domenica 15 aprile 2012

85° genetliaco di Benedetto XVI. Il Papa: durante l'elezione ho detto al Signore 'non farmi questo!' ma alla fine non ho potuto fare altro che dire sì

"Quando, lentamente, l'andamento delle votazioni mi ha fatto capire che, per così dire, la scure sarebbe caduta su di me, la mia testa ha incominciato a girare. Ero convinto di aver svolto l'opera di tutta una vita e di poter sperare di finire i miei giorni in tranquillità. Con profonda convinzione ho detto al Signore: non farmi questo! Disponi di persone più giovani e migliori, che possono affrontare questo grande compito con tutt'altro slancio e tutt'altra forza. Allora sono rimasto molto toccato da una breve lettera scrittami da un confratello del collegio cardinalizio. Mi ha ricordato che in occasione della Messa per Giovanni Paolo II avevo incentrato l'Omelia, partendo dal Vangelo, sulla parola che il Signore disse a Pietro presso il lago di Genesaret: seguimi! Avevo spiegato come Karol Wojtyla aveva sempre ricevuto di nuovo questa chiamata dal Signore, e come sempre di nuovo aveva dovuto rinunciare a molto e dire semplicemente: sì, ti seguo, anche se mi conduci dove non avrei voluto. Il confratello mi ha scritto: Se il Signore ora dovesse dire a te 'seguimi', allora ricorda ciò che hai predicato. Non rifiutarti! Sii obbediente come hai descritto il grande Papa, tornato alla casa del Padre. Questo mi ha colpito nel profondo. Le vie del Signore non sono comode, ma noi non siamo creati per la comodità, bensì per le cose grandi, per il bene. Così alla fine non ho potuto fare altro che dire sì".

Incontro con i pellegrini convenuti dalla Germania per l'elezione del Sommo Pontefice (25 aprile 2005)

85° genetliaco di Benedetto XVI. Beckenbauer: Santità, sulla Nazionale non sono d’accordo. Un incontro che ha cambiato qualcosa nella mia vita

di Franz Beckenbauer

Era l’anno prima del campionato mondiale di calcio in Germania. Come presidente del comitato organizzativo stavo visitando tutti i trentuno Paesi le cui nazionali si erano qualificate per i mondiali. Alla fine di ottobre del 2005 arrivammo da Lisbona a Roma. Come ogni mercoledì, decine di migliaia di persone si riunirono in Piazza San Pietro per l’udienza generale del Papa. E tra loro quella volta c’era anche la nostra piccola delegazione. A volte la vita segue vie misteriose. Un mese e mezzo prima avevo compiuto sessant’anni e qualcuno mi aveva chiesto che cosa desideravo per quel giorno. Avevo risposto: "Mi piacerebbe conoscere il Papa di persona»" All’epoca Joseph Ratzinger non era ancora Papa da molto tempo, lo era da circa sei mesi. Ricordo ancora di essere stato contento quando lo hanno eletto. Un Papa tedesco, e per giunta bavarese, un conterraneo. Vedendolo in televisione dava un’impressione simpatica, quasi paterna. Al termine dell’Udienza generale, dopo aver pronunciato le ultime parole, Papa Benedetto XVI venne da noi. Accanto a lui Georg Gänswein, suo segretario particolare, che aveva gentilmente organizzato per noi quella piccola udienza privata. All’improvviso me li trovai entrambi davanti, e il Papa mi tese la mano. È difficile descrivere un momento simile. Il carisma che emana quest’uomo, la sua serenità interiore e la sua dignità, la sua cordialità: tutto ciò mi ha profondamente impressionato. Ho conosciuto tanti personaggi importanti, ma questo incontro è stato qualcosa di speciale, certamente uno dei momenti più commoventi della mia vita che non dimenticherò mai. Naturalmente in precedenza avevo riflettuto su che cosa dire al Santo Padre. Non mi aspettavo certamente che s’interessasse e s’intendesse di calcio. Anche in questo mi sorprese. Incominciò lui stesso a parlarne. Volle per esempio sapere come procedevano i preparativi per i mondiali, se i lavori negli stadi si sarebbero conclusi per tempo e come era messa la nostra Nazionale. Riteneva che al momento fosse piuttosto buona. Allora non ero proprio della stessa idea. Per questo gli risposi che perlomeno era sulla strada giusta per diventare una buona squadra. Al che lui sorrise benevolmente. Nel corso del breve colloquio consegnai a Papa Benedetto XVI il gagliardetto ufficiale dei mondiali Fifa 2006. Ringraziò e fece gli auguri a noi e alla nazionale per i mondiali giocati in patria, che è anche la sua patria. E poi disse: "Guarderò molte partite in televisione". Del momento della consegna del gagliardetto esiste una foto che ci mostra tutti e due, Papa Benedetto XVI e me. Oggi, quando viaggio, porto sempre con me questa foto. È in cima a tutto nella valigia. L’incontro con Benedetto XVI ha cambiato qualcosa nella mia vita. Da allora vado di nuovo più spesso in chiesa. Quando, poco dopo i mondiali, il Papa è venuto in Germania, ho letto tutti i discorsi che ha tenuto durante la sua visita. In questi continuava a ripetere: "Andate in Chiesa e testimoniate". Sono parole che ho preso a cuore.

L'Osservatore Romano

Il 15 aprile 1962 la lettera di Giovanni XXIII ai 'fratelli nell'episcopato': un vescovo santo conduce, senza dubbio, i suoi sacerdoti alla santità

“Ci muove il desiderio di manifestarti già da ora la particolare gioia che proveremo nel prossimo mese di ottobre, quando potremo abbracciare paternamente tutti i vescovi cattolici”. È un passaggio della “Omnes sane”. È diretta a tutti i presuli del mondo ma non è un’enciclica. È lo stesso Giovanni XXIII a sottolineare la particolarità della lettera che il 15 aprile 1962, Domenica delle Palme (a distanza perciò di una settimana dalla precedente lettera indirizzata al popolo romano), scrive singolarmente, personalmente, a ogni vescovo chiamandolo: “Venerabile e carissimo fratello”. È un segno di amicizia. Anzi, di più: è l’espressione affettuosa e umanamente apprensiva di una persona di famiglia che scriva ai fratelli, per consigliarli, nell’imminenza di un avvenimento che li vedrà coinvolti in prima persona, attori principali di una rappresentazione il cui protagonista assoluto sarà lo Spirito Santo.“Omnes sane...”. “Tutti certamente”, scrive Papa Giovanni, “vediamo quanto sia necessario, avvicinandosi sempre più il Concilio ecumenico Vaticano II, che i fedeli preghino con fervore crescente lo Spirito Santo Paraclito, in modo che con la sua forza e la sua luce assista e guidi coloro che si preparano a impegnarsi per questo importante evento”. Ricordata l’esortazione “Sacrae laudis” con la quale (6 gennaio 1962) invitava tutto il clero a recitare l’Ufficio Divino per la buona riuscita del Concilio, il Papa chiede ai vescovi una preparazione conciliare basata sulla santità di vita, la testimonianza e l’esempio, in ciò aiutati dalla grazia divina ricevuta, in forza della quale essi esercitano nella Chiesa le loro funzioni di ministero, di magistero e di governo. È soprattutto sulla santità di vita che insiste Papa Giovanni, richiamandosi più volte agli insegnamenti di San Paolo (“l’Apostolo delle genti insegna con ponderatezza, chiarezza e forza persuasiva per quali percorsi i vescovi possano raggiungere questo obiettivo”) e dicendosi convinto che solo vivendo la santità i fratelli nell’episcopato potranno cooperare per il successo dell’assemblea ecumenica, “facendo in modo che la Chiesa cattolica si presenti al mondo come Sposa di Cristo santa e immacolata”. “È grande la consolazione dei sacerdoti e dei fedeli a te affidati”, osserva il Papa, “quando vedono il loro pastore dedicarsi con tutte le sue energie alla santità, precedendo gli altri con l’esempio”. E conclude: “Un vescovo santo conduce, senza dubbio, i suoi sacerdoti alla santità”. Giovanni XXIII, abbiamo visto, firma la “Omnes sane” nella Domenica delle Palme. È quasi inevitabile perciò un riferimento al Giovedì santo, “giorno sacerdotale”, in quanto si rinnova il ricordo dell’istituzione del sacerdozio cattolico. Il Papa commenta: “Noi pensiamo che potrebbe essere definito più esattamente ‘giorno episcopale’, tenendo conto che Cristo ha conferito la consacrazione episcopale ai suoi apostoli, dei quali i pastori della Chiesa sono i legittimi successori”. E ricorda che proprio in quel giorno conferirà la dignità episcopale a dodici cardinali appartenenti all’ordine dei diaconi. Nel finale della lettera Giovanni XXIII si richiama ancora una volta alle parole dell’apostolo Paolo ai Corinzi: “Vi abbiamo parlato apertamente, il nostro cuore si è allargato”, per osservare che “anche il nostro animo si apre alla gioia di fronte al meraviglioso spettacolo di unità, di generosità e di zelo pastorale offerto da tutti i vescovi del mondo cattolico nell’avvicinarsi del Concilio”. In conclusione, dopo l’invito a pregare la Vergine Madre di Dio e san Giuseppe, alla cui protezione è affidato il Concilio, Papa Giovanni fa sua la preghiera dell’Imitazione di Cristo, adattandola alle necessità dei vescovi, consapevole “di quanto le nostre forze siano così fragili di fronte a tanto impegnativo compito”: “Aiutaci con la tua grazia, o Dio Onnipotente, affinché noi che abbiamo ricevuto l’ufficio episcopale possiamo degnamente e devotamente servirti con tutta la purezza e la buona coscienza. E se non potremo vivere con quella innocenza di vita che si dovrebbe, concedici almeno di pentirci, come è dovuto, delle colpe commesse, e servirti con più fervore nel futuro, in spirito di umiltà e con propositi di buona volontà”.

SIR

85° genetliaco di Benedetto XVI. Gli auguri di 'Avvenire' a un Papa che conquista. Bagnasco: la Chiesa italiana, insieme ai pastori, si stringe a Lei

La prima pagina di Avvenire di oggi è dedicata a Joseph Ratzinger e ai suoi 85 anni. L'immagine del Pontefice sorridente e circondato di giovani, la scritta a caratteri cubitali 'Auguri Benedetto'. "Domani - ricorda il quotidiano della CEI ai suoi lettori - gli 85 anni di un Papa che conquista". Seguono due pagine con i pensieri di una serie di personaggi, celebri e meno celebri. Benedetto XVI "indica la strada alla Chiesa universale verso i pascoli alti di Dio", scrive da parte sua il presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco (foto). "La Chiesa che è in Italia, insieme ai suoi Pastori, si stringe a Lei desiderosa di essere la prima e la più vicina", assicura Bagnasco ricordando indica la rivolgendosi nell'articolo direttamente al Papa che, sottolinea il cardinale, "ci indica la via della verità e della vita" e "con la preghiera e il pensiero, la parola e il governo, guida il popolo di Dio. Fin dall'inizio del supremo ministero, Benedetto XVI ha iniziato la sua riforma umile e lieta, consapevole che il problema urgente è quello della fede". "Nei viaggi apostolici il Papa ha spesso ricordato - osserva il presidente della CEI - che l'umanità rischia di smarrire la strada dell'umano, di andare contro se stessa: il Vangelo è svelamento di Dio, offerta della sua vita, libertà dalle illusioni, felicità vera". "La gioia della fede - afferma il card. Bagnasco - è il filo d'oro che ispira e raccorda ogni suo intervento. Ed è questa la risposta più importante di cui il mondo ha bisogno nella sua complessità: non tanto di mutazioni organizzative, ma di riforma dei cuori, poichè sono questi che danno anima e fecondità ai programmi e alle strutture. La santità, centro della riforma lieta di Papa Benedetto - conclude il presidente della CEI - non è una astrazione o un ripiego per sfuggire alla modernità ma, al contrario, è scendere al centro dei problemi dell'uomo contemporaneo".

Agi

Una festa di famiglia

Il testo del telegramma augurale della CEI

85° genetliaco di Benedetto XVI. Il Papa: il mio servizio sostenuto dalla profondità spirituale di Giovanni Paolo II, dalla ricchezza delle intuizioni

"Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale esperienza che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il Beato Papa Giovanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di stimarlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa".

1° maggio 2011: Beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II

Il Papa: nel settimo anniversario della mia Elezione pregate per me, perchè il Signore mi dia la forza di compiere la missione che mi ha affidato

Nei saluti in varie lingue Benedetto XVI, dopo la recita della preghiera mariana del Regina Caeli, in francese ha dichiarato che “il tempo pasquale ci invita, sull’esempio della prima comunità cristiana, a esprimere la nostra fiducia e la nostra gioia di essere battezzati. Gesù ci invita a non essere increduli, come Tommaso, ma credenti. Non dobbiamo avere paura, ma avere il coraggio di mostrare la nostra fede!”. Quindi l'invito: "Giovedì prossimo, in occasione del settimo anniversario della mia elezione alla Sede di Pietro, vi chiedo di pregare per me, perché il Signore mi dia la forza di compiere la missione che mi ha affidato". “La pace è il dono meraviglioso della Pasqua – ha affermato il Pontefice in spagnolo -. Grazie ad essa la comunità si rafforza con un nuovo legame che la unisce al suo interno e con Cristo, preparandola alla missione. Così, colmi del suo Spirito possiamo testimoniare al mondo la vittoria del nostro Dio e Signore”. Salutando i pellegrini slovacchi, li ha ringraziati “per le preghiere” con le quali accompagnano il suo “servizio di Successore di San Pietro”.

SIR, TMNews

Benedetto XVI: fedeli all'esortazione del Beato Giovanni Paolo II annunciamo al mondo il messaggio di Gesù Misericordioso, siamo i Suoi testimoni

Dopo la recita del Regina Cæli, il Santo Padre ha salutato e dato il benvenuto anzitutto ai “pellegrini che hanno partecipato alla Santa Messa presieduta dal cardinale vicario Agostino Vallini nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, luogo privilegiato di culto della Divina Misericordia, dove si venerano in modo particolare anche Santa Faustina Kowalska e il Beato Giovanni Paolo II”. A tutti ha augurato “di essere testimoni dell’amore misericordioso di Cristo” e ringraziato per la “presenza”. Poco dopo, si è rivolto ai polacchi e in modo particolare ai “partecipanti alle celebrazioni liturgiche della Domenica della Divina Misericordia nel santuario di Łagiewniki”. “Là, dieci anni fa – ha ricordato -, il Beato Giovanni Paolo II disse: ‘Bisogna trasmettere al mondo questo fuoco della misericordia. Nella misericordia di Dio il mondo troverà la pace, e l’uomo la felicità! Affido questo compito… a tutti i devoti della Divina Misericordia’. Fedeli a questa esortazione annunciamo al mondo il messaggio di Gesù Misericordioso, siamo i suoi testimoni”.

SIR

Il Papa: culto cristiano incontro con il Signore risorto, che vive nella dimensione di Dio al di là di tempo e spazio, e tuttavia realmente presente

A mezzogiorno, il Santo Padre Benedetto XVI si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. "Ogni anno, celebrando la Pasqua, noi riviviamo l'esperienza dei primi discepoli di Gesù, l'esperienza dell'incontro con Lui risorto: racconta il Vangelo di Giovanni che essi lo videro apparire in mezzo a loro, nel cenacolo, la sera del giorno stesso della risurrezione,'il primo della settimana', e poi 'otto giorni dopo'. Quel giorno, chiamato poi 'domenica', è il giorno dell'assemblea, della comunità cristiana che si riunisce per il suo culto proprio, cioè l'Eucaristia, culto nuovo e distinto fin dall'inizio da quello giudaico del sabato", ha rilevato il Pontefice. "La celebrazione del Giorno del Signore è una prova molto forte della Risurrezione di Cristo, perché solo un avvenimento straordinario e sconvolgente poteva indurre i primi cristiani a iniziare un culto diverso rispetto al sabato ebraico". "Allora come oggi, il culto cristiano non è solo una commemorazione di eventi passati, e nemmeno una particolare esperienza mistica, interiore, ma essenzialmente un incontro con il Signore risorto, che vive nella dimensione di Dio, al di là del tempo e dello spazio, e tuttavia si rende realmente presente in mezzo alla comunità, ci parla nelle Sacre Scritture e spezza per noi il Pane di vita eterna", ha affermato. Attraverso questi segni, ha sostenuto il Santo Padre, “noi viviamo ciò che sperimentarono i discepoli, cioè il fatto di vedere Gesù e nello stesso tempo di non riconoscerlo; di toccare il suo corpo, un corpo vero, eppure libero dai legami terreni”. Per Benedetto XVI, “è molto importante quello che riferisce il Vangelo, e cioè che Gesù, nelle due apparizioni agli Apostoli riuniti nel cenacolo, ripeté più volte il saluto ‘Pace a voi!’. Il saluto tradizionale, con cui ci si augura lo shalom, la pace, diventa qui una cosa nuova: diventa il dono di quella pace che solo Gesù può dare, perché è il frutto della sua vittoria radicale sul male”. La “pace” che Gesù offre ai suoi amici, ha evidenziato il Papa, è “il frutto dell’amore di Dio che lo ha portato a morire sulla croce, a versare tutto il suo sangue, come Agnello mite e umile, ‘pieno di grazia e di verità’”. Ecco perché “il Beato Giovanni Paolo II ha voluto intitolare questa Domenica dopo la Pasqua alla Divina Misericordia, con un’icona ben precisa: quella del costato trafitto di Cristo, da cui escono sangue ed acqua, secondo la testimonianza oculare dell’apostolo Giovanni. Ma ormai Gesù è risorto, e da Lui vivo scaturiscono i sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia: chi si accosta ad essi con fede riceve il dono della vita eterna”. Il Pontefice ha, quindi, esortato: “Accogliamo il dono della pace che ci offre Gesù risorto, lasciamoci riempire il cuore dalla sua misericordia! In questo modo, con la forza dello Spirito Santo, lo Spirito che ha risuscitato Cristo dai morti, anche noi possiamo portare agli altri questi doni pasquali. Ce lo ottenga Maria Santissima, Madre di Misericordia”.

TMNews, SIR

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI

85° genetliaco di Benedetto XVI. Card. Koch: mistero di un granello di senape. Il vero rinnovamento non parte dalle masse ma solo da piccoli movimenti

di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

"Le grandi cose iniziano sempre in un grano di senape e i movimenti di massa hanno sempre una breve durata". Questa frase scritta per descrivere le esigenze di una nuova evangelizzazione da Papa Benedetto XVI, quando era ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mette bene a fuoco ciò che sta a cuore a Joseph Ratzinger in quanto teologo, vescovo e Papa. Non può quindi stupire che egli citi e mediti continuamente la parabola del granello di senape (Marco, 4, 30-32): il granello di senape è il più piccolo di tutti i semi, ma diventa la più grande di tutte le piante così che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. Il paragone con il grano di senape non mostra solo che le grandi realtà iniziano nel piccolo, secondo quel principio elementare che Pierre Teilhard de Chardin nel suo pensiero sull’evoluzione ha chiamato la legge delle origini invisibili; tale paragone pone anzi in evidenza il principio basilare all’opera in tutta la storia di Dio con l’umanità che gli appartiene e che Papa Benedetto XVI ha definito "predilezione per ciò che è piccolo". Nella smisurata vastità del cosmo e fra l’infinita quantità di pianeti e galassie Dio ha scelto la terra, questo piccolo grano di polvere, per la sua azione salvifica. Su questa piccola terra Dio ha scelto fra tutti i popoli potenti Israele, un popolo praticamente impotente sul piano politico, quale colonna portante della sua storia con noi uomini. In Israele Dio ha scelto il modesto luogo di Betlemme per avvicinarsi come uomo a noi uomini. A Betlemme Dio ha scelto una donna sconosciuta e poco importante, Maria, per potere entrare nel nostro mondo. Nel corso della storia della Chiesa Dio ha chiamato sempre semplici uomini che immergendosi personalmente nel Vangelo potessero rinnovare la Chiesa dal suo interno. Il granello di senape non è solo un paragone della speranza cristiana, ma evidenzia anche che il grande nasce dal piccolo non per mezzo di stravolgimenti rivoluzionari e neppure perché noi uomini ne assumiamo la regia ma perché ciò avviene in modo lento e graduale, seguendo una dinamica propria. Di fronte a esso l’atteggiamento cristiano può solo essere di amore e pazienza, che è il lungo respiro dell’amore. Il paragone con il granello di senape ci conduce anche al cuore del pensiero teologico di Papa Benedetto XVI che è l’amore: l’amore di Dio per noi uomini, inimmaginabile e pur tuttavia corrispondente al logos, e la corresponsione umana a questo amore divino che può realizzarsi solo nell’amore verso Dio e verso gli uomini. Alla luce dell’amore, nel paragone di Gesù del granello di senape l’accento non è posto unicamente sulla pianta che diviene grande, ma sul seme e quindi sulla speranza nella quieta crescita nella pazienza, proprio perché Dio stesso giudica e apprezza la pazienza quale sorella particolarmente sensibile dell’amore e per questo motivo fa continuamente sgorgare il grande dal piccolo. Il paragone è quindi destinato a risvegliare in noi uomini la gioia per il bello che è intimamente legata alla speranza e ci conduce nel mistero di Dio e della sua storia salvifica, come Benedetto XVI ha sottolineato durante il suo incontro con gli artisti: "La via della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità". Al contrario noi uomini siamo sempre tentati di prendere il particolare per il tutto, di scambiare il finito per l’infinito e, di conseguenza, porre l’accento, nel paragone di Gesù, sulla crescita; vorremmo, con nervosa impazienza, avere molto velocemente un grande albero robusto e, se necessario, contribuirvi con le nostre mani, nel nostro sforzo di scorgere subito un risultato di tutto rispetto e nella pastorale rischiamo di confondere la cura di anime con la preoccupazione per il numero. Questa tentazione potrebbe derivare essenzialmente dal fatto che il pensiero teologico e la pastorale di Papa Benedetto XVI sono esposti in continuazione a gravi malintesi, dei quali possiamo ricordare brevemente quelli espressi con più frequenza.Una critica molto diffusa ritiene che il Papa non abbia a cuore la grande Chiesa di popolo, le "masse"; egli punterebbe maggiormente al piccolo gregge e se ne accontenterebbe. In questa critica è vero solo che il Papa è in realtà convinto che il vero rinnovamento della Chiesa non possa partire dalle masse, ma solo da piccoli movimenti, come è variamente testimoniato nella storia della Chiesa e come oggi è visibile per esempio nei nuovi movimenti ecclesiali che non sono stati progettati dalle istanze ufficiali della Chiesa e che proprio per questo possono essere considerati un dono dello Spirito Santo nella situazione della Chiesa postconciliare. Agli occhi del Papa adempiono però alla loro missione ecclesiale solo se agiscono come lievito nella Chiesa, rendendo visibile che "vi è un’unica Chiesa per tutti, che non vi sono chiese di élite né chiese di elezione": "La Chiesa non è un mercato nel quale ognuno si cerca il suo gruppuscolo, ma una famiglia nella quale non mi cerco i fratelli, ma li ricevo in dono da Dio". Con il paragone del grano di senape il Papa sottolinea che l’azione nella Chiesa dovrebbe avere come punto di riferimento il suo mistero e non esigere di trarne subito un grande albero. La Chiesa è al tempo stesso granello di senape e albero e il Papa lo sottolinea precisando che: "Forse noi dovremmo, la Chiesa dovrebbe trovarsi davanti a grandi prove (1 Tessalonicesi, 1, 6) per imparare di nuovo di cosa vive anche oggi, vive per la speranza del granello di senape e non per la forza dei suoi progetti e delle sue strutture". Un’altra critica più profonda e spesso ripetuta sostiene che Papa Benedetto XVI abbia innestato una marcia indietro e voglia tornare a prima del Concilio Vaticano II. Chi non si fida ciecamente di pochi mezzi di comunicazione, che non offrono informazioni serie ma solo intrattenimento, e presta attenzione autonomamente a che cosa il Papa fa e dice, può ben presto accertare che il Papa non vuole assolutamente tornare "indietro", come gli viene oggi da più parti rimproverato pubblicamente, vuoi per ignoranza vuoi per appartenenza a quei teologi, che pur avendo le conoscenze necessarie, tengono spesso discorsi populistici e sostengono intenzionalmente il contrario a livello pubblico, confondendo l’onestà scientifica con l’agitazione in politica ecclesiale. Papa Benedetto non vuole assolutamente tornare indietro, ma andare in profondità come il granello di senape che cresce solo dalla profondità della terra. Al Papa quindi non importano singole riforme, gli importa che il fondamento e il cuore della fede cristiana tornino a splendere. Aspira a una semplificazione della fede cristiana, come ha annunciato finora esemplarmente nelle sue tre Encicliche. È compito urgente di oggi elaborare queste e altre critiche e pregiudizi, presentando la vera fisionomia del pensiero teologico e del magistero di Papa Benedetto XVI. Negli ultimi cinque anni ho cercato di affrontarlo meglio che ho potuto e nella misura in cui il mio quotidiano e minuzioso lavoro di vescovo me ne ha lasciato il tempo, persuaso che fa anche parte della responsabilità di un vescovo locale, aiutare i fedeli a orientarsi nella confusione degli attuali punti di vista e nel chiasso delle informazioni mediatiche, nella disinformazione mirata e nelle deformazioni manipolate. Con la pubblicazione del presente volume spero di poter fornire a una cerchia più ampia un aiuto all’orientamento e al discernimento degli spiriti. Mi sono assunto questo compito non da ultimo nella convinzione che vi sono situazioni nella vita della Chiesa in cui il compito che Gesù ha affidato a Pietro durante l’Ultima Cena e che vale anche per il suo successore: "Conferma i tuoi fratelli" (Luca, 22,32), deve essere applicato anche all’inverso e precisamente che un vescovo locale senta come suo compito sostenere il Successore di Pietro nel suo importante ufficio. A lui mi lega soprattutto l’irriducibile speranza che non vi è Pasqua senza Venerdì Santo, ma che a ogni Venerdì Santo segue Pasqua e che in questo consiste il più profondo fondamento della gioia cristiana. In questa gioiosa speranza siamo ben consigliati se nell’attuale Venerdì Santo della Chiesa rivolgiamo la nostra attenzione non solo ai sonori colpi della distruzione, ma soprattutto alla silenziosa venuta di vita nuova nella notte di Pasqua, che porta in sé lo sviluppo organico nascosto nel segreto del grano di senape.

L'Osservatore Romano

85° genetliaco di Benedetto XVI. Il Papa: affidai alla Madonna il servizio di vescovo, soltanto con una tale protezione potevo assumere il ministero

"È per me motivo di particolare emozione trovarmi di nuovo in questa bellissima piazza ai piedi della Mariensäule – un luogo, come è stato detto, che già altre due volte è stato testimone di svolte decisive nella mia vita. Qui, come si è detto, trent’anni fa, i fedeli mi accolsero con grande cordialità, ed io affidai alla Madonna il cammino che avrei dovuto percorrere, poiché il passaggio dalla cattedra universitaria al servizio di arcivescovo di Monaco e Frisinga era un salto enorme, e soltanto con una tale protezione e con l’amore percettibile degli abitanti di Monaco e della Baviera potevo osare di assumere quel ministero succedendo al cardinale Döpfner. Poi, di nuovo, nel 1982: Qui mi sono congedato; e allora c’era presente l’arcivescovo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Hamer, successivamente cardinale, ed egli disse: “Gli abitanti di Monaco sono come i napoletani, vogliono toccare l’arcivescovo e gli vogliono bene”. Si è proprio meravigliato di vedere qui a Monaco tanta cordialità, di poter conoscere il cuore bavarese in questo luogo, in cui io, ancora una volta, mi sono affidato alla Madonna".

Saluto davanti alla Mariensäule (Colonna della Madonna) nella Marienplatz (9 settembre 2006)

L’accordo tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X è vicino. Si profila la 'prelatura personale' direttamente dipendente dal Papa

L’accordo tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre potrebbe essere questione di giorni, forse anche di ore. Il superiore della Fraternità, il vescovo Bernard Fellay (nella foto con Benedetto XVI), avrebbe sottoscritto una nuova versione del preambolo dottrinale consegnatogli lo scorso settembre dal card. William Levada, Ppefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei". Ufficialmente in Vaticano si sta ancora attendendo l’arrivo della risposta di Fellay, al quale lo scorso 16 marzo era stata richiesta una decisione definitiva. Ma secondo le informazioni raccolte dal vaticanista di Le Figaro, Jean-Marie Guenois, molto si è mosso a livello "ufficioso", e l’accordo sarebbe ormai vicino. Nel settembre 2011, al termine di un percorso di colloqui dottrinali, voluti dalla Fraternità San Pio X, la Santa Sede aveva presentato un breve documento chiedendo ai lefebvriani di sottoscriverlo. Il testo, suscettibile di piccole modifiche, conteneva sostanzialmente tre punti, e la richiesta di sottoscrivere la "professione di fede" richiesta a chiunque assuma un ufficio ecclesiastico. E dunque ad assicurare un "religioso ossequio della volontà e dell’intelletto" agli insegnamenti che il Papa e il collegio dei vescovi "propongono quando esercitano il loro magistero autentico", anche se non sono proclamati in modo dogmatico, come nel caso della maggior parte dei documenti del Magistero. Sottoscrivere il preambolo, hanno ripetuto le autorità vaticane, non avrebbe significato porre fine "alla legittima discussione, lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II". Com’è noto, la Fraternità San Pio X si era detta disposta ad accettare la gran parte dei testi conciliari, ma non la dottrina della libertà religiosa, così come è espressa nel secondo paragrafo della Dichiarazione "Dignitatis humanae", come pure la dottrina della Chiesa espressa nel n. 8 della Costituzione "Lumen gentium"; la dottrina sull’ecumenismo, nel n. 3 del Decreto "Unitatis redintegratio", e infine la dottrina della collegialità, come espressa nel n. 22 della "Lumen gentium". Sembra che alla fine si sia arrivati a un testo condiviso. Del resto, lo stesso Fellay durante l’incontro del settembre 2011 aveva detto ai suoi interlocutori romani che non c’erano problemi ad accettare il primo e il secondo punto dei preambolo, mentre più problematica era l’accettazione del terzo. Ma nella risposta inviata in due riprese tra dicembre e gennaio, e quindi in più di una dichiarazione pubblica, il superiore della San Pio X aveva dichiarato inaccettabile il testo dottrinale proposto dal Vaticano. Lo scorso 16 marzo, l’incontro decisivo e la richiesta della Santa Sede a Fellay affinché rispondesse entro un mese. È noto che Benedetto XVI tenga particolarmente a chiudere la ferita che egli vide aprirsi da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1988, quando Lefebvre, dopo aver praticamente raggiunto un accordo con il Vaticano, decise di non firmarlo e consacrando quattro nuovi vescovi senza mandato del Papa compì un’azione scismatica. Papa Ratzinger ha liberalizzato la Messa antica e tolto le scomuniche ai quattro vescovi lefebvriani, e ha acconsentito anche alla terza richiesta della Fraternità, quella di intavolare un confronto dottrinale con le autorità romane, incentrato soprattutto sull’interpretazione dei testi conciliari. L’inquadramento canonico per la Fraternità San Pio X dovrebbe essere quello della "prelatura personale", figura giuridica innovativa inserita nel Codice di diritto canonico del 1983 e fino ad oggi utilizzata soltanto per l’Opus Dei.

Andrea Tornielli, Vatican Insider