venerdì 11 novembre 2011

La gioia delle Chiese di Messico e Cuba per il probabile viaggio di Benedetto XVI: voci e cuori uniti per chiedere a Dio che si realizzi

Dopo l’annuncio del probabile viaggio di Papa Benedetto XVI in Messico e a Cuba nella primavera del 2012, fioccano i commenti gioiosi da parte delle Chiese dei due paesi latino-americani. La “priorità” data a Cuba come viaggio pastorale, è stata accolta dal card. Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, come “un gran bene” e qualcosa di “assai speciale” per l’isola caraibica. “È una notizia eccellente e un gran privilegio poter contare sulla presenza di Sua Santità nell’anno giubilare per i 400 anni dall’apparizione della Madonna del Rame, patrona di Cuba”, ha dichiarato all’agenzia EFE, Orlando Marquez, portavoce del card. Ortega. Nell’isola caraibica, dopo l’ascesa al potere di Raul Castro, i rapporti tra Chiesa Cattolica e governo cubano stanno conoscendo finalmente una fase distensione. Un segno concreto della nuova “primavera cattolica” nel paese è la ripresa, per la prima volta dopo la rivoluzione castrista del 1959, del pellegrinaggio dell’immagine della Madonna del Rame che visiterà più di trecento luoghi a L’Avana, percorrendo poi più di 28mila chilometri nelle restanti quattordici province del Paese. In Messico il primo viaggio di Benedetto XVI è stata salutatp dalla Conferenza Episcopale locale come rispondente a un “forte desiderio” comune al Papa e ai messicani. “Non abbiamo ancora ricevuto un comunicato ufficiale di conferma di questa visita – ha precisato mons. Victor René Rodriguez Gomez, segretario generale della Conferenza Episcopale messicana – tuttavia è un momento in cui possiamo unire le voci e i cuori di tutti i messicani per chiedere a Dio che si realizzi questo desiderio tanto anelato dal Santo Padre e dai messicani”. Secondo quanto riferito da mons. Rodriguez Gomez all’emittente Milenio Television, la conferma del viaggio papale, con il relativo programma completo sarà annunciata alla fine di questo mese. È escluso tuttavia che il Santo Padre, per motivi di salute e di età, possa visitare Città del Messico, essendo la capitale situata a 2200 metri di altitudine. Piuttosto probabili invece dovrebbero le visite del Papa a Monterrey, Veracruz, nello Yucatan e altre città marittime o situate in bassopiani. Mons, Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnpantla, e presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), ha dichiarato che, durante l’udienza riservata ai vescovi del CELAM, avvenuta lo scorso mese, Benedetto XVI avrebbe “sorriso favorevolmente” quando si è affrontato il tema del possibile viaggio pastorale in Messico. “Non è rimasto indifferente alla nostra richiesta”, ha aggiunto il presule.

Zenit

Concluso l'incontro sulle incomprensioni tra Chiesa e media. Tutte le 'spine' più rilevanti della comunicazione tra la stampa mondiale e Benedetto XVI

"La questione della comunicazione, e dei suoi imbarazzi ed equivoci, non è questione di oggi, ma risale all’epistolario paolino. Riferendosi a precomprensioni, incomprensioni e 'misunderstandings', Paolo utilizza addirittura il verbo 'adulterare' (kapelèuein), verbo che attesta inequivocabilmente il dato di fatto: il tema capitale - su cui la giornata odierna di studio ha puntato l’attenzione con grande libertà - era presente già a quel tempo". Così il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico Consiglio della Cultura, ha concluso l’incontro "Incomprensioni. Chiesa Cattolica e media", organizzato da L'Osservatore Romano e tenutosi ieri nell’Aula vecchia del Sinodo in Vaticano. Il porporato ha quindi fatto un’aggiunta preziosa e sostanziale: "Paolo, però, non si limitava a difendersi. Paolo reagiva, trovava e inoculava vaccini". Poche parole per cogliere appieno il senso, gli intenti e l’eredità di un convegno che, per diversi aspetti, lascerà decisamente il segno. Con gli interventi dei vaticanisti di alcune tra le principali testate occidentali, una dopo l’altra le "spine", così le ha definite il direttore Giovanni Maria Vian, più rilevanti della comunicazione tra la stampa mondiale e Benedetto XVI, sono state tutte sgranate. Con attenzione quasi filologica, raffinata acutezza e nella più completa assenza di timori reverenziali, molto (se non tutto) è stato passato al setaccio. Sono stati analizzati i grossolani errori compiuti negli anni dai media, dovuti a superficialità, sciatteria, incompetenza e all’ossessione di trovare "pagliuzze d’oro". Ad esempio, Antonio Pelayo, che, tra gli altri suoi ruoli, è vaticanista della spagnola Antena 3 Tv, ha indagato ciò che accadde con il discorso di Ratisbona, dopo che alle 6 di mattina del 12 settembre 2006 fu consegnato ai giornalisti il testo "Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni", ovvero le oltre tremiladuecento parole che diedero via a uno dei più duri attacchi mediatici al Pontificato di Joseph Ratzinger. Alcuni giornalisti trovarono subito "nelle parole del Paleologo la pepita con cui arricchire la loro cronaca". Ebbene, "dopo aver compiuto i dovuti accertamenti in questi anni", Pelayo ha potuto concludere che "sono stati i titoli della stampa italiana a diffondere l’allarme nei Paesi musulmani attraverso le loro ambasciate a Roma e i pochi corrispondenti di quell’area che lavorano nella capitale italiana. Né le une né gli altri avevano letto il testo integrale del discorso ma non persero tempo, dopo aver sfogliato i giornali italiani del 13 settembre 2006, a informare i loro Governi e il loro pubblico sull’'attacco del Papa all’islam'". Ma il discorso vale anche per altri casi. Vale per la "tempesta perfetta" dello scandalo degli abusi sessuali negli Stati Uniti, analizzata da John L. Allen Jr., vaticanista del National Catholic Reporter, fisicamente assente, di cui è stato letto il suo contributo. E vale per il "putiferio" legato alle parole sul condom che il Papa pronunciò il 17 marzo 2009 mentre era in volo verso il Camerun. Come emerso dalla relazione del vaticanista di The Guardian, John Hooper, in questo caso, addirittura, gli errori dei giornalisti indussero in errore anche diversi politici e i vertici di importanti organismi internazionali (perfino The Lancet andò "troppo oltre"). Esiste, dunque, il problema della preparazione dei vaticanisti e, più in generale, dei giornalisti che si occupano di questioni religiose. Esiste il problema del ruolo delle agenzie di stampa, della pigrizia di chi sta al desk, della approssimazione, della volatilità del piano mediatico, della minimizzazione dei successi e della massimizzazione delle mancanze. John Allen ha parlato di "mitologia, disinformazione e pregiudizio". E ha denunciato "l’assenza di contesto": le organizzazioni mediatiche "centrano il testo di una determinata storia, ma sbagliano il contesto", per esempio nel 2002 la copertura mediatica della crisi statunitense sulla pedofilia lasciò in molti l’impressione che alla Chiesa non importasse nulla dei bambini. Certo, errori sono stati compiuti anche dalla e nella stessa Chiesa, e questa ammissione è uno degli aspetti più interessanti della giornata (solo chi è forte nella verità, può ammettere i suoi errori). Su tutti, "il disastro mediatico e di comunicazione" del caso Williamson, analizzato da Paul Badde di Die Welt, in una relazione a tratti "metastorica", ha detto Vian. Si è trattato di un caso unico anche perché, con la lettera del 10 marzo 2009, "uno dei documenti più commoventi dell’attuale Pontificato" secondo Badde, il Papa "si assunse personalmente la responsabilità del disastro, difese i suoi collaboratori e pose fine a ogni speculazione". A volte, del resto, le risposte della Chiesa sono risultate controproducenti. E John Allen, sempre riguardo allo scandalo americano, è stato lucido nell’analizzare la "copertura mediatica che, pur preziosa nel costringere la Chiesa ad ammettere la crisi e ad agire, talvolta è stata non equilibrata, inaccurata e distruttiva. Mentre alcuni hanno compiuto sforzi eroici per dare una risposta onesta e completa, troppo spesso la reazione è stata difensiva e tardiva, cementando il pregiudizio popolare nei confronti della Chiesa invece di correggerlo". Anche perché, paradosso dei paradossi, Benedetto XVI, "il grande riformatore per quanto riguarda la crisi degli abusi sessuali" che ha fatto "del recupero spirituale e strutturale un segno distintivo del proprio Pontificato", è divenuto per l’opinione pubblica male informata "il simbolo principale dell’incapacità della Chiesa, arrivando, nei casi estremi, a chiedere che si dimetta o che subisca un processo penale dinanzi a tribunali internazionali". Del resto, la sfida è a tutto campo: "In gioco non v’è solo l’immagine della Chiesa, ma anche quella della stampa". Nella sua analisi, invece, Jean-Marie Guénois di Le Figaro, partendo dal lato tedesco di Benedetto XVI, connotazione tutt’altro che geografica, ma preciso punto di attacco di cui si sono avvalsi i media, ha ricostruito come il Pontefice tedesco, amediatico e già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, "una sorta di reazione chimica esplosiva", succeduto "al Papa super mediatico", sia riuscito lentamente nel corso degli anni a ribaltare le cose. Grazie alla sua timidezza e la sua umiltà, grazie alla sua lucidità intellettuale, alla costanza nell’obiettivo, alla capacità di distinguere l’essenziale dal particolare e al suo cancellarsi individualmente per servire il bene comune. Il "fragile timoniere" ha affrontato l’incubo mediatico della crisi della pedofilia ottenendo rispetto proprio per il modo in cui ha affrontato quella crisi. "Non agitandosi attraverso grandi dichiarazioni, ma con una gestione molto pacata, lenta e alla fine efficace". Benedetto XVI, "il Papa tedesco, ne è uscito più grande poiché occorreva una grande forza interiore per attraversare questa gigantesca tempesta" ha concluso Jean-Marie Guénois. Sulla scia di quanto già emerso nella mattina di ieri dalle relazioni propriamente storiche, si è visto comunque come alla base di tutto vi sia la centralissima e sempre attuale questione del rapporto tra la Chiesa e le logiche del tempo attuale. Netta e sostanziale è, infatti, la divaricazione tra lo sguardo profetico dell’una e lo spirito contingente dell’altro. È emersa anche l’inadeguatezza vaticana sul fronte informatico. Paul Badde ha ricordato le parole di Benedetto XVI: "Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie". È risultato, però, anche il salto "quantico" compiuto dalla struttura millenaria, "catapultata nell’era di internet", sono sempre parole del vaticanista della Die Welt. Misure per superare le incomprensioni reciproche sono dunque enucleabili. Se v’è tanto da fare sul versante mediatico, indicazioni concrete spettano anche alla Chiesa. La nuova evangelizzazione voluta da Benedetto XVI può risolvere anche questo ostacolo. "Se esistono dei passi che la Chiesa può compiere senza tradire la propria identità o adottare tecniche ciniche di manipolazione per promuovere una migliore comprensione - ha detto John Allen - allora farlo non è soltanto una bella idea. È un imperativo morale". Anche qui il card. Ravasi è stato lucido e prezioso. La sua indicazione, infatti, è stata quella di cercare di trasformare i cinque vizi dei media, i cinque errori regolarmente compiuti dai giornalisti (legge della banalizzazione, dell’immediato, del piccante, dell’approssimazione e del pregiudizio) in virtù per la comunicazione della Chiesa. Imparare l’essenzialità, imparare a essere nel quotidiano ("la predicazione di Cristo parte dai piedi"), imparare l’incisività, imparare a superare l’autoreferenzialità, evitare di lasciare spazi in bianco. Perché la comunicazione non può essere meramente auto-difensiva "per principio", ma deve necessariamente avere "una certa consistenza". Mantenendo forte la sua identità, c’è dialettica solo se si mantiene "lo scandalo del messaggio" ha ribadito Ravasi, la Chiesa deve però tener conto del fatto che "l’atmosfera, l’aria" in cui si muove l’uomo è cambiata, e per questo è cambiato l’uomo, e ne è stato rimodellato il volto. Nel 1950, lo ha ricordato Vian in apertura dei lavori, Montini, durante il primo incontro con Jean Guitton, confidò una preoccupazione capitale: "Bisogna sapere essere antichi e moderni, parlare secondo la tradizione ma anche conformemente alla nostra sensibilità. Cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?".

Giulia Galeotti, L'Osservatore Romano

San Martino di Tours. Il Papa: modello europeo di carità per grande sfida di costruire un mondo di pace e giustizia, in cui ogni uomo viva con dignità

Un modello “europeo” di carità. Così Benedetto XVI ha definito San Martino di Tours (foto) davanti ai volontari del Vecchio continente ricevuti questa mattina in udienza. E in effetti, Martino di Tours, prima soldato e poi vescovo, è tuttora uno dei Santi più venerati in Europa. A lui, e al suo celebre gesto di generosità, il Papa dedicò un intero Angelus, l’11 novembre del 2007.
“Ancora giovane soldato, incontrò per la strada un povero intirizzito e tremante per il freddo. Prese allora il proprio mantello e, tagliatolo in due con la spada, ne diede metà a quell’uomo. La notte gli apparve in sogno Gesù, sorridente, avvolto in quello stesso mantello”.
Decisamente, ci sono materiali capaci di superare in modo straordinario il logorio del tempo. E certo, le tarme di sette secoli non hanno intaccato uno dei pezzi di stoffa più famosi della storia. Attraverso le fibre del mantello di Martino che in parte finiscono sulle spalle di un mendicante si intravedono con chiarezza le fibre che costituiscono il tessuto della carità cristiana: il dono, la gratuità, la condivisione, la scelta preferenziale dei poveri, la presenza di Gesù in loro. In un rapido gesto di generosità si è cristallizzato per sempre il meglio di ciò che può fare un uomo per il suo simile, soprattutto se sorretto dalla fede. Perché questo già era, sotto le fibre del suo mantello, il soldato Martino quando incrociò quel povero: un uomo prossimo al Battesimo.
“Ricevette il Sacramento intorno ai vent’anni, ma dovette ancora a lungo rimanere nell’esercito, dove diede testimonianza del suo nuovo genere di vita: rispettoso e comprensivo verso tutti, trattava il suo inserviente come un fratello, ed evitava i divertimenti volgari”.
Davvero un soldato singolare, Martino: nemico della violenza, allergico all’arroganza, che se sguainava la spada lo faceva per un atto di giustizia piuttosto che per fare il giustiziere. Finché, corazza e gladio lasciano il posto al saio e al crocifisso. Martino si congeda e segue il cuore. Si fa monaco in Francia attorno al 360, e nel 371 i cittadini di Tours lo acclamano vescovo. Scelta felice, perché la città e le campagne acquistano un uomo capace di giustizia e incline alla misericordia, un Vangelo vivente annunciato con energia e testimoniato con la mitezza. Muore l’8 novembre 397 e l’11 viene sepolto. Non muore il suo ricordo e diventa una reliquia il suo mantello che continua ad essere appoggiato sulle spalle del mondo, come conforto per tutti coloro, ha detto il Papa, impegnati a rispondere "alla grande sfida del nostro tempo”.
“Quella cioè di costruire un mondo di pace e di giustizia, in cui ogni uomo possa vivere con dignità. Questo può avvenire se prevale un modello mondiale di autentica solidarietà, in grado di assicurare a tutti gli abitanti del pianeta il cibo, l’acqua, le cure mediche necessarie, ma anche il lavoro e le risorse energetiche, come pure i beni culturali, il sapere scientifico e tecnologico”.

Radio Vaticana

Angelus, 11 novembre 2007

Il Papa: i volontari cattolici strumenti visibili dell'amore di Dio per una società più umana, contraddistinta da autentica giustizia e solidarietà

Questa mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti all’Incontro dei volontari cattolici europei, promosso dal Pontificio Consiglio "Cor Unum" in occasione dell’Anno Europeo del Volontariato 2011.
Milioni di volontari cattolici che operano oggi nel mondo, ha ricordato il Pontefice nel suo discorso, “contribuiscono, regolarmente e generosamente, alla missione caritativa della Chiesa”. Nell’attuale momento, “marcato da crisi e incertezza”, il vostro “impegno è una ragione di fiducia” che mostra come il bene cresca anche tra le difficoltà. Il Papa ha espresso innanzittutto la sua “profonda gratitudine” per la missione di carità nel mondo. Quindi, ha sottolineato che per i cristiani “il lavoro volontario non è meramente un’espressione di buona volontà. E' basato su un’esperienza personale di Cristo. E’ stato Lui il primo a servire l’umanità”, dando “liberamente la sua vita per il bene di tutti”. L’esperienza “dell’amore generoso di Dio”, ha soggiunto, ci spinge “ad adottare la stessa attitudine verso i nostri fratelli e le nostre sorelle”. E questo, ha osservato, lo sperimentiamo “soprattutto nell’Eucaristia”. La Sua grazia, ha affermato, eleva la nostra vocazione a servire gli altri senza alcuna ricompensa. Siamo dunque chiamati a “servire gli altri con la stessa libertà e generosità che contraddistingue Dio stesso”. Così facendo, ha detto, “diveniamo strumenti visibili del suo amore” in un mondo che “anela quell’amore in mezzo alla povertà, alla solitudine, alla marginalizzazione e all’ignoranza che vediamo nel mondo intorno a noi”. Certo, ha riconosciuto il Papa, il “volontariato cattolico” non può rispondere a tutte le necessità, “ma questo non ci scoraggia”. “Né - ha avvertito - dovremmo lasciarci sedurre da quelle ideologie che vogliono cambiare il mondo sulla base di una visione puramente umana”. Quel poco che riusciamo a fare per portare sollievo ai bisognosi, ha rilevato, “può essere visto come un seme buono che crescerà e porterà molto frutto”. E’, ha detto, “un segno della presenza e dell’amore di Cristo”. Questa, è stato il suo incoraggiamento, “è la natura della testimonianza che voi”, con umiltà e convinzione, “offrite alla società civile”. “Se – ha proseguito – è dovere dell’autorità pubblica di riconoscere e apprezzare questo contributo senza distorcerlo”, il vostro ruolo come cristiani “è di partecipare attivamente alla vita della società, cercando di renderla sempre più umana, sempre più contraddistinta da autentica libertà, giustizia e solidarietà”. Oggigiorno, è stata così la riflessione del Papa, il volontariato, “come servizio di carità” è divenuto “un elemento della nostra cultura moderna, universalmente riconosciuto”. E tuttavia, le sue origini vanno viste “nella particolare attenzione cristiana per la salvaguardia, senza discriminazioni, della dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio”. “Se queste radici spirituali – ha affermato il Pontefice – sono negate o oscurate e i criteri della nostra collaborazione diventano puramente utilitaristici, allora ciò che distingue maggiormente il vostro servizio rischia di perdersi, a danno della società nel suo insieme”. Il Papa ha quindi incoraggiato i giovani “a scoprire nel lavoro di volontariato un modo per accrescere il proprio amore oblativo che dona alla vita il suo significato più profondo”. Infine, il Papa ha esortato i volontari cattolici “a non avere paura” di imprimere un cambiamento radicale della propria vita, giacché “è nel donarsi agli altri che viviamo la vita nella sua pienezza”.

SIR, Radio Vaticana

Ai partecipanti all'Incontro promosso dal Pontificio Consiglio "Cor Unum" - il testo integrale del discorso del Papa

Il Consiglio delle Conferenze Episcopali europee celebra a Roma il 40° anniversario di fondazione. Il 23 novembre l'incontro con Benedetto XVI

Con una riflessione sul tema della Nuova Evangelizzazione, il Consiglio delle Conferenze Episcopali europee si appresta a celebrare a Roma il 40° anniversario di fondazione. Era il 25 marzo 1971 quando furono approvate le prime norme direttive del Ccee. “In quegli anni – afferma il card. Peter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e attuale presidente dell’organismo europeo - il CCEE fu una risposta all’esigenza dei vescovi del continente di incontrarsi in modo regolare e libero in seguito all’esperienza vissuta durante il Concilio Vaticano II”. Attualmente il CCEE è composto di 38 membri: i presidenti di 33 Conferenze Episcopali e 5 vescovi che non appartengono ad una Conferenza episcopale (Lussemburgo, Principato di Monaco, Cipro dei maroniti, Chişinău e Mukachevo). In vista della XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi del 2012, il CCEE congiuntamente con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione promuoverà a Roma martedì 22 novembre un Incontro sull’Europa e la Nuova Evangelizzazione. L’incontro, che si terrà in mattinata presso il Palazzo San Pio X, sarà aperto dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e dal card. Peter Erdő e sarà concluso da mons. Rino Fisichella. Dal 22 al 25 si svolgerà la tradizionale “visita ad limina” della Presidenza Ccee presso i dicasteri vaticani e mercoledì 23, l’incontro con il Santo Padre a termine dell’Udienza generale.

SIR

Benedetto XVI riceve in udienza mons. Filoni e il card. De Paolis. Il Papa crea la figura del delegato del Pontificio Consiglio della Cultura

Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina mons. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il card. Velasio De Paolis, delegato pontificio per la Congregazione dei Legionari di Cristo e presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Il Papa ha poi creato la figura di delegato del Pontificio Consiglio della Cultura con la nomina, oggi, di mons. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo. Il presule dal 2005 era uno dei tre vescovi ausiliari di Lisboa, diocesi retta dal cardinale patriarca José da Cruz Policarpo. Il Pontificio Consiglio della Cultura è guidato dal card. Gianfranco Ravasi.

TMNews

RINUNCE E NOMINE

Sono sette le diocesi d’Irlanda in attesa della nomina di un nuovo vescovo, dopo la presentazione al Papa delle dimissioni del vescovo di Derry

Sono sette le diocesi cattoliche d’Irlanda ora in attesa della nomina di un nuovo vescovo a seguito delle dimissioni rassegnate dal vescovo di Derry, Seamus Hegarty. Più di un quarto delle 26 diocesi della Chiesa d'Irlanda sono ora in attesa di un nuovo vescovo. Hegarty, 71 anni, ha confermato lo scorso 7 novembre di aver presentato le sue dimissioni a Papa Benedetto per via di problemi di salute. In una dichiarazione, ha affermato di aver ricevuto una diagnosi di una malattia irreversibile e progressivamente invalidante. "Ora sono in trattamento", ha aggiunto. Un portavoce della Chiesa ha confermato che le tre diocesi di Kildare e Leighlin, Limericke Cloyne attualmente non hanno un vescovo titolare. In più i vescovi delle tre diocesi di Ardagh e Clonmacnoise, Kerry e Elphin avevano presentato le dimissioni al Papa al compimento dei 75 anni, a norma del diritto canonico. La responsabilità di accettare le dimissioni e nominare un nuovo vescovo spetta poi al Papa. In un comunicato di lunedì scorso, mons. Hegarty ha dichiarato di aver sperato di poter continuare nella sua missione fino al compimento dei 75 anni, ma di non essere in grado di farlo per ragioni mediche. "Nel luglio di quest'anno, un giornale locale aveva già indicato che avevo in corso deglia ccertamenti medici”. Hegarty è stato ordinato sacerdote nel 1966 ed è stato nominato vescovo di Derry nel 1994. E in precedenza lo era stato a Raphoe dal 1982 al novembre 1994. Un rapporto del Consiglio nazionale per la salvaguardia dei bambini sugli abusi sessuali nei confronti di minori avvenuti nella diocesi da parte del clero negli ultimi 35 anni dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane. Hegarty ha detto che sarebbe favorevole ad un indagine sul trattamento delle accuse di pedofilia da parte del clero locale ad opera delle autorità ecclesiastiche e statali. Negli anni della sua permanenza a Raphoe uno dei preti pedofili più noti del Paese, Eugenio Greene, che prestava servizio a Donegal, era stato spostato in diverse parrocchie. Dopo aver compiuto abusi per quasi 25 anni, ed essere stato spostato in ben otto parrocchie diverse, Greene è stato condannato ad una pena di 12 anni nel 2000, dopo essersi riconosciuto colpevole di 41 accuse a fronte di 26 vittime. E’ tornato in libertà nel 2008. Al vescovo Hegarty era stata contestata la gestione da parte della Chiesa riguardo al caso Greene. Più di recente il portavoce di mons. Hegarty aveva offerto la sua disponibilità ad incontrare per un dialogo alcuni esponenti repubblicani dissidenti nella zona di Derry.

The Irish Independent - Rassegna Fine Settimana

Leader religiosi di Israele: l'incontro con Benedetto XVI momento storico per la pace in Terra Santa. Lavorare insieme per una società più giusta

"Un momento storico" per la pace e per la Terra Santa: è stato unanime il giudizio sull'incontro con il Papa, svoltosi ieri, da parte dei leader religiosi di Israele che, in una sala Marconi affollata di giornalisti, hanno messo l'accento sugli sforzi delle comunità ebree, cristiane, druse e musulmane per il dialogo. All'inizio della conferenza stampa, presieduta dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, l'arcivescovo di Akka dei greco melkiti, Elias Chacour, ha letto una dichiarazione congiunta dei capi religiosi di Israele che ribadiscono l'impegno "nei confronti della sacralità della vita umana e a respingere la violenza, specialmente quando è perpetrata in nome della religione". Poi, riecheggiando le parole di Benedetto XVI all'udienza di ieri, la dichiarazione ribadisce il "dovere" dei leader religiosi ad educare i fedeli alla pace. E non mancano di sottolineare il carattere "unico e speciale" dei luoghi santi che deve essere salvaguardato da "ogni forma di violenza e di profanazione". Chiedono inoltre che "il libero accesso dei fedeli ai loro luoghi sacri" sia "consentito e garantito dalle autorità civili competenti". Infine, come capi religiosi, assicurano di "essere attenti al grido dei più deboli" e di "lavorare insieme per una società più giusta ed equa". Dal canto suo, il rabbino capo di Israele, Yonah Metzger, ha detto che il Consiglio dei capi religiosi dimostra che in Terra Santa è possibile vivere tutti insieme in pace. Un messaggio, ha aggiunto, che abbiamo oggi portato al Papa e al mondo intero. Gli ha fatto eco il capo degli imam musulmani di Israele, Mohamad Kiwan, che ha definito quello di oggi un "giorno storico" che rafforza l'impegno a portare la pace e l'amicizia in Terra Santa. Non è mancato un riferimento all'attualità da parte del rabbino Metzger. Che, ad una domanda dei giornalisti sulla minaccia nuclerare iraniana, ha affermato: "Abbiamo paura per quello che potrebbe succedere dal momento che l'Iran parla a voce alta e chiaramente della sua volontà di distruggere Israele e il mondo resta in silenzio. Tutti dicono che vanno fatti i controlli ma poi non succede niente". Quando i nazisti comniciarono a distruggere le sinagoghe - ha detto Metzger - nessuno diceva niente. Il mondo stava zitto. Poi hanno sterminato 6 milioni di ebrei". Insomma: "Il mondo blocchi i piani malvagi dell'Iran".

TMNews