"Eravamo i due maschi e abbiamo giocato molto insieme e fatto tante cose insieme: costruivamo insieme il presepe, e poi tra i giochi più frequenti c'erano giochi spirituali, noi lo chiamiamo il 'gioco del parroco' e lo facevamo noi due, nostra sorella non partecipava". Lo racconta mons. Georg Ratzinger, fratello maggiore di Benedetto XVI, che in un'intervista al mensile statunitense Inside the Vatican ricostruisce i suoi rapporti con il futuro Pontefice. "Uno alla volta, a turno - ricorda - eravamo il ministrante o il chierichetto. Si celebrava la Messa e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi". Poi il seminario, e la passione per la Liturgia, la musica, lo studio. "E' stato - spiega mons. Ratzinger - uno sviluppo continuo. Fin da piccoli abbiamo vissuto con un amore per la Liturgia e questo è proseguito via via nel seminario. Dopo la prima Messa - ricostruisce il sacerdote 87enne - per tre anni siamo stati separati perchè nel 1947 Joseph è andato a Monaco e nel 1950 ci siamo ritrovati a Frisinga. Dopo l?'ordinazione dal novembre del 1951 ad ottobre 1952 a Monaco stavamo in parrocchie confinanti divise da un parco: io avevo la chiesa di San Ludwig e Joseph al Preziossismo Sangue". Già allora il fratello, rivela mons. Georg, "era il riferimento per tutti noi, ed ha accettato di diventare professore a Bonn anche in vista della utilità della famiglia. Nel 1955 i nostri genitori si sono trasferiti da lui a Frisinga e nel 1956 si è aggiunta anche nostra sorella Maria, e così quando io ero libero ho sempre raggiunto la famiglia a Frisinga. Poi alla fine ci siamo ritrovati a Ratisbona, io a dirigere i Domspatzen e mio fratello all'università. E' stato un periodo molto bello ed intenso, noi tre fratelli eravamo riuniti. Certo con la nomina e il trasferimento a Monaco, ma la distanza non era tanta, era piuttosto la mancanza di tempo che ci teneva lontani perchè Joseph era impegnato come vescovo e cardinale. Infine il trasferimento a Roma è stato un po' come una perdita anche perchè sapevo che era una grande responsabilità per mio fratello e sapevo che avremmo avuto pochi contatti. Tre volte l'anno io andavo a Roma, soprattutto l'estate, e a Natale Joseph e Maria venivano da me, nella casa a Pentling: Maria completava il trio. Da quando non c'è non c'è questo trio. Naturalmente la sua presenza richiamava anche la presenza dei nostri genitori. Anche se mancavano lei è sempre stata la persona che ci faceva pensare a loro". "Durante il Conclave - confida ancora mons. Georg - non ho mai pensato che mio fratello potesse diventare Papa: ero convinto che non fosse possibile perchè era troppo anziano ormai. Mi ricordavo di Papa Giovanni XXIII ma Papa Pio XII non aveva fatto più cardinali, e quindi c'era anche una scelta ristretta, ma nel 2005 non era più così. Poi quando è arrivata la notizia la primissima reazione è stata di tristezza, perchè ero consapevole del fatto che come Papa sarebbe stato trasportato fuori dalla sua vita privata e personale. Non sapevo che si può mantenere un rapporto molto personale con il Papa e incontralo come faccio adesso, con tutti i privilegi che ho ricevuto per arrivare e ripartire". "E' sempre un momento molto festoso e solenne - assicura - quando si scende dall'aereo: un'auto della polizia viene a prendermi sotto la stiva e io penso agli altri viaggiatori con le valigie, costretti a cercare i mezzi pubblici. E in Vaticano c'è sempre un'accoglienza gioiosa da parte delle memores, i segretari, suor Christine, che rendono l'accoglienza molto bella. Poi vado a visitare mio fratello nella sua stanza. Quello è il nostro primo incontro, ed per me è tornare a casa, quando ci raccontiamo le ultime novità. La casa è l'incontro con mio fratello dovunque sia. E sento che qui la famiglia del Papa è diventata anche la mia famiglia. Si parla di Regensburg, dei vicini, delle persone che conosce da tempo, dei compagni di studio". I fratelli parlano anche dei gatti che sono rimasti nella casa in Germania (mentre nel Palazzo Apostolico non ce ne sono). Tornato a Regensburg, poi, "ogni mattina - conclude infine mons. Ratzinger - il mio pensiero per lui è che possa avere la salute e la forza, di cui ha bisogno per compiere la sua missione".