La procedura è eccezionale, segno che la faccenda è grave. Da un anno, la comunità "Les Béatitudes" è sotto tutela, per decisione del Vaticano. Un domenicano, Frate Henry Donneaud, è stato nominato “commissario pontificio”, incaricato di “risanare” e di salvare ciò che resta di questa associazione di fedeli che conta ormai solo 644 membri in tutto il mondo. Fondata nel 1973 da un laico esaltato e carismatico venuto dal protestantesimo, Gérard Croissant, detto Ephraïm, la comunità ha tuttavia beneficiato a lungo delle buone grazie di Roma e dell'istituzione cattolica in Francia. Nata nell'euforia del “rinnovamento carismatico”, che favorì lo sviluppo di molte comunità nuove negli anni 70, "Les Béatitudes" confortava una Chiesa già in preda alla crisi delle vocazioni e all'evaporazione dei fedeli. Con la loro vita comunitaria che mescolava, in una vaga ideologia “hippy-cattolica”, religiosi, religiose, celibi consacrati e famiglie, le case delle "Béatitudes", tenute da “pastori” onnipotenti, ridavano un'immagine di gioventù all'istituzione. In quel contesto, la Chiesa non volle vedere la mancanza di discernimento nel reclutamento degli adepti – personalità spesso fragili, in cerca di un rifugio. Né le derive legate alle pratiche psicospirituali, che avrebbero dovuto guarire da tutti i mali, e il fatto che questa confusione favoriva l'ascendente di responsabili manipolatori. Ugualmente, gli sbandamenti dovuti alla promiscuità tra le famiglie e i religiosi che avevano fatto voto di castità, di povertà e di obbedienza, furono a lungo considerati solo malignità, prima di essere accertati e riconosciuti. Infine, la dipendenza materiale delle famiglie, costrette a spogliarsi dei propri beni entrando nella comunità, fu corretta solo tardivamente. Avvertita regolarmente di queste disfunzioni, l'istituzione cattolica ha tardato a reagire. Fino al 2002, "Les Béatitudes" ha superato con successo tutte le tappe per il riconoscimento vaticano. “Il fatto è che la Chiesa non è sempre reattiva, né sempre attrezzata e, nel caso specifico, non ha forse voluto spezzare una dinamica”, ritiene oggi Frate Henry Donneaud. Riconosce anche che certi vescovi possono aver creduto in queste “comunità nuove” e hanno potuto proteggere la comunità e preferire che si sviluppasse “il suo ideale monastico”, “il suo fervore”, “le sue vocazioni”, “col rischio di non rendersi contro della gravità dei problemi”. Diplomaticamente, “si stupisce” anche che questa associazione di fedeli non sia stata meglio seguita dai vescovi. Solo nel 2007 il Vaticano ha reagito. Roma esige a quel punto una severa separazione tra i rati, le suore e i laici, e la fine della confusione tra l'aspetto spirituale e quello psicologico, in cui si mescolano anche misticismo ed esorcismo. E il processo attuale di “risanamento” è “l'ultima chance” per "Les Béatitudes", ritiene il domenicano. Se la Chiesa ci tiene a salvare questa comunità, è per preservare “i buoni frutti” che ha dato, in particolare all'estero, spiega Henry Donneaud. “La maggior parte dei fedeli è leale, sincera, spinta dal Vangelo e non desidera fondare una 'controsetta'”, dice. Riconosce tuttavia delle reticenze in certi ex responsabili. “Non siamo più di fronte a dei perversi - precisa, alludendo alla vita sessuale dissoluta dei fondatori e alla pedofilia di Pierre-Etienne Albert - ma piuttosto di fronte ad un modo di governare tirannico”. Il domenicano ha tempo fino al febbraio 2012 per fare pulizia, data alla quale la comunità dovrebbe eleggere i suoi nuovi responsabili. Ma non è sicuro che questo tempo sia sufficiente per correggere i quasi quarant'anni di funzionamento quasi settario.
Stéphanie Le Bars, Le Monde - Fine Settimana
Il colpevole silenzio dei superiori di Frère Albert