giovedì 10 giugno 2010

Il Magistero del Papa nell'Anno Sacerdotale: la Chiesa e il mondo hanno bisogno di preti santi per far sperimentare l’amore misericordioso del Signore

“Promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti” per una “più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”: con questo intento, il 19 giugno di un anno fa, Benedetto XVI dava inizio all’Anno Sacerdotale, in coincidenza con il 150° anniversario della morte del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney. Un Anno di grazia, che come scrive il Papa nella Lettera ai “fratelli nel sacerdozio” per l’occasione, vuole sottolineare anzitutto “l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per l’umanità”. “La Chiesa – è l’esortazione del Pontefice - ha bisogno di sacerdoti santi, di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l’amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni”.
“La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; questo rimanere nel suo amore esige cioè che tendiamo costantemente alla santità come ha fatto San Giovanni Maria Vianney” (19 giugno 2009: Apertura dell'Anno Sacerdotale).
Il Papa non manca di denunciare lo scandalo dei peccati dei pastori che “si tramutano in ladri delle pecore” a loro affidate dal Signore. E invita i sacerdoti a pregare affinché siano preservati “dal terribile rischio di danneggiare” coloro che sono invece tenuti a salvare. Bisogna ripartire dall’umile figura del Curato d’Ars, ribadisce Benedetto XVI. Un uomo di Dio consapevole che nel Cuore di Gesù “è espresso il nucleo essenziale del Cristianesimo”. Il suo Cuore Divino, aggiunge, “chiama allora il nostro cuore, ci invita ad uscire da noi stessi” per “fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve”. Ecco allora che, proprio come San Giovanni Maria Vianney, i sacerdoti sono chiamati ad essere “servi piuttosto che padroni della Parola evangelica”, ad essere “sacerdoti fino in fondo”.
“La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale… Riconosceva nella pratica del Sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale” (5 agosto 2009).
I metodi pastorali del Curato d’Ars, osserva il Papa, “potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali”. Ma in realtà, lo stile di San Giovanni Maria Vianney mantiene intatta la sua “forza profetica” e “continua ad essere un valido insegnamento per i sacerdoti”. Qual è dunque il cuore della testimonianza del Curato d’Ars?
“A ben vedere ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico, annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio” (5 agosto 2009).
I sacerdoti, è l’invito del Papa, imitino il Curato d’Ars coltivando e accrescendo giorno dopo giorno un’intima unione personale con Cristo, insegnando a tutti questa unione, questa amicizia intima con Cristo. Di qui l’auspicio che la chiamata al sacerdozio “fiorisca nel carisma della profezia”.
“C’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare” [Ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010)].
Sacerdozio, avverte Benedetto XVI, vuol dire essere immersi nella Verità. E rammenta che il sacerdote è chiamato ad annunciare la Parola del Signore e “a non essere mai omologato, né omologabile ad alcuna cultura o mentalità dominante”.
“Rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti” (14 aprile 2010).

Radio Vaticana