giovedì 2 agosto 2012

In Vaticano 'strategia della tensione' che, facilmente, proseguirà anche quando Vatileaks sarà archiviata come la storia di un maggiordomo spergiuro

Prevedibilmente, il caso della fuga di documenti riservati della Santa Sede, efficacemente ribattezzata dal portavoce vaticano Federico Lombardi con il neologismo Vatileaks, si avvia alla conclusione. Con alcune luci e molte ombre, ma l’affaire che ha scosso il palazzo apostolico negli ultimi mesi si va via via esaurendo. A inizio della settimana prossima il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, sarà, con ogni probabilità, rinviato a giudizio dal giudice istruttore vaticano Piero Antonio Bonnet. Il processo potrebbe svolgersi in autunno, sempre che, ipotesi tutt’altro che infondata, non intervenga prima la grazia sovranamente concessa dal Pontefice. Il Papa in persona, ad ogni modo, ha esortato la magistratura vaticana a proseguire “con solerzia” il proprio lavoro, in una recente udienza a Castel Gandolfo. L’assistente di camera di Benedetto XVI rimane l’unico indagato e il solo capo d’accusa che gli viene contestato è il “furto aggravato” delle carte del Papa, non, dunque, la loro diffusione. Sebbene sia intuitivamente difficile pensare che egli abbia agito da solo, l’avvocato di Paolo Gabriele, Carlo Fusco, ha puntualizzato a più riprese che il suo assistito non ha avuto complici. La sentenza di rinvio a giudizio, così come la requisitoria conclusiva del “promotore di giustizia” Nicola Picardi, potrebbe tuttavia contenere alcune indicazioni, con tanto di nomi e cognomi, sulla catena di persone che, ricevuti i documenti fotocopiati proditoriamente dal maggiordomo papale, li ha infine recapitati dapprima ad alcuni giornali, e poi a Gianluigi Nuzzi, l’autore del bel bestseller "Sua Santità". Si potrebbe trattare di cittadini italiani, sui quali la giustizia vaticana non ha alcuna potestà. A quel punto la ricostruzione dei fatti, complicità, mandanti, movente, scavallerebbe i confini dello Stato pontificio e diventerebbe una vicenda politica e giudiziaria tutta italiana. Il Vaticano si fermerebbe lì. C’è però un dettaglio che fa riflettere, ed è un dettaglio squisitamente vaticano. Il maggiordomo del Papa, o ha spiegato lo stesso avvocato, ha agito con l’intento, magari delirante ma comunque convinto, di “aiutare” il Pontefice. Perché un uomo di fiducia di un sovrano ritiene di poter aiutare il superiore tradendone, appunto, la fiducia? In che modo scartabellare tra i suoi segreti di Stato, fotocopiarne documenti riservati, conservarli poi a casa, e infine passarli all’esterno, puntellerebbe la sua azione di governo? Solo le carte processuali potranno chiarire il significato pieno di questa affermazione. Di certo il Pontificato di Joseph Ratzinger è stato caratterizzato da scelte forti e, non di rado, impopolari, affermazioni teologiche ed ecclesiologiche controverse, incidenti diplomatici, malfunzionamenti di governo, incomprensioni con i mass media, con esponenti di altre religioni se non addirittura con settori significativi della galassia cattolica. Di certo Benedetto XVI non ha goduto di quella simpatia mediatica e politica, quasi uno scudo di immunità pubblica, di cui ha beneficiato il suo predecessore. Di certo questo Pontefice è meno consensuale, meno politico, meno 'pop' di Karol Wojtyla. E di certo nel suo entourage si respira, e non da oggi, un sofferto sentimento di accerchiamento, quasi la sensazione che contro il Papa si sia scatenato un attacco concentrico, un malintenzionato desiderio di metterlo in difficoltà anche a dispetto dei fatti. Può essere bastato questo umore ambientale, sia pur travisato, a convincere un semplice maggiordomo, avvezzo a chiacchiere e confidenze con figure esterne all’appartamento pontificio, a far filtrare oltre le mura leonine controversie e polemiche interne alla curia romana? Forse sì, forse no, ma comunque non sarà la conclusione della vicenda processuale di Paolo Gabriele a mettere la parola fine ai problemi sottostanti. Innanzitutto perché la fuga di notizie ha fatto emergere una crisi di governance della Curia romana che ha il suo epicentro nel cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il cardinale arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois lo ha detto apertamente, molti altri, nei Sacri Palazzi, lo sussurrano anonimamente, ma quasi tutti puntano il dito contro uno stile di governo sordo alle istanze sottoposte o avverse. Per cui, è la spiegazione dei curiali di lungo corso, se il Segretario di Stato non ascolta, o si prova a farsi intendere direttamente dal Papa, con lettere contenute in buste chiuse intitolate “questione di coscienza”, oppure si promuove, o quanto meno si avalla, che certe controversie finiscano sui giornali. In secondo luogo perché, appunto, Papa Ratzinger ha preso decisioni controverse, sulla liturgia come sulla pedofilia, sui lefebvriani come sulla trasparenza finanziaria, che qualcuno ha pensato di contestare ricorrendo alla stampa amica. Infine, perché più di uno desidera iniziare a tematizzare la successione all’ottantacinquenne Benedetto XVI, ponendo magari le basi per l’idea che il prossimo dovrà essere un Pontefice forte, governativo, garante di equilibri ultimamente incrinati. E quale migliore idea che mostrare al mondo, tramite mass media, che l’attuale è un papato incerto? Con quella che lo storico del cristianesimo Alberto Melloni per primo ha definito una “strategia della tensione”. Una strategia che, facilmente, proseguirà anche quando Vatileaks sarà archiviata negli annali vaticani come la storia di un maggiordomo spergiuro. E che potrebbe concretizzarsi, nei prossimi mesi, con la pubblicazione di carte riservate rimaste nei cassetti, o lanciando allarmi, più o meno fondati, sulla salute del Papa regnante, o suggerendo le dimissioni del Pontefice, abbigliate, magari, come un tributo al ratzingerismo di Joseph Ratzinger.

Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta

Domani serata bavarese per Benedetto XVI: mille pellegrini della sua terra natale animeranno uno spettacolo di danze e canti tradizionali

Sono partiti con un treno speciale da Landshut, nel cuore della Baviera, ieri pomeriggio. Hanno fatto tappa a Frisinga, Monaco, Rosenheim, Prien e Traunstein Halt prima di arrivare a Roma. Ma la meta di questi mille pellegrini tedeschi è Castel Gandolfo, dove, per domani pomeriggio, hanno organizzato una serata d’onore per Benedetto XVI come regalo per il suo 85° compleanno, celebrato lo scorso 16 aprile. Guidati dal loro arcivescovo, il card. Reinhard Marx, i fedeli dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, tra i quali 450 Bayerische Gebirgsschützen, gli "alpini della Baviera" appartenenti al caratteristico corpo fondato nel XV secolo, insieme a 150 bavaresi con i tradizionali costumi locali, eseguiranno danze e canti in onore del Pontefice, cercando di ricreare l’atmosfera della sua terra natale. "È per noi una grande gioia e un immenso onore - spiega il card. Marx presentando l’iniziativa - poter organizzare nel cortile interno della residenza estiva del Pontefice, una serata bavarese per Papa Benedetto XVI. Attraverso un programma in cui artisti di tutte le regioni dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga eseguiranno brani della tradizione musicale autentica, desideriamo offrirgli, benché in ritardo, un regalo di compleanno. Allo stesso tempo vogliamo esprimere l’affetto che la gente nell’arcidiocesi prova per lui". Il porporato sottolinea poi i motivi profondi che hanno spinto i fedeli bavaresi a organizzare il pellegrinaggio. "L’amore che il Papa prova per la sua terra - afferma il cardinale - può ancora essere percepito dopo sette anni dalla sua elezione al ministero petrino. In molti ricordano gli intensi incontri avuti con lui, che ha trascorso buona parte della sua infanzia e della sua gioventù nella nostra arcidiocesi, dove è stato ordinato sacerdote e ha lavorato come docente. Quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga sono stati molti i gruppi musicali e tradizionali che hanno cercato la sua vicinanza, perché la gente ha percepito di essere amata e apprezzata per ciò che faceva". Durante la serata, intesa dunque come un segno di ringraziamento "per il suo costante affetto" per la Baviera e per la gente dell’arcidiocesi, si esibiranno per circa un’ora alcuni gruppi provenienti dalle diverse regioni della diocesi. C’è la Gaugruppe Chiemgau-Alpenverband, della quale fanno parte 23 associazioni con 8.000 membri. Fondata nel 1926, mantiene viva non solo la tradizione degli abiti folcloristici, ma anche delle danze, dei canti e delle musiche popolari, così come quella del teatro in dialetto. Darà vita a un famoso "Schuhplattler", danza tradizionale bavarese e tirolese eseguita soloda uomini. Un ballo che consiste fondamentalmente nel battere le mani sulle gambe e sulle suole delle scarpe: "Schuhplattler" significa infatti letteralmente "battitore di scarpe". Sempre da Chiemgau provengono Die Laubensteiner Bläser, gruppo fondato nel 1993 e formato da quattro musicisti particolarmente attenti alla salvaguardia del patrimonio tradizionale. Per l’occasione, uno di loro ha composto appositamente una "Benedikt-Weis" che verrà eseguita davanti al Papa. Da Freising è giunto, invece, Walter Vasold, che dal 1972 rappresenta uno dei più noti cantanti del genere musicale dei Gstanzln. Si tratta di una forma di canzone bavarese austriaca composta da quattro versi di contenuto allegro, che vengono inventati spontaneamente e si ispirano alla situazione del momento. Il nome deriva dalla parola "stanza", forma di poesia in otto versi. Da Inngau proviene la Innleiten-Geigenmusi che da venticinque anni e con diversi strumenti, tra i quali un organo portatile e un flauto, rallegragli ospiti durante le feste, non solo quelle legate al ciclo liturgico, ma anche quelle a sfondo civile e quelle legate alle ricorrenze dei paesi. Dall’Oberland arriva il Haushamer Bergwachtgsang. Si tratta di un quartetto vocale con accompagnamento musicale che si esibisce nelle serate tradizionali e durante le celebrazioni liturgiche. Dalla regione del Niederbayern giunge poi il Trachtenverein Hinterskirchen, fondati nel 1946. Si tratta di un gruppo composto da 138 uomini, 124 donne e 42 bambini vestiti nei costumi tradizionali, che mostreranno al Papa una celebre danza per il raccolto. Sono molto conosciuti anche a livello internazionale, soprattutto per aver partecipato all’inaugurazione dei giochi olimpici di Monaco, nel 1972, e di Montreal, nel 1976. La serata sarà introdotta dai Rupertiblech, che giungono dalla regione di Rupertiwinkel, nel profondo sud della Baviera. Fondati nel 1992, sono dieci musicisti che si ispirano alla vita dei contadini per comporre le loro musiche, che poi suonano con strumenti a fiato, quali clarinetti, trombe, tuba. A condurre l’incontro Elisabeth Rehm, originaria della zona di Werdenfels. Oltre a essere una presentatrice di celebri trasmissioni di musica popolare, è la conduttrice della rubrica "Unter unserem Himmel" della televisione bavarese. La sua famiglia, originaria di Garmisch-Partenkirchen, compone e canta canzoni in occasioni di ricorrenze civili e religiose. I due coniugi e la loro figlia si esibiranno davanti al Papa accompagnati dal genero che suonerà la cetra. Prima dell’inizio dell’esibizione, i Bayerische Gebirgsschützen presentaranno in un modo singolare gli auguri di buon compleanno a Benedetto XVI, che è membro onorario del loro corpo. Lo faranno con una carica di colpi a salve sparati in piazza della Libertà, a Castel Gandolfo. Quindi consegneranno al Papa un album nel quale sono raccolte alcune foto che lo ritraggono con gruppi di Schützen. Sarà presente anche la compagnia di Tegernsee, che offrirà al Pontefice un rilievo in porcellana raffigurante un’immagine della Vergine Maria e una medaglia d’oro, con la quale viene nominato membro onorario. Il pellegrinaggio dell’arcidiocesi proseguirà, sabato 4 agosto, con la partecipazione alla Messa celebrata alle 9.30 dal card. Marx all’altare della Cattedra della Basilica di San Pietro. Domenica 5 agosto, la conclusione del viaggio. Della delegazione fanno parte anche il card. Friedrich Wetter, arcivescovo emerito di Monaco e Frisinga, i vescovi ausiliari, canonici, sacerdoti, religiosi e numerose personalità civili, tra le quali il ministro della Repubblica federale tedesca Ilse Aigner, il ministro dello Stato bavarese Joachim Herrmann, il consigliere regionale Michael Schwaiger e il sindaco di Frisinga, Tobias Eschenbacher.

L'Osservatore Romano

La presenza della Santa Sede su Twitter: poca interattività, tweet automatici e puramente istituzionali, nessun coinvolgimento 'sociale'

Che i politici parlino molto ma non ascoltino granché, non è una grande novità. Ma, a quanto pare, i leader del mondo hanno portato le loro 'cattive abitudini' anche nel mondo dei social network del web 2.0. A rivelarlo è "Twiplomacy", uno studio realizzato dell'agenzia globale di comunicazioni Burson-Marsteller e pubblicato a fine luglio per studiare come i 'grandi' del mondo interagiscano tra di loro e con il pubblico nella grande arena globale di Twitter. La ricerca, condotta sugli account di 264 leader mondiali di 125 Paesi, rivela che gli uomini più potenti del mondo non solo rispondono poco ai loro followers ma si seguono anche poco tra loro: insomma, non solo non ascoltano i loro cittadini ma nemmeno i loro 'pari'. Per fare un esempio, la 'superstar' assoluta tra i politici su Twitter, il presidente Usa Barack Obama, 'segue' solo altri tre leader mondiali (per la cronaca, si tratta del primo ministro inglese, di quello norvegese e di quello russo). Lo studio dedica un capitolo anche alla presenza del Vaticano su Twitter, che sembra avere gli stessi handicap della maggioranza degli altri leader e istituzioni globali: poca interattività, tweet automatici e puramente istituzionali, nessun coinvolgimento 'sociale' nel nuovo mezzo, tanto che gli account ufficiali del Vaticano non seguono nessun altro utente Twitter. In totale, i sei account vatican_va (uno per ogni lingua del portale web della Santa Sede: inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco e portoghese) sono seguiti da circa 7mila persone e 'cinguettano' circa una volta ogni due giorni. Stesso discorso vale anche per l'account ufficiale di Papa Benedetto XVI, @BenedictusPPXVI (da non confondere con @Pope2YouVatican, un esperimento 'social' gestito dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali con quasi 30mila follower). Da quando è stato creato, lo scorso 21 febbraio, l'account papale non ha neanche messo una propria immagine nel profilo e non ha mandato nemmeno un tweet, in attesa che in Vaticano decidano come gestire questa nuova presenza online del pontefice. Pur rimanendo in silenzio, però, ha già raccolto più di 2500 follower: segno, questo, che c'è ancora 'sete' di comunicazione autentica e aperta da parte dei vertici della Chiesa. Più successo, secondo l'analisi di Twiplomacy, ha avuto invece la presenza su Twitter del portale di notizie vaticano News.va: anche qui sei account in diverse lingue, ma con quasi 100mila follower per la versione inglese e più di 10mila per quella italiana. Sempre nulla, però l'interattività e il collegamento con altri utenti. Da questo punto di visto, più vivace è l'account, non segnalato dallo studio, del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, @PCCS_VA, che quasi 7mila follower e 'segue' 155 utenti, tra cui cardinali, ordini religiosi e organi di informazione religiosa e non. Infine, una curiosità: il tweet vaticano più popolare di sempre, quello cioè che è stato 'ritwittato' più spesso, è anche il primo di sempre. Un annuncio comparso il 9 giugno 2011 sull'account @vatican_va_en dell'udienza concessa da Papa Ratzinger ai vescovi indiani...

Alessandro Speciale, Vatican Insider

twiplomacy.com

Nomina di Müller all'ex Sant'Uffizio sancisce definitivo tramonto dell’era wojtyliana. Dopo le polarizzazioni ideologiche si torna a parlare di fede

Si chiama Gerhard Ludwig Müller (nella foto con Benedetto XVI), ha 64 anni, è un colosso di quasi due metri, e il Papa lo ha nominato lo scorso due luglio prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Viene contestato dai lefebvriani, tra l’altro, per lo stesso motivo per cui Sant’Ignazio di Loyola, cinque secoli fa, rischiò di scannare un miscredente. A raccontare l’episodio è lo stesso fondatore dei gesuiti che, nell’autobiografia "Il racconto del pellegrino", racconta, parlando di sé in terza persona, di quando incontrò per strada un moro. “Si misero a conversare e il discorso cadde su Nostra Signora. Il moro sosteneva che, certo, la Vergine aveva concepito senza intervento d'uomo; ma che avesse partorito restando vergine, questo non lo poteva ammettere; e a sostegno di ciò adduceva i motivi naturali che gli si presentavano alla mente. Da questa opinione il pellegrino, per quanti argomenti portasse, non riuscì a smuoverlo. Poi il moro si allontanò velocemente, tanto che lo perse di vista; ed egli rimase pensieroso, riflettendo su quanto era intervenuto con quell'uomo. E insorsero in lui impulsi che gli provocavano un senso di scontentezza sembrandogli di aver mancato al suo dovere, e lo movevano a sdegno contro il moro. Gli pareva di aver fatto male a permettere che egli facesse quelle affermazioni su nostra Signora, e di essere obbligato a difenderne l'onore. Gli veniva voglia di andarlo a cercare e di prenderlo a pugnalate per le affermazioni che aveva fatto”. Alla fine Sant’Ignazio desistette. Non così i lefebvriani, che sono andati a scovare un passaggio della Dogmatica cattolica di Müller per accusarlo, sostanzialmente, di essere un eretico cripto-protestante: il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio, hanno scritto i seguaci di Marcel Lefebvre in una nota, “nega il dogma della verginità di Maria. Per lui la verginità non ha a che fare con le ‘caratteristiche fisiologiche nel processo naturale della nascita di Gesù (come la non-apertura della cervice, l’incolumità dell’imene o l’assenza di doglie), ma con l’influsso salvifico e redentore della grazia di Cristo per la natura umana’”. La controversia è sottile, ben più teologica che fisiologica, apparentemente anacronistica, ma mostra, inequivocabilmente, che con il nuovo responsabile dell’ortodossia cattolica scelto da Papa Ratzinger, le polemiche tornano a ruotare attorno ai fondamentali della fede. Non che in passato la Santa Sede non si occupasse delle questioni di fede. Ma, soprattutto con il Pontificato di Giovanni Paolo II, molta attenzione è stata assorbita da altri problemi, a partire dalla politica. Karol Wojtyla passerà alla storia per essere stato un profeta, forse, prima o poi, un Santo, sicuramente un gigante della sua epoca. Uno dei principali nemici del comunismo e dell’Unione sovietica, se non il suo avversario più efficace. Sulla linea dell’anticomunismo wojtyliano si sono coagulate alleanze sociali, strategie geopolitiche, focalizzazioni pastorali, nonché flussi di finanziamento che, dall’Occidente all’Oriente, passando non di rado dallo Ior, foraggiarono la resistenza dei cattolici di oltrecortina. Defunto il maestoso Pontefice polacco, archiviata la sua corte variopinta, non senza resistenze e colpi di coda, chiusa la lunga e drammatica parentesi della guerra fredda, eletto al Soglio petrino Joseph Ratzinger, la Santa Sede è tornata ad occuparsi, principalmente, di teologia e liturgia, peccato e virtù, vita di Gesù e eredita del Concilio vaticano II. Insomma, della fede cattolica. E la sostituzione del grigio cardinale statunitense William Levada con Gerhard Ludwig Müller, amico personale del Papa, confidente del fratello, sinora arcivescovo della città tedesca d’adozione della famiglia Ratzinger, sancisce che un’epoca, quella wojtyliana, è definitivamente tramontata. E con lei, almeno questa sembra l’intenzione, vanno in soffitta le polarizzazioni ideologiche che hanno intriso gli ultimi trent’anni di storia ecclesiale. Accusato in Germania di essere un conservatore, temuto come un teologo della liberazione dalla destra della Curia romana (che prima della nomina ha fatto circolare fino all’ultimo l’accusa di eterodossia poi abbracciata entusiasticamente dai tradizionalisti), Müller, nei prossimi mesi, dovrà affrontare più di un dossier spinoso. Si dovrà occupare di concludere, o sotterrare, il negoziato con i lefebvriani, con i quali già in passato ha avuto più di un attrito e ai quali, di fronte all’accusa di eresia, ha risposto senza giri di parole: “Non devo rispondere a ogni stupidaggine”. Dovrà gestire i postumi dello scontro dei mesi scorsi tra il Vaticano e le suore statunitensi. Dovrà proseguire nella delicatissima politica di contrasto alla pedofilia dei preti. In un’intervista a L’Osservatore Romano del 26 luglio, ad ogni modo, ha chiarito: “I problemi che ci si prospettano sono molto grandi se guardiamo alla Chiesa universale, con le molte sfide che occorre affrontare e di fronte a un certo scoramento che si sta diffondendo in alcuni ambienti ma che dobbiamo superare. Abbiamo anche il problema di gruppi - di destra o di sinistra, come si usa dire - che occupano molto del nostro tempo e della nostra attenzione. Qui nasce facilmente il pericolo di perdere un po’ di vista il nostro compito principale, che è quello di annunciare il Vangelo e di esporre in modo concreto la dottrina della Chiesa. Siamo convinti che non esista alternativa alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. La Rivelazione risponde alle grandi domande degli uomini di ogni tempo. Qual è il senso della mia vita? Come posso affrontare la sofferenza? Esiste una speranza che va oltre la morte, visto che la vita è breve e difficile?”.

Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta

Nunzio in Siria: tutti i media diffondono l'appello del Papa per una soluzione politica del conflitto. La via da lui indicata è l'unica

"L'appello del Papa per una soluzione politica del conflitto siriano ha colpito il governo Assad che in questi giorni ha diffuso il messaggio del pontefice su giornali ed emittenti televisive locali". È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco. Secondo il prelato la straordinaria diffusione delle parole del Papa dimostra che "anche le autorità si sono rese conto che il Paese è ormai in un vicolo cieco. La guerra non avrà vincitori né vinti". Mons. Zenari spiega che "una eventuale vittoria sul campo militare, da parte del governo o dei ribelli, porterebbe la Siria al collasso". La situazione di confusione e caos causata dalla guerra è confermata dalle recenti notizie che giungono da Aleppo e dalle aree colpite da bombardamenti e scontri. Nella principale città le forze ribelli faticano a respingere l'offensiva dell'esercito. Entrambe le forze in campo si affrontano con la medesima ferocia e violenza. Dopo i drammatici video di esecuzioni sommarie e pestaggi compiuti dalle forze fedeli ad Assad, ieri è apparso un filmato che mostra la ferocia dei ribelli contro un presunto membro delle shabiha, le milizie paramilitari del regime. Human Rights Watch ha condannato il gesto, definendolo un potenziale crimine contro l'umanità. Fonti locali confermano che massacri e attacchi di violenza inaudita contro i presunti lealisti, sono all'ordine del giorno. I metodi utilizzati sono gli stessi dell'esercito. Oggi, l'Osservatorio siriano per i diritti umani, ha denunciato un nuovo massacro a Jdaidet Artou (Damasco), dove l'esercito avrebbe freddato 43 giovani miliziani. In questa occasione, il regime ha ammesso la sua colpa, ma ha sottolineato di aver ucciso i guerriglieri in un'azione di guerra. Secondo le fonti, è proprio questo tipo di informazione, spesso grossolana e con poca attenzione alle fonti, ad aver diffuso l'idea che la guerra contro Assad sia l'unica soluzione. Il regime non ha alcuna intenzione di cedere, nonostante le previsioni di una sua fine imminente. Per gli esperti le due parti in campo si affronteranno finché vi saranno rifornimenti di armi. Il conflitto potrebbe durare anche per un altro anno fino allo sfinimento totale e alla distruzione del Paese. Mons. Zenari racconta che "fra la popolazione vi è molta incertezza e paura sul futuro. La guerra investe ormai tutto il Paese. Anche a Damasco mancano cibo, lavoro, sicurezza". La Fao stima che oltre 3 milioni di siriani sono in condizioni critiche. Ad essi si aggiungono gli oltre 200mila sfollati fuggiti in Turchia, Libano e Giordania."La via politica indicata dal Papa - sottolinea il prelato - è l'unica soluzione. La comunità internazionale deve ritornare su questa strada e fare pressioni su ribelli e regime. Un sincero compromesso politico vale molto di più di un conflitto portato avanti senza alcun senso e criterio".

AsiaNews

Santa Sede: il Papa ha concluso la stesura del terzo volume di 'Gesù di Nazaret', congruo spazio di tempo per traduzione accurata nelle varie lingue

Il Papa "ha concluso, in questi giorni, la stesura del terzo volume dell'opera 'Gesù di Nazaret', dedicato ai racconti dell'Infanzia di Gesù ('Die Kindheitsgeschichten')". Lo conferma la Sala Stampa vaticana, aggiungendo che "tale volume costituisce il completamento dei due precedenti. Si sta procedendo ora alle traduzioni nelle varie lingue, che saranno condotte direttamente sull'originale tedesco. Si auspica che la pubblicazione del libro avvenga in modo contemporaneo nelle lingue di maggiore diffusione; essa - conclude la Sala Stampa vaticana - richiederà un congruo spazio di tempo per una traduzione accurata di un testo importante e atteso". I primi due volumi del libro del Papa, “Gesù di Nazaret” (Rizzoli, 2007) e “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione” (LEV, 2011), erano dedicati uno alla vita pubblica di Cristo, l’altro agli ultimi giorni di vita, la crocifissione e la resurrezione, cioè agli eventi che rappresentano il cuore della fede cristiana.

TMNews, SIR

COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

Di Segni: il Papa guarda al dialogo con il mondo ebraico con assoluto rispetto, per lui il legame con l’ebraismo una questione di primaria importanza

Sulla rivista Terrasanta promossa dalla Custodia di Terra Santa in Italia, senza peraltro esserne organo ufficiale, è uscita un’ampia intervista al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto con Benedetto XVI), raccolta da Manuela Borraccino e riportata in parte su Terrasanta.net. A differenza del predecessore Elio Toaff, il rabbino Di Segni è noto per la ruvida franchezza con cui si rapporta alla Chiesa cattolica: un’ultima volta in occasione delle modifiche apportate alla didascalia su Pio XII nel museo della Shoah, a Gerusalemme.Ma proprio per questo sono ancor più interessanti le notazioni di apprezzamento che egli riserva al papa attuale, più che al papa precedente.Intanto, Di Segni non nasconde che per la visita compiuta da Benedetto XVI alla sinagoga di Roma “abbiamo ricevuto reazioni molto differenti da parte delle comunità ebraiche in giro per il mondo: alcuni ci hanno applaudito, altri ci hanno riservato critiche feroci”.Poi così prosegue:“Occorre innanzitutto considerare la personalità di questo papa: Joseph Ratzinger appartiene a un gruppo di teologi per i quali il legame con l’ebraismo è una questione di primaria importanza. E questo non è affatto scontato: molti teologi non condividono questa sua linea. Ho l’impressione che il papa guardi al dialogo con il mondo ebraico con assoluto rispetto: senza tenere conto di questo aspetto non si potrebbe comprendere l’insistenza sua e nostra sulle differenze fra di noi, che ad un esame superficiale potrebbe apparire fin troppo oppositiva. È difficile tradurre in atti mediatici questo rapporto di reciproco rispetto: diciamo che con questo papa siamo in rapporti di buon vicinato, lontani da quegli slanci mediatici di entusiasmo che si erano visti con Giovanni Paolo II e che, a mio avviso, non erano privi di una certa ambiguità”.E all’intervistatrice che gli chiede “a cosa si riferisce in particolare”, risponde:“Penso ad esempio al dibattito sul significato della definizione di ‘fratelli maggiori’, penso ai rischi di sincretismo in incontri come quello di Assisi, penso alla beatificazione di Edith Stein e al vero e proprio filone editoriale nato intorno al valore esemplare per la Chiesa della sua conversione… Direi che con l’attuale papa siamo in una fase diversa e molto particolare di un percorso di convivenza e vicinato”.Più che un problema politico – sottolinea Di Segni in un altro passaggio dell’intervista – “c’è un problema teologico profondo, che contrappone da molti secoli la Chiesa e il mondo ebraico. È questo, a mio avviso, che dovrebbe entrare a pieno titolo fra i temi del dialogo”.

Sandro Magister, Settimo Cielo

Rabbino Di Segni, Gerusalemme tra memoria e futuro

Bertone: il Papa ha concluso il terzo volume su Gesù di Nazaret, grande regalo per l'Anno della fede. Poi, forse, la quarta Enciclica del Pontificato

Per l’Anno della fede, il Papa potrebbe pubblicare la sua quarta Enciclica. E sicuramente arriverà il terzo volume su Gesù. Ad annunciarlo è stato ieri il il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano, in questi giorni in vacanza in Valle d’Aosta. "Il Santo Padre – ha riferito il porporato – ha concluso il suo terzo volume, un manoscritto dedicato a Gesù di Nazaret. È un grande regalo nell’Anno della fede. Poi, forse, ci sarà anche l’Enciclica". Quindi ha aggiunto: "Leggeremo questo terzo volume con avidità e con grande gusto". Fino ad oggi Papa Ratzinger ha scritto ha scritto tre Encicliche, la "Deus caritas est", firmata il giorno di Natale del 2005, la "Spe salvi", che porta la data del 30 novembre 2007, e la "Caritas in veritate", del 29 giugno 2009. Si è ipotizzato che dopo quella sulla carità e quella sulla speranza, Benedetto XVI voglia dedicare un’Enciclica alla fede, completando così una sorta di trilogia sulle tre virtù teologali. Il card. Bertone non ha detto l’argomento dell’Enciclica, ma un documento sulla fede sarebbe in sintonia con l’Anno della fede. E sempre in autunno dovrebbe essere edita la terza parte del libro "Gesù di Nazaret", sui Vangeli dell’infanzia. Il porporato ha detto che in questo periodo di riposo sta rivedendo carte, appunti e problemi che bisogna mettere in ordine, naturalmente sempre in contatto con Roma, sia con i suoi collaboratori sia con il Papa. Ad una domanda su quale invito fare ai politici italiani, ha parlato della necessità dell’impegno per il bene comune: è l’esortazione lanciata dallo stesso Benedetto XVI nella sua ultima Enciclica. L'importante, ha affermato, è rimboccarsi le maniche, anche con qualche sacrificio personale o di gruppo. Nell’omelia, prendendo spunto dalla memoria liturgica di Sant’Eusebio di Vercelli, ha tracciato “il compito di colui che governa con senso di responsabilità, a differenza del mercenario che svolge un mestiere. Governare – ha spiegato - significa prendersi cura, prendere le difese dei deboli, dei bisognosi, e nell’immagine del ‘buon pastore’ far risplendere la regalità di Cristo”. Ha ricordato poi l’opera di evangelizzazione compiuta da Sant’Eusebio che “non restò a casa sua”. “Affrontò – invece - viaggi durissimi, pericoli, incomprensioni e persecuzioni dei nemici, pur di portare il Vangelo e la salvezza di Cristo dappertutto”. “Quando si parla di ‘nuova evangelizzazione’ – ha osservato Bertone - dobbiamo saper riconoscere in questa espressione tutta la carica di fiducia che Dio dà a noi oggi, nel volerci annunciatori del Vangelo in mezzo alla nostra gente, tanto quanto i primi discepoli fra le genti pagane del loro tempo. Il Signore ha bisogno oggi del nostro cuore, della nostra mente, delle nostre forze affinché il progetto di vita da lui annunciato possa avere la forza attrattiva nel nostro mondo vitale, differenziato e complesso nel quale bisogna saper rendere concretamente visibile la forza della speranza cristiana. In ogni ambito sociale: nel lavoro, nel matrimonio e nella famiglia, come in tutte le cerchie amicali e di impegno sociale, ciascuno è davvero insostituibile per una ramificazione della testimonianza di fede”. “Comprendiamo allora la grande importanza dell’annuncio fatto da Benedetto XVI di proclamare l’Anno della fede, che prenderà inizio nel prossimo mese di ottobre a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sarà un anno importante – ha aggiunto - se si pensa alla necessità del nostro tempo di servire la causa dell’uomo” che, secondo quanto detto da Benedetto XVI - senza Dio “non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. “Coscienti della nostra dignità di collaboratori o operatori di una ‘nuova evangelizzazione’ – ha concluso il card. Bertone - dobbiamo coltivare una grande passione per Dio prima di tutto. Ma dobbiamo anche sforzarci in molti modi per scoprire di nuovo, attraverso una formazione realmente cristiana, i molti tesori della nostra cultura e della fede che sono sfuggiti di mano a molti e che per questo sono divenuti quasi irriconoscibili”.

Avvenire, Radio Vaticana

Giornata Mondiale della Gioventù 2013. Manuale per le iscrizioni e i costi di partecipazione. Prende forma la presenza degli italiani a Rio de Janeiro

E’ disponibile da martedì, sul sito ufficiale della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, www.rio2013.com, il manuale contenente le istruzioni per le iscrizioni che saranno aperte a breve. Per partecipare alla GMG, dunque, sarà necessario iscriversi on line. Le iscrizioni, da quanto comunica il Comitato organizzatore (Col), dovranno essere fatte per gruppi composti da un massimo 50 persone, compresi i responsabili. Questi, se il gruppo è misto, dovranno essere un uomo ed una donna. Gruppi oltre le 50 persone saranno divisi in sottogruppi. L’accoglienza e l’alloggio verrà assegnato dal Col in base alle regioni linguistiche. Coloro che non hanno un gruppo con cui iscriversi potranno iscriversi come singoli. Il consiglio dell’organizzazione è quello di iscriversi in gruppo attraverso parrocchie, associazioni e movimenti. I prezzi delle iscrizioni variano a seconda della tipologia (con o senza alloggio, con o senza vitto) e della provenienza del giovane. Questo per aiutare i pellegrini provenienti da Paesi poveri. Il costo varia dai 100,70 real brasiliani (40 euro circa) ai 577,60 (230 euro circa), cifra che resterà invariata fino al 31 gennaio 2013. Dopo quella data il costo di iscrizione varierà dai 106 real brasiliani (42 euro) ai 608 (242 euro circa). Al momento la data di apertura delle iscrizioni non è stata ancora annunciata.
Casa Italia, La Festa degli Italiani, l’incontro con missionari ed emigrati italiani in Brasile: comincia a prendere forma la partecipazione italiana alla GMG 2013. A parlarne all'agenzia SIR è don Domenico Beneventi, del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, reduce da un recentissimo viaggio in Brasile, dove, spiega, “abbiamo incontrato il Comitato organizzatore locale (Col) ed abbiamo messo a punto una collaborazione anche in vista della Settimana Missionaria”. Questa per il sacerdote, rappresenta “un’evoluzione ed una maturazione nel percorso delle GMG che vogliono essere un’esperienza di fede, di incontro ma anche di condivisione”. Circa il numero di giovani italiani che saranno a Rio nel 2013, dichiara don Beneventi, è presto per fare previsioni, le iscrizioni non sono ancora aperte” e a pesare “potrebbe essere la crisi economica”. Come per altre edizioni, anche a Rio sarà allestita Casa Italia, “un punto di riferimento logistico, organizzativo ed anche pastorale aperto a tutti i nostri giovani che vogliamo, in tal modo, accogliere ed accompagnare”. Si sta lavorando anche alla Festa degli Italiani: “è desiderio dei vescovi italiani offrire un momento di incontro con i nostri emigrati in Brasile, e a Rio ce ne sono tantissimi”.

SIR

GMG RIO 2013 - Manca solo un anno. Comincia a prendere forma la partecipazione italiana