martedì 30 ottobre 2012

Domani la celebrazione dei Vespri presieduta dal Papa nella Cappella Sistina. Antonio Paolucci: nonostante i cinque milioni di visitatori all'anno nel breve medio periodo l'adozione del numero chiuso non sarà necessaria

Così come fece Papa Giulio II quel 31 ottobre 1512, sarà Benedetto XVI a presiedere, mercoledì 31 ottobre, la celebrazione dei Vespri nella Cappella Sistina per il cinquecentesimo anniversario dell'inaugurazione della volta dipinta da Michelangelo. Lo sottolinea L'Osservatore Romano, che ricorda: "Il grande artista con una impresa immane, in soli quattro anni tra il 1508 e il 1512, affrescò una superficie di più di mille metri quadrati". Niente numero chiuso per i visitatori della Cappella Sistina. Quanto meno "nel breve medio periodo". Lo precisa, smentendo ipotesi di stampa, il direttore dei Musei vaticani Antonio Paolucci in un intervento su L'Osservatore Romano. "Cinque milioni di visitatori all'anno all'interno della Cappella Sistina, ventimila al giorno nei periodi di punta, fanno un ben arduo problema", scrive Paolucci. "La pressione antropica con le polveri indotte, con l'umidità che i corpi portano con sé, con l'anidride carbonica prodotta dalla traspirazione, comporta disagio per i visitatori e, nel lungo periodo, possibili danni per le pitture. Potremmo contingentare l'accesso, introdurre il numero chiuso. Lo faremo se la pressione turistica dovesse aumentare oltre i limiti di una ragionevole tollerabilità e se non riuscissimo a contrastare con adeguata efficacia il problema. Io ritengo però che nel breve medio periodo l'adozione del numero chiuso non sarà necessaria. Intanto (è l'obiettivo che sta impegnando in questi mesi le nostre energie) è necessario mettere in opera tutte le più avanzate provvidenze tecnologiche in grado di garantire l'abbattimento delle polveri e degli inquinanti, il veloce ed efficace ricambio dell'aria, il controllo della temperatura e dell'umidità. Se ne sta occupando, con un progetto di altissima tecnologia, radicalmente innovativa, la multinazionale Carrier, azienda leader nel mondo nel settore della climatizzazione. Io confido che, entro un anno, il nuovo impianto potrà entrare in funzione".

TMNews

Cinque secoli di luce accecante: il 31 ottobre 1512 Giulio II inaugurava la volta della Cappella Sistina completata da Michelangelo

Libretto della Celebrazione

Anno della fede. Ciclo della 'Radio Vaticana' a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica: per il Papa un vero strumento e sostegno della fede

Si era alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso quando nella Chiesa iniziava l’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. A richiederlo era stato il Sinodo dei vescovi, celebrato a 20 anni dal Concilio Vaticano II. Altri 20 anni sono trascorsi dalla pubblicazione di un'opera organica, frutto della consultazione di tutte le Chiese locali. La Radio Vaticana propone oggi la prima puntata di una nuova rubrica incentrata sull’importanza di questo testo fondamentale per la fede cristiana, curata dal gesuita, padre Dariusz Kowalczyk. Tra diversi inviti che il Papa Benedetto XVI ci ha rivolto in occasione dell’Anno della fede vi è anche quello di leggere il Catechismo. Nella bellissima lettera “Porta fidei” il Santo Padre esprime la sua convinzione che il Catechismo sia durante tutto l'anno “un vero strumento e sostegno della fede”. Abbiamo delle diverse versioni del Catechismo. Prima di tutto il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 fa. Poi, una sua versione più breve: il Compendio del Catechismo. L’anno scorso invece è uscito il Catechismo "YouCat", indirizzato ai giovani. Tutte le versioni del Catechismo hanno avuto una grande diffusione, sono state tradotte in molte lingue e vendute in milioni di copie. Nonostante tutto ciò è vera l’opinione che il grande Catechismo e le sue versioni abbiano penetrato solo una minima parte della comunità della Chiesa. E sebbene il Catechismo sia “uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II”, è anche vero che esso è una delle opere meno comprese e apprezzate. L’Anno della fede è un'occasione per cercare di cambiare questa situazione. Nella prefazione di Benedetto XVI al Catechismo "YouCat" troviamo una fervente chiamata: “Vi invito – scrive il Papa – studiate il catechismo con passione e perseveranza! Sacrificate il vostro tempo per esso! Studiatelo nel silenzio della vostra camera, leggetelo in due, se siete amici, formate gruppi e reti di studio, scambiatevi idee su Internet. Rimanete ad ogni modo in dialogo sulla vostra fede!”. Questo ciclo di riflessioni sul Catechismo che inizia oggi vuole essere una spinta per rispondere a quell'invito del Papa Benedetto. Ci soffermeremo su diversi capitoli della parte prima del Catechismo, intitolata "La professione della fede" per rimanere, come ha chiesto il Papa in dialogo sulla nostra fede. Prendiamo quindi in mano il Catechismo!

Radio Vaticana

Il vescovo di Cassano allo Ionio ringrazia il Papa per l'attenzione e l'affetto espressi alle popolazioni colpite dal terremoto del 26 ottobre: ci aiuta ad attraversare con minore apprensione questo momento

Il vescovo di Cassano allo Ionio, mons. Nunzio Galantino, ha scritto a Papa Benedetto XVI e al card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale italiana, per ringraziarli "dell’attenzione e dell’affetto espressi alle popolazioni colpite dal terremoto del 26 ottobre". "La Sua preghiera, Beatissimo Padre, e la preghiera alla quale Lei ha invitato domenica scorsa, durante l’Angelus, la comunità dei credenti ci aiuta ad attraversare – afferma il vescovo – con minore apprensione questo momento e a viverlo radicati nella fede e sostenuti dalla carità di tutti. Le popolazioni dei centri toccati dal sisma stanno reagendo con grande dignità e stanno evidenziando grande e solidale attenzione nei confronti dei più bisognosi. Questo ha permesso – conclude mons. Galantino – di evitare i problemi legati ai grandi numeri di sfollati da assistere in emergenza". "In questi giorni di particolare difficoltà per la nostra Chiesa diocesana – scrive mons. Galatino al card. Bagnasco – ho potuto sperimentare l’affetto collegiale di tanti Confratelli e l’attenzione solidale della Chiesa italiana. Sentirci accompagnati dall’affetto e dalla preghiera ci aiuta ad attraversare con minore apprensione questo momento e a viverlo radicati nella fede e sostenuti dalla carità di tutti".

Meteo Web

Il Papa in Benin. Presentati due volumi a quasi un anno dal viaggio. Card. Sarah: dovremmo ripartire dall’Africa, 'polmone spirituale dell’umanità', dai suoi valori più profondi, le relazioni umane, la famiglia e il senso di Dio

“Il Benin e la Santa Sede” e “Il Papa Benedetto XVI in Benin” sono i due volumi presentati ieri a Roma presso la Pontificia Università Lateranense, entrambi pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana, e curati dall’ambasciata del Benin presso la Santa Sede. A ricordarlo, durante l'incontro di ieri, oltre all'ambasciatore presso la Santa Sede Théodore C. Loko, due porporati che ebbero il privilegio di seguire da vicino il pellegrinaggio: i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e Robert Sarah, presidente del Pontifico Consiglio Cor Unum. Il card. Bertello ha iniziato la sua analisi a partire dalle motivazioni che hanno ispirato il viaggio. "Il Pontefice - ha ricordato - è andato in Benin a firmare e, potremmo dire, a lanciare il messaggio contenuto nell'Esortazione post-sinodale 'Africae munus', nella quale egli ha raccolto i frutti dell'assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi del 2009". Un documento, ha aggiunto, nel quale "è riassunto tutto ciò che l'Africa è stata e ha fatto, tutto il suo presente, ma soprattutto sono indicate le linee da seguire per il cammino futuro". Pregio del libro presentato alla Lateranense "è proprio la raccolta dei discorsi pronunciati dal Papa in quelle intense giornate - ha sottolineato il card. Bertello - i quali contengono le indicazioni da seguire per il futuro". "Sono rimasto impressionato - ha aggiunto - dal discorso che Benedetto XVI pronunciò nella cattedrale di Ouidah per la firma dell'esortazione. Egli insistette molto sul concetto di missionarietà. Rivolto alla Chiesa in Africa la esortò a sentirsi aperta e ormai pronta per annunciare il Vangelo agli altri popoli. In quel momento mi tornò in mente l'esperienza vissuta proprio in Benin negli anni Ottanta, quando dalle Chiese locali nel sud del Paese partivano giovani sacerdoti per andare a portare il Vangelo nelle zone più povere del nord. Già allora si viveva questo spirito di missionarietà". Quanto alla scelta del Benin come «"orta d'ingresso del messaggio post-sinodale", il porporato ha ricordato che il Papa stesso l'ha spiegata ai giornalisti a bordo dell'aereo durante il viaggio verso Cotonou. "Il Benin, disse il Pontefice, è un Paese in cui si vive in un clima di pace, nel quale la transizione verso la democrazia è avvenuta in modo assolutamente pacifico»" senza alcun spargimento di sangue. "E io - ha aggiunto il cardinale - ne sono stato testimone. È inoltre un Paese nel quale il dialogo tra le religioni è una realtà concreta che coinvolge anche le religioni tradizionaliste". Infine un ricordo personale, legato al rapporto di amicizia tra il card. Bertello e il professore della Lateranense Albert Tévoédjrè, presente all'incontro. "Un amico speciale - lo ha definito il porporato - autore di un libro fantastico intitolato Le certezze della mia speranza. Lo conobbi a Ginevra, durante una riunione dell'organismo del lavoro. Era mediatore della Repubblica del Benin. Mi ha aiutato a penetrare a fondo l'anima del popolo beninese" ed è stato uno dei protagonisti della diffusione nel Paese della dottrina sociale della Chiesa. Il card. Sarah ha ricordato che, per parlare di quanto sta accadendo in Africa, occorra "un discernimento comunitario” nel quale non si escludano “gli occhi degli uomini”, in particolare dei poveri, e “gli occhi di Dio”. Riferendosi alla crisi mondiale, crisi economica ma anche “spirituale, etica ed antropologica”, il card. Sarah ha evidenziato che l’Africa, da sempre ai margini dei circuiti economici-finanziari, ha subito fenomeni indiretti della crisi come l’accaparramento delle risorse e lo sfruttamento delle risorse naturali a vantaggio delle multinazionali con la completa esclusione dei locali. Non mancano però elementi di conforto – ha aggiunto – come tassi di crescita buoni e alcune guerre risolte, come pure l’immigrazione dall’Europa, dal Portogallo in particolare, al grande continente africano. Permangono però delle conflittualità, delle pandemie e il fenomeno delle migrazioni di massa. La Chiesa locale – ha proseguito il card. Sarah – continua ad avere uno sviluppo notevole nonostante i casi di Nigeria e Kenia dove “non mancano i martiri”. “Tocca ai governi - ha aggiunto il presidente di Cor Unum – garantire non solo l’esercizio della libertà religiosa ma anche la libertà di coscienza che sono i diritti fondamentali della persona”. Necessario ribadire che “non esistono modelli di sviluppo unici” e quindi “non si deve cadere nella tentazione di assumere come positivi modelli di vita, di comportamento e di consumo stranieri”, cose che rischiano di imporsi come ideologie: “dal consumismo alla teoria del gender”. “Occorre – ha detto il cardinale Sarah – uno sviluppo che passi attraverso l’istruzione, l’educazione, la dignità del lavoro, la tutela della salute, il rispetto dell’ambiente”. Infine, sulla nuova evangelizzazione, tema al centro del Sinodo appena concluso, il porporato ha soggiunto che è un “tema cruciale per tenere viva l’esperienza della fede in Africa e perché il Vangelo può forgiare la nostra cultura arricchendola”. Sottolineando il grande contributo portato dal Concilio Vaticano II, ha ribadito quali sono le nuove sfide della Chiesa in Africa: sentirsi parte della Chiesa universale; la pastorale della carità e la conversione che significa anche riconciliazione di fronte alle guerre in corso. “Dovremmo ripartire dall’Africa – ha concluso il card. Sarah – ‘polmone spirituale dell’umanità’, dai suoi valori più profondi: le relazioni umane, la famiglia e il senso di Dio”.

Radio Vaticana, L'Osservatore Romano

La missione vaticana in Siria, la vicenda giudiziaria di Gabriele, i lefebvriani, il Concistoro e le ultime nomine di Curia: nello stesso lasso di tempo un percorso a tornanti, uno 'zig zag' in cui ogni passo correggeva, sconfessava, ribaltava quello precedente

Il caso più eclatante è stato quello della missione in Siria. “Benedetto XVI manda una delegazione di pace, parte presto, prestissimo, anzi no, chissà quando parte, forse non parte”, è stata, schematizzando un po’ brutalmente, la serie di annunci delle ultime due settimane in Vaticano. Ma anche la vicenda giudiziaria del maggiordomo del Papa, l’'affaire' lefebvriano, l’annuncio a sorpresa del “piccolo Concistoro” di novembre, nonché le ultime nomine di Curia hanno seguito, nello stesso lasso di tempo, un percorso a tornanti, uno stile rapsodico, per non dire uno zig zag in cui ogni passo correggeva, sconfessava, ribaltava quello precedente. La Siria, innanzitutto. Il 16 ottobre il card. Tarcisio Bertone interviene al Sinodo sulla “nuova evangelizzazione” per annunciare che “il Santo Padre ha disposto che una delegazione si rechi nei prossimi giorni a Damasco” con lo scopo di esprimere “fraterna solidarietà a tutta la popolazione, con una offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che della Santa Sede”, “vicinanza spirituale ai fratelli e sorelle cristiani” e “incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario”. L’annuncio, imprevisto, aveva dell’eclatante. Organizzare una spedizione in Siria di questi tempi non è scontato, sia per motivi di sicurezza che diplomatici, tanto meno lo è in quattro e quattr’otto. Ma tant’è, la Santa Sede annuncia l’invio, nel giro di una settimana, di un gruppo di cardinali rappresentanti di tutti i continenti. Passano pochi giorni, a Beirut, nel quartiere di Achrafieh, un’esplosione uccide il capo dell'intelligence libanese, il generale Wissam al-Hassan, e altre sette persone, bombe esplodono anche nel quartiere cristiano di Damasco, e, il 22 ottobre, il portavoce vaticano Federico Lombardi tira il freno a mano: “La annunciata missione in Siria di rappresentanti della Santa Sede e del Sinodo dei vescovi continua ad essere allo studio e in preparazione, al fine di attuarla quanto prima possibile, per rispondere efficacemente alle finalità proposte di solidarietà, pace e riconciliazione, nonostante i gravissimi fatti avvenuti recentemente nella regione”. Il giorno dopo lo stesso Bertone prende di nuovo la parola all’Assemblea sinodale per annunciare che “la visita verrà posticipata, probabilmente oltre la conclusione del Sinodo”. Qualche giorno dopo conclude: "Speriamo di farla, di non rinunciare". Poi più nulla. Cosa è successo? Le bombe, certo, ma non era chiaro sin dall’inizio che, in Siria e nei dintorni, il frangente non è tranquillo? E quanto ha pesato invece, sulla breve storia della missione sinodale, la divergenza, per non dire la spaccatura, tra la linea delle comunità cristiane locali, attente a non contestare un Assad che nel corso degli anni ha garantito loro una certa sicurezza, e la diplomazia vaticana, propensa ad incoraggiare un cambio di regime e, più in generale, a non demonizzare la “primavera araba”? Una linea, quest’ultima, dispiegata dal Papa nel recente viaggio in Libano e nell'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Medio Oriente" che proprio a Beirut ha consegnato ai patriarchi e agli arcivescovi di tutto il Medio Oriente. Una linea contestata, però, dal più alto esponente della gerarchia cattolica siriana, il patriarca melchita Gregorios III Laham. Secondo il quale la Siria è, tuttora, il paese “più libero” del mondo arabo, mentre i ribelli sono “stranieri, controllati dagli stranieri e armati dagli stranieri”. A Roma per il Sinodo, Laham è stato tra i patriarchi mediorientali che si sono intrattenuti con il Papa il giorno prima dell’annuncio della missione in Siria. E’ stato lui a (mal) consigliare il Pontefice? Puntava a promuovere un viaggio che risultasse un 'endorsement' del regime di Assad da parte della Santa Sede? E il card. Timothy Dolan, che avrebbe dovuto far parte della delegazione sinodale, e che ha lasciato l'assemblea romana per 24 ore per cenare con Obama e Romney alla tradizionale cena di beneficienza della Alfred E. Smith foundation a New York, la sera del 18 ottobre, ha svolto un ruolo nel bloccare la missione? Alla cena di gala caduta tra l’annuncio della partenza e l’annuncio del suo rinvio si è consultato con il presidente degli Stati Uniti sul tema? Domande che serpeggiano senza trovare risposte ufficiali. E che, comunque, aiutano solo parzialmente a spiegare perché, sulla missione in Siria, il Vaticano è andato a zig zag. Così come a zig zag la Santa Sede si è mossa su altri dossier importanti delle ultime settimane. Non tanto un problema di comunicazione, quanto di scelte prese ai vertici che hanno contraddetto quanto gli stessi vertici avevano deciso in precedenza. Il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, è stato incarcerato lo scorso 25 ottobre in una cella della caserma della Gendarmeria vaticana. Le motivazioni della sentenza, prima, e una dura nota della Segreteria di Stato, poi, hanno ribaltato la prospettiva assodata sino a quel momento. Sembrava scontato che il Papa gli avrebbe concesso la grazia prima della detenzione. Lo facevano pensare gli insistenti rumors che si inseguivano da settimane nelle sacre stanze. Lo faceva pensare il fatto che l’ex assistente di camera aveva chiesto il perdono papale già in estate. Lo confermava la sentenza, che riconosceva a Gabriele una certa, pur delirante, buona fede. Lo suggeriva, in splendido stile vaticano, che non afferma né smentisce ma prepara la strada di una decisione con messaggi criptati ma neanche troppo, un articolo apparso su L’Osservatore Romano un articolo apparso pochi giorni dopo l’arresto, il 31 maggio, che, a firma dello psicologo Camillo Regalia, discettava sulla “importanza del perdono famigliare”, e quale ambiente più famigliare della famiglia pontificia? La grazia, insomma, sembrava a portata di mano. Tanto che la legale del maggiordomo, Cristiana Arru, non ha presentato ricorso alla sentenza di primo grado per un giudizio d’appello. E invece, niet. Niente grazia, quanto meno non subito. Non solo: Paolo Gabriele è stato rinchiuso non, come era stato affermato, anche ufficialmente, sino a quel momento, in un penitenziario italiano, ma nelle redivive carceri vaticane. Le spiegazioni si sprecano: il card. Bertone sarebbe stato infastidito dal fatto che i giornali di tutto il mondo hanno dipinto l’iter giudiziario come un “processo farsa”; Paolo Gabriele non ha ancora fornito sufficienti garanzie di non voler ripetere l’errore (la grazia, sottolinea la Segreteria di Stato, “presuppone ragionevolmente il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi”); in un carcere italiano, poi, l’ex maggiordomo sarebbe finito sotto la supervisione di uno Stato sì amico, ma pur sempre straniero, eventualità troppo rischiosa per un uomo che conosce troppi segreti di Stato del Vaticano. Tutte spiegazioni plausibili che, però, non spiegano perché, sino a pochi giorni prima dell’arresto, la linea era un’altra. E poi, ancora, le più recenti nomine di Curia. Due uomini-cardine del “sistema Ratzinger” sono stati allontanati senza spiegazioni ufficiali. Promossi come vescovi in due diocesi dei loro paesi d’origine, sì, ma non ancora sostituiti, quasi che ci fosse più fretta di sconfessare la loro linea che non di procedere ad un fisiologico ricambio dei quadri dirigenziali. Mons. Charles J. Scicluna, coraggioso prelato anti-pedofilia, è stato nominato vescovo ausiliare di Malta, e Joseph W. Tobin, uomo-chiave del dialogo che il Vaticano ha ricucito lo strappo con le suore statunitensi dopo annose polemiche innescate da una visitazione percepita oltreatlantico come punitiva, torna a casa a guida della diocesi di Indianapolis. Ancora, il mini-Concistoro annunciato da Benedetto XVI durante il Sinodo. Il 24 novembre verranno creati sei nuovi cardinali. Al Concistoro di febbraio la Santa Sede, e in particolare il cardinale segretario di Stato vaticano Bertone, erano stati accusati di voler monopolizzare il prossimo conclave con un’infornata di nuove porpore italiane e curiali. “Vince il partito romano”, si disse. E ora il Papa ha spiegato di aver voluto, “con questo piccolo Concistoro”, “completare il Concistoro di febbraio”, “mostrando che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, parla in tutte le lingue”, non è "Chiesa di un Continente, ma Chiesa universale”. E infine, i lefebvriani. Dall’arrivo di mons. Gerhard Ludwig Mueller alla testa della Congregazione per la Dottrina della fede, questa estate, i negoziati per il rientro dei tradizionalisti nella Chiesa cattolica e la sutura di uno scisma aperto negli anni Ottanta venivano dati per morti. Mueller lo ha fatto capire più che esplicitamente in numerose interviste, da ultimo a inizio ottobre. Poi, una nota della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" del 27 ottobre ha riaperto, improvvisamente, i giochi. Perché, vi si legge, per “la realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro – una potente manifestazione del 'munus Petrinum' all’opera – sono necessarie pazienza, serenità, perseveranza e fiducia”. Virtù esaurite nel passato prossimo, riemerse negli ultimi giorni. Cambio di linea. Nuovo tornante. Zag e non zig.

Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta

Intenzione di preghiera del Papa per novembre: i vescovi, i sacerdoti e tutti i ministri del Vangelo diano coraggiosa testimonianza di fedeltà al Signore crocifisso e risorto

Il Santo Padre Benedetto XVI propone ogni mese due intenzioni di preghiera: una generale ed una missionaria. Quelle affidate all’Apostolato della Preghiera per il mese di novembre 2012, che sta per iniziare, sono le seguenti. “Perché i vescovi, i sacerdoti e tutti i ministri del Vangelo diano coraggiosa testimonianza di fedeltà al Signore crocifisso e risorto”, dice l'intenzione generale. “Perché la Chiesa pellegrina sulla terra risplenda come luce delle nazioni”, afferma invece quella missionaria.

Zenit

Sinodo dei vescovi 2012. Vian: Benedetto XVI ha sintetizzato con efficacia il senso dell’Assemblea appena conclusa, sottolineando l’ininterrotto cammino della Chiesa nella contemporaneità

“Paesi di missione” è il titolo dell’editoriale di Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, nel numero in edicola ieri sera. Il direttore dedica un commento ai lavori del Sinodo dei vescovi concluso domenica in Vaticano. Vian richiama il volume “La France, pays de mission?”, uscito il 12 settembre 1943 a Lione, ad opera di Henri Godin e Yvan Daniel, due cappellani della Jeunesse ouvrière catholique a cui l’arcivescovo di Parigi, il card. Emmanuel Suhard, aveva commissionato un rapporto sulla situazione religiosa degli ambienti operai parigini. “Proprio a quell’analisi, lucida e appassionata, si è richiamato Benedetto XVI - scrive Vian nell’editoriale -, sintetizzando con efficacia il senso dell’Assemblea sinodale appena conclusa e sottolineando l’ininterrotto cammino della Chiesa nella contemporaneità”. “L’Assemblea sinodale - nota Vian - ha così riflettuto e discusso la necessità di un annuncio del Vangelo che ha bisogno di metodi nuovi e di ‘nuovi linguaggi, appropriati alle differenti culture del mondo’ e ‘creatività pastorale’ ha sintetizzato Benedetto XVI. Che alla fine ha pregato con le parole di Clemente di Alessandria, rivolte a quella luce che ha brillato una volta per tutte, ‘più pura del sole, più dolce della vita di quaggiù’”.

SIR

Paesi di missione

Venti giornalisti iracheni in visita alla Sala Stampa della Santa Sede: la stampa del Paese si sta evolevendo, diventando sempre più libera, meno governativa e più coraggiosa

Venti giornalisti iracheni, in rappresentanza di 16 testate, tra agenzie, tv e carta stampata, sono in questi giorni a Roma per un corso di formazione promosso dal Ministero degli affari esteri italiano e organizzato dal Gruppo Adnkronos. I giornalisti coinvolti, 3 donne e 17 uomini selezionati dall'Ambasciata italiana a Baghdad, attraverso visite e lezioni, hanno l'opportunità di confrontarsi con il mondo dei mass-media e delle istituzioni italiane. L'iniziativa si basa sulla consapevolezza del contributo che l'informazione libera può portare alla riconciliazione e alla ricostruzione del tessuto sociale in un Paese ancora insanguinato dalla violenza a quasi dieci anni dalla caduta di Saddam. Presso la Sala Stampa della Santa Sede (foto) i giornalisti iracheni hanno incontrato il direttore, padre Federico Lombardi, che ha illustrato loro il funzionamento della macchina informativa vaticana. "La stampa irachena si sta evolevendo, diventando sempre più libera, meno governativa e più coraggiosa" ci spiega in un'intervista Muamal Majeed Hameed, giornalista della tv satellitare irachena. "La visita alla Sala Stampa vaticana - aggiunge - è stata un'esperienza unica. Vedere come il Vaticano cura la comunicazione anche con i paesi non-cattolici è stato molto interessante". "Il ruolo della stampa in questo momento della vita politica dell'Iraq è fondamentale. Dal 2003 i giornalisti del nostro Paese hanno preso coscienza che non si può sempre restare imparziali, ma a volte bisogna prendere posizione. Fotografare la realtà, raccontarla alle persone per permettere loro di formarsi una coscienza critica è molto difficile, ma sappiamo che è l'unica strada per ridare la pace a un Paese che ha sofferto molto in questi ultimi anni".

Radio Vaticana

Anno della fede. Vescovi del Giappone: la nostra Chiesa ha davanti a sé molte sfide che si possono risolvere tornando alla vita nella fede e al sangue dei martiri, fondamento della nostra esistenza

L'Anno della fede in Giappone "è una sfida per tutte le Chiese, ma in modo particolare per quella giapponese. Che ha davanti a sé molte sfide che si possono risolvere tornando alla vita nella fede e al sangue dei martiri, fondamento della nostra esistenza". È il senso del messaggio inviato dai vescovi giapponesi a tutte le chiese del Paese in occasione delle celebrazioni relative all'Anno proclamato da Benedetto XVI. "Fra gli scopi dell'Anno della fede - si legge nel testo, intitolato 'Le sfide per la Chiesa giapponese' - c'è anche la preparazione per il futuro sviluppo della Chiesa e il rinnovamento della nostra fede, basandosi sulla comprensione del catechismo cattolico. Nel corso di quest'Anno, noi vescovi vorremmo confermare anche il progresso dell'evangelizzazione negli ultimi 50 anni e promuovere il rinnovamento della fede". "In questo 2012 - continua il testo - la nostra Chiesa commemora il 150° anniversario della canonizzazione dei 26 Martiri giapponesi e la ripresa delle attività missionarie. Noi non dobbiamo mai dimenticare che abbiamo lo stesso sangue e la stessa fede di coloro che, 415 anni fa, diedero la vita per la Chiesa in Giappone: come ha sottolineato il Beato Giovanni Paolo II durante la sua visita qui nel 1981, la fondazione della Chiesa nipponica è nel sangue stesso dei martiri". Con queste premesse, scrivono ancora i presuli, "dobbiamo riflettere sulla straordinaria storia di salvezza che Dio ha preparato per il nostro Paese. Allo stesso tempo, rinnoviamo e confermiamo la nostra fede in linea con Benedetto XVI. Per ottenere questi scopi, e promuovere una nuova evangelizzazione, è importante continuare nei nostri sforzi evangelici: leggiamo la Bibbia, preghiamo e condividiamo la nostra fede". "Il Giappone - conclude il testo - ha davanti a sé molte sfide: i postumi delle grandi tragedie ambientali, la stagnazione economica, il calo delle nascite, i suicidi. Questo nasce in parte anche per un modo di pensare sbagliato, basato sul materialismo e sul vivere solo per il presente. Ascoltando la voce di chi soffre, come cattolici dobbiamo fare il possibile per trovare nuove misure ed espressioni di evangelizzazione per chi vive all'interno e all'esterno della Chiesa".

AsiaNews

Il pensiero di Benedetto XVI per la questione dell'Ilva di Taranto espresso al vescovo Filippo Santoro: spero per la città, prego per tutti voi e vi benedico

“Spero per Taranto, prego per tutti voi e vi benedico”. Così Benedetto XVI si è rivolto all’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, nell’ultima Congregazione generale del Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, dopo aver chiesto al presule come si stesse cercando di far fronte alla vicenda. Ne dà notizia la diocesi tarantina, sottolineando come “il pensiero del Santo Padre” sia “ancora a Taranto, alla difficile situazione che la città si trova a vivere, divisa tra diritto alla salute, e quindi alla vita, e diritto al lavoro”. “Appena l’ho salutato, mi ha chiesto immediatamente – riferisce il vescovo a proposito dell’incontro con il Pontefice – come andasse la questione Ilva. ‘Il momento è delicato, ma si possono aprire prospettive positive’, ho risposto, ‘per questo Santità le chiedo di benedirci’”. E Papa Benedetto ha replicato con la sua benedizione. “Il Papa – ricorda la diocesi – ha dimostrato, fin dall’inizio della vicenda Ilva, solidarietà ai lavoratori e a coloro che vivono il dramma della malattia legata all’inquinamento prodotto dall’industria. Lo ha fatto nell’Angelus del 29 luglio da Castel Gandolfo, torna a farlo questa volta, rivolgendosi al suo vicario sul territorio ionico”.

SIR