Certo, Toaff era un uomo che aveva vissuto il dramma della guerra. Oggi c’è un’altra generazione di dirigenti come il rabbino Di Segni o il presidente Pacifici. Di Segni porta ancora nella memoria quelle vicende tristi ma è nato dopo. Ma anche lui si è posto, nelle temperie di una società secolarizzata e svuotata, il problema di cosa voglia dire credere e quello dell’identità della comunità ebraica. Ritengo che il problema sia cosa voglia dire credere e ben operare perché la nostra città, la nostra società, resti una realtà, mi si passi la citazione, di ‘uomini umani’ come diceva Totò. Credo, infatti, che la salda radice di fede di ebrei e cristiani sia una sorgente di umanità. E allora come non visitarsi vicendevolmente?”.

Il portavoce vaticano: la gara di solidarietà e di amore dei Paesi verso Haiti devastato dal terremoto l’unico vero conforto in questo mare di dolore

La solidarietà e l'amore di tanti paesi verso il popolo haitiano dopo il terremoto rappresentano "l'unico vero conforto, l'unica grande risposta a questo mare di dolore". Lo ha detto Padre Federico Lombardi a Radio Vaticana. "Il mondo è giustamente scosso dalla tragedia del popolo di Haiti, dalle decine di migliaia di vittime, dal numero immenso di sinistrati, dalla difficoltà di organizzare i soccorsi in una situazione di confusione generale, dal dolore straziante di un intero popolo, che già veniva annoverato fra i più poveri della Terra", ha affermato il direttore della sala stampa vaticana. "Anche la Chiesa, che vive con il suo popolo - ha aggiunto - è stata direttamente e dolorosamente colpita dalla morte di tanti suoi membri, a cominciare dallo stesso arcivescovo della capitale, e dalla distruzione di tante sue attività". "Il Papa - ha ricordato Padre Lombardi - ha immediatamente levato la sua voce con vibranti parole di partecipazione spirituale e di appello alla solidarietà, e alla sua se ne sono unite innumerevoli altre, da tutti i Paesi, in particolare i più vicini nel continente americano, così che possiamo sperare che anche questa volta, come già spesso in passato, la gravità della tragedia diventi occasione di una vastissima gara di solidarietà e di amore. E questo amore generoso e genuino è forse l'unico vero conforto, l'unica grande risposta a questo mare di dolore, come l'amore di Cristo che muore in croce è l'unica vera risposta alla sofferenza dell'uomo". Padre Lombardi ha riferito le parole di un sacerdote haitiano dopo la tragedia del terremoto: "Noi haitiani siamo abituati alle catastrofi: quando non sono quelle naturali, sono quelle politiche o di altro genere, che da sempre scuotono il Paese; ma il popolo ogni volta riprende a sperare, e questa è una speranza cristiana. Per gli haitiani l'amore è più forte". Poi ha concluso: "Tanti operatori sociali e pastorali, testimoni di solidarietà, sono già morti in questi giorni, diciamo pure 'per amore', con gli haitiani, come la brasiliana Zilda Arns, fondatrice della meravigliosa 'pastorale dei bambini'. Dobbiamo continuare ad accompagnare, attraverso la solidarietà e l'amore, il risorgere, ancora una volta, della speranza e dell'amore degli haitiani, dei poveri e dei sofferenti del mondo".

Apcom

'L'Occidentale' sulla visita alla Sinagoga di Roma di Benedetto XVI: quel che pensa il Papa degli ebrei è chiaro ma c'è chi fa finta di non capire

di Stefano Fontana
L'Occidentale

Nei rapporti reciproci la chiarezza è molto importante. Senza un volto ben definito, ossia senza sapere chi si è, non ci si dispone nemmeno a cogliere il volto dell’altro. Il dialogo, nonostante l’attuale enfasi sulla diversità, avviene sempre tra due identità. Per questo il contributo vero, reale, fondamentale che Benedetto XVI sta dando al dialogo con gli Ebrei è la chiarezza. Anche quando, purtroppo, questa indirettamente provoca reazioni diverse tra gli interlocutori. Mentre il Rabbino Capo di Roma ha invitato il Papa a visitare la Sinagoga domenica prossima 17 gennaio, il presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, ha detto che non sarà presente e non celebrerà questa giornata di amicizia ebraico-cristiana. Le motivazioni di opportunità riguardano l’avvio del processo di beatificazione di Pio XII, di cui Benedetto XVI ha proclamato le virtù eroiche, firmando il relativo decreto il 19 dicembre scorso, e che egli ha già chiamato pubblicamente “venerabile”. Anche l’anno scorso l’Assemblea dei Rabbini aveva sospeso la propria partecipazione alla giornata di amicizia cristiano-ebraica a causa del perdono concesso dal Papa ai lefebvriani (compreso il vescovo negazionista Williamson), al ritorno del messale del 1963 di Giovanni XXIII contenente la preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei. In seguito ci sono state le richieste di perdono di Williamson, i chiarimenti contenuti nella Lettera del Papa ai vescovi cattolici sui vescovi lefebvriani, il viaggio in Israele, le molteplici dichiarazioni di amicizia con gli Ebrei, la regolarizzazione delle relazioni della Santa Sede con Israele. Tutti elementi che evidentemente il Rabbino Laras considera invece ancora questioni aperte e alle quali ora aggiunge la questione Pio XII.
Su questo problema, però, la posizione della Chiesa Cattolica è chiara e nello stesso tempo aperta. Prima di tutto essa è una questione della Chiesa Cattolica, la quale non può farsi dettare l’agenda del riconoscimento dei propri beati e santi da parte di nessuno. Pretendere di farlo significherebbe mettere in discussione il dialogo nei suoi fondamenti e voler deformare il volto dell’altro e la sua identità. Né si può sempre pensare che tutte le decisioni della Santa Sede e dei suoi vari organismi siano prese tenendo conto nel particolare delle ripercussioni sui rapporti con gli Ebrei. La firma del decreto delle virtù eroiche di Pio XII è stata fatta in contemporanea con quella relativa a Karol Woytjla, ma non necessariamente questo voleva essere un messaggio, in un senso o nell’altro, rivolto agli Ebrei. La successiva precisazione che comunque le cause avranno due percorsi diversi non può essere interpretata automaticamente come una rassicurazione data agli Ebrei che per Pio XII si attenderà più a lungo che non per Giovanni Paolo II e che quindi non si allarmino. Certo la Santa Sede conosce anche molto bene le arti diplomatiche e tutto viene coordinato dalla Segreteria di Stato con circospezione, però nello stesso tempo ci sono i tempi e le modalità della Chiesa. Questo vuol dire il cardinale Kasper quando afferma che quella di Pio XII è prima di tutto una questione “interna” alla Chiesa. Si tratta di un primo punto di chiarezza che anche gli Ebrei dovrebbero rispettare.
Il secondo punto riguarda il merito della eventuale beatificazione di Pio XII e i rapporti con la Storia. Il portavoce della Santa Sede, Padre Lombardi, subito dopo la firma del decreto su Pio XII, aveva dichiarato che la decisione riguarda non la figura storica di Pio XII, su cui il dibattito è aperto e su questo si pronunceranno gli storici, ma il fatto che egli possa esse proposto dalla Chiesa come esempio di vita cristiana. L’Osservatore Romano aveva dato conto di questa dichiarazione in una pagina interna attribuendola al “gesuita padre Lombardi”, con evidente volontà di sminuirne la portata. Che sia stato fatto per volontà esplicita del direttore Gian Maria Vian, autore di notevoli opere storiche su Pio XII e sul suo impegno a favore degli Ebrei, non ci è dato sapere, di certo è che secondo L’Osservatore Romano la versione di padre Lombardi non poneva nel giusto modo il rapporto tra il Pio XII della fede e il Pio XII della storia.
Per puntualizzare questo rapporto bisogna tenere conto di due elementi. Il primo è che una gran mole di testi ormai sembra aver fatto sufficiente chiarezza sull’impegno di Pio XII nell’aiuto agli ebrei. Di questo bisognerebbe che gli Ebrei stessi prendessero maggiormente atto. Non si vuole dire che la questione sia chiusa, perché storiograficamente nessuna questione lo è mai, certo però che non è “totalmente aperta” a tutte le interpretazioni, consistenti paletti sono già stati posti. Il secondo, e ancora più importante, è che per Benedetto XVI la conoscenza anche scientifica della storia è aiutata e non frenata dalla visione della fede. Su questo egli ha scritto una quantità di opere da teologo e ha pronunciato una quantità di discorsi da Papa. La storia ha certo la propria autonomia di ricerca, è una scienza e quindi vale l’indicazione di lasciare che gli storici lavorino anche su Pio XII e che portino documenti e testimonianze a favore dell’una o dell’altra testi. Ma questo non impedisce alla Chiesa di pronunciare la sua valutazione non solo del Pio XII della fede ma anche di quello della Storia, a partire da una visione di fede. Per questo la dichiarazione di Padre Lombardi era sbilanciata.
Come si vede la posizione del Papa sembra piuttosto chiara. Del resto l’invito è venuto dal Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni e non dalla Santa Sede, il programma prevede momenti di amicizia cattolico-ebraica molto significativi e ad alto valore simbolico attorno e dentro la sinagoga, certamente dai discorsi reciproci emergeranno motivi di incontro e di valorizzazione reciproca oltre a impegni nei due campi fondamentali: la testimonianza per l’Unico Dio creatore in un mondo secolarizzato e l’impegno comune per i diritti umani e la solidarietà.

Il calendario delle celebrazioni presiedute da Benedetto XVI da febbraio ad aprile. La Quaresima, l'incontro con i giovani e la Settimana Santa

Pubblicato questa mattina dalla Sala stampa della Santa Sede il calendario delle Celebrazioni Liturgiche presiedute da Papa Benedetto XVI nei mesi di febbraio, marzo e aprile. Come ogni anno il Pontefice aprirà la Quaresima, mercoledì 17 febbraio, con la processione penitenziale, la Santa Messa e l'imposizione delle Ceneri nella Basilica di Santa Sabina all'Aventino. Domenica 7 marzo, Benedetto XVI visiterà la parrocchia romana di San Giovanni della Croce al Nuovo Salario. Tra i principali impegni del Pontefice nella prossima Quaresima è previsto anche un grande incontro in Piazza San Pietro con i giovani della diocesi di Roma, giovedì 25 marzo, in preparazione alla XXV Giornata Mondiale della Gioventù. La coincidenza del quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II con il Venerdì Santo ha imposto invece di anticipare a lunedì 29 marzo, Lunedì Santo, la Santa Messa in suffragio del Servo di Dio. Da domenica 28 marzo a domenica 4 aprile il Papa presiederà le celebrazioni della Settimana Santa mentre il 17 e il 18 aprile Benedetto XVI compirà un viaggio apostolico a Malta.

Agi

Il Papa: il raggiungimento della comune testimonianza di fede dei cristiani per condurre tutti gli uomini a Dio priorità della Chiesa di ogni tempo

Impegno per “l’unità di fede”, superamento dei problemi dottrinali” con la Fraternità S. Pio X, integrazione degli appartenenti all’Anglicanesimo, sviluppo del movimento ecumenico, riaffermazione dei grandi valori della vita nei campi della bioetica, valorizzazione della morale naturale: sono i principali temi affrontati stamane da Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, ricevuti in udienza presso la Sala Clementina in Vaticano. Il Papa ha ringraziato il prefetto card. William Joseph Levada e i suoi collaboratori, richiamando “le nuove responsabilità che il Motu Proprio ‘Ecclesiae Unitatem’” ha affidato alla Congregazione, unendola “in modo stretto al Dicastero la Pontificia Commissione Ecclesia Dei”. Ha sottolineato “come la Vostra Congregazione partecipi del ministero di unità, che è affidato, in special modo, al Romano Pontefice, mediante il suo impegno per la fedeltà dottrinale. L’unità è infatti primariamente unità di fede, sostenuta dal sacro deposito, di cui il Successore di Pietro è il primo custode e difensore”. Ha quindi aggiunto che il ministero dell’unità “è un inderogabile servizio dal quale dipende l’efficacia dell’azione evangelizzatrice della Chiesa fino alla fine dei secoli”. Dopo aver richiamato la “potestas docendi” del “Vescovo di Roma”, Benedetto XVI ha ricordato che tale “compito” comporta “l’obbedienza alla fede, affinché la Verità che è Cristo continui a risplendere nella sua grandezza e a risuonare per tutti gli uomini nella sua integrità e purezza, così che vi sia un unico gregge, radunato attorno all’unico Pastore”. “In questo spirito – ha aggiunto - confido in particolare nell’impegno del Dicastero perché vengano superati i problemi dottrinali che ancora permangono per il raggiungimento della piena comunione con la Chiesa da parte della Fraternità S. Pio X”. ''Desidero rallegrarmi - ha detto Papa Ratzinger - per l'impegno in favore della piena integrazione di gruppi di fedeli e di singoli, già appartenenti all'Anglicanesimo, nella vita della Chiesa Cattolica, secondo quanto stabilito nella Costituzione Apostolica "Anglicanorum coetibus"'', rimarcando che “la fedele adesione di questi gruppi alla verità ricevuta da Cristo e proposta dal Magistero della Chiesa non è in alcun modo contraria al movimento ecumenico, ma mostra, invece, il suo ultimo scopo che consiste nel giungere alla piena e visibile comunione dei discepoli del Signore”. Nella parte centrale del suo discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, Benedetto XVI si è poi occupato dei temi bioetici, ricordando l’Istruzione Dignitas personae su alcune questioni di bioetica, pubblicata nel 2008. A questo proposito ha sottolineato che “in temi tanto delicati ed attuali, quali quelli riguardanti la procreazione e le nuove proposte terapeutiche che comportano la manipolazione dell’embrione e del patrimonio genetico umano, l’Istruzione ha ricordato che ‘il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita’ (n. 10)”. “In tal modo – ha poi affermato - il Magistero della Chiesa intende offrire il proprio contributo alla formazione della coscienza non solo dei credenti, ma di quanti cercano la verità e intendono dare ascolto ad argomentazioni che vengono dalla fede ma anche dalla stessa ragione”. Il Papa ha quindi detto che “la Chiesa, nel proporre valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana, attinge infatti alla luce sia della ragione che della fede, in quanto è sua convinzione che ‘ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato’”. Il Papa ha quindi richiamato il rapporto fede-ragione sui temi biomedici, affermando che “in questo contesto viene altresì data una risposta alla mentalità diffusa, secondo cui la fede è presentata come ostacolo alla libertà e alla ricerca scientifica, perché sarebbe costituita da un insieme di pregiudizi che vizierebbero la comprensione oggettiva della realtà”. “Di fronte a tale atteggiamento, che tende a sostituire la verità con il consenso, fragile e facilmente manipolabile, - ha aggiunto - la fede cristiana offre invece un contributo veritativo anche nell’ambito etico-filosofico, non fornendo soluzioni precostituite a problemi concreti, come la ricerca e la sperimentazione biomedica, ma proponendo prospettive morali affidabili all’interno delle quali la ragione umana può ricercare e trovare valide soluzioni”. Aspetti quali “il valore della vita umana, la dimensione relazionale e sociale della persona, la connessione tra l’aspetto unitivo e quello procreativo della sessualità, la centralità della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna” costituiscono – per Benedetto XVI – “contenuti, iscritti nel cuore dell’uomo”, “sono comprensibili anche razionalmente come elementi della legge morale naturale e possono riscuotere accoglienza anche da coloro che non si riconoscono nella fede cristiana”.

SIR, Asca