giovedì 10 giugno 2010

Il card. Hummes a Benedetto: grazie per quanto sta facendo e farà per tutti i sacerdoti, anche per quelli smarriti. Da loro stima, sostegno e affetto

“Grazie di cuore Santità, per tutto quanto ha fatto, sta facendo e farà per tutti i sacerdoti, anche per quelli smarriti”. E’ lo speciale saluto rivolto questa sera a Papa Benedetto XVI dal card. Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, durante la Veglia di preghiera per la conclusione dell’Anno Sacerdotale, in Piazza San. Pietro. “Vorremmo – ha affermato il cardinale - che l’Anno Sacerdotale non finisse mai, cioè che non finisse mai la tensione di ciascuno verso la santità nella propria identità e che in questo cammino, che deve iniziare fin dagli anni del Seminario, per durare tutta l’esistenza terrena in un unico iter formativo, fossimo sempre confortati e sostenuti, come in quest’anno, dall’ininterrotta preghiera della Chiesa, dal calore e dal sostegno spirituale di tutti i fedeli, i quali, proprio con la loro fede nell’efficacia del ministero Sacerdotale, sono così spesso di richiamo e di profondo conforto per ciascuno”. “Benvenuto in mezzo a noi”, il saluto iniziale del porporato a Benedetto XVI: “Tutti i sacerdoti presenti, insieme con i confratelli sparsi per il mondo, desiderano esprimerle la loro più filiale devozione, la loro profonda stima, il loro sostegno ed affetto sinceri”.
Nella prima parte della Veglia, i sacerdoti sono stati salutati da mons. Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, che ha espresso l’auspicio che si possa “rinnovare quotidianamente in ciascuno” l’esperienza dell’”amicizia” con Cristo, “unica reale causa di fedeltà, autentico ristoro nella fatica, serena confidenza in ogni prova”. “Dalla fedeltà di Cristo deriva ogni possibile fedeltà del sacerdote”; ha detto il presule sottolineando che il “richiamo” rappresentato “non finisce mai”, ma si conclude “solo cronologicamente”. “Non ha mai fine la fedeltà di Cristo, perché Egli è lo stesso ieri, oggi e sempre e perché se noi manchiamo di fede, Egli però rimane fedele”, come si legge nella seconda lettera a Timoteo. “E non può mai aver fine la chiamata a noi rivolta ad una personale fedeltà”, ha proseguito mons. Piacenza, perché “mai vengono meno i fulcri del ministero rappresentati dalla celebrazione eucaristica e della riconciliazione sacramentale”. In una parola, “mai viene meno la radicale chiamata alla santità, che vede nella verginità e nella purezza per il Regno dei Cieli e nell’autentica docilità ed obbedienza allo Spirito, nella Chiesa, due elementi costitutivi, capaci di tradursi in efficace testimonianza davanti a tutto il popolo santo di Dio”.

SIR

La Veglia di preghiera. Le testimonianze sul sacerdozio da ogni parte del mondo. Benedetto tra i preti in piazza e in ginocchio davanti all'Eucaristia

Almeno 17mila sacerdoti da tutto il mondo hanno partecipato insieme a Benedetto XVI alla Veglia di preghiera in Piazza San Pietro a conclusione dell’Anno Sacerdotale. Una Veglia di esaltazione della figura del sacerdote, con testimonianze appassionanti di preti impegnati in parrocchia, fra i poveri e i drogati, in missione nel mondo. Una delle testimonianze sul maxischermo è stata quella di padre René Lavaur, attuale parroco di Ars e successore di San Giovanni Maria Vianney, nella cui memoria si è celebrato l'Anno Sacerdotale. "Il ministero della croce riassume tutta la conoscenza del mondo", ha detto. Le sue parole sono state seguite dalle migliaia di sacerdoti e fedeli presenti nella piazza grazie alle cuffie per la traduzione simultanea. "Questo sacerdote", ha detto riferendosi al Curato d'Ars, "è stato ispirato dal fatto che si dedicò al ministero della riconciliazione per espiare i peccati", ha testimoniato il parroco. Non sono stati solo i sacerdoti a testimoniare il proprio amore per il loro ministero. Lo hanno fatto anche alcuni laici e famiglie la cui vocazione è molto legata al sostentamento e all'incoraggiamento che danno ai sacerdoti. Era il caso della famiglia Heereman, proveniente dalla Germania e con sei figli: un sacerdote, un seminarista, una laica consacrata, due figli sposati e una nubile. Il padre di questa famiglia ha raccontato di aver scoperto Cristo grazie a un pellegrinaggio e attraverso l'esempio di suo padre. Ha anche condiviso con i presenti che lo ascoltavano la gioia che ha provato quando ha ricevuto la notizia che suo figlio sarebbe diventato sacerdote. Ogni sera diceva a Dio: "Signore, i miei figli sono tuoi. Se vuoi, prendili tutti". "Ho sempre voluto che diventasse sacerdote", ha detto emozionato riferendosi al figlio. Ha quindi rivolto un appello a tutti coloro che lo ascoltavano, esortandoli a sostenere sempre la vocazione dei propri figli: "Se lascerete che i vostri figli scelgano il loro cammino cristiano, starete facendo una buona scelta", ha detto. "Non si capisce bene da dove arriva una vocazione. E' sempre un dono ineffabile".
La testimonianza più applaudita tra quelle trasmesse sui maxischermi è stata quella di padre José María di Paola, più noto come Pepe, un sacerdote che lavora in una zona socialmente problematica dell'Argentina. "Nel mio Paese, le favelas si chiamano villas, e nella mia villa vivono 60.000 persone", ha detto. Sugli schermi passavano le immagini di padre Pepe che giocava a calcio con i bambini della villa, che celebrava la Messa e partecipava a una processione. "Ci sono affollamento, disoccupazione, sottoccupazione, problemi migratori, e i giovani risentono di droga e violenza", ha confessato. "Il nostro lavoro è trasmettere una proposta attraverso il Vangelo. Ci sono molti problemi, ma la fede cattolica è molto grande". "In questo luogo così povero, con tante disuguaglianze, viviamo la nostra fede, e come sacerdoti ci sentiamo molto felici di sviluppare la nostra fede qui", ha concluso, inviando un saluto "dalla villa 21" al Papa e a tutti i fedeli riuniti nella veglia. Al suo arrivo, Benedetto XVI ha compiuto un lungo giro in jeep scoperta tra i quattro settori di Piazza San Pietro gremiti, accolto da applausi e da slogan come quelli delle Giornate Mondiali della Gioventù, “Be-ne-detto!; Be-ne-detto!”. Papa Benedetto ha guidato in ginocchio l'adorazione eucaristica, momento culminante della Veglia di preghiera. Il Papa ha pregato in silenzio per qualche minuto, inginocchiato davanti al Santissimo esposto, e ha poi impartito la benedizione eucaristica. Poco prima ha recitato la preghiera che ha composto per l'Anno Sacerdotale. Un grande drappo con l'immagine di San Giovanni Maria Vianey ha dominato l'intero rito, che è stato preceduto dal botta e risposta tra il Papa e cinque sacerdoti in rappresentanza dei Continenti. Il coro degli studenti universitari di Roma, diretto dal salesiano Massimo Palombella, ha intonato i canti, accompagnato da un'orchestra imponente, in tutto 600 elementi.

AsiaNews, Agi, Zenit

Il Papa: il sacerdote porti in sé il fuoco dell’amore di Cristo, da cui viene la vera teologia. Il celibato segno di Dio nel mondo per cui è scandalo

Sacerdote tra i sacerdoti, Benedetto XVI ha partecipato alla Veglia in Piazza San Pietro per la conclusione dell’Anno Sacerdotale. In un clima di gioia e affetto reciproco, il Papa ha pregato assieme a 15mila sacerdoti provenienti da tutto il mondo. Una dimostrazione d’affetto filiale a cui Benedetto XVI ha risposto con gratitudine: “So che ci sono tanti parroci nel mondo che danno realmente tutta la loro forza per l’evangelizzazione, per la presenza del Signore e dei suoi Sacramenti, e a questi fedeli parroci, che con tutte le forze della loro vita, del nostro essere appassionati per Cristo, vorrei dire un grande ‘grazie’, in questo momento”. Dopo il saluto del card. Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, cinque sacerdoti dai cinque continenti, hanno posto delle domande al Pontefice e Benedetto XVI, senza mai guardare i fogli che aveva con sé, ha risposto con acutezza e precisione, lo sguardo fisso sul sacerdote che aveva posto la domanda.
Rispondendo alla prima domanda di un parroco del Brasile che ha molte parrocchie da condurre e non ha il tempo per tutto, il Papa ha ribadito quanto sia importante che i fedeli possano vedere che il proprio parroco è innamorato di Cristo, un uomo pieno del Vangelo che dona tutto se stesso come faceva il Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney: “Io penso che soprattutto sia importante che i fedeli vedano che questo sacerdote non fa solo un ‘job’, ore di lavoro e poi è libero e vive per se stesso, ma che è un uomo appassionato di Cristo, che porta in sé il fuoco dell’amore di Cristo. Se vedono che è pieno della gioia del Signore, comprendono anche che non può far tutto e accettano i limiti e aiutano il parroco”. "San Carlo Borromeo dice a tutti i sacerdoti di non trascurare la loro propria anima. Se è trascurata non puoi dare agli altri quanto devi dare". "La preghiera - ha spiegato il Papa - per il sacerdote non è una cosa marginale, è la professione del sacerdote pregare anche per chi non trova il tempo per pregare o pensa di non saperlo fare". Il Pontefice ha raccomandato di "saper riconoscere i nostri limiti".
"Quando i discepoli - ha detto - erano in situazione di stress e volevano fare questo e quest'altro, Gesù disse loro 'riposate un po''. Bisogna trovare e avere l'umiltà e il coraggio di riposare". Accanto alla "priorità della relazione personale con Cristo", il Pontefice ha poi ricordato tre urgenze: "Rendere possibile per tutti l'Eucaristia domenicale e celebrarla in modo da rendere visisbile il Signore, l'annuncio e la caritas, cioè essere presenti per i sofferenti, come lo sono i bambini emarginati". In proposito il Pontefice ha ha indicato l'esempio di Madre Teresa di Calcutta.
Un sacerdote della Costa d’Avorio ha messo in luce il problema di una teologia che non ha al centro Cristo e inficia di “opinioni” la verità cattolica. "C'è una teologia che vuole essere accademica e scientifica e dimentica la realtà vitale, la presenza di Dio, il suo parlare oggi, e non solo nel suo passato". "San Bonaventura ha parlato di una teologia che viene dall'arroganza della ragione", ha detto Benedetto XVI. "C'è un abuso della teologia, un'arroganza della ragione che non nutre la fede ma oscura la presenza di Dio nel mondo. E poi c'è una teologia che vuole conoscere di più l'amore per l'Amato. Questa è la vera teologia, che viene dall'amore di Dio e di Cristo". Il Papa ha poi invitato i teologi a "non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento". “Soprattutto, anche, non pensare che la ragione positivistica, che esclude il trascendente, che non può essere accessibile, non è la vera ragione! Questa ragione debole, che presenta solo le cose esperimentabili, è realmente una ragione insufficiente”. Alcune delle teorie sostenute dai teologi del passato, "non valgono più, molti di loro appaiono ridicoli", ha detto Benedetto XVI. Di qui l’invito ad avere fiducia nel Magistero della Chiesa, dei vescovi in comunione con il Successore di Pietro. Nel nostro tempo, è stata la sua esortazione, dobbiamo conoscere bene la Sacra Scrittura, anche contro gli attacchi delle sette.
Un sacerdote slovacco, missionario in Russia, gli ha posto la domanda sul senso del celibato ecclesiastico, preso così di mira nel mondo contemporaneo. "Un grande problema del mondo di oggi è che non si pensa più al futuro di Dio, sembra sufficiente solo il presente", ha detto Benedetto XVI. "Il senso del celibato come anticipazione del futuro è aprire le porte, mostrare la realtà del futuro, che va vissuto già come presente e vivere così la testimonianza della fede, credere che Dio c'è e io posso fondare su di lui la mia vita. Conosciamo le critiche mondane al celibato: è vero che per il mondo agnostico, dove Dio non c'entra, il celibato è un grande scandalo, perché mostra che va considerato come realtà il Signore, il suo mondo futuro, che diventa così realtà nel nostro tempo, e questo dovrebbe scomparire".
"Può sorprendere questa - ha proseguito il Papa - e la critica continua contro il celibato, in un mondo in cui diventa moda il non sposarsi, ma questo non sposarsi è una cosa totalmente e fondamentalmente diversa dal celibato, perché basato sulla volontà di vivere da soli e per sé stessi, mentre il celibato è un sì definitivo", come il matrimonio. "Se scompare questo, va distrutta la radice della nostra cultura. Vogliamo andare avanti e rendere presente questo scandalo della fede. Sappiamo - ha aggiunto il Papa - che accanto a questo scandalo che il mondo non vuole vedere ci sono anche gli scandali dei nostri peccati, che oscurano il grande scandalo. Ma c'è tanta fedeltà, il celibato è un grande segno della fede. Preghiamo Dio che ci liberi dagli scandali secondari".
Un sacerdote giapponese gli ha chiesto come fare a sfuggire alla tentazione del clericalismo, vivendo nell’estraneità al mondo. Benedetto XVI ha indicato la celebrazione eucaristica, dove “l’umiltà di Dio” lascia la sua gloria per morire in croce e donarsi al mondo, come il luogo in cui farsi educare all’apertura verso tutti. “Vivere l’eucarestia sul serio – ha detto - è la difesa più sicura contro ogni tentazione di clericalismo”. E ha citato l’esempio di Madre Teresa, che iniziava il suo impegno verso i poveri e gli abbandonati dal costituire dei tabernacoli per l’adorazione dell’Eucarestia.
Infine, un sacerdote dell’Oceania ha parlato dei seminari vuoti e della necessità di far crescere nuove vocazioni al sacerdozio. Benedetto XVI ha messo in guardia dal cercare di risolvere il problema della mancanza di clero con soluzioni “professionali”, di preti “a ore”, e di “bussare alla porta di Dio, che ci dia le vocazioni di cui abbiamo bisogno”. E ha esortato i sacerdoti presenti a vivere il proprio sacerdozio in modo convincente. “Nessuno di noi – ha aggiunto - sarebbe divenuto sacerdote, se non avesse incontrato qualche sacerdote in cui bruciava il fuoco dell’amore di Cristo”. Il papa ha anche suggerito ai sacerdoti di essere vicini ai giovani, aiutandoli a discernere il valore della chiamata di Dio, facendoli vivere in situazioni che fanno comprendere e apprezzare la vita sacerdotale come un “modello” per la nostra società.

Radio Vaticana, Agi, Apcom



Anno Sacerdotale. Decisione dell'ultimo minuto: il Papa non proclamerà il Curato d'Ars patrono dei sacerdoti. Manterrà il titolo 'patrono dei parroci'

Cambio di programma all'ultimo minuto: secondo quanto riferisce l'agenzia francese I.Media, Papa Benedetto XVI ha deciso in extremis di non proclamare San Giovanni Maria Vianney (foto), il 'Curato d'Ars', figura emblematica della restaurazione cattolica della Francia all'indomani della Rivoluzione Francese, ''patrono di tutti i preti del mondo''. La proclamazione doveva avvenire domani, nel corso della Santa Messa per la conclusione dell'Anno Sacerdotale che il Pontefice celebrerà in Piazza San Pietro con più di 15.000 preti arrivati da tutto il mondo, ed era stata annunciata dal maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, mons. Guido Marini. Secondo I.Media, la decisione è stata presa perchè il Curato d'Ars non sarebbe ''abbastanza rappresentantivo del sacerdozio del XXI secolo, nè abbastanza universale''. Secondo fonti vaticane citate dall'agenzia francese, San Giovanni Maria Vianney ''non riflette completamente la figura del prete di oggi, all'epoca della comunicazione''. Interpellato in merito alla questione dall'agenzia Asca, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha ribadito che ''anche se nei giorni scorsi si è parlato del fatto che venerdì 11 il Papa avrebbe potuto proclamare il Curato d'Ars patrono dei preti di tutto il mondo, egli è già 'patrono dei parroci'''. Questo non toglie la centralità della sua figura, e non a caso il Papa ha indetto l'Anno Sacerdotale nel 150° anniversario della sua morte ma, spiega padre Lombardi, ''ha preferito conservargli il suo titolo di 'patrono dei parroci', che è stato il suo ministero proprio''. ''Infatti - aggiunge il portavoce vaticano - ci sono tante altre figure che possono fungere da modello per i preti del mondo. Lo stesso Papa nel corso dell'Anno Sacerdotale ha parlato di tanti altri modelli di prete, da ultimo a Torino in occasione dell'Ostensione della Sindone''. ''Per chi faccia un ministero diverso da quello di parroco - ha concluso padre Lombardi -, ci sono stati tanti altri preti che possono fungere da modello''.

Asca

Benedetto XVI riceve il premier spagnolo Zapatero. Al centro del colloquio crisi economica, libertà religiosa, rispetto della vita e educazione

E' durato trenta minuti, mediati da un interprete, il colloquio tra Papa Benedetto XVI e il primo ministro di Spagna Josè Luis Rodriguez Zapatero (foto), ricevuto quesa mattina in udienza in Vaticano. Il Pontefice ha accolto il premier spagnolo con un grande sorriso. I giornalisti presenti all'incontro hanno riferito di un clima cordiale tra i due. "Lei ha una pronuncia spagnola molto buona", ha detto Zapatero a Benedetto XVI. I ''colloqui hanno permesso uno scambio di vedute sull'Europa, sull'attuale crisi economico-finanziaria e sul ruolo dell'etica'', si legge nel testo del comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. ''Si è pure fatto riferimento ai Paesi dell'America Centrale e dei Caraibi, nonchè ad altre situazioni, in particolare, al Medio Oriente'', prosegue il comunicato. ''Nel prosieguo della conversazione - riferisce ancora la Sala Stampa vaticana - ci si è soffermati sui rapporti bilaterali, come pure su questioni di attualità e d'interesse per la Chiesa in Spagna, quali l'eventuale presentazione di una nuova Legge sulla libertà religiosa, la sacralità della vita fin dal concepimento e l'importanza dell'educazione. Riguardo alle Visite del Santo Padre a Santiago e a Barcellona nel corrente anno, e a Madrid nel prossimo per la Giornata Mondiale della Gioventù, si è riconosciuta la più ampia disponibilità del Governo spagnolo a collaborare alla loro preparazione ed al loro svolgimento''. Zapatero ha regalato al Papa un libro antico sulla storia del monastero di San Lorenzo Escorial. Benedetto XVI gli ha dato in dono un bassorilievo di bronzo raffigurante il Vaticano del 1600.

Il Magistero del Papa nell'Anno Sacerdotale: la Chiesa e il mondo hanno bisogno di preti santi per far sperimentare l’amore misericordioso del Signore

“Promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti” per una “più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”: con questo intento, il 19 giugno di un anno fa, Benedetto XVI dava inizio all’Anno Sacerdotale, in coincidenza con il 150° anniversario della morte del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney. Un Anno di grazia, che come scrive il Papa nella Lettera ai “fratelli nel sacerdozio” per l’occasione, vuole sottolineare anzitutto “l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per l’umanità”. “La Chiesa – è l’esortazione del Pontefice - ha bisogno di sacerdoti santi, di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l’amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni”.
“La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; questo rimanere nel suo amore esige cioè che tendiamo costantemente alla santità come ha fatto San Giovanni Maria Vianney” (19 giugno 2009: Apertura dell'Anno Sacerdotale).
Il Papa non manca di denunciare lo scandalo dei peccati dei pastori che “si tramutano in ladri delle pecore” a loro affidate dal Signore. E invita i sacerdoti a pregare affinché siano preservati “dal terribile rischio di danneggiare” coloro che sono invece tenuti a salvare. Bisogna ripartire dall’umile figura del Curato d’Ars, ribadisce Benedetto XVI. Un uomo di Dio consapevole che nel Cuore di Gesù “è espresso il nucleo essenziale del Cristianesimo”. Il suo Cuore Divino, aggiunge, “chiama allora il nostro cuore, ci invita ad uscire da noi stessi” per “fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve”. Ecco allora che, proprio come San Giovanni Maria Vianney, i sacerdoti sono chiamati ad essere “servi piuttosto che padroni della Parola evangelica”, ad essere “sacerdoti fino in fondo”.
“La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale… Riconosceva nella pratica del Sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale” (5 agosto 2009).
I metodi pastorali del Curato d’Ars, osserva il Papa, “potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali”. Ma in realtà, lo stile di San Giovanni Maria Vianney mantiene intatta la sua “forza profetica” e “continua ad essere un valido insegnamento per i sacerdoti”. Qual è dunque il cuore della testimonianza del Curato d’Ars?
“A ben vedere ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico, annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio” (5 agosto 2009).
I sacerdoti, è l’invito del Papa, imitino il Curato d’Ars coltivando e accrescendo giorno dopo giorno un’intima unione personale con Cristo, insegnando a tutti questa unione, questa amicizia intima con Cristo. Di qui l’auspicio che la chiamata al sacerdozio “fiorisca nel carisma della profezia”.
“C’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare” [Ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010)].
Sacerdozio, avverte Benedetto XVI, vuol dire essere immersi nella Verità. E rammenta che il sacerdote è chiamato ad annunciare la Parola del Signore e “a non essere mai omologato, né omologabile ad alcuna cultura o mentalità dominante”.
“Rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti” (14 aprile 2010).

Radio Vaticana

Anno Sacerdotale. Il card. Bertone: la disobbedienza alla divina volontà, l'iniquità e il peccato generano estraneità a Dio dolorosa e irragionevole

''L'esigenza del celibato per il Regno dei cieli'' è una ''condizione della integrale e definitiva consacrazione che l'Ordinazione Sacerdotale comporta'': lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, nell'omelia pronunciata durante la Santa Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, per l'Incontro internazionale dei sacerdoti in occasione della conclusione dell'Anno sacerdotale. ''Il celibato sacerdotale - ha aggiunto - 'è segno e insieme stimolo della carità pastorale e fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo'. Il suo valore è ben presente e tenuto in grande onore alla stessa tradizione delle Chiese Orientali, che pure conoscono anche la possibilità di un ministero uxorato''. Per il 'primo ministro' di Papa Benedetto XVI, ''la progressiva identificazione con il nostro Ministero, sull'esempio di San Giovanni Maria Vianney, che ci ha accompagnato lungo tutto questo Anno Sacerdotale, nasce dall'esperienza del Cenacolo e, misteriosamente ma efficacemente, sempre al Cenacolo ci riconduce, come al luogo, per così dire, sintetico, sia della vicenda storica di Dio con gli uomini, sia dell'esistenza di ciascuno di noi che, di tale vicenda, è divenuto co-protagonista nell'oggi della Chiesa''. ''Abbiamo, cari fratelli, la grande possibilità di diventare 'parenti del Signore', suoi intimi'', ha proseguito il card. Bertone. ''Questa nuova e impensabile comunione - ha concluso - nasce, come è chiaramente indicato dalle parole del Signore, dall'obbedienza alla sua parola, che un ascolto autentico necessariamente implica. Per contro, la disobbedienza alla divina volontà e il mistero dell'iniquità e del peccato generano, ben lo sappiamo, una estraneità tanto più dolorosa e irragionevole, quanto più pressante è l'invito del Signore alla comunione con Lui''.

Asca

Anno Sacerdotale. Il card. Ouellet: la credibilità dei discepoli di Cristo si misura sull’amore reciproco che consente loro di convincere il mondo

"Oggi noi assistiamo all’irrompere di un’ondata di contestazione senza precedenti sulla Chiesa e sul sacerdozio, a seguito della rivelazione di scandali di cui dobbiamo riconoscere la gravità e porre riparo con sincerità alle conseguenze. Ma al di là delle necessarie purificazioni meritate dai nostri peccati, occorre anche riconoscere nel momento presente un’aperta opposizione al nostro servizio della verità e degli attacchi dall’esterno ed anche dall’interno che minano a dividere la Chiesa”. E’ un passo della meditazione del card. Marc Ouellet, arcivescovo di Québec (Canada), pronunciata questa mattina nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, nell’ambito dell’Incontro internazionale dei sacerdoti in corso a Roma a conclusione dell’Anno Sacerdotale. Le parole del card. Ouellet sono risuonate nella Basilica ostiense a partire dalla sua esperienza personale, quando ordinato sarcedote nel 1968, in un atmosfera di generale contestazione, "avrei potuto – ha raccontato - deviare o anche interrompere la mia corsa, come avvenne in quel periodo a molti sacerdoti e religiosi”. Ma, “l’esperienza missionaria, l’amicizia sacerdotale e la vicinanza dei poveri - ha confidato - mi aiutarono a sopravvivere alle agitazioni degli anni postconciliari”. La Chiesa Cattolica conta oggi 408.024 preti suddivisi sui cinque continenti. “400.000 preti è molto ed è poco per più di un miliardo di cattolici”, ha commentato il cardinale, ricordando che “oggi come alle origini della Chiesa, le sfide dell’evangelizzazione sono accompagnate dalla prova delle persecuzioni”. “La credibilità dei discepoli di Cristo si misura sull’amore reciproco che consente loro di convincere il mondo”, ha affermato l’arcivescovo.

SIR, Radio Vaticana

I 'frutti' dell'Anno Sacerdotale: per un vescovo tedesco l''Omnium in mente' aprirebbe ai diaconi donne. 59% dei preti austriaci abolirebbe celibato

Il vescovo di Osnabrueck in Germania, mons. Franz-Josef Bode, apre all'ordinazione delle donne al diaconato, alla luce di un documento dottrinale diffuso alla fine dell'anno scorso da papa Benedetto XVI che ha sottolineato la differenza tra il diaconato, il livello più basso dell'ordine sacerdotale, e il presbiterato e l'episcopato. I chiarimenti contenuti nel Motu Proprio ''Omnium in mentem'' del dicembre 2009, per il presidente della Commissione pastorale dei vescovi tedeschi, offrono la possibilità di riportare la questione delle 'diaconesse', per altro già attestate dal Nuovo Testamento, nel dibattito teologico. Secondo quanto riferisce la Radio Vaticana, mons. Bode si è anche detto generalmente a favore del trasferimento di maggiori responsabilità nella Chiesa a volontari laici, alla luce del numero dei preti nel modo, destinato a calare costantemente.
La maggioranza dei preti austriaci vuole l'abolizione del celibato obbligatorio. E' quanto emerge da un sondaggio effettuato da ricercatori dell'Università Keplero di Linz: il 59% dei 406 preti cattolici intervistati nell'ambito della ricerca si sono detti favorevoli alla fine dell'obbligo del celibato per i preti cattolici di rito latino. I vescovi dell'Austria avevano chiesto l'apertura di una discussione sul celibato durante la loro ultima assemblea plenaria, dopo che il vescovo di Eisenstadt, mons. Paul Iby, aveva sollevato la questione. L'arcivescovo di Vienna, card. Christoph Schoenborn, ex-alunno di Papa Ratzinger e uno dei suoi più fidati consiglieri, aveva detto di ''condividere le preoccupazioni'' di mons. Iby. Quanto alle voci di una lettera di rimprovero che Papa Benedetto XVI avrebbe inviato a Schoenborn, dall'arcidiocesi di Vienna smentiscono che possa trattare la questione del celibato e ricordano che il cardinale si consulta costantemente con il Pontefice prima di prendere un'iniziativa. Dopo l'esplodere dello scandalo pedofilia, già 30.000 persone hanno lasciato la Chiesa Cattolica in Austria nei primi tre mesi di quest'anno, con una crescita del 42% rispetto al 2009. Se questo trend fosse confermato, sarebbero circa 80.000 gli austriaci che lasceranno la Chiesa nel 2010, contro i 53.000 dell'anno precedente. Il sondaggio ha mostrato anche che il 70% degli austriaci ritengano che la Chiesa abbia perso credibilità per la crisi degli abusi sui minori.

Asca

Il Papa a Cipro. Magister: in una Chiesa di martiri, la pazienza di Benedetto XVI. L'ecumenismo, l'islam e la croce i punti focali del viaggio

di Sandro Magister
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Della prima visita mai compiuta da un Papa nell'isola di Cipro, evangelizzata fin dai tempi apostolici e poi terra di confine e conflitto tra cristianità e islam, i media hanno evidenziato gli spunti geopolitici, peraltro modesti e in larga misura non attribuibili direttamente al Papa: in particolare quelli del testo di lavoro su cui discuteranno il prossimo ottobre, a Roma, i patriarchi e i vescovi delle Chiese del Medio Oriente, testo reso pubblico domenica 6 giugno a Nicosia. Ma per capire il senso di questo viaggio nella mente del suo autore, la via più diretta è la viva voce di Benedetto XVI. Papa Joseph Ratzinger ama svelare il suo pensiero su ogni suo viaggio in due momenti prefissati. Con le risposte ai giornalisti sull'aereo in volo verso la destinazione. Con l'Udienza generale in Vaticano del mercoledì successivo al ritorno dal viaggio. E poi, naturalmente, fanno testo i discorsi pronunciati dal Papa sul posto. Specie i passaggi in cui è più evidente l'impronta sua personale. Da tutto ciò si ricava che per Benedetto XVI i punti focali del viaggio a Cipro sono stati l'ecumenismo e l'islam. Ma non solo.
L'ecumenismo. La popolazione di Cipro è in stragrande maggioranza ortodossa. E la sua Chiesa è una delle più antiche e nobili della cristianità bizantina. Tra Benedetto XVI e l'arcivescovo Chrysostomos II intercorre un rapporto anche personale di amicizia e di stima che si è espresso al livello simbolico più alto nell'abbraccio tra i due, durante la Messa celebrata dal Papa a Nicosia, domenica 6 giugno, con la piccola comunità cattolica dell'Isola presente quasi al completo. Nel discorso di congedo da Cipro, Papa Ratzinger ha associato questo abbraccio a quello "profetico" del 1964 tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora. E in effetti, il cammino ecumenico da allora compiuto ha registrato con l'attuale papa dei progressi senza precedenti, sul versante dell'Ortodossia. Nel volo d'andata per Cipro, Benedetto XVI ha spiegato che sono tre gli elementi che "fanno sempre più vicine" la Chiesa di Roma e le Chiese d'Oriente. Il primo è la Sacra Scrittura, letta non come un testo che ognuno interpreta a suo piacimento, ma come un libro "cresciuto nel popolo di Dio, che vive in questo comune soggetto e solo qui rimane sempre presente e reale". Il secondo è la tradizione di cui la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse sono portatrici, una tradizione che non solo interpreta la Scrittura ma ha nei vescovi le sue guide e i suoi testimoni sacramentalmente istituiti. E il terzo elemento è la "regola della fede", cioè la dottrina fissata dagli antichi concili, che "è la somma di quanto sta nella Scrittura e apre la porta alla sua interpretazione". È evidente che questi tre elementi, se avvicinano la Chiesa Cattolica alle Chiese Ortodosse, distanziano però entrambe dal protestantesimo. Ma è questo e non altro l'apporto che dà al cammino ecumenico un Papa come Benedetto XVI. La prossimità tra cattolicesimo ed ortodossia è ormai così forte che tra le due parti si è giunti a discutere la questione capitale che li divide, cioè il primato del Vescovo di Roma. Proprio a Cipro, a Paphos, ospitata di Chrysostomos II, si è tenuta lo scorso ottobre una sessione di studio tra cattolici e ortodossi ai massimi livelli, che ha esaminato come veniva vissuto il primato di Roma nel primo millennio, quando le Chiese d’Occidente e d’Oriente erano ancora unite. Dal 20 al 27 settembre di quest’anno, a Vienna, le due delegazioni tornaranno a incontrarsi per proseguire il lavoro. L'arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II, è in campo ortodosso uno dei maggiori artefici dell'attuale primavera ecumenica, assieme al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, al metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas e, per la grande Chiesa russa, al Patriarca di Mosca Kirill I e al metropolita di Volokolamsk Hilarion. Già la visita compiuta da Chrysostomos II a Roma nel giugno del 2007 era stato uno dei momenti ecumenicamente più fruttuosi degli ultimi anni. Le resistenze alla visita del Papa espresse prima del viaggio da un paio di metropoliti dell'Isola e appoggiate da frazioni della Chiesa greca non hanno avuto alcun seguito effettivo.
L'islam. Quanto al secondo centro focale del viaggio di Benedetto XVI a Cipro, la foto che apre questa pagina è emblematica. Incamminandosi sabato 5 giugno per la Messa nella chiesa cattolica della Santa Croce, che a Nicosia è proprio sul confine con la zona dell'isola occupata dai turchi, Benedetto XVI si è imbattuto in un vecchio sceicco sufi, Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani. Si sono salutati. Hanno promesso di pregare l'uno per l'altro. Si sono scambiati piccoli doni: un rosario musulmano, una tavoletta con parole di pace in arabo, un bastone istoriato, una medaglia pontificia. Invece dell'atteso incontro con il mufti di Cipro Yusuf Suicmez, la massima autorità musulmana dell'isola, c'è stato quindi l'incontro del Papa con un maestro sufi, cioè con un esponente di un islam mistico, un islam che "presumibilmente per influenze cristiane mette l'accento sull'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio", invece che su un Dio inaccessibile "tra i cui 99 nomi manca quello di Padre". Le parole ora virgolettate sono del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico per l'Anatolia e presidente della Conferenza Episcopale cattolica di Turchia, ucciso a Iskenderun il 3 giugno, vigilia del viaggio del Papa a Cipro, al quale anche lui avrebbe dovuto partecipare. Benedetto XVI ha evitato accuratamente di imprigionare il suo viaggio in questo fatto tragico. La diplomazia vaticana, attentissima a scongiurare qualsiasi attrito con la Turchia e l'islam in generale, ha fatto la sua parte per convincere il Papa ad escludere da subito tassativamente che si sia trattato di un assassinio "politico o religioso". Ma questa remissiva e controproducente versione, smentita ogni giorno di più dai fatti, come hanno messo in luce fin da subito il giornale dei vescovi italiani Avvenire e l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere AsiaNews, non ha impedito a Papa Ratzinger di compiere i passi di verità che si era ripromesso di fare verso il mondo musulmano. Il primo passo è stato la denuncia della "triste" situazione reale. Che per Cipro significa l'occupazione da parte della Turchia della parte settentrionale dell'Isola, l'espulsione dei cristiani ivi residenti, la distruzione sistematica delle chiese. Accogliendo il Papa come ospite, l'arcivescovo Chrysostomos II ha bollato tutto ciò con parole taglienti. E Benedetto XVI gli ha fatto eco così, al termine del viaggio: "Avendo pernottato in questi giorni nella nunziatura apostolica, che si trova nella zona cuscinetto sotto il controllo delle Nazioni Unite, ho potuto vedere di persona qualcosa della triste divisione dell’isola, come pure rendermi conto della perdita di una parte significativa di un’eredità culturale che appartiene a tutta l’umanità. Ho potuto anche ascoltare ciprioti del nord che vorrebbero ritornare in pace alle loro case e ai loro luoghi di culto, e sono stato profondamente toccato dalle loro richieste". A questo riconosciuto stato di cose il Papa ha risposto non con l'offrire consigli politici o strategici ma anzitutto esortando a una "pazienza" attiva, anche a proposito delle incessanti esplosioni di violenza che insanguinano l'intero Medio Oriente. Ha detto durante il volo per Cipro: "Dobbiamo quasi imitare Dio, la sua pazienza. Dopo tutti i casi di violenza, non perdere la pazienza, non perdere il coraggio, non perdere la longanimità di ricominciare; creare le disposizioni del cuore per ricominciare sempre di nuovo, nella certezza che possiamo andare avanti, che possiamo arrivare alla pace, che la soluzione non è la violenza, ma la pazienza del bene". In secondo luogo, parlando ai diplomatici e tramite essi ai governi della regione, il Papa ha riproposto la sapienza politica di Platone, di Aristotele, degli stoici, poiché "per loro, e per i grandi filosofi islamici e cristiani che hanno seguito i loro passi, la pratica della virtù consisteva nell’agire secondo la retta ragione, nel perseguimento di tutto ciò che è vero, buono e bello", a cominciare da quella "legge naturale propria della nostra comune umanità". Benedetto XVI sa bene che i "grandi filosofi islamici" aperti alla cultura greca appartengono a secoli molto lontani e che dopo Averroè tutto ciò è stato interrotto. Ma richiamando questo precedente storico il Papa ha mostrato che anche per l'islam è possibile e doverosa una rivoluzione illuminista analoga a quella vissuta dal cristianesimo. A Ratisbona ha spiegato che l'impresa è estremamente ardua, ma da allora continua a rilanciare al mondo musulmano la proposta di saldare la fede al "logos" e quindi alla libertà di coscienza e di religione, tuttora inesistenti nei paesi islamici, come anche il vescovo Padovese ben sapeva e spiegava, con ragionamenti molto ratzingeriani. Su questo sfondo, l'incontro del Papa con il maestro sufi, figura a margine delle correnti islamiche dominanti, ha simboleggiato l'incontro con un "altro" islam, con musulmani che non sono nemici ma "fratelli nonostante le diversità".
La croce. Ma non ci sono stati solo l'ecumenismo e l'islam, nell'agenda di viaggio del Papa. Sorprendentemente, Benedetto XVI ha dedicato alla croce, la croce di Gesù, la sua meditazione più intensa, predicando in una chiesa dedicata proprio al santo legno. A tutti coloro che soffrono, ha detto, la croce "offre la speranza che Dio può trasformare le loro sofferenze in gioia, la morte in vita". La croce fa ciò di cui nessun potere terreno è capace. "E se, in accordo con quanto abbiamo meritato, avessimo qualche parte nelle sofferenze di Cristo, rallegriamoci, perché ne avremo una felicità ben più grande quando sarà rivelata la sua gloria". Ci vuole coraggio a rivolgersi così a persone che patiscono l'occupazione ingiusta delle loro case e terre, l'esilio forzato, la distruzione dei segni della propria fede, in un quadrante mediorientale nel quale l'unico Stato in cui i cristiani godono di libertà è quello di Israele. Ma la croce è il felice scandalo della fede cristiana. È il vessillo trionfale che Papa Benedetto innalza e offre al mondo.