domenica 13 febbraio 2011

Gli 80 anni della 'Radio Vaticana'. Padre Lombardi: quale missione più bella poteva desiderare Marconi per la sua invenzione?

Il 12 febbraio del 1931 veniva inaugurata la Radio Vaticana, che conta oggi oltre 40 redazioni linguistiche, con il primo radiomessaggio in latino di Papa Pio XI, alla presenza di Guglielmo Marconi, realizzatore della Stazione Radio, e di padre Giuseppe Gianfranceschi, primo direttore dell'emittente pontificia. “Le mie invenzioni sono per salvare l’umanità, non per distruggerla!”. Disse Guglielmo Marconi, ha ricordato padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per "Octava Dies", il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano, sono state per lui come un motto. E infatti, ha continuato, “il fatto che tramite la radio si potessero salvare molte vite umane nei naufragi delle grandi navi fu uno dei primi meriti umanitari gli vennero riconosciuti e di cui fu giustamente fiero”. “Ottanta anni fa Pio XI inaugurava la Radio Vaticana, costruita appunto da Marconi come nuovo strumento a disposizione della missione della Chiesa – ha aggiunto il gesuita –. Forse non molte fra le realizzazioni marconiane hanno potuto tradurre in pratica così sistematicamente l’ideale dello scienziato”. Marconi riuscì in questo modo a “diffondere i grandi radiomessaggi dei Papi per la pace in un mondo drammaticamente travagliato dalla guerra o dai venti di guerra, come ai tempi di Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII. Diffondere centinaia di migliaia di messaggi delle famiglie per i prigionieri e i dispersi in guerra. Sostenere e confortare popoli e chiese oppresse dai totalitarismi nelle diverse parti del mondo”. “Amplificare le parole di speranza per i popoli più diversi dei Papi viaggiatori attraverso i continenti. Parlare continuamente dei valori dello spirito, dell’attualità del Vangelo di Gesù, della costruzione della giustizia e della pace, del dialogo fra le confessioni cristiane, le culture, le religioni, i popoli”. “Quale missione più bella poteva desiderare Marconi per la sua invenzione? Noi dobbiamo continuare oggi a usare la tecnica più nuova per questi scopi. Lo facciamo abbastanza? Le invenzioni del genio umano sono usate per salvare l’umanità o per distruggerla?”, ha concluso padre Lombardi.

Zenit

Il Papa: ogni precetto diventa vero come esigenza d’amore e tutti si ricongiungono nel comandamento ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come te

Benedetto XVI, affacciato dalla finestra del suo studio privato per la recita dell’Angelus, ha parlato del Vangelo odierno che riporta il “Discorso della montagna”. i Gesù proclama la nuova Legge, la Torah. Gesù dice di non essere venuto tra gli uomini per abolire la Legge ma per dare il pieno compimento. Rivolgendosi ai suoi discepoli, aggiunge che se la loro giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entreranno nel regno dei cieli. Ma in che cosa consiste questa “pienezza” della legge di Cristo e questa “superiore” giustizia che Gesù esige? “Gesù lo spiega mediante una serie di antitesi tra i comandamenti antichi e il suo modo di riproporli. Ogni volta inizia: 'Avete inteso che fu detto agli antichi…”, e poi afferma: “Ma io vi dico…'. Ad esempio: 'Avete inteso che fu detto agli antichi: 'Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio'. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio'. E così per sei volte”. Questo modo di parlare, ha spiegato il Pontefice, suscitava grande impressione nella gente, che rimaneva spaventata, “perché quell’’io vi dico’ equivaleva a rivendicare per sé la stessa autorità di Dio, fonte della Legge”. “La novità di Gesù consiste, essenzialmente, nel fatto che Lui stesso “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio, con la forza dello Spirito Santo che abita in Lui. E noi, attraverso la fede in Cristo, possiamo aprirci all’azione dello Spirito Santo, che ci rende capaci di vivere l’amore divino. Perciò ogni precetto diventa vero come esigenza d’amore, e tutti si ricongiungono in un unico comandamento: ama Dio con tutto il cuore e ama il prossimo come te stesso”. Ricordando le parole di San Paolo e riferendosi a recenti e drammatici episodi, il Santo Padre aggiunge che la “pienezza della legge è la carità”. “Davanti a questa esigenza, ad esempio, il pietoso caso dei quattro bambini Rom, morti la scorsa settimana alla periferia di questa città, nella loro baracca bruciata, impone di domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto. E questa domanda vale per tanti altri avvenimenti dolorosi, più o meno noti, che avvengono quotidianamente nelle nostre città e nei nostri paesi”. E non è un caso, ha affermato Benedetto XVI, che la prima grande predicazione di Gesù si chiami “Discorso della montagna”. Mosè, ha aggiunto, salì sul Sinai per ricevere la legge di Dio e portarla al Popolo eletto: “Gesù è il Figlio stesso di Dio che è disceso dal Cielo per portarci al Cielo, all’altezza di Dio, sulla via dell’amore. Anzi, Lui stesso è questa via: non dobbiamo far altro che seguire Lui, per mettere in pratica la volontà di Dio ed entrare nel suo Regno, nella vita eterna”. Una sola creatura, ha ricordato il Papa, è già arrivata alla cima della montagna: la Vergine Maria. Grazie all’unione con Gesù, la sua giustizia è stata perfetta. Per questo, ha concluso, “affidiamoci a lei, perché guidi anche i nostri passi nella fedeltà alla Legge di Cristo”.
Benedetto XVI ha voluto unirsi oggi nella preghiera con i fedeli dell'arcidiocesi polacca di Lublino, "orfana - ha detto dopo la preghiera mariana, nei saluti in diverse lingue - dopo l'improvvisa morte dell'arcivescovo JozefZycinski" ucciso da un infarto a Roma, dove si trovava per partecipare alla plenaria della Congregazione dell'Educazione Cattolica. L'arcivescovo "e' tornato al Signore - ha rilevato il Pontefice - compiendo il servizio alla Chiesa universale nella Santa Sede. Goda - ha auspicato - nella gloria dei frutti della sua vita e dell'opera pastorale".

Radio Vaticana, Agi


Georg Ratzinger: la casa è l'incontro con mio fratello dovunque sia. E sento che qui la famiglia del Papa è diventata anche la mia famiglia

"Eravamo i due maschi e abbiamo giocato molto insieme e fatto tante cose insieme: costruivamo insieme il presepe, e poi tra i giochi più frequenti c'erano giochi spirituali, noi lo chiamiamo il 'gioco del parroco' e lo facevamo noi due, nostra sorella non partecipava". Lo racconta mons. Georg Ratzinger, fratello maggiore di Benedetto XVI, che in un'intervista al mensile statunitense Inside the Vatican ricostruisce i suoi rapporti con il futuro Pontefice. "Uno alla volta, a turno - ricorda - eravamo il ministrante o il chierichetto. Si celebrava la Messa e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi". Poi il seminario, e la passione per la Liturgia, la musica, lo studio. "E' stato - spiega mons. Ratzinger - uno sviluppo continuo. Fin da piccoli abbiamo vissuto con un amore per la Liturgia e questo è proseguito via via nel seminario. Dopo la prima Messa - ricostruisce il sacerdote 87enne - per tre anni siamo stati separati perchè nel 1947 Joseph è andato a Monaco e nel 1950 ci siamo ritrovati a Frisinga. Dopo l?'ordinazione dal novembre del 1951 ad ottobre 1952 a Monaco stavamo in parrocchie confinanti divise da un parco: io avevo la chiesa di San Ludwig e Joseph al Preziossismo Sangue". Già allora il fratello, rivela mons. Georg, "era il riferimento per tutti noi, ed ha accettato di diventare professore a Bonn anche in vista della utilità della famiglia. Nel 1955 i nostri genitori si sono trasferiti da lui a Frisinga e nel 1956 si è aggiunta anche nostra sorella Maria, e così quando io ero libero ho sempre raggiunto la famiglia a Frisinga. Poi alla fine ci siamo ritrovati a Ratisbona, io a dirigere i Domspatzen e mio fratello all'università. E' stato un periodo molto bello ed intenso, noi tre fratelli eravamo riuniti. Certo con la nomina e il trasferimento a Monaco, ma la distanza non era tanta, era piuttosto la mancanza di tempo che ci teneva lontani perchè Joseph era impegnato come vescovo e cardinale. Infine il trasferimento a Roma è stato un po' come una perdita anche perchè sapevo che era una grande responsabilità per mio fratello e sapevo che avremmo avuto pochi contatti. Tre volte l'anno io andavo a Roma, soprattutto l'estate, e a Natale Joseph e Maria venivano da me, nella casa a Pentling: Maria completava il trio. Da quando non c'è non c'è questo trio. Naturalmente la sua presenza richiamava anche la presenza dei nostri genitori. Anche se mancavano lei è sempre stata la persona che ci faceva pensare a loro". "Durante il Conclave - confida ancora mons. Georg - non ho mai pensato che mio fratello potesse diventare Papa: ero convinto che non fosse possibile perchè era troppo anziano ormai. Mi ricordavo di Papa Giovanni XXIII ma Papa Pio XII non aveva fatto più cardinali, e quindi c'era anche una scelta ristretta, ma nel 2005 non era più così. Poi quando è arrivata la notizia la primissima reazione è stata di tristezza, perchè ero consapevole del fatto che come Papa sarebbe stato trasportato fuori dalla sua vita privata e personale. Non sapevo che si può mantenere un rapporto molto personale con il Papa e incontralo come faccio adesso, con tutti i privilegi che ho ricevuto per arrivare e ripartire". "E' sempre un momento molto festoso e solenne - assicura - quando si scende dall'aereo: un'auto della polizia viene a prendermi sotto la stiva e io penso agli altri viaggiatori con le valigie, costretti a cercare i mezzi pubblici. E in Vaticano c'è sempre un'accoglienza gioiosa da parte delle memores, i segretari, suor Christine, che rendono l'accoglienza molto bella. Poi vado a visitare mio fratello nella sua stanza. Quello è il nostro primo incontro, ed per me è tornare a casa, quando ci raccontiamo le ultime novità. La casa è l'incontro con mio fratello dovunque sia. E sento che qui la famiglia del Papa è diventata anche la mia famiglia. Si parla di Regensburg, dei vicini, delle persone che conosce da tempo, dei compagni di studio". I fratelli parlano anche dei gatti che sono rimasti nella casa in Germania (mentre nel Palazzo Apostolico non ce ne sono). Tornato a Regensburg, poi, "ogni mattina - conclude infine mons. Ratzinger - il mio pensiero per lui è che possa avere la salute e la forza, di cui ha bisogno per compiere la sua missione".