venerdì 24 agosto 2012

I lefebvriani scozzesi abbandonano mons. Fellay e si riconciliano con il Papa. E la Società di Papa Leone XIII tratta con Dottrina della Fede

Mentre i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X continuano a discutere con la Santa Sede il loro pieno ritorno nella Chiesa (al momento le trattative sono bloccate sull'accettazione, da parte dei tradizionalisti, della dottrina elaborata dal Concilio Vaticano II), il giorno di Ferragosto Roma ha segnato un punto a favore: il ramo scozzese della Fraternità, la Congregazione dei Figli del Santissimo Redentore, in marcia dal 2008 per il ritorno nella Chiesa Cattolica, ha ottenuto il riconoscimento canonico come Istituto religioso di diritto diocesano ed è tornata in comunione con Roma. Forte di 15 membri tra preti e suore, questo gruppo di lefebvriani quattro anni fa ha deciso di abbandonare la Fraternità e tornare all'ovile romano. La Congregazione, fondata nel 1988 sull'isoletta di Papa Stronsay nelle Orcadi dal neozelandese padre Michael Mary, ha scelto di far pace con il Vaticano nel 2008 a seguito della promulgazione, da parte di Papa Benedetto XVI, del Motu Proprio "Summorum Pontificum", con cui ha autorizzato la celebrazione della Santa Messa anche secondo il rituale di San Pio V nell'edizione rivista da Giovanni XXIII nel 1962. Il prezzo della scelta voluta dai lefebvriani scozzesi è stato la perdita di due sacerdoti, come ha riportato allora l'inglese Catholic Herald, e circa 1.000 fedeli in tutto il Regno Unito. Più la riduzione del 50% degli abbonati al loro bollettino, lettere minatorie e il ritiro dei seminaristi dal seminario che i lefebvriani hanno in Australia. Ma la marcia dei Redentoristi Transalpini (come allora si chiamavano, pur non avendo alcun legame con i Redentoristi fondati da Sant'Alfonso de' Liguori) non si è arrestata e, il giorno di Ferragosto di quest'anno è stato un giorno speciale: nella Solennità dell'Assunta, la piccola comunità di Papa Stronsay ha ottenuto il riconoscimento canonico dal vescovo di Aberdeen, il benedettino Hugh Gilbert. Ma non è tutto. Secondo l'agenzia cattolica Zenit, nei giorni scorsi anche il vescovo David Bell, capo della Società di Papa Leone XIII, anche questo un gruppo tradizionalista, sta conducendo delle trattative con Roma per una possibile riconciliazione. Il ritorno in comunione della Società porterebbe in dote alla Chiesa Cattolica 73 vescovi, 500 preti e 8,5 milioni di fedeli. Per il momento, a condurre le trattative è la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Antonino D'Anna, Affaritaliani.it

Il Papa in Libano. Benedetto vuole essere vicino ai cristiani del Medio Oriente. Tutte le forze in campo hanno interesse che si svolga senza problemi

Nonostante gli scontri e disordini di questi giorni a Tripoli, nel nord-ovest del Paese, la preparazione del viaggio di Benedetto XVI in Libano continua a pieno ritmo: il Papa e i suoi collaboratori sono al lavoro sui discorsi che verranno pronunciati, e sul testo dell’Esortazione Apostolica post-sinodale, frutto dei lavori del Sinodo sul Medio Oriente del 2010, che sarà firmata e consegnata alle Chiese mediorientali nel Paese dei cedri. Un Paese, il Libano, che può essere a pieno titolo incluso nella Terra Santa: nella zona di Tiro e Sidone infatti l’evangelista Matteo ambienta il viaggio di Gesù e dei suoi discepoli e cita l’episodio della donna cananea che chiede la guarigione della figlia indemoniata. Un Paese dove la secolare presenza cristiana è stata un fattore determinante. Nei giorni scorsi diversi giornali hanno riportato voci allarmanti sulla sicurezza ipotizzando che il pellegrinaggio papale possa essere, all’ultimo momento, rimandato. Ipotesi che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha prontamente smentito, informando anche che la Papamobile di Benedetto XVI è già arrivata nel Paese. Ieri ha parlato dei rischi del viaggio anche padre Paolo Dell’Oglio, il gesuita che ha dovuto lasciare il monastero di Mar Moussa in Siria dopo trent’anni di impegno nel dialogo tra cristiani e musulmani. Secondo padre Dell’Oglio, il pericolo sarebbe rappresentato dalla prossimità dell’attuale governo libanese con il regime siriano di Bashar al-Assad. È vero che fonti diplomatiche lasciano aperta la possibilità di un rinvio, nel caso la situazione della Siria precipitasse ulteriormente, ricordando quanto avvenne nel 1994, quando Giovanni Paolo II fu costretto a cancellare il viaggio già organizzato a Beirut, a motivo di una serie di attacchi dinamitardi contro chiese cristiane. Allora però la situazione era diversa, e a far decidere per il rinvio del pellegrinaggio, avvenuto poi nel maggio 1997, furono anche le tensioni esistenti tra gli stessi cristiani. "Per il momento non c’è alcuna idea di rimandare il viaggio – ribadiscono le fonti vaticane – il Papa vuole visitare un Paese che ha sofferto e che soffre, un’area delicata e problematica dove i cristiani sono stati e sono un elemento costitutivo e tradizionalmente sempre presente". Proprio l’appello alla pace, alla convivenza, al dialogo tra religioni diverse, all’impegno per il bene comune e alla fine di ogni violenza, e soprattutto la vicinanza e il sostegno ai cristiani del Medio Oriente, sono gli obiettivi del viaggio. "È importante – affermano le fonti della Santa Sede – che i cristiani giochino un ruolo attivo: sono un fattore di stabilità e devono continuare a svolgerlo, in un momento di grandi cambiamenti e di incognite per il futuro dell’intera regione". Nella capitale libanese, nonostante la vicinanza e la dipendenza dalla Siria, la situazione appare tutto sommato calma ed è più che probabile che nessuno in questo momento voglia aprire nuovi fronti di destabilizzazione. In particolare Hezbollah, il "Partito di Dio", partito politico sciita libanese appoggiato dall’Iran e anche dalla Siria, che è dotato un’ala militare. Alcune fazioni cristiane libanesi sono vicine a Hezbollah, e in ogni caso le principali forze in gioco hanno interesse che tutto si svolga senza problemi e che il Papa possa dire ciò che ha da dire, sui cristiani, sulla convivenza nell’area, e anche sulla Siria. Un aspetto che sta molto a cuore a Papa Ratzinger è quello dei giovani. Benedetto XVI si troverà di fronte una vastissima platea di giovani, non soltanto cristiani, ai quali far arrivare direttamente un messaggio di pace e di dialogo, ancorato ai valori evangelici, diverso da altre sollecitazioni e incitazioni troppo spesso incentrate sull’odio. Un messaggio che sarà presente anche nell’Esortazione Apostolica post-sinodale, nella quale si parlerà della difficile situazione dei cristiani in Medio Oriente, ma anche della ricchezza rappresentata dalle loro riverse tradizioni e riti, e del ruolo che questa componente insostituibile deve continuare a svolgere. Dopo le speranze accese dalla "primavera araba", che ha visto anche i cristiani protagonisti, questo è il momento delle difficoltà e dell’incertezza: molte comunità cristiane sono spaventate. Cadono regimi che avevano comunque garantito loro la sopravvivenza, si rischia di sprofondare nel caos. E anche in Paesi dove si sta cercando uscire dalla difficile transizione post-bellica, come nel caso dell’Iraq, i cristiani si sentono minacciati dal fondamentalismo e dalla mancanza di sicurezza, ma non vogliono ridursi in "riserve" che li separino dal resto della popolazione con cui hanno convissuto per secoli.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Nell'estate 1962 Joseph Ratzinger era impegnato in un lungimirante discernimento critico del materiale delle commissioni preparatorie del Concilio

Nella quiete estiva di Castel Gandolfo Benedetto XVI ha concluso la stesura del suo ultimo volume sulla vita di Gesù e dicono che stia definendo le linee portanti della sua quarta Enciclica papale. Anche cinquant’anni fa, di questi tempi, il 35enne Joseph Ratzinger, che in quel periodo insegnava teologia fondamentale presso l’università di Bonn, era alle prese con fascicoli da studiare, bozze da correggere e testi da approntare. Allora, a sottoporlo a giorni intensi di superlavoro erano le richieste provenienti dall’arcivescovo di Colonia Joseph Frigs (foto), che lo aveva scelto come proprio consulente teologico in vista del Concilio e intendeva avvalersi del suo aiuto già nelle concitate battute finali della fase preparatoria dell’assise conciliare. Frings era membro della Commissione preparatoria centrale del Concilio, e già in quella veste si candidava coi suoi interventi e le sue iniziative al ruolo di futuro playmaker del Vaticano II. Grazie a Frings, Ratzinger aveva avuto accesso già nella primavera del 1962 agli schemi dei documenti predisposti dalle commissioni preparatorie per essere discussi e approvati in Concilio. Tra maggio e settembre, come documentano gli autorevoli studi storici di Norbert Trippen e del gesuita Jared Wicks, Joseph Ratzinger analizza per conto di Frings buona parte del materiale prodotto dagli organismi coinvolti nella fase preparatoria, esprimendo giudizi lucidi, netti e spesso sorprendenti. Ad esempio, in una lettera spedita a maggio a don Hubert Luthe, il segretario di Frings, che era stato suo compagno di studi alla facoltà teologica di Monaco, Ratzinger valorizza con toni entusiasti soprattutto gli schemi prodotti dal segretariato per l’unità dei cristiani, l’organismo che sotto la guida del card. Augustin Bea andrà progressivamente delineandosi come interlocutore dialettico rispetto alla Commissione teologica, presieduta dal segretario del Sant’Uffizio Alfredo Ottaviani. Tra gli schemi firmati da Bea figurano anche i primordiali abbozzi dei futuri decreti conciliari sull’ecumenismo e sulla libertà religiosa. "Se si potesse orientare il Concilio al punto di far propri questi testi - scrive Ratzinger al segretario di Frings, già nel maggio ’62 - ne sarebbe certo valsa la pena e si sarebbe raggiunto un vero progresso. Qui veramente si parla il linguaggio che serve al nostro tempo, che può essere compreso anche da tutti gli uomini di buona volontà". A fine giugno, sempre su mandato di Frings, che in quei mesi si fa portavoce della crescente insoddisfazione di ampi settori degli episcopati europei per come sta procedendo la fase istruttoria del Concilio, Joseph Ratzinger stende addirittura la bozza di una Costituzione Apostolica che definisca sinteticamente e con chiarezza didascalica gli obiettivi del Vaticano II prima del suo inizio: tre pagine dattiloscritte in latino, in cui il giovane teologo bavarese prende le mosse da una realistica constatazione delle circostanze storiche in cui il Concilio è stato convocato ("la luce divina sembra oscurata, e Nostro Signore sembra essersi addormentato in mezzo alla tempesta e alle onde di oggi") e conclude valorizzando l’attualità del modello di annuncio mostrato da San Paolo, che per dare testimonianza a Gesù Cristo "si è fatto tutto a tutti" (1 Cor 9,22). Il discernimento critico esercitato da Ratzinger sui testi prodotti nella fase preparatoria del Concilio raggiunge il suo vertice nel settembre del 1962. A meno di un mese dall’apertura del Vaticano II, il futuro Benedetto XVI lo applica direttamente al primo corpus di sette schemi predisposti in forma definitiva dalle Commissioni preparatorie, su ispirazione prevalente degli organismi dottrinali della Curia romana. In un testo ultimato da Ratzinger a metà settembre, e “rigirato” con la propria firma e senza ulteriori aggiunte dal card. Frings al segretario di Stato Amleto Cicognani, le valutazioni positive vengono riservate soltanto ai due schemi sul rinnovamento liturgico e sull’unità con le Chiese d’Oriente. Secondo il professore di Bonn, solo tali testi di lavoro "corrispondono molto bene allo scopo del Concilio stabilito dal Romano Pontefice". Se l’intento è "il rinnovamento della vita cristiana e l’adattamento della disciplina della Chiesa alle necessità di oggi", è metodologicamente importante evitare che il Concilio si impantani fin dal suo avvio "in questioni complicate sollevate dai teologi, che le persone del nostro tempo non possono afferrare e che finiscono per turbarle". Tutti gli altri schemi, soprattutto quelli elaborati dalla Commissione teologica preparatoria, presieduta dal card. Ottaviani, vengono giudicati da Ratzinger come "troppo scolastici". In particolare, viene bocciato lo schema sulla preservazione della purezza del 'depositum fidei' ("è così carente che in questa forma non può essere proposto al Concilio"). Per quello dedicato alle “fonti” della divina Rivelazione Joseph Ratzinger suggerisce cambiamenti sostanziali di struttura e di contenuto. Mentre quelli dedicati all’ordine morale cristiano, alla verginità, alla famiglia e al matrimonio vengono da lui liquidati con argomenti di opportunità pastorale. Essi, secondo Ratzinger, "travolgono il lettore con la loro eccessiva abbondanza di parole". I testi conciliari, ripete il giovane professore di Bonn, "dovrebbero dare risposte alle questioni più urgenti e dovrebbero farlo, per quanto possibile, non giudicando e condannando, ma usando un linguaggio materno, con un’ampia presentazione delle ricchezze della fede cristiana e delle sue consolazioni". Dai contributi offerti al card. Frings già nella fase preparatoria del Concilio si intuisce che Joseph Ratzinger non giunse all’appuntamento col Vaticano II in maniera sprovveduta. Il giovane professore bavarese appare ben consapevole di ciò che è in gioco in quell’evento ecclesiale, ancor prima del suo inizio. Nella sua collaborazione con Frings, Ratzinger si predispone già da allora un armamentario flessibile ma ben profilato di proposte e riflessioni, che poi daranno spessore alla sua intensa partecipazione all’avventura conciliare.

Gianni Valente, Vatican Insider

Il Papa in Libano. Mons. Masri: le tensioni non intaccano il viaggio. Evento importante che incoraggia i cristiani a convivere con i musulmani

Nonostante il clima di tensione crescente in Libano, scosso dalla guerra civile nella vicina Siria, procedono i preparativi per il viaggio di Papa Benedetto XVI nel Paese, in programma dal 14 al 16 settembre. Per mons. George Masri, economo generale del Patriarcato siro-cattolico in Libano, intervistato dalla Radio Vaticana, ''questi eventi... non intaccano la visita del Santo Padre perchè questa visita dà fiducia alla grande maggioranza di tutta la popolazione libanese e a tutti i cristiani del Medio Oriente''. ''Speriamo molto nella visita del Santo Padre perchè è un avvenimento di speranza per tutta la Chiesa'', aggiunge il sacerdote, spiegando che il viaggio del Papa è ''importante'' perchè ''il Santo Padre ci dà fiducia e ci dà il coraggio di vivere con i nostri vicini musulmani per condurre un dialogo di vita, perchè il dialogo dogmatico non è facile, ma stiamo convivendo con la popolazione musulmana. Noi speriamo molto nella visita del Santo Padre e ci stiamo preparando, cristiani e musulmani, a questo grande avvenimento. Speriamo che il dialogo tra noi e i nostri fratelli musulmani rimanga un dialogo di vera convivenza''. Di fronte ai rivolgimenti in atto in Medio Oriente, per mons. Masri i cristiani sperano ''che la primavera araba sia veramente una primavera. Il vero dialogo che noi dovremmo fare con i nostri fratelli musulmani è quello di poter avere un'uguaglianza tra tutti i cittadini sulla base della cittadinanza e non sull'appartenenza religiosa: siamo tutti figli di Dio, musulmani e cristiani. Seriamo che l'Occidente possa aiutare questa regione a sviluppare una vera democrazia. La religione musulmana prevede un regime teocratico, non democratico: se vogliamo avere un vero dialogo con i musulmani lo dobbiamo fare sulla base di valori civili e non su criteri religiosi''.

Asca

Viaggio del Papa in Libano. Mons. Masri: evento importante, incoraggia i cristiani a convivere con i musulmani

Memoria di San Bartolomeo Apostolo. Il Magistero del Papa: Dio sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo

Cercare la verità significa voler superare l’arduo ostacolo dei pregiudizi. Ce lo ricorda il Vangelo dedicato alla memoria odierna di San Bartolomeo Apostolo (foto), identificato con il Natanaele del brano evangelico. Argomento che il Papa ha spesso affrontato nelle sue catechesi. Nel discorso che avrebbe dovuto tenere all’Università romana della Sapienza, il Papa invitava alla “ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera”. I pregiudizi, invece, sono pigri e hanno fretta di fronte ad una verità che non si fa trovare facilmente. Così, Natanaele, a Filippo che gli presenta Gesù come il Messia, risponde bruscamente: cosa può mai venire di buono da Nazaret? Una vicenda, sottolinea il Papa, che mostra come l’uomo spesso, pur essendo onesto, si lasci ingannare dalla sua incapacità di approfondire le questioni.
“Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo” (Udienza generale, 4 ottobre 2006).
Ma Natanaele, incontrando direttamente Gesù, si sente toccato in profondità e si affida completamente a Lui. Il pregiudizio svanisce: “La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un'esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l'annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù” (Udienza generale, 4 ottobre 2006).
La ricerca prevede un cammino. Ci sono tanti, invece, afferma il Papa, che indicano agli altri la strada, ma restano fermi. Incontrando i giovani a Madrid l’anno scorso, Benedetto XVI li esortava: “E’ una cosa buona cercare sempre. Cercate soprattutto la verità, che non è un’idea, un’ideologia o uno slogan, ma una Persona, il Cristo, Dio stesso venuto tra gli uomini!” (Festa di accoglienza dei giovani, 18 agosto 2011).

Radio Vaticana