venerdì 2 dicembre 2011

Il Papa: speriamo che anche in futuro la forza della fede, la sua visibilità rimanga ed aiuti ad andare avanti, come l’Avvento vuole, verso il Signore

La televisione bavarese Bayerischer Rundfunk ha offerto al Papa un’iniziativa artistica natalizia dal titolo “Oratorio natalizio delle Alpi”, che ha avuto luogo questo pomeriggio nella Sala Clementina. In apertura della manifestazione, il compositore Hans Berger e il suo gruppo musicale hanno rivolto un saluto in musica a Benedetto XVI con la canzone “Gott grüsse Dich” e la prima parte “Avvento” dell’Oratorio natalizio delle Alpi “Frohlocket, singt und musiziert” (Rallegratevi, cantate e suonate), E' stato quindi proiettato il filmato dal titolo “Dal cielo in terra – Avvento e Natale nelle Prealpi” di Sigrid Esslinger sull’atmosfera umana e spirituale del tempo d’Avvento in Baviera, la patria del Santo Padre, e sulla preparazione tradizionale del Natale nelle cittadine, chiese, parrocchie e famiglie del Land. Sono seguiti la seconda parte “Natale” dell’Oratorio citato e gli indirizzi finali di saluto. Il Pontefice ha ringraziato di cuore per l’iniziativa: “Avete portato un po’ di usanze e il senso della vita tipicamente bavaresi nella casa del Papa". Dopo aver fatto gli auguri al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone per i suoi 77 anni, Benedetto XVI ha ricordato che in Baviera l’Avvento è chiamato “tempo silenzioso”. “La terra – ha affermato - è coperta dalla neve”, i contadini non possono lavorare nei campi, “tutti sono necessariamente a casa. Il silenzio della casa diventa, per la fede, attesa del Signore, gioia della sua presenza. E così sono nate tutte queste melodie, tutte queste tradizioni che rendono un po’ il cielo presente sulla terra”. “Tempo di silenzio”, ha rilevato, mentre “oggi l’Avvento è spesso proprio il contrario. Tempo di una sfrenata attività: si compra, si vende, ci sono i preparativi del Natale, dei grandi pranzi”. Ma “le tradizioni popolari della fede non sono sparite – ha osservato - anzi, sono state rinnovate, approfondite, aggiornate. E così si creano isole per l’anima, isole del silenzio e della fede, isole per il Signore nel nostro tempo, e questo – ha detto - mi sembra molto importante”. Il Papa ha ringraziato tutti coloro che nelle famiglie e nelle chiese rendono “presente la realtà della fede nelle nostre case, nel nostro tempo”. “Speriamo – ha concluso - che anche in futuro questa forza della fede, la sua visibilità rimanga ed aiuti ad andare avanti, come l’Avvento vuole, verso il Signore”.

Radio Vaticana

"ORATORIO NATALIZIO DELLE ALPI" E PROIEZIONE DEL FILM "DAL CIELO IN TERRA - AVVENTO E NATALE NELLE PREALPI BAVARESI", OFFERTI AL PAPA DALLA BAYERISCHER RUNDFUNK - il testo integrale del saluto del Papa

Piccoli scismi crescono. Il vento di ribellione contro Roma arriva a scuotere la Chiesa del Belgio. 200 preti firmano un appello per le solite riforme

Dopo l’Austria del primate Christoph Schönborn, il Belgio dell’arcivescovo di Malines-Bruxelles André-Joseph Léonard (nella foto con Benedetto XVI), due uomini di Chiesa di forte sensibilità ratzingeriana. Non c’è pace per le Chiese Cattoliche del nord e centro Europa. Il vento della ribellione di clero e fedeli contro Roma e il papato soffia senza sosta e arriva a scuotere il Paese la cui Chiesa fino a pochi mesi fa era in mano al card. Godfried Danneels, prestigioso primate del Belgio divenuto in poco tempo “il grande orco” che i media vogliono abbia lavorato per offrire copertura ai preti pedofili. Come in Austria, anche in Belgio sono più di duecento i preti ribelli che, supportati da migliaia di fedeli laici, chiedono con tanto di documento scritto l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione, l’ordinazione di donne e uomini sposati e prediche affidate ai laici. Tra i firmatari dell’appello belga ci sono persone di spicco del cattolicesimo del paese: Roger Dillemans, rettore onorifico della Università cattolica di Lovanio, Paul Breyne, dal 1997 governatore in carica della provincia delle Fiandre occidentali con 1,2 milioni di abitanti, Trees Dehaene e Agnes Pas, ex presidente del Consiglio pastorale interdiocesano e infine eminenti sacerdoti come John Dekimpe, Ignace Dewitte e Staf Nimmegeers. La richiesta, nata dal basso, vuole contare su “ampio sostegno in tutte le nostre diocesi”. Perché, dicono i promotori dell’iniziativa, “siamo convinti che, se come credenti prendiamo la parola, i vescovi ascolteranno e saranno pronti a portare avanti il dialogo su queste riforme urgentemente necessarie”. L’appello arriva in un momento in cui le gerarchie della Chiesa belga sono particolarmente sotto pressione. Dopo lo sventramento avvenuto nel 2010 da parte della polizia belga della tomba del prestigioso card. Léon-Joseph Suenens alla ricerca di carte segrete, un clamoroso sfondamento della cultura secolarista all’interno della cattolicità, le sortite sono continuate costanti fino all’ultima, lo scorso settembre: una settantina di vittime di preti pedofili aveva denunciato pubblicamente al tribunale di Gand la Conferenza Episcopale belga e il Vaticano per non aver fatto nulla per prevenire i presunti crimini avvenuti nella diocesi di Bruges. E’ anche in forza di queste accuse che parte del clero e dei fedeli chiede riforme: il celibato sacerdotale, in particolare, è visto come la molla scatenante degli abusi. Il Vaticano chiede a Léonard fermezza ma non è facile. Due mesi fa fu il New York Times a riportare la notizia secondo la quale a Buizingen, a sud ovest di Bruxelles, era nato un movimento alternativo alla Chiesa ufficiale dove a dire Messa non ci sono più i preti ma i laici. Nella chiesa di don Bosco, infatti, deceduto il parroco, non si è trovato alcun giovane sacerdote in grado di sostituirlo. E così i fedeli hanno dato vita a un nuovo movimento cattolico, in cui a celebrare le funzioni sono i laici.

Paolo Rodari, Il Foglio

'Gesù di Nazaret - Secondo volume'. La presentazione all’Università di Parma: la riflessione del Papa rende vivo il Suo volto e attuali le Sue parole

Papa Ratzinger accolto come professore fra i professori, in dialogo franco, sereno, scientifico, propositivo. Un tratto dell’autentico spirito universitario. In questo clima il pomeriggio di ieri, nell’aula magna dell’Università degli studi di Parma, si è svolta la presentazione del volume di Joseph Ratzinger–Benedetto XVI, "Gesù di Nazaret. Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione". Urbino e Messina, Parma e prossimamente Sassari, sono le tappe, e già se ne prevedono altre, del ciclo d’incontri organizzato dalla Libreria Editrice Vaticana e coordinato da Pierluca Azzaro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore al fine di portare "Gesù di Nazaret all’università". Nella sede parmense era presente anche mons. Giuseppe Antonio Scotti, presidente della Fondazione Joseph Ratzinger. A quasi nove mesi dal suo lancio, il libro è un indiscusso fenomeno editoriale che non ha bisogno di presentazioni. Sta maturando inoltre la ricezione interdisciplinare del testo. Un fattore che giustifica la sua "ripresentazione" e il suo ingresso scientifico nelle università statali. Del resto Papa Ratzinger desiderava coronare la sua carriera accademica con questo lavoro, "il punto di massima aspirazione per un docente di teologia", ha osservato il salesiano Giuseppe Costa, direttore della LEV. Il rettore dell’Università di Parma, Gino Ferretti, ha aperto la presentazione sottolineando come nel fatto religioso si ritrovi un autentico tema universitario, che va affrontato in sedi di approfondimento culturale. La presentazione del volume è confluita poi nella conclusione del congresso sul rapporto fra religione e politica organizzato dal dipartimento di Filosofia. Il rettore ha constatato "la necessità da parte di tutti di un approfondimento dei valori fondanti della società, della convivenza". E in questa attività di riflessione "il tema del valore religioso va ben al di là di un interesse limitato". Quella di Parma è fra le università italiane più attente e sensibili alla reintroduzione nei curricula accademici delle scienze religiose. Il docente di storia delle dottrine politiche, Giorgio Campanini che ha fatto da moderatore all’evento, ha rilevato che "oggi credenti e non credenti possono essere d’accordo sul fatto che una sana e autentica laicità non esclude la dovuta attenzione" a queste scienze. Ragion per cui in aula magna si è parlato di un libro il cui autore è "un ricercatore della verità, come lo deve essere uno scienziato". E in questo caso la ricerca della verità era puntata a comprendere chi è realmente Gesù di Nazaret. Frutto di questa ricerca, di questa indagine, è un testo accessibile "ma allo stesso tempo dotto, senza essere mai eccessivo", secondo la descrizione dell’arcivescovo di Parma, Enrico Solmi, che ha individuato tre livelli di lettura a partire dall’analisi di chi affronta queste pagine e del motivo per il quale lo fa. Un pubblico ampio, interessato all’opera, ma senza una particolare preparazione teologica, può trovare "vertici di spiritualità" ben contestualizzati. Un’altra lettura, più attenta, valorizzerà il lungo itinerario di analisi che ha prodotto la sintesi e coglierà i versanti teologici profondi di questo studio. La terza lettura è nettamente sapienziale, vincolata "a un maestro di teologia che non si preoccupa di dire o di offrire erudizione, ma di dare risposte agli interrogativi sulla figura di Gesù". Un "ideale terzetto di interpretazioni" è stato poi affrontato da altri docenti e ha chiaramente avuto come comune denominatore l’interesse per lo stile ermeneutico utilizzato da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Senza trascurare l’impossibilità di separare i due volumi. Al primo ha fatto riferimento Andrea Poma, ordinario di filosofia morale all’università di Torino, citando l’autore: "Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio. Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni". Elemento che ha portato Poma a sottolineare, accanto al dato sperimentale, la distinzione che esiste fra storia delle religioni e storia della fede. "In un metodo storico si ricerca l’obiettività dei fatti"; l’obiettività è infatti "un criterio fondamentale della storia della religione". Ma se si cerca di "costruire la storia della fede, le fonti soggettive di chi ha fatto l’esperienza di fede non possono essere scartate in assoluto, né possono essere eliminate per costruire il dato obiettivo, anzi sono il dato importante". Ha poi osservato: "Mi sembra che Ratzinger desideri fare qualcosa del genere: ricostruire la realtà, il fatto storico vero e proprio, ma il fatto storico vero e proprio della fede, il motivo per il quale questo Rabbi in particolare ha suscitato in quanti lo hanno ascoltato un’esperienza che li ha portati a una fede nel Redentore, nel Dio fatto uomo". "Di fatto l’annuncio apostolico con il suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo e inaspettato che li toccava dall’esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto". A questa argomentazione di Joseph Ratzinger ha dato voce Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza, presidente della commissione della Conferenza Episcopale italiana per l’Educazione cattolica, la scuola e l’università, coinvolgendo il pubblico composto da docenti qualificati nello stupore vissuto dai discepoli, testimoni della resurrezione che rimanevano "sopraffatti dalla realtà" che sperimentavano. Non di rado il linguaggio, per nulla scarno, nella sua bellezza, sensibilità e semplicità, va in aiuto della comprensione o ricezione dei concetti più alti. Come fa Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, "con parole profonde ed emozionanti", mostrando la sua "partecipazione orante", percorrendo lo stesso cammino di Gesù e plasmando un’opera scritta la cui lettura richiede di "contemplare" e di "ascoltare" per percepire, ad esempio, il "modo sommesso" dell’agire di Dio, o per scoprire come Papa Ratzinger tiene conto, nell’attività esegetica, della ragione storica, superando però i suoi limiti e inserendola in una lettura dei Vangeli più profonda, più vitale. Così, ha sottolineato mons. Ambrosio, "la riflessione proposta dal Papa rende vivo il volto di Gesù e rende attuali le sue parole". "Il libro sviluppa coerentemente il suo progetto di comprensione della figura e del messaggio di Gesù", ha osservato Mario Micheletti, ordinario di filosofia morale all’università di Siena, richiamando l’attenzione sulla considerevole sottigliezza di alcune osservazioni isolate contenute nel libro. E sui loro effetti. Per esempio, nel commento della tragedia di Giuda, si legge: "Un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento. Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza". "Cito questo rilievo circa il vero pentimento - ha concluso Micheletti - che non può coesistere con la disperazione, solo come un esempio del modo in cui la critica al moralismo, nel senso tecnico della sostanziale riduzione della fede biblica alla morale, nell’ottica di questo libro e della sua 'ermeneutica della fede', al di là del contributo esegetico, può aprire la strada a una più penetrante meditazione spirituale ed etica, in definitiva, a una moralità, a una visione morale, più profonda".

Marta Lago, L'Osservatore Romano

Una lettura del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI: Dio entra nella storia in punta di piedi

Il Papa: con la formazione intellettuale, culturale e spirituale, studenti internazionali artefici e protagonisti di un mondo dal volto più umano

Questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre ha ricevuto in udienza i partecipanti al III Congresso Mondiale di Pastorale per gli studenti internazionali, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, sul tema "Studenti internazionali e incontro delle culture", in corso a Roma dal 30 novembre al 3 dicembre.
“L’incontro delle culture – ha sottolineato il Pontefice nel suo discorso - è una realtà fondamentale nella nostra epoca e per il futuro dell’umanità e della Chiesa”. “Oggi più che mai la reciproca apertura tra le culture è terreno privilegiato per il dialogo tra quanti sono impegnati nella ricerca di un autentico umanesimo”. Anche l’incontro delle culture nel campo universitario dev’essere perciò “incoraggiato e sostenuto, avendo come fondamento i principi umani e cristiani, i valori universali, perché aiuti a far crescere una nuova generazione capace di dialogo e discernimento, impegnata a diffondere il rispetto e la collaborazione per la pace e lo sviluppo”. “Gli studenti internazionali – ha affermato - hanno la potenzialità di diventare, con la loro formazione intellettuale, culturale e spirituale, artefici e protagonisti di un mondo dal volto più umano. Auspico vivamente che vi siano validi programmi a livello continentale e mondiale per offrire a molti giovani questa opportunità”. Il Papa ha rimarcato l'importanza di offrire agli studenti internazionali una “sana ed equilibrata preparazione intellettuale, culturale e spirituale, perché non cadano preda della ‘fuga dei cervelli’, ma formino una categoria socialmente e culturalmente rilevante in prospettiva del loro rientro come futuri responsabili nei Paesi di origine, e contribuiscano a costituire dei ‘ponti’ culturali, sociali e spirituali con i Paesi di accoglienza”. Ha esortato perciò le università e le istituzioni cattoliche di educazione superiore “ad essere ‘laboratori di umanità’, offrendo programmi e corsi che stimolino i giovani studenti nella ricerca non solo di una qualificazione professionale, ma anche della risposta alla domanda di felicità, di senso e di pienezza, che abita il cuore dell’uomo”. Il mondo universitario costituisce per la Chiesa “un campo privilegiato per l’evangelizzazione”. “Gli atenei di ispirazione cristiana, quando si mantengono fedeli alla propria identità, diventano luoghi di testimonianza, dove Gesù Cristo può essere incontrato e conosciuto, dove si può sperimentare la sua presenza che riconcilia, rasserena e infonde nuova speranza”. La diffusione di ideologie "deboli" nei diversi campi della società sollecita i cristiani ad "un nuovo slancio nel campo intellettuale, al fine di incoraggiare le giovani generazioni nella ricerca e nella scoperta della verità sull’uomo e su Dio”. La pastorale universitaria, quindi, “si offre ai giovani come sostegno affinché la comunione con Cristo li conduca a percepire il mistero più profondo dell’uomo e della storia”. il Papa ha sottolineato che l’incontro fra universitari aiuta a scoprire e valorizzare "il tesoro nascosto di ogni studente internazionale" per un arricchimento "umano, culturale e spirituale”. “I giovani cristiani, provenendo da culture diverse, ma appartenendo all’unica Chiesa di Cristo, possono mostrare che il Vangelo è Parola di speranza e di salvezza per gli uomini di ogni popolo e cultura, di ogni età e di ogni epoca, come ho voluto ribadire anche nella mia recente Esortazione Apostolica postsinodale 'Africae munus'”. “Cari giovani studenti, vi incoraggio ad approfittare del tempo dei vostri studi per crescere nella conoscenza e nell’amore di Cristo, mentre percorrete il vostro itinerario di formazione intellettuale e culturale. Conservando il vostro patrimonio di sapienza e di fede, nell’esperienza della vostra formazione culturale all’estero, potrete avere una preziosa opportunità di universalità, di fratellanza e anche di comunicazione del Vangelo”.

Radio Vaticana, SIR

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL III CONGRESSO MONDIALE DI PASTORALE PER GLI STUDENTI INTERNAZIONALI - il testo integrale del discorso del Papa

Il Papa: senza la comunione con la Chiesa e l’adesione al Magistero la teologia non riuscirebbe a dare un’adeguata ragione del dono della fede

Dal 28 novembre al 2 dicembre si è tenuta presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano l’annuale Sessione Plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sull’approfondimento dello studio di tre temi: la questione metodologica nella teologia odierna; la comprensione del monoteismo e il significato della Dottrina sociale della Chiesa. A conclusione dei lavori della Plenaria, questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre ha ricevuto i membri della Commissione.
“Ogni teologo” è chiamato “ad essere uomo dell’avvento, testimone della vigile attesa, che illumina le vie dell’intelligenza della Parola che si è fatta carne”. “Possiamo dire – ha aggiunto il Papa mel suo discorso - che la conoscenza del vero Dio tende e si nutre costantemente di quell’‘ora’, che ci è sconosciuta, in cui il Signore tornerà. Tenere desta la vigilanza e vivificare la speranza dell’attesa non sono, pertanto, un compito secondario per un retto pensiero teologico, che trova la sua ragione nella Persona di Colui che ci viene incontro e illumina la nostra conoscenza della salvezza”. “L’inaudito compimento della libera disposizione dell’amore di Dio verso tutti gli uomini – ha affermato il Pontefice - si è realizzato nell’incarnazione del Figlio in Gesù Cristo. In tale Rivelazione dell’intimità di Dio e della profondità del suo legame d’amore con l’uomo, il monoteismo del Dio unico si è illuminato con una luce completamente nuova: la luce trinitaria”. E nel mistero trinitario “s’illumina anche la fratellanza fra gli uomini”. Perciò, “la teologia cristiana, insieme con la vita dei credenti, deve restituire la felice e cristallina evidenza all’impatto sulla nostra comunità della Rivelazione trinitaria". “Benché i conflitti etnici e religiosi nel mondo rendano più difficile accogliere la singolarità del pensare cristiano di Dio e dell’umanesimo che da esso è ispirato – ha osservato il Santo Padre -, gli uomini possono riconoscere nel nome di Gesù Cristo la verità di Dio Padre verso la quale lo Spirito Santo sollecita ogni gemito della creatura". Per Benedetto XVI, “la teologia, in fecondo dialogo con la filosofia, può aiutare i credenti a prendere coscienza e a testimoniare che il monoteismo trinitario ci mostra il vero volto di Dio, e questo monoteismo non è fonte di violenza, ma è forza di pace personale e universale”. "Il punto di partenza di ogni teologia cristiana – ha chiarito il Papa - è l’accoglienza di questa Rivelazione divina: l’accoglienza personale del Verbo fatto carne, l’ascolto della Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Su tale base di partenza, la teologia aiuta l’intelligenza credente della fede e la sua trasmissione”. La Commissione, ha detto il Papa, ''ha studiato i principi e i criteri secondo i quali una teologia può essere cattolica, e ha anche riflettuto sul contributo attuale della teologia. E' importante ricordare che la teologia cattolica, sempre attenta al legame tra fede e ragione, ha avuto un ruolo storico nella nascita dell'Università'' ed “oggi più che mai” è “necessaria” per “rendere possibile una sinfonia delle scienze e per evitare le derive violente di una religiosità che si oppone alla ragione e di una ragione che si oppone alla religione”. Il Papa ha infine rivolto il pensiero alla Dottrina sociale della Chiesa, altro tema della plenaria. L’impegno sociale della Chiesa, ha constatato, “non è solo qualcosa di umano, né si risolve in una teoria sociale”. La trasformazione della società operata dai cristiani, nel corso dei secoli, è infatti una “risposta” alla venuta del Signore nel mondo: “lo splendore di tale Verità e Carità illumina ogni cultura e società”. "I discepoli di Cristo Redentore sanno che senza l’attenzione all’altro, il perdono, l’amore anche dei nemici, nessuna comunità umana può vivere in pace; e questo incomincia nella prima e fondamentale società che è la famiglia. Nella necessaria collaborazione a favore del bene comune anche con chi non condivide la nostra fede, dobbiamo rendere presenti i veri e profondi motivi religiosi del nostro impegno sociale, così come aspettiamo dagli altri che ci manifestino le loro motivazioni, affinché la collaborazione si faccia nella chiarezza”. “Chi avrà percepito i fondamenti dell’agire sociale cristiano – ha concluso il Papa – vi potrà così anche trovare uno stimolo per prendere in considerazione la stessa fede in Gesù Cristo”. L'incontro conferma quanto la Chiesa ha “bisogno della competente e fedele riflessione dei teologi sul mistero del Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Senza una sana e vigorosa riflessione teologica la Chiesa rischierebbe di non esprimere pienamente l’armonia tra fede e ragione. Al contempo, senza il fedele vissuto della comunione con la Chiesa e l’adesione al suo Magistero, quale spazio vitale della propria esistenza, la teologia non riuscirebbe a dare un’adeguata ragione del dono della fede”.

Radio Vaticana

UDIENZA AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE - il testo integrale del discorso del Papa

Cantalamessa: ridestare nei cristiani che intendono dedicarsi all’opera della rievangelizzazione la certezza intima della verità di ciò che annunciano

Questa mattina, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha tenuto la prima predica di Avvento sul tema "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura" (Marco 16, 15). Rispondendo all’appello del Sommo Pontefice per un rinnovato impegno di evangelizzazione, padre Cantalamessa ha spiegato le ragioni che hanno permesso al Cristianesimo di diventare la religione più diffusa al mondo. Il cristianesimo dei primi secoli è cresciuto con la forza delle proprie convinzioni. Il predicatore della Casa Pontificia ha ricordato che “Non c’è nessun “braccio secolare” che lo appoggi; le conversioni non sono determinate da vantaggi esterni, materiali o culturali; essere cristiani non è una consuetudine o una moda, ma una scelta controcorrente, spesso a rischio della vita. Per certi versi, la situazione che è tornata a crearsi oggi in diverse parti del mondo”. Una volta superata la barriera che divideva gli ebrei dai gentili, gli apostoli diffusero il cristianesimo dal bacino mediterraneo e ai confini dell’impero romano. La loro predicazione e la loro testimonianza era così efficace e convincente che verso la fine del III secolo, la fede cristiana era penetrata praticamente in ogni strato della società, aveva una sua letteratura in lingua greca e una, anche se agli inizi, in lingua latina; possedeva una solida organizzazione interna; cominciò a costruire edifici sempre più capienti, segno dell’accresciuto numero di credenti. Le persecuzioni forgiarono i cristiani, e, ha precisato padre Cantalamessa “Costantino non farà, in fondo, che prendere atto del nuovo rapporto di forze. Non sarà lui a imporre il cristianesimo al popolo, ma il popolo a imporre a lui il cristianesimo”. Ma come è stato possibile che un messaggio nato in un oscuro e disprezzato angolo dell’impero, tra persone semplici, senza cultura e senza potere, in meno di tre secoli si estende a tutto il mondo allora conosciuto, soggiogando la raffinatissima cultura dei greci e la potenza imperiale di Roma? Di certo ha avuto effetto l’amore cristiano e l’esercizio attivo della carità, ma secondo Padre Cantalamessa, la spiegazione l’aveva già data Gesù nella parabola evangelica del seme di senape, che “quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra” (Mc 4, 30-32). Secondo il Predicatore Apostolico l’insegnamento che Cristo ci dà con questa parabola è che il suo Vangelo e la sua stessa persona è quanto di più piccolo esista sulla terra perché “non c’è nulla di più piccolo e di più debole di una vita che finisce in una morte di croce”. “Eppure – ha aggiunto - questo piccolo “seme di senape” è destinato a diventare un albero immenso, tanto da accogliere tra i suoi rami tutti gli uccelli che vi si vanno a rifugiare. Questo significa che tutta la creazione, assolutamente tutta andrà a trovarvi rifugio”. Padre Cantalamessa ha sostenuto che “quello che gli storici delle origini cristiane non registrano o a cui danno scarso rilievo è l’incrollabile certezza che i cristiani di allora, almeno i migliori di essi, avevano circa la bontà e la vittoria finale della loro causa”. “Voi potete ucciderci, ma non potete nuocerci”, diceva il martire Giustino al giudice romano che lo condannava a morte. Alla fine fu questa tranquilla certezza che assicurò loro la vittoria e convinse le autorità politiche dell’inutilità degli sforzi per sopprimere la fede cristiana”. "È quello che più ci occorre oggi: - ha affermato il predicatore della Casa Pontificia - ridestare nei cristiani, almeno in coloro che intendono dedicarsi all’opera della rievangelizzazione, la certezza intima della verità di quello che annunciano". “La Chiesa, ha detto una volta Paolo VI, ha bisogno di riacquistare l’ansia, il gusto e la certezza della sua verità”. Venendo quindi ai giorni di oggi e al tema dell’evangelizzazione, padre Cantalamessa ha detto: “Dobbiamo essere i primi a credere in quello che annunciamo; ma a crederci veramente, con tutto il cuore, l’anima e con tutto lo spirito”. E rivolgendosi a Benedetto XVI e definendo “una vera ispirazione dello Spirito Santo” la proclamazione dell’Anno della fede, a partire dall’11 ottobre 2012, il predicatore pontificio ha concluso affermando che il successo della nuova evangelizzazione ci sarà se si seminerà con pazienza, si saprà pazientare nella preghiera e, soprattutto, si eviterà di voler “misurare” subito gli effetti dell’annuncio. “Abbiamo davanti a noi – è vero – un mondo refrattario al Vangelo, un mondo sicuro di sé per la sua tecnica, per la sua scienza; ma era forse meno sicuro di sé, meno refrattario al Vangelo il mondo che incontrarono questi primi cristiani, semplici? Il mondo sofisticato della cultura greca o potentissimo dell’impero romano? No. Il successo della nuova evangelizzazione dipenderà proprio dalla massa di fede che riusciremo a creare nella Chiesa, come un vortice da spingere all’esterno. Dobbiamo scrollarci di dosso ogni senso di impotenza, di rassegnazione”.
La riflessione per l’Avvento torna quest’anno sul tema dell’evangelizzazione, in preparazione al Sinodo dei vescovi 2012 sull’argomento. La predicazione si sofferma in particolare su quattro grandi momenti di accelerazione o ripresa dell’impegno missionario: la seconda parte del secolo III, con la conversione di vasti strati dell’Impero romano ad opera dei vescovi; i secoli VI-IX in cui i monaci operano per la rievangelizzazione dell’Europa dopo le invasioni barbariche; il secolo XVI con la scoperta e la conversione dei popoli del "Nuovo mondo" mediante l’apostolato dei frati; l’epoca attuale che vede la Chiesa impegnata in una rievangelizzazione dell’Occidente secolarizzato attraverso l’impegno dei laici. Le prossime prediche di Avvento si terranno venerdì 9, venerdì 16 e venerdì 23 dicembre.


Antonio Gaspari, Zenit - Radio Vaticana

"Andate in tutto il mondo" - il testo integrale della predica

Il cappuccino Raniero Cantalamessa anticipa i contenuti delle prediche per l’Avvento che iniziano venerdì in Vaticano: laici protagonisti dell’annuncio

Il card. Tarcisio Bertone compie 77 anni. Nel 2010 il Papa l'ha riconfermato Segretario di Stato, l'unico nella Curia a rimanere saldo al suo posto

Oggi il cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone (nella foto con Benedetto XVI), compie 77 anni: è nato a Romano Canavese il 2 dicembre 1934. Nonostante qualche mese fa si fossero infittite le voci di un imminente cambiamento ai vertici della "cabina di regia" della Curia romana, il primo collaboratore di Benedetto XVI rimane in sella. Nel dicembre 2009, con una lettera nella quale riconosceva anche alcuni suoi limiti, Bertone aveva presentato a Papa Ratzinger le dimissioni, come deve fare ogni vescovo della Chiesa Cattolica, sia nelle diocesi sia in Curia romana, al compimento dei 75 anni d’età. Benedetto XVI all'inizio del 2010 le aveva rifiutate, invitando il suo principale collaboratore, per iscritto con un messaggio elogiativo, a rimanere al suo fianco e al suo posto. I collaboratori più stretti del porporato canavese sono convinti che Bertone rimarrà Segretario di Stato per l’intero Pontificato di Benedetto, o almeno fino al compimento degli ottant’anni, vale a dire fino al dicembre 2014. Secondo molti altri osservatori, invece, il cambio in Segreteria di Stato potrebbe avvenire fra un anno. Il predecessore di Bertone, il card. Angelo Sodano, attuale decano del Collegio cardinalizio, vide annunciato il nome del suo successore nel 2006, quando già aveva compiuto 78 anni. Ma bisogna anche ricordare che in quel caso, l’anno precedente, c’era stato il conclave. Se Giovanni Paolo II fosse vissuto qualche mese di più, le dimissioni del settantasettenne Sodano sarebbero state accettate e sarebbe stato nominato il suo successore, con ogni probabilità, il card. Giovanni Battista Re. Subito dopo l’elezione, nel 2005, Benedetto XVI aveva inizialmente confermato Sodano al vertice della Segreteria di Stato, nominandogli un successore l’anno successivo. Il card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Papa Wojtyla dal 1979 al 1990, lasciò invece il suo incarico due settimane dopo aver compiuto 76 anni. Mentre è impossibile fare ulteriori confronti con i precedenti capi della diplomazia vaticana, in quanto il predecessore di Casaroli, Jean Villot, nominato da Paolo VI nel 1969 e confermato da Giovanni Paolo II nel 1978, morì improvvisamente nel marzo 1979 quando aveva 73 anni. Prima di lui c’era Amleto Cicognani, scelto da Giovanni XXIII e confermato da Paolo VI, rimasto Segretario di Stato fino a 86 anni. Il suo caso però non fa testo, essendo stato nominato prima dell’introduzione della regola delle dimissioni. Era stato il Concilio Vaticano II a stabilire la rinuncia a 75 anni, poi sancita anche dai regolamenti della Curia romana. Nel dicembre 1970 Paolo VI vi aggiunse il Motu Proprio "Ingravescentem aetatem" con il quale ribadiva l’invito a presentare le dimissioni a 75 anni, ma stabiliva anche che al compimento degli 80 anni i cardinali cessassero da qualsiasi incarico, compreso l’essere membri dei dicasteri curiali, e perdessero soprattutto il diritto di elettori del Papa rimanendo esclusi da un eventuale conclave. Il Segretario di Stato è un incarico che non ha scadenze, come quelle quinquennali dei dicasteri curiali, in quanto si basa su un rapporto di fiducia con il Pontefice, il quale può decidere in ogni momento di sostituirlo. Negli ultimi anni del regno di Giovanni Paolo II, dopo che Sodano aveva compiuto 75 anni, altri titolari di incarichi cardinalizi, come ad esempio il presidente del Governatorato Edmund Casimir Szoka, fecero presente che avrebbero volentieri lasciato l’incarico se anche il Segretario di Stato, loro coetaneo, lo avesse fatto. Oggi la situazione è diversa e non ci sono capi di dicasteri importanti che hanno raggiunto l’età delle dimissioni, se si esclude il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, William Levada, che dovrebbe lasciare l’incarico nei primi mesi del prossimo anno per ritirarsi negli Stati Uniti. Va ricordato che già prima che Bertone compisse 75 anni, diversi autorevoli cardinali avevano chiesto a Benedetto XVI un cambio in Segreteria di Stato, a motivo dei problemi di governo curiale e di mancanza di coordinamento che si erano verificati. Ma Benedetto XVI ha deciso di non dare ascolto a queste richieste. Ha un rapporto consolidato e di lunga data con il suo "numero due" e non sembra intenzionato, almeno per il momento, a decidere avvicendamenti. Nell’ultimo periodo, Bertone ha visto consolidarsi la sua influenza in Vaticano: ha fatto nominare prelati da lui ben conosciuti e amici in ruoli chiave, soprattutto per quanto riguarda la gestione e il controllo delle finanze d’Oltretevere, l’ultimo dei quali è il nuovo presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, il vescovo di Alessandria Giuseppe Versaldi, che per alcuni mesi ha chiesto e ottenuto di conservare anche la titolarità della diocesi piemontese; e ha fatto allontanare prelati che, invece, gli si erano messi in qualche modo contro, come l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che ha lasciato la segreteria del Governatorato per diventare nunzio degli Stati Uniti, o il vescovo Vincenzo di Mauro, che ha lasciato la segreteria degli Affari economici per andare a fare l’arcivescovo-vescovo di Vigevano. In questi anni, il Segretario di Stato ha avuto un occhio di particolare riguardo per la realtà italiana, favorendo l’ascesa di fidati manager a lui vicini, come Giuseppe Profiti, presidente dell’Ospedale Bambin Gesù nonché del cda del San Raffaele di Milano, che il Vaticano sta cercando di acquistare salvandolo dal fallimento con un consistente intervento finanziario dello Ior. O come Domenico Crupi, vicepresidente e direttore generale della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. O ancora come Marco Simeon, giovane e brillante trait d’union tra il banchiere Cesare Geronzi e il Vaticano, che Bertone ha voluto prima nell’ufficio relazioni esterne della Rai, caldeggiandone personalmente la nomina, e quindi nel 2010 alla direzione di Rai Vaticano. Il card. Bertone, oltre a essere Segretario di Stato, è anche camerlengo di Santa Romana Chiesa, cioè colui che presiede la Sede vacante, nel periodo che va dalla morte del Papa all’elezione del suo successore.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Domani mons. Gänswein presiede la Messa in memoria di Manuela Camagni, una delle 'Memores Domini' di Benedetto XVI, a un anno dalla tragica morte

A un anno dalla tragica morte, una celebrazione in memoria di Manuela Camagni. La Santa Messa, a San Piero in Bagno, sarà celebrata sabato 3 dicembre alle 17.00, presieduta dal segretario del Papa mons. Georg Gänswein, che già in occasione delle esequie era stato a San Piero ed aveva portato il commosso messaggio di Papa Benedetto XVI per la suora laica “Memores Domini” che collaborava alla gestione dell’appartamento pontificio. Alle 16.00 di sabato è prevista la visita al cimitero di San Piero, alla tomba di Manuela. Mons. Gänswein sarà anche accompagnato dalle consorelle delle “Memores Domini” che con Manuela Camagni condividevano l’impegno di supporto ed assistenza per le necessità dell’appartamento papale e della famiglia pontificia.

Corriere Cesenate

'L'Osservatore Romano': un'interpretazione autentica dei testi del Concilio Vaticano II può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa

A poche settimane dal cinquantesimo anniversario della convocazione del Concilio Vaticano II (25 dicembre 1961), L'Osservatore Romano ricorda che "l'intenzione pastorale del Concilio non significa che esso non sia dottrinale" e che, per quanto riguarda gli elementi "non propriamente dottrinali" sui quali possono sorgere "controversie" circa la loro "compatibilità con la tradizione", una "interpretazione autentica" può essere fatta "soltanto" dal "magistero della Chiesa". Il giornale della Santa Sede pubblica un articolo intitolato "Sull'adesione al Concilio Vaticano II" a firma di Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei. "Il Concilio Vaticano II - puntualizza L'Osservatore Romano - non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell'infallibilità non significa che esso possa essere considerato 'fallibile' nel senso che trasmetta una 'dottrina provvisoria' oppure 'autorevoli opinioni'". Il giornale vaticano precisa, però, che "nei documenti magisteriali possono esserci - come di fatto si trovano nel Concilio Vaticano II - anche elementi non propriamente dottrinali, di natura più o meno circostanziale (descrizioni dello stato delle società, suggerimenti, esortazioni, ecc.). Tali elementi vanno accolti con rispetto e gratitudine, ma non richiedono un'adesione intellettuale in senso proprio". Ora, "sebbene di fronte alle novità in materie relative alla fede o alla morale non proposte con atto definitivo sia dovuto l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto, alcune di esse sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione. Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, l'atteggiamento cattolico, tenuto conto dell'unità del magistero, è quello di cercare un'interpretazione unitaria, nella quale i testi del Concilio Vaticano II e i documenti magisteriali precedenti s'illuminino a vicenda". Insomma, "un'interpretazione autentica dei testi conciliari può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa" e, di conseguenza, "rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi". L’articolo sottolinea che la caratteristica "essenziale" del magistero è "la sua continuità e omogeneità" nel tempo, ma questa continuità "non significa assenza di sviluppo", perché "la Chiesa lungo i secoli progredisce nella conoscenza, nell’approfondimento e nel conseguente insegnamento magisteriale della fede e della morale cattolica". Ocáriz spiega che nel Vaticano II "ci sono state diverse novità di ordine dottrinale: sulla sacramentalità dell’episcopato, sulla collegialità episcopale, sulla libertà religiosa, ecc.". E alcune di queste, riconosce l’autore, "sono state e sono ancora oggetto di controversie"; sebbene sia loro "dovuto l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto". Ocáriz a questo proposito precisa che non soltanto il magistero più recente va letto e interpretato alla luce di quello precedente. È anche quello più antico a dover essere letto alla luce di quello più recente. "Non soltanto il Vaticano II – si legge nell’articolo – va interpretato alla luce di precedenti documenti magisteriali, ma anche alcuni di questi vengono meglio capiti alla luce del Vaticano II. Ciò non è niente di nuovo nella storia della Chiesa. Si ricordi, a esempio, che nozioni importanti nella formulazione della fede trinitaria e cristologica adoperate nel Concilio I di Nicea furono molto precisate nel loro significato dai Concili posteriori". Rispetto al magistero, conclude il teologo, "rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi". Libertà di discussione, di approfondimento, anche "se rimanessero aspetti razionalmente non pienamente compresi".

TMNews, Vatican Insider

Sull’adesione al Concilio Vaticano II

La comunità francese 'Le Beatitudini': dalla fondazione sulla scia del 'rinnovamento carismatico' alla nomina di un commissario pontificio

La procedura è eccezionale, segno che la faccenda è grave. Da un anno, la comunità "Les Béatitudes" è sotto tutela, per decisione del Vaticano. Un domenicano, Frate Henry Donneaud, è stato nominato “commissario pontificio”, incaricato di “risanare” e di salvare ciò che resta di questa associazione di fedeli che conta ormai solo 644 membri in tutto il mondo. Fondata nel 1973 da un laico esaltato e carismatico venuto dal protestantesimo, Gérard Croissant, detto Ephraïm, la comunità ha tuttavia beneficiato a lungo delle buone grazie di Roma e dell'istituzione cattolica in Francia. Nata nell'euforia del “rinnovamento carismatico”, che favorì lo sviluppo di molte comunità nuove negli anni 70, "Les Béatitudes" confortava una Chiesa già in preda alla crisi delle vocazioni e all'evaporazione dei fedeli. Con la loro vita comunitaria che mescolava, in una vaga ideologia “hippy-cattolica”, religiosi, religiose, celibi consacrati e famiglie, le case delle "Béatitudes", tenute da “pastori” onnipotenti, ridavano un'immagine di gioventù all'istituzione. In quel contesto, la Chiesa non volle vedere la mancanza di discernimento nel reclutamento degli adepti – personalità spesso fragili, in cerca di un rifugio. Né le derive legate alle pratiche psicospirituali, che avrebbero dovuto guarire da tutti i mali, e il fatto che questa confusione favoriva l'ascendente di responsabili manipolatori. Ugualmente, gli sbandamenti dovuti alla promiscuità tra le famiglie e i religiosi che avevano fatto voto di castità, di povertà e di obbedienza, furono a lungo considerati solo malignità, prima di essere accertati e riconosciuti. Infine, la dipendenza materiale delle famiglie, costrette a spogliarsi dei propri beni entrando nella comunità, fu corretta solo tardivamente. Avvertita regolarmente di queste disfunzioni, l'istituzione cattolica ha tardato a reagire. Fino al 2002, "Les Béatitudes" ha superato con successo tutte le tappe per il riconoscimento vaticano. “Il fatto è che la Chiesa non è sempre reattiva, né sempre attrezzata e, nel caso specifico, non ha forse voluto spezzare una dinamica”, ritiene oggi Frate Henry Donneaud. Riconosce anche che certi vescovi possono aver creduto in queste “comunità nuove” e hanno potuto proteggere la comunità e preferire che si sviluppasse “il suo ideale monastico”, “il suo fervore”, “le sue vocazioni”, “col rischio di non rendersi contro della gravità dei problemi”. Diplomaticamente, “si stupisce” anche che questa associazione di fedeli non sia stata meglio seguita dai vescovi. Solo nel 2007 il Vaticano ha reagito. Roma esige a quel punto una severa separazione tra i rati, le suore e i laici, e la fine della confusione tra l'aspetto spirituale e quello psicologico, in cui si mescolano anche misticismo ed esorcismo. E il processo attuale di “risanamento” è “l'ultima chance” per "Les Béatitudes", ritiene il domenicano. Se la Chiesa ci tiene a salvare questa comunità, è per preservare “i buoni frutti” che ha dato, in particolare all'estero, spiega Henry Donneaud. “La maggior parte dei fedeli è leale, sincera, spinta dal Vangelo e non desidera fondare una 'controsetta'”, dice. Riconosce tuttavia delle reticenze in certi ex responsabili. “Non siamo più di fronte a dei perversi - precisa, alludendo alla vita sessuale dissoluta dei fondatori e alla pedofilia di Pierre-Etienne Albert - ma piuttosto di fronte ad un modo di governare tirannico”. Il domenicano ha tempo fino al febbraio 2012 per fare pulizia, data alla quale la comunità dovrebbe eleggere i suoi nuovi responsabili. Ma non è sicuro che questo tempo sia sufficiente per correggere i quasi quarant'anni di funzionamento quasi settario.

Stéphanie Le Bars, Le Monde - Fine Settimana

Il colpevole silenzio dei superiori di Frère Albert