domenica 18 dicembre 2011

Benedetto XVI: il sacrificio dei 22 Beati spagnoli porti ancora frutti di conversione e riconciliazione. Vicinanza alle Filippine colpite da tempesta

"Ieri, a Madrid - ha detto il Papa dopo la recita dell'Angelus - sono stati proclamati Beati ventidue missionari Oblati di Maria Immacolata e un laico, uccisi in Spagna nel 1936 per il solo fatto di essere zelanti testimoni del Vangelo. Alla gioia per la loro Beatificazione si unisce la speranza che il loro sacrificio porti ancora tanti frutti di conversione e di riconciliazione". Poi ha assicurato la sua “vicinanza alle popolazioni del sud delle Filippine colpite da una violenta tempesta tropicale. Prego per le vittime, in gran parte bambini, per i senzatetto e per i numerosi dispersi”.

TMNews

Il Papa: il cuore e la mente di Maria sono pienamente umili, proprio per questo Dio aspetta il 'sì' di questa fanciulla per realizzare il suo disegno

Di ritorno dalla visita pastorale alla Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia, a mezzogiorno il Santo Padre Benedetto XVI si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Il Pontefice ha ricordato che “la liturgia ci presenta quest’anno il racconto dell’annuncio dell’Angelo a Maria. Contemplando l’icona stupenda della Vergine Santa, nel momento in cui riceve il messaggio divino e dà la sua risposta, veniamo interiormente illuminati dalla luce di verità che promana, sempre nuova, da quel mistero”. In particolare, si è soffermato “sull’importanza della verginità di Maria, del fatto cioè che ella ha concepito Gesù rimanendo vergine”. Sullo sfondo di quel meraviglioso momento a Nazaret c’è la profezia di Isaia: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”. “Questa antica promessa ha trovato compimento sovrabbondante nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Non solo la Vergine Maria ha concepito, ma lo ha fatto per opera dello Spirito Santo, cioè di Dio stesso. L’essere umano che comincia a vivere nel suo grembo prende la carne da Maria, ma la sua esistenza deriva totalmente da Dio. E’ pienamente uomo, fatto di terra – per usare il simbolo biblico – ma viene dall’alto, dal Cielo”. Per il Santo Padre, “il fatto che Maria concepisca rimanendo vergine è essenziale per la conoscenza di Gesù e per la nostra fede, perché testimonia che l’iniziativa è stata di Dio e soprattutto rivela chi è il concepito”. “In questo senso la verginità di Maria e la divinità di Gesù si garantiscono reciprocamente”. Nella sua semplicità, Maria “è sapientissima: non dubita del potere di Dio, ma vuole capire meglio la sua volontà, per conformarsi completamente a questa volontà”. Il cuore e la mente di Maria “sono pienamente umili, e, proprio per la sua singolare umiltà, Dio aspetta il ‘sì’ di questa fanciulla per realizzare il suo disegno. Rispetta la sua dignità e la sua libertà. Il ‘sì’ di Maria implica l’insieme di maternità e verginità”. “La verginità di Maria è unica e irripetibile; ma il suo significato spirituale riguarda ogni cristiano. Esso, in sostanza, è legato alla fede: infatti, chi confida profondamente nell’amore di Dio, accoglie in sé Gesù, la sua vita divina, per l’azione dello Spirito Santo. È questo il mistero del Natale”.

SIR, Radio Vaticana

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS

Il dialogo del Papa con i detenuti: si parla in modo feroce di voi come di me, farò la mia parte per invitare tutti a pensare in modo giusto, umano

Durante la visita nel carcere di Rebibbia, il Papa ha risposto alle domande di alcuni detenuti. "Sento il suo affetto per il Santo Padre e sono commosso da questa amicizia - ha detto il Papa rispondendo alla domanda del primo detenuto, Rocco - e dalla amicizia che sento da tutti voi, penso spesso a voi, prego perché so che la situazione è molto difficile e che spesso anzichè aiutare a rinnovare amicizia con Dio e con l’umanità il carcere peggiora la situazione anche interiore". "Sono venuto soprattutto per mostrarvi la mia vicinanza personale e intima", ha spiegato il Papa ai detenuti, "ma certamente questa visita personale a voi è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini e al nostro Governo che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane". Il Papa ha fatto poi riferimento alla Guardasigilli, sottolineando: "Abbiamo sentito il ministro della Giustizia, come sente con voi la vostra realtà. Possiamo essere convinti che il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare la situazione e aiutarvi a trovare una buona realizzazione della giustizia che vi aiuti a tornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e tutto il rispetto che essa esige". "In quanto posso, vorrei sempre dare segni di come è importante che le carceri promuovano la dignità umana e non la attacchino. Speriamo che il Governo abbia la possibilità per rispondere a questa vocazione".
"Santo Padre vorrei domandarti un milione di cose... sono emozionato... - ha Omar, il secondo dei detenuti con cui il Papa ha dialogato - è molto forte per noi detenuti, permetterci di aggrapparci con te con la nostra sofferenza e quella e quella dei nostri familiari, come un cavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene". "Anch’io ti voglio bene - ha risposto Benedetto XVI -, e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore". L'identificazione del Signore con i carcerati "ci obbliga profondamente, e io stesso devo chiedermi: ho agito secondo questo imperativo del Signore? Ho tenuto presente questa parola del Signore? Questo è un motivo perché sono venuto, perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore, il Quale, nel giudizio ultimo, ci interrogherà proprio su questo punto". "Spero che qui - ha proseguito -, sempre più, possa essere realizzato il vero scopo di queste case circondariali: quello di aiutare a ritrovare se stessi, di aiutare ad andare avanti con se stessi, nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società e aiutare nel progresso dell’umanità. Il Signore vi aiuterà". "So - ha concluso la risposta - che per me è un obbligo particolare quello di pregare per voi, quasi di 'tirarvi al Signore', in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta: la preghiera è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che ci sia, per così dire, un forte cavo che vi 'tira al Signore' e ci collega anche tra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi".
Bert ha perso tutti i componenti della mia famiglia, "ma adesso ho una bambina di 2 anni. Però non mi concedono di tornare a casa, le sembra giusto?". "Anzitutto, felicitazioni! - ha risposto il Pontefice - Sono felice che lei sia padre, che lei si consideri un uomo nuovo". "Non conosco i dettagli del suo caso ma spero che lei quanto prima possa tornare alla sua famiglia. Prego e spero che quanto prima possa avere in braccio moglie e figlia e costruire una bella famiglia per collaborare per il futuro dell'Italia". Riconoscimento e rispetto della dignità ai quali ha fatto appello anche un detenuto del reparto infermeria, Federico, che è intervenuto a nome dei malati e dei sieropositivi. L'uomo ha chiesto "al nostro Papa gravato da tutte le sofferenze del mondo, che preghi e porti la nostra voce dove non viene sentita". "Troppo poco si parla di noi - ha detto - spesso in modo così feroce come a volerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani. Lei è il Papa di tutti e noi - ha esortato - la preghiamo di fare in modo che non ci venga strappata la dignità, insieme alla libertà". "Purtroppo è vero - ha risposto il Pontefice -, ma ci sono anche altri che parlano e pensano bene di voi. Io penso alla mia piccola famiglia papale, sono circondato da 4 suore laiche e parliamo spesso di questo problema, loro hanno amici in diverse carceri, riceviamo anche doni da loro e diamo da parte nostra il nostro dono, quindi questa realtà è in modo molto positivo presente nella mia famiglia e penso in tante altre". "Dobbiamo sopportare che alcuni parlano in modo feroce, lo fanno anche contro il Papa - ha detto il Papa - e tuttavia dobbiamo andare avanti, rialzarci". E' "importante incoraggiare tutti che pensino bene, che abbiano senso delle vostre sofferenze, abbiano il senso di aiutarvi nel processo di rialzamento, e, diciamo, io farò la mia parte per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non in modo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui". "La vita ci è donata dal Signore - ha continuato Benedetto XVI -, con una sua idea. E se riconosciamo questa idea, Dio è con noi, e anche i passi oscuri hanno il loro senso per darci una maggiore conoscenza di noi stessi, per aiutarci a diventare più noi stessi, più figli di Dio e così essere realmente felici di essere uomini, perché creati da Dio, anche in diverse condizioni difficili. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicini a voi".
Poi è stata la volta di Gianni: "Mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di noi. Mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti. Se io la chiedessi in ginocchio, da solo, dentro una stanza, rivolgendomi al Signore, mi assolverebbe?". "Direi due cose - ha esordito Benedetto XVI -. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e con vero amore di Dio prega che Dio perdoni, perdona. Ma l’assoluzione del prete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per realmente risolvermi, assolvermi da questo legame Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli". Ai detenuti il Papa ha anche ricordato che "il peccato ha sempre anche una diomensione sociale, orizzontale: anche se forse nessuno lo sa ho sporcato la comunione della Chiesa, e ciò - ha spiegato - esige che sia assolto anche nel livello della comunità e questa seconda dimesione esige il sacramento. Nella confessione posso liberarmi da questa cosa. Così in questo senso l'assoluzione non limita la bontà di Dio ma ne è espressione". Per Benedetto XVI occorre "tenere presente queste due dimensioni, ma l'assoluzione del prete è necessaria per risolvermi, assolvermi da questo degrado del male, mo dà la certezza corporale e sacramentale che Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli. Con la confessione - ha concluso - possiamo provare quasi corporalmente la bontà del Signore, la certezza della riconciliazione".
Tra le varie domande, c’è stato spazio anche per allargare lo sguardo ai Paesi poveri. Dopo aver ricordato il viaggio del Papa a novembre in Benin, in Africa, dove molte persone muoiono per povertà e violenze, Nwaihim, trattenendo a stento le lacrime, ha chiesto al Papa: "Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede?". "Sono stato molto felice nella sua terra; l’accoglienza da parte degli africani era calorosissima, ho sentito questa cordialità umana che in Europa è un po’ oscurata perché abbiamo tante altre cose sul nostro cuore che rendono un po’ duro anche il cuore", ha risposto il Papa."Nonostante la povertà - ha osservato il Pontefice - e tutte le grandi sofferenze che ho anche visto – ho salutato lebbrosi, malati di Aids, eccetera – che nonostante tutti questi problemi e la grande povertà, c’è una gioia di vivere, una gioia di essere una creatura umana, perché c’è una consapevolezza originaria che Dio è buono e mi ama e l’uomo è essere amato da Dio". "Era per me - ha confidato - l’impressione diciamo preponderante, forte; vedere in un Paese sofferente gioia, allegrezza, più che nei paesi ricchi". Qui "con la massa delle cose che abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questa esperienza originaria che Dio c’è e Dio mi è vicino; e perciò direi che avere grande proprietà e avere potere non rende necessariamente felici, non è il più grande dono. Può essere anche, direi, una cosa negativa, che mi impedisce di vivere realmente". I criteri "di Dio sono diversi dai nostri, Dio dà anche a questi poveri gioia, la riconoscenza della sua presenza, fa loro sentire che è vicino a loro anche nella sofferenza, nelle difficoltà, e naturalmente ci chiama tutti perché noi facciamo tutto perché possiamo uscire da queste oscurità delle malattie, della povertà". "Nel fare questo - ha concluso il Pontefice - anche noi possiamo divenire più allegri. Quindi le due parti devono completarsi, noi dobbiamo aiutare perché anche l’Africa, questi paesi poveri, possano trovare il superamento di questi problemi, della povertà, aiutarli a vivere, e loro possono aiutarci a capire che le cose materiali non sono l’ultima parola".
L'incontro con i detenuti si è concluso con la 'Preghiera dietro le sbarre' composta da uno dei detenuti, con la recita del Padre Nostro e la benedizione del Papa. Infine lo scambio dei doni. Con lo strudel, i detenuti hanno donato al Pontefice altri prodotti del loro lavoro quotidiano. Significativo un quadro che rappresenta una finestra del carcere sulle sbarre della quale si posa una colomba bianca. Il Papa ha regalato a ciascuno di loro un panettone, un rosario e una copia del cartoncino con la preghiera di Paolo VI fatto stampare in oltre tremila copie dalla Prefettura della Casa Pontificia e inviato anche ai cappellani di altre carceri italiane e nel resto del mondo per aiutare la riflessione in questo periodo natalizio. Nelle mani del cappellano Benedetto XVI ha lasciato una somma di denaro per provvedere alle necessità più urgenti dei detenuti. Benedetto XVI ha quindi fatto una breve visita alla struttura della casa circondariale, fermandosi qualche minuto nella saletta della cooperativa sociale, sempre accompagnato dal ministro Severino. Dopo l’assaggio dei dolci, il Papa ha fatto ritorno all’esterno della struttura, sul piazzale antistante la chiesa, dove ha benedetto un cipresso piantato a ricordo della visita. "Un cordiale grazie per questa accoglienza, vi auguro un buon Natale, sappiamo che andiamo verso la luce di Dio", ha detto il Papa accomiatandosi dai carcerati attorno alle 11.20.

Il Secolo XIX, TMNews, RomaSette

Risposte del Papa alle domande dei detenuti della Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia

Il Papa: gli uomini non sono in grado di applicare la giustizia divina ma devono almeno guardare ad essa perché illumini anche la giustizia umana

“Grande gioia e commozione”: sono questi i sentimenti espressi da Benedetto XVI nel discorso durante la sua visita pastorale alla Casa Circondariale Nuovo complesso di Rebibbia. "Dovunque c'é un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c'é Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto. È questa la ragione principale che mi rende felice di essere qui, per pregare, dialogare ed ascoltare. La Chiesa ha sempre annoverato, tra le opere di misericordia corporale, la visita ai carcerati. E questa, per essere completa, richiede una piena capacità di accoglienza del detenuto”, ha affermato il Pontefice. "Vorrei potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno - ha detto Papa Ratzinger - ma non mi è possibile; sono venuto però a dirvi semplicemente che Dio vi ama di un amore infinito, e siete sempre figli di Dio". "Lo stesso Figlio di Dio, il Signore Gesù, ha fatto l'esperienza del carcere, è stato sottoposto a un giudizio davanti a un tribunale e ha subito la più feroce condanna alla pena capitale". Benedetto XVI ha quindi ricordato la "attenzione della Chiesa per la giustizia degli Stati", citando parte dell'Esortazione Apostolica "Africae munus" da lui consegnata in Benin lo scorso 19 novembre. "E' pertanto urgente - ha detto il Papa - che siano adottati sistemi giudiziari e carcerari indipendenti, per ristabilire la giustizia e rieducare i colpevoli. Occorre inoltre bandire i casi di errori della giustizia e i trattamenti cattivi dei prigionieri, le numerose occasioni di non applicazione della legge che corrispondono ad una violazione dei diritti umani e le incarcerazioni che non sfociano se non tardivamente o mai in un processo. La Chiesa riconosce la propria missione profetica di fronte a coloro che sono colpiti dalla criminalità e il loro bisogno di riconciliazione, di giustizia e di pace. I carcerati sono persone umane che meritano, nonostante il loro crimine, di essere trattati con rispetto e dignità. Hanno bisogno della nostra sollecitudine". “La giustizia umana e quella divina – ha osservato il Santo Padre - sono molto diverse. Certo, gli uomini non sono in grado di applicare la giustizia divina, ma devono almeno guardare ad essa, cercare di cogliere lo spirito profondo che la anima, perché illumini anche la giustizia umana, per evitare – come purtroppo non di rado accade – che il detenuto divenga un escluso. Dio, infatti, è colui che proclama la giustizia con forza, ma che, al tempo stesso, cura le ferite con il balsamo della misericordia”. “Giustizia e misericordia, giustizia e carità, cardini della dottrina sociale della Chiesa, sono due realtà differenti soltanto per noi uomini, che distinguiamo attentamente un atto giusto da un atto d’amore – ha evidenziato Benedetto XVI -. Giusto per noi è ‘ciò che è all’altro dovuto’, mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. E una cosa sembra escludere l’altra”. Ma “per Dio non è così: in Lui giustizia e carità coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche atto di misericordia e di perdono e, nello stesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta”. Perciò, il Papa ha esclamato: “Come è lontana la logica di Dio dalla nostra! E come è diverso dal nostro il suo modo di agire! Il Signore ci invita a cogliere e osservare il vero spirito della legge, per darle pieno compimento nell’amore verso chi è nel bisogno. ‘Pieno compimento della legge è l’amore’, scrive San Paolo: la nostra giustizia sarà tanto più perfetta quanto più sarà animata dall’amore per Dio e per i fratelli”. “Il sistema di detenzione – ha ricordato il Pontefice - ruota intorno a due capisaldi, entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minacce, dall’altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità ed escluderlo dalla vita sociale. Entrambi questi aspetti hanno la loro rilevanza e sono protesi a non creare quell’‘abisso’ tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone”. "So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri - ha detto il Papa - possono rendere ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di detenuti che lo sottolineano. E' importante che le istituzioni promuovano un'attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una 'doppia pena'; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione". “La nascita del Signore Gesù, di cui faremo memoria tra pochi giorni – ha aggiunto Benedetto XVI -, ci ricorda la sua missione di portare la salvezza a tutti gli uomini, nessuno escluso. La sua salvezza non si impone, ma ci raggiunge attraverso gli atti d’amore, di misericordia e di perdono che noi stessi sappiamo realizzare. Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gli uomini torneranno a Dio con cuore rinnovato. Chiediamogli nel silenzio e nella preghiera di essere tutti liberati dalla prigionia del peccato, della superbia e dell’orgoglio: ciascuno infatti ha bisogno di uscire da questo carcere interiore per essere veramente libero dal male, dalle angosce e dalla morte”. Il Papa ha poi sottolineato che “la Chiesa sostiene e incoraggia ogni sforzo diretto a garantire a tutti una vita dignitosa”.

SIR, Corriere della Sera.it, TMNews


VISITA PASTORALE ALLA CASA CIRCONDARIALE NUOVO COMPLESSO DI REBIBBIA (ROMA) - il testo integrale del discorso e delle risposte del Papa

Benedetto XVI visita la Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia. I saluti del ministro della Giustizia e del Cappellano del carcere

Oggi, quarta domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita pastorale alla Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia. Poco dopo le 10.00 un lungo applauso ha accolto Benedetto XVI al suo ingresso nella cappella del carcere: il Papa ha salutato i detenuti lungo il percorso, con molti di loro che gli hanno baciato l’anello, una seconda ovazione si è alzata non appena il Papa si è seduto. Nel penitenziario, Papa Ratzinger è stato accolto dal ministro della Giustizia Paola Severino, dal capo del dipartimento della polizia Penitenziaria Franco Ionta, dal direttore della struttura, Carmelo Conte, e dai cappellani del carcere, don Sandro Spriano e don Roberto Guarnieri.
"Non posso nascondere di essere profondamente commossa nel rivolgerle il mio più sentito benvenuto in questo luogo di profonda sofferenza. La Sua visita pastorale di oggi, a pochi giorni dal Santo Natale, costituisce per noi tutti motivo di rinnovata riflessione sulla situazione carceraria e sulle condizioni di vita delle persone che si trovano ristrette negli Istituti penitenziari". Sono le parole con cui il ministro della Giustizia si è rivolto a Benedetto XVI. "Da tempo ci confrontiamo con dati che testimoniano una situazione di eccezionale difficoltà e disagio e siamo ben consapevoli che tali dati sintetizzano in aride quantificazioni numeriche la terribile condizione di persone che racchiudono nel loro cuore esperienze, sofferenze, speranze". A tal proposito, il ministro della Giustizia ha letto una lettera consegnatale da un detenuto nel corso della sua visita nel carcere di Cagliari, quale commovente testimonianza di una condizione terribile di vita.“Mettersi in contatto con persone recluse nelle carceri, o internate negli ospedali psichiatrici giudiziari, vuol dire mettersi in contatto con un mondo di sofferenza, solitudine, umiliazione, che non deve essere ignorato, dimenticato a chi chiede ascolto, comprensione, rispetto e soprattutto spirito fraterno” recita il testo. “È triste e frustrante aver sbagliato - ha continuato a leggere il ministro - perché prima o poi, si mette in discussione se stessi, si dubita delle proprie capacità di recupero e di reinserimento, e ci si convince di essere incapaci di poter cambiare vita, e allora viene meno la speranza di venire accettati come persone degne di stima, macchiate per sempre, e si perde la forza di vivere”. La lettera termina con l’appello: “Se aiuteremo la barca di nostro fratello ad attraversare il fiume, anche la nostra barca avrà raggiunto la riva”. Una metafora utilizzata per indicare che, al giorno d’oggi, non si tratta soltanto di fare qualche opera buona “ma di operare giustizia facendo ‘posto’ nella società, così sfacciatamente opulenta, a coloro che vivono ai margini, perché anche noi siamo parte integrante di questa nostra società”. Santità, ha aggiunto, "commentare una lettera di questo genere non potrebbe che sminuirne i contenuti".All’intervento del ministro Severino, è seguito il saluto del cappellano di Rebibbia, don Pier Sandro Spriano, che ha esordito raccontando un suo personale sogno in cui Benedetto XVI, il 15 agosto, festa della Vergine Maria Assunta in cielo, si presentava a Rebibbia “senza scorta e senza insegne” nella Chiesa del Padre Nostro per celebrare la Solennità dell'Assunta e recarsi, poi, nei vari reparti del carcere a dare “una parola di vita” a tutti gli emarginati, i tossicodipendenti, gli stranieri ospiti di queste mura. “Mi sveglio dal sogno” ha detto il sacerdote “e vedo che davvero lei Padre Santo è venuto a trovarci. Ora tocchiamo con mano che Lei, il nostro Vescovo Pastore, vuole conoscerci, ascoltarci ed amarci”. Don Spriano ha pregato, subito dopo, per “il desiderio e l’ansia di Riconciliazione” affinché, grazie all’intercessione del Papa, si possa “reimpiantare nei cuori degli uomini qui presenti, dei 1700 detenuti che ascoltano dai televisori delle stanze di detenzione, e da tutti detenuti in Italia e nel mondo”. Una riconciliazione con se stessi, con la società, ma soprattutto con Dio Padre, che è il fine ultimo della morte e risurrezione di Gesù Cristo e nostra salvezza. Il cappellano ha, inoltre, “supplicato” Benedetto XVI perché “convinca” tutti i cristiani che formano il Popolo di Dio fuori da queste mura, a pregare per chi è in prigione: “uomini, donne, bambini, anziani, che hanno sbagliato e peccato come sbagliamo e pecchiamo tutti”, ma che “restano Figli di Dio bisognosi di consolazione e di amore”. È seguita, poi, la richiesta di perdono a nome di tutti i detenuti per le colpe e le sofferenze inflitte ad altri uomini e donne; “non vogliamo però essere per sempre identificati con le nostre azioni sbagliate” ha affermato a gran voce don Spriano “chiediamo di poter tornare nella società senza il marchio di 'mostri del male'”. Il sacerdote ha ricordato il ‘grido’ lanciato dai vescovi, nel documento CEI "Evangelizzazione e Testimonianza della Carità", di "accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato significa fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi". L’appello, infine, a tutti i governanti e parlamentari di leggere in questo “segno dei tempi” della visita pastorale del Papa l'urgenza di coniugare le esigenze della giustizia umana con quelle della misericordia e del perdono: “salvare insieme Abele e Caino, usando l'audacia del perdono e dell'accoglienza e liberando il cuore da sentimenti di vendetta!”. Il saluto al Santo Padre si è concluso con la promessa di preghiere da parte di questa Chiesa in carcere “sofferente ma viva”, fatta di detenuti, poliziotti, direttori ed educatori che “ascoltano la Parola di Dio e si mettono in cammino verso cieli nuovi e una terra nuova”.

Il Secolo XIX, Gazzetta del Sud, Zenit

Intervento del Guardasigilli