lunedì 20 febbraio 2012

'Gesù di Nazaret - Secondo volume'. Quel romanzo poliziesco tra fisica e metafisica, scritto a matita da uno studioso bianco d’abito e di capelli

Vorrei centrare proprio sulla Parola queste poche note a margine del libro del professor Ratzinger. Mi permetto di chiamarlo così perché in queste pagine agisce non da capo di una comunità di credenti, ma da studioso che opera con strumenti e razionali e logici, da storico, e prima ancora da filologo. Un’attività, la filologia, che presuppone l’accertamento e la restaurazione di un ordine, di un percorso, la ricomposizione di pezzi sparsi in un disegno organico. Attività che, al pari delle scienze esatte, non è affatto fredda, come comunemente si ritiene, o meglio come ritiene chi in realtà non sa come funzionino. Richiede sì strumenti freddi, come sono freddi e affilati gli strumenti con cui operano chirurghi o i fisici, addirittura i cuochi. Tuttavia a maneggiarli sono persone agitate, è il caso di dirlo, da uno pneuma, da forti tensioni conoscitive, creative. C’è un pensiero bellissimo, nel libro del professor Ratzinger, che ogni scrittore, ma anche ogni lettore vero, è pronto a sottoscrivere: "La parola è più reale e più durevole dell’intero mondo materiale". Un pensiero che si rifà a una famosa affermazione dell’uomo di Nazaret: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai". Su un più modesto piano letterario, questa è anche l’ambizione un po’ ingenua, inconfessata e inconfessabile, di ogni scrittore. Di parole si compongono i documenti che il professor Ratzinger procede a vagliare con acribia scientifica per dimostrare che il Gesù storico e il Gesù della fede sono la stessa entità, e che i Vangeli rappresentano una testimonianza affidabile, su cui lo storico può lavorare. Ma proprio per arrivare a questa constatazione de facto, occorre che ogni parola sia verificata, analizzata al microscopio elettronico, comparata con eventuali sinonimi, immersa nel contesto del suo tempo ma anche disvelata nel patrimonio di storie che si porta dietro. Ogni parola è un mondo miniaturizzato, al modo in cui milioni di informazioni digitalizzate possono essere stivate nella capocchia di un cheap di silicio. Per esempio, la parola “Adamo” in ebraico contiene notoriamente in sé il concetto di “terra rossa”, dunque di “nato dalla terra”, e rimanda alla creta di cui siamo impastati. Mi ha molto colpito la pacatezza, vorrei l’umiltà con cui il professor Ratzinger ha condotto la sua indagine istruttoria. Carico d’anni, di studi e di letture, non approfitta mai della sua auctoritas, del ruolo istituzionale che ricopre. Egli ci appare piuttosto come un ricercatore che nella quiete di una qualche remota biblioteca universitaria conduce le sue ricerche, confrontando documenti, incrociando prove, cercando di dare solido equilibrio alle tesi che argomenta. Tratta gli studiosi che sostengono tesi magari opposte e contrarie con un rispetto raro, in un dibattito scientifico, anche quando quelle tesi risultano poco fondate persino ai non addetti ai lavori, tra i quali rientro. Non nasconde, occulta o rimuove quelle tesi, anzi, le va a scovare una per una, ma senza prenderle per le orecchie, come si può fare con altrettanti scolari discoli, piuttosto con una delicatezza quasi fraterna, una levitas francescana. Dolce è il tono della voce che parla ai lupi illuministi. Questa dolcezza dà più forza alla sua fermezza. Lo scrittore francese Philippe Sollers ha scritto su Le Monde cose piuttosto originali a proposito di Gesù di Nazaret. Lo ha definito uno straordinario polar metafisico. Ora, polar nel francese famigliare sta per “romanzo poliziesco”, è una crasi tra “poliziesco” e noir. Certo, è un’etichetta un po’ forte, quasi irriverente, ma immagino che l’autore l’abbia accolta con un sorriso. Da scrittore, Sollers intendeva riconoscere all’autore del polar un vero talento narrativo, e occorre dargli ragione. Più che di talento narrativo, poichè questa non è una fiction, parlerei di capacità espositiva, di eleganza di scrittura (un’eleganza che non si compiace mai dei suoi effetti). Non fosse che viene da tutt’altri percorsi, si direbbe quasi che il professor Ratzinger sia apparentabile all’illustre tradizione del saggismo italiano, forse anche superiore a quella letteraria, e che vanta campioni capaci di unire alla profondità del pensiero alte qualità di scrittura: penso a Benedetto Croce, a Luigi Einaudi, a Roberto Longhi, a Giovanni Macchia. Gesù di Nazaret, precisa ancora Sollers a beneficio del grande pubblico, è il contrario di un film, perché è tutto interiorizzato. L’autore lavora sull’esegesi, sull’interpretazione. Certo, c’è il contesto politico dell’epoca, ma egli smonta le tesi che descrivono l’esecuzione di Gesù per mano del Gauleiter di Galilea come un episodio della guerriglia di resistenza a una brutale forza d’occupazione, lotta condotta come è noto dagli zeloti. Allo stesso modo affronta l’accusa di deicidio rivolta agli ebrei, e tuttavia va oltre il semplice intento storiografico. Qui mi piace citare il card. Ravasi, quando osserva che il proposito di definire il Gesù “reale” è molto più ambizioso e impegnativo del definire il semplice Gesù storico. Perché, scrive, per ogni personaggio e persino per ciascuno di noi, ciò che è documentabile storiograficamente in modo ineccepibile è molto meno di quanto ognuno di noi è in realtà. Su questa via, l’attenzione dell’autore si concentra sulla polarità che si crea tra parole che appartengono a una tradizione millenaria e l’uso innovativo e addirittura rivoluzionario, è il caso di dirlo, che Gesù di Nazaret ne fa. La rivoluzione che Gesù porta non è collettiva, non è un moto di piazza, non è delegata ad alcuno: è quella che ognuno deve compiere in solitudine dentro se stesso, attuando comportamenti radicalmente nuovi. È una rivoluzione condotta nel segno della Parola. Quella che Gesù istituisce è una discontinuità forte, addirittura temeraria, che non soltanto abolisce i vecchi codici della ritorsione e della vendetta, la pratica dell’occhio per occhio, del rispondere colpo su colpo, insomma il codice delle faide tribali, sostituendolo con l’amore del prossimo e addirittura dei propri nemici, ma mette l’uomo al centro di quello che oggi chiameremmo il suo progetto. L’uomo viene sottratto ai suoi doveri meccanici di sacrificante che offre i capi migliori del suo gregge a un dio immaginato come una sorta di “megapossidente” favolosamente ricco, e viene invece restituito alla missione di rigenerare se stesso, di trasformare l’amore per Dio in amore per l’uomo. Luogo di culto non sarà solo il tempio, nemmeno il tempio per eccellenza, quello di Gerusalemme. Ogni uomo è chiamato a diventare esso stesso un tempio, il tempio della propri elevazione. Proprio perché il professor Ratzinger maneggia a perfezione gli strumenti della filologia, è in grado di attribuire alle parole uscite dai test del suo laboratorio valenze metaforiche e figurative. Si veda ad esempio l’intuizione, da vero scrittore, che lo porta a dire che “vita eterna” non significa (come il lettore d’oggi è portato a pensare) la vita che viene dopo la morte, mentre la vita presente è giustamente passeggera provvisoria. Per lui “vita eterna” è la stessa vita che siamo chiamati a vivere qui e ora, e non si conclude con la morte fisica, se siamo in grado di viverla con la pienezza che ci viene richiesta, se sappiamo attivare in noi la palingenesi che ci immetta in una dimensione che va oltre i semplici limiti temporali. Mirare in vita all’eternità del bene. La vera vittoria sulla morte, quella che abbatte i muri del tempo, è una vita degna e piena, ricca di valori umani, che continua in chi li eredita. Non diciamo infatti che le persone care che ci hanno lasciato continuano a vivere in noi? Si veda similmente come l’autore sia in grado, quando parla di risurrezione, e proprio per le sue capacità critiche e filologiche, di operare una sottile e acuta distinzione tra quello che nei testi evangelici è professione di fede, formule precise che impongono fedeltà alla comunità dei credenti, e quello che sono invece le modalità narrative delle apparizioni del Risorto che, egli osserva, appartengono a varie tradizioni, espressive, possiamo dire, distribuite tra Gerusalemme e la Galilea. È proprio questa varietà di canoni narrativi a spiegare la diversità dei racconti della risurrezione nei quattro vangeli. All’interno delle quali il professor Ratzinger ci offre delle vere e proprie perle, come quando, ad esempio, analizza l’uso metaforico della parola “sale” in Marco e nel Luca degli Atti degli Apostoli. La parola usata da Luca è Sunalizòmenos, che significa letteralmente “mangiando con loro del sale”, e rimanda alla consuetudine di spartire nei banchetti pane e sale anche come cemento simbolico di solide alleanze comunitarie. Le pratiche di conservazione dei beni materiali di fronte alla corruzione e alla putrefazione che li minacciano rimandano così alla conservazione di beni immateriali, quali il patto di fedeltà che unisce una collettività. Siamo immersi nel buio di una lunga notte, il Demonio fa floridi affari e non patisce recessioni. La stessa Chiesa, come scrive Papa Benedetto, col vento contrario della storia naviga attraverso l’oceano agitato del tempo, e spesso si ha l’impressione che debba affondare. Eppure, come scrive Sollers, ci conforta pensare che in un palazzo di Roma una piccola luce resti accesa a lungo, la notte, e che un anziano studioso, bianco d’abito e di capelli, continui pazientemente a lavorare con la matita al suo romanzo poliziesco, insieme fisico e metafisico.

Ernesto Ferrero, L'Osservatore Romano

Giovane, tedesco, ratzingeriano. La nomina del delegato pontificio di padre Sylvester Heereman a nuovo vicario generale divide i Legionari di Cristo

Accusato per mesi di troppa prudenza nei confronti dei Legionari di Cristo dei quali, per volere del Papa, è delegato incaricato di guidarne la transizione, il card. Velasio de Paolis giovedì scorso ha affondato un colpo a suo modo storico, una scossa destinata a provocare un terremoto nella stessa Legione, soprattutto tra la vecchia guardia. E’ delle scorse ore, infatti, la decisione di nominare padre Sylvester Heereman, tedesco di 37 anni, nel posto di maggior potere all’interno del movimento che fu fondato da padre Marcial Maciel Degollado: nuovo vicario generale. Heereman prende il posto di padre Luís Garza Medina, lo scorso luglio “retrocesso” come direttore generale di Stati Uniti e Canada. Heereman non ha legami con la vecchia guardia, soprattutto con quello zoccolo duro della Legione ancora ben radicato in Messico. Non solo, è stato tra i primi a uscire allo scoperto, e cioè, saputa della seconda vita di padre Maciel, a chiedere pubblicamente che si facesse chiarezza e che si prendesse la strada della penitenza e della purificazione. Il segnale di De Paolis, dunque, un segnale arrivato non senza l’avallo di Benedetto XVI, è chiaro: la rotta è definitivamente cambiata. E chi conosce bene Heereman conferma, nella Legione nulla sarà più come prima. La nomina non è stata digerita da tutti. Infatti, a poche ore dall’annuncio di De Paolis, si è dimessa Malen Oriol, la leader della branca femminile dei Legionari. Con lei sono uscite anche una trentina di altre donne, tutte legate all’ex vicario generale Luís Garza. “Malen Oriol – si legge in una nota in inglese diffusa dai Legionari – l’assistente per la vita consacrata al direttore generale, ha inviato una lettera a tutte le donne consacrate con la quale annuncia di aver rassegnato le sue dimissioni al cardinale Velasio de Paolis. Nella sua lettera, ella menziona il fatto che alcune donne consacrate hanno domandato alla Santa Sede il permesso di vivere la loro consacrazione non come membro del movimento Regnum Christi ma sotto l’autorità di un vescovo. Al momento, Malen non ha chiarito se intende far parte di questo nuovo gruppo”. Si tratta solo dell’ultima defezione. Alcuni mesi fa anche Jesus Colina, direttore e fondatore dell’agenzia di stampa cattolica Zenit, legata ai Legionari, ha lasciato il proprio incarico in polemica con la Congregazione che controlla il consiglio di direzione della testata. Lo hanno seguito tutti i capiredattori. De Paolis ha sempre definito il proprio progetto “cambiamento nella continuità”, con l’accento sulla prima parola. Da cambiare, ha detto, sono “non poche cose”. Riguardano la libertà di coscienza, il ruolo dei confessori e direttori spirituali, le forme di controllo sulla vita quotidiana, e altro. Ma il punto su cui egli insiste di più è “il problema dell’esercizio dell’autorità all’interno della Legione”, compreso il modo con cui i superiori si rapportano tra loro. Un problema con oggi sostanzialmente risolto.

Paolo Rodari, Il Foglio

'Gesù di Nazaret - Secondo volume'. Nosiglia: il Papa dimostra che è a partire dai vangeli che si apre mente e cuore per incontrare il Gesù storico

Si è svolto oggi nell’Aula magna dell’università di Torino il primo di una nuova serie di incontri sul libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, "Gesù di Nazaret. Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione", promossi dalla Libreria Editrice Vaticana nelle università italiane sotto la direzione scientifica di Pierluca Azzaro. L’incontro è stato realizzato dall’Associazione Sant’Anselmo insieme al Progetto culturale della diocesi, con l’adesione dell’università, dell’Ufficio scolastico regionale, del Salone internazionale del libro, del Circolo dei lettori e con il patrocinio della Regione Piemonte. Per Benedetto XVI "il Gesù storico, come appare dall'esegesi moderna, risulta troppo insignificante nel suo contenuto per poter stabilire un rapporto con la persona di Cristo, al di là di quello che si realizza con qualsiasi personaggio della storia", in quanto "è troppo ambientato nel passato per rendere possibile un rapporto personale con Lui". Lo ha sottolineato l'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia. Per mons. Nosiglia, "il Papa dimostra che è a partire dal Gesù dei vangeli che si apre la mente e il cuore per incontrare il Gesù storico e non viceversa. Si tratta di incontrarlo per credere in Lui, vivere di Lui e testimoniarlo con gioia a tutti". Tale operazione, ha osservato il presule nella lectio, che è stata pubblicata da L'Osservatore Romano, è molto più impegnativa per questa seconda parte dell'opera, perchè qui si affrontano i testi evangelici relativi alle parole e agli avvenimenti più importanti della vita di Gesù. Resta comunque sempre fermo il principio, perseguito con metodo scientifico e indagine accurata, di partire dall'ermeneutica dei vangeli senza disattendere la ragione storica dei fatti che è necessariamente contenuta in essi e che quindi sostiene in un certo modo la fede, che il testo sacro esprime in quanto Parola di Dio, per tutti gli uomini e per tutti i tempi". Secondo l'arcivescovo di Torino, "un altro aspetto significativo della riflessione del Papa sugli avvenimenti centrali della vicenda storica di Gesù è dato da una moderna, rigorosa e documentata apologetica che tiene conto degli interrogativi e questioni più dibattute circa l'interpretazione dei testi biblici e offre risposte appropriate mediante un uso della ragione e della fede in un dialogo incessante e fecondo per entrambe". Inoltre, "la riflessione di Benedetto XVI procede sempre in modo lineare e attraverso il confronto aperto con gli esegeti e le varie ipotesi dei loro studi, in particolare degli ultimi secoli. Egli nutre rispetto per le diverse posizioni, ma con chiarezza non disdegna anche di porsi in contrasto con alcune di queste teorie che non reggono, a suo dire, sotto il profilo scientifico oltre che teologico. Argomenta da teologo, dunque, e ragiona a partire dall'ermeneutica propria dello studioso, ma con una particolare attenzione a far sì che il suo dire sia semplice e comprensibile al più vasto pubblico a cui intende rivolgersi". "Altrettanto importanti - ha rilevato Nosiglia - sono infine i brevi sintetici passi in cui il Papa riassume la verità di quanto è stato ampiamente documentato e che appaiono come una luce che illumina la riflessione svolta, aprono alla preghiera e alla professione di fede e sostengono l'agire quotidiano del credente". "Questo - ha concluso il presule - è in fondo il fine per cui Benedetto XVI ha affrontato la fatica di scrivere i due volumi su Gesù di Nazaret, attuando così la sua missione di successore di Pietro: quella di confermare nella fede i discepoli del Signore. E' la risposta che il Papa fa emergere con chiarezza e profondità dai Vangeli che, come ci ricorda l'apostolo Giovanni, sono stati 'scritti perchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perchè credendo abbiate la vita eterna'".

Agi

All’università di Torino sono ripresi gli appuntamenti durante i quali si presenta e discute il libro di Benedetto XVI: è nel Gesù dei vangeli che s’incontra la sua figura storica

Il Papa in Messico e a Cuba. A L'Avana Benedetto annuncerà l'inserimento di Felix Varela nella lista dei venerabili. Timori e incognite del viaggio

I primi giorni di marzo, nel Palazzo della Congregazione delle Cause dei Santi, verrà presa una decisione importante che è direttamente connessa con il viaggio del Papa a Cuba. Padre Felix Varela, sacerdote, teologo e politico cubano, vissuto nel secolo scorso e considerato uno dei padri della patria assieme a Josè Martì, sostenitore della causa indipendentista e impegnato per l'abolizione della schiavitù, potrebbe essere inserito nella lista dei venerabili. L'annuncio dovrebbe essere fatto proprio da Benedetto XVI a L'Avana. Benedetto XVI sarà a Cuba dal 26 al 28 marzo, proveniente dal Messico. Si tratta di un faticoso viaggio in due tappe, Santiago e L'Avana, che l'85enne Pontefice ha deciso di intraprendere per celebrare solennemente i 400 anni del ritrovamento dell'immagine della Vergine della Carità del Cobre, una Madonna assai cara ai cubani, la cui devozione sull'isola è traversale e talmente radicata da unire tutti i settori della società. Il programma ufficiale è già stato fissato in tutti gli aspetti principali, eccetto che per un incontro: quello con Fidel Castro. Ad oggi resta sospeso poiché subordinato alle condizioni di salute del Lider Maximo, da tempo gravemente malato. "Il Papa desidera vederlo ma tutto ciò dipenderà dalla salute di Fidel" è l'unica spiegazione che finora è filtrata dal Vaticano e che è stata raccolta dalla Reuters durante il Concistoro. Il possibile incontro ha fatto decollare nuovamente le voci di un possibile riavvicinamento alla fede di Castro. Ma tant'è. Il viaggio tuttavia include tre momenti di incontro con il presidente Raul Castro, fratello di Fidel e rappresenta un passo in avanti nelle relazioni tra la Chiesa e la dittatura castrista finora sottoposte a ciclici alti e bassi. Mentre l'organizzazione è alle battute finali, non mancano le voci critiche. Il passo intrapreso dal Vaticano, accettando l'invito del governo castrista, alimenta i timori dei dissidenti negli Usa. In particolare il dissidente Oscar Elias Biscet che ha affermato davanti al Congresso statunitense come l'imminente viaggio papale sia "un errore strategico e politico" dato che di risultati positivi al popolo ne arriveranno ben pochi". In buona sostanza, sottolinea Biscet, "finirà come la visita di Giovanni Paolo II: mentre Wojtyla era a Cuba, il governo stava preparando leggi per sanzionare e reprimere ulteriormente i cubani". La speranza dei dissidenti è di ascoltare da Papa Razinger appelli a favore di libere elezioni democratiche e del multipartitismo. Chissà. Di sicuro Benedetto XVI darà una impronta soprattutto pastorale al viaggio, con pochi riferimenti alla politica benché la sua presenza costituirà per i cattolici dell'isola un chiaro messaggio, facendo capire loro che il Papa non li lascerà mai soli. Il card. Stanislaw Dziwisz il mese scorso in una Messa celebrata a Miami, nel corso di un suo viaggio negli Usa, ha fatto presente agli esuli che la situazione di Cuba è molto simile a quella della Polonia prima della caduta del Muro di Berlino. A Varsavia i cattolici intrapresero una lotta pacifica basata sulla verità e sulla giustizia, sotto l'ombra della croce. "Fu questa attitudine a disarmare l'avversario". Conclusione del cardinale: "Il viaggio di questo Papa si pone nel solco di quello precedente, per un futuro migliore di Cuba".

Franca Giansoldati, Il Messaggero.it

Il Papa: rimanere uniti alla Chiesa e al messaggio di salvezza che essa diffonde, significa ancorarsi alla Verità, rafforzare il senso dei veri valori

Questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto ha ricevuto in udienza i 22 cardinali creati sabato 18 febbraio, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle loro diocesi convenuti a Roma per il Concistoro. “Con grande gioia mi incontro con voi, familiari e amici dei neo-Cardinali, all’indomani delle solenni celebrazioni del Concistoro, in cui questi vostri amati Pastori sono stati chiamati a far parte del Collegio Cardinalizio”, ha esordito il Santo Padre.“Mi è data così – ha proseguito il Pontefice - la possibilità di porgere in modo più diretto e più intimo il mio cordiale saluto a tutti e, in particolare, le mie felicitazioni e il mio augurio ai nuovi Porporati”. Il Papa ha quindi auspicato che l’avvenimento “così importante e suggestivo” del Concistoro possa rappresentare un’occasione per manifestare l’affetto e spirito di collaborazione verso i nuovi cardinali. “Sentitevi ancora di più vicini al loro cuore e alla loro ansia apostolica; ascoltate con viva speranza le loro parole di Padri e di Maestri. Siate uniti a loro e tra di voi nella fede e nella carità, per essere sempre più fervorosi e coraggiosi testimoni di Cristo”, ha detto il Santo Padre, rivolto ai parenti e ai fedeli.Di seguito Benedetto XVI ha rivolto il proprio saluto ai nuovi porporati nelle varie lingue madri. Ai cardinali di lingua italiana ha detto: “Venerati Fratelli, l’affetto e la preghiera di tante persone a voi care vi sostengano nel vostro servizio alla Chiesa, affinché ciascuno di voi possa rendere generosa testimonianza al Vangelo della verità e della carità”. La creazione dei nuovi cardinali è stata indicata dal Papa come una “occasione per riflettere sulla universale missione della Chiesa nella storia degli uomini”. Sebbene le vicende umane siano sono spesso “convulse e contrastanti”, la Chiesa è “sempre viva e presente, portando Cristo, luce e speranza per l’intera umanità”. “Rimanere uniti alla Chiesa e al messaggio di salvezza che essa diffonde, significa ancorarsi alla Verità, rafforzare il senso dei veri valori, essere sereni di fronte ad ogni avvenimento”, ha proseguito Benedetto XVI rivolto ai porporati e a tutti i presenti. Prima di impartire la propria benedizione apostolica e di affidare alla protezione di Maria i nuovi cardinali e i fedeli con loro presenti, il Papa ha esortato a rimanere “sempre uniti ai vostri Pastori, come pure ai nuovi Cardinali, per essere in comunione con la Chiesa”. “L’unità nella Chiesa è dono divino da difendere e far crescere”, ha poi concluso.


Dalla Cina con furore. Una mano cinese dietro le carte sul complotto per la morte del Papa? Lo scontro interno alla Curia e la nomina di John Tong Hon

Venerdì sera, al termine della prima giornata del Concistoro, Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, avrebbe chiesto udienza privata a Benedetto XVI. Questi gliel’avrebbe accordata. E in quella circostanza Romeo avrebbe spiegato i motivi del suo viaggio in Cina dello scorso novembre, e quello che ha realmente detto alle autorità cinesi che lo avevano invitato. Un chiarimento considerato necessario dal diretto interessato. Che, tra l’altro, ha fatto notare di avere rapporti più che amichevoli con il card. Tarcisio Bertone. In fondo, il Segretario di Stato è stato in Sicilia lo scorso 5 febbraio, a Catania, per la festa di Sant’Agata. Anche Romeo era presente. E quanti li hanno visti insieme raccontano che “andavano d’accordo e in armonia”. Sembra ormai passata in secondo piano l’operazione che Romeo mise in atto nel 2006. Da nunzio in Italia, scrisse una lettera a tutti i vescovi promuovendo una consultazione per proporre il successore del card. Camillo Ruini come presidente della Conferenza Episcopale Italiana. La manovra fallì: troppo forte la volontà di Benedetto XVI di confermare ancora per un po’ Ruini, troppo scoperta l’operazione. Romeo fu inviato a Palermo, e dovette saltare un turno per ottenere la berretta rossa di cardinale. Il suo ispiratore, Angelo Sodano, Segretario di Stato vaticano, fu invece pensionato. E, per evitare ulteriori pressioni, anche di fretta: prima dell’estate, fu annunciato che a settembre a prendere il suo posto sarebbe stato il card. Bertone. In Sicilia, Romeo è amato. Ha organizzato la visita del Papa a Palermo, un successo, nonostante le polemiche che sono state fatte riguardo i costi della visita. E il giorno dopo la diffusione del report che lo chiamava in causa per aver rivelato un “complotto mortale” ai danni di Benedetto XVI in Cina, si è celebrata la Messa per i cinque anni della sua ordinazione episcopale a Palermo. La Chiesa era gremita. La Sicilia è un terreno di particolare interesse per i cinesi. Non ci sono solo le infrastrutture, la Cina è molto interessata a un eventuale investimento sul Ponte sullo Stretto, c’è anche un sostrato culturale che da sempre lega la Cina alla Sicilia. Il legame ha un nome e un cognome: Prospero Intorcetta. Non è un businessman, ma è un gesuita. Non è nemmeno un gesuita contemporaneo: nato a Platia (l’odierna Piazza Armerina) nel 1626, accolto a sedici anni nel Collegio Gesuita di Catania, andò missionario in Cina nel 1659, insieme con il gesuita francese Philippe Couplet, e operò nella missione di Jianchang (l’odierna Nanchang) nella regione dello Jiangxi. Appassionato studioso di storia e filosofia cinese, fu il primo a tradurre Confucio in latino. I cinesi non hanno dimenticato: Confucio resta il loro nume ispiratore, Mao è semplicemente un passaggio nella loro storia. C’è, a Piazza Armerina, una Fondazione dedicata a Prospero Intercetta. I cinesi mantengono relazioni, anche grazie ad imprenditori siciliani che hanno interessi nella terra di Pechino, e di quando in quando invitano i vescovi e sacerdoti, nell’ambito di queste buone relazioni culturali, ad andare in Cina. C’è chi non ritiene opportuno andarci, per evitare di essere strumentalizzato. E chi invece ritiene più opportuno accettare l’invito. Come ha fatto Romeo lo scorso novembre. Ovviamente, non si può sapere esattamente cosa, a novembre del 2011, Romeo abbia detto ai funzionari cinesi, se si sia trattato di una banale considerazione sull’età del Pontefice o se addirittura non abbia detto nulla. Ma un paio di mesi dopo, Benedetto XVI annuncia il Concistoro. E, tra i nomi annunciati come nuovi cardinali, c’è anche John Tong Hon, arcivescovo di Hong Kong. I rapporti tra il Vaticano e Pechino sono diventati ancora più tesi la scorsa estate, quando il governo di Pechino ha proceduto a sette ordinazioni illecite. Il Vaticano fece protesta. La tensione divenne alta. E si decise di mantenere una linea ferma, come è sempre stata la linea di Benedetto XVI, poco incline alla realpolitik della scuola di Casaroli e Sodano, e più attento invece a puntualizzare la verità, ma allo stesso tempo di basso profilo. Prova ne è il fatto che di Cina Benedetto XVI non ha parlato nel consueto discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nonostante ci siano ancora diversi sacerdoti e due vescovi imprigionati dai cinesi. Tong ha seguito da sempre quel tipo di linea diplomatica. Fermo nei principi, attento al valore non negoziabile della libertà religiosa, nella sua carriera Tong ha mescolato la fermezza con una buona dose di realpolitik. Una reputazione che ha cominciato a costruire nel 1985, quando, a Shanghai, Jin Luxian fu messo sotto pressione per accettare una ordinazione illecita a vescovo ausiliare di Shanghai da parte delle autorità cinesi. In pochi dentro e fuori Shanghai credevano che sarebbe stato possibile per Jin rimanere cattolico se avesse accettato l’ordinazione. Ma allo stesso tempo, Jin temeva che se non avesse accettato, non solo il seminario di Shanghai sarebbe stato messo a rischio, ma il suo rifiuto avrebbe aperto a qualcuno più accomodante nei confronti del governo. Così accettò, sperando in un appoggio da Roma. E l’appoggio arrivò: John Tong (allora religioso) e Laurence Murphy, quest’ultimo intermediare informale e consulente del Vaticano negli Affari Cinesi, parteciparono all’ordinazione, con il tacito consenso di Giovanni Paolo II. A una settimana dal Concistoro, viene diffuso questo report dei cinesi che parla di un complotto di morte contro il Papa. L’interesse a rendere visibile e drammatizzare lo scontro interno alla Curia è evidente. Per la Cina, potrebbe rappresentare, dice un osservatore, un modo per protestare contro la nomina di Tong. In questa sua forma di resistenza, Pechino ha trovato alleati insospettabili: Darìo Castrillon Hoyos, già presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei privato di ogni incarico dopo che era scoppiato l’affaire Williamson (il vescovo lefebvriano che si era reso protagonista di diverse dichiarazioni anti-semite), ansioso di mostrare come sia la Curia stessa ad essere una “babilonia”; gli stessi membri della Società San Pio X, che non vogliono accettare il preambolo dottrinale per riconciliarsi con la Chiesa Cattolica (preambolo in cui è fatto chiaro che il Concilio Vaticano II non si tocca) e che hanno tutto l’interesse a giustificare la loro posizione; e parti di Curia ereditate dalla precedente gestione, o ancora con qualche influenza, che magari già pensano a piazzare dei loro uomini in vista del prossimo conclave.

Andrea Gargliarducci, Korazym.org

'Avvenire': resti ferma, fedele, la mano di Benedetto XVI al timone della Chiesa, una grande nave battuta da onde alte e da un vento forte

"Il Papa ha detto al popolo cristiano di pregare per i suoi cardinali, perchè siano sempre fedeli a Cristo. E, ha aggiunto, pregate per me, 'perchè possa reggere con mite fermezza il timone della Santa Chiesa'. A quell'immagine a noi è venuta in mente una grande nave, la prua possente battuta da onde alte e da un vento forte". Lo scrive Avvenire nell'editoriale di ieri, auspicando che "resti ferma, fedele, la mano di quell'uomo anziano al timone" verso il quale nell'articolo sono espressi "affetto, e gratitudine filiale". Commentando l'allocuzione del Concistoro di sabato la giornalista Marina Corradi, firma di punta del quotidiano CEI, osserva che Papa Ratzinger contrappone la logica del Vangelo "alla logica del mondo, logica del potere, del successo, dell'apparenza. Quella in cui in fondo, tanto o poco, quasi tutti viviamo. In cui vivevano anche gli apostoli, che si chiedevano ansiosi chi era il più grande, fra loro. Logica ribaltata sotto alla Croce da un uomo che disse: chi vuol essere il primo fra voi, sarà il servo di tutti". Quello proposto dal Vangelo, infatti, è un "mondo alla rovescia: farsi piccoli - conclude l'editoriale di Avvenire - contro l'istinto che preme e vuole dominio e onori. Sono così gli uomini, lo sono sempre stati, nè Cristo si scandalizzò di loro quel giorno, sulla strada per Gerusalemme, quando, in disparte, pretesero di prenotarsi i posti migliori. Tuttavia lo seguirono; e in quel seguirlo si ritrovarono perseguitati, prigionieri, ma grandi davvero. In tutta un'altra logica. Non in quella del 'mondo'".

Agi

Sola gloria è servire