martedì 18 dicembre 2012

Natale 2012. I riti presieduti da Benedetto XVI spiegati da mons. Guido Marini: alla Messa della Notte e dell'Epifania il Papa indosserà il fanone. Ai piedi dell'altare un Gesù Bambino copia di quello collocato a Betlemme

Durante le celebrazioni del Natale il Papa indosserà nuovamente il fanone usato alle Canonizzazioni dello scorso 21 ottobre, una mantellina utilizzata dai Pontefici a partire dal X-XII secolo. "Accadrà nelle due grandi Solennità della Notte di Natale e dell'Epifania", spiega a L'Osservatore Romano il Maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, mons. Guido Marini. "Il termine fanone deriva dal latino e significa 'panno'. E' stato abitualmente indossato dai Pontefici fino a Giovanni Paolo II. Benedetto XVI ha inteso conservare l'uso di questa semplice e significativa veste liturgica. Nel corso del tempo si è sviluppata una simbologia in relazione a questo indumento. Si dice che rappresenterebbe lo scudo della fede che protegge la Chiesa. In questa lettura simbolica, le fasce verticali di colore oro e argento esprimerebbero l'unità e l'indissolubilità della Chiesa latina e orientale, che poggiano sulle spalle del Successore di Pietro". Mons. Marini ha reso poi noti altri dettagli delle celebrazioni natalizie. In particolare, "alla processione iniziale della Santa Messa prenderanno parte alcuni bambini, che collocheranno i mazzi di fiori vicino all'immagine di Gesù Bambino, svelata dal diacono al termine della Kalenda. I bambini saranno dieci, in rappresentanza dei vari continenti. E dal momento che il bambinello usato durante la Messa della Notte verrà deposto nella mangiatoia del presepe, dalla celebrazione successiva, ai piedi dell'altare della Confessione, sarà collocata un'altra immagine del Santo Bambino, realizzata da artigiani cristiani di Betlemme, copia dell'effige che viene collocata ogni anno sul luogo della nascita del Salvatore, nella Basilica della Natività".
 
TMNews
 

'L'infanzia di Gesù'. La traduzione e l’edizione italiana del libro del Papa sono state entrambe curate da Ingrid Stampa, ed è probabilmente da lei che l’errore sul 'tronco di Isaia' si è propagato alle edizioni francese e spagnola

“L’infanzia di Gesù” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI continua a tenere la testa della classifica dei libri più venduti. L’errore nella traduzione italiana rilevato fin dall’inizio da www.chiesa non nuoce certo alla sua lettura complessiva. Colpisce però che lo stesso errore si ritrovi anche nelle sue edizioni francese e spagnola. Nell’edizione italiana l’errore è alla pagina 136. Dopo aver detto che l’epiteto di “nazoreo” applicato a Gesù si spiega per la sua assonanza con la parola “nezer”, germoglio, di Isaia 11, 1 “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, il Papa così prosegue: “Possiamo supporre con buone ragioni che Matteo...nella qualifica di Gesù come ‘nazoreo’ abbia visto un accenno all’adempimento della promessa secondo cui Dio, dal tronco morto di Isaia, avrebbe donato un nuovo virgulto, sul quale si sarebbe posato lo Spirito di Dio”. Dal tronco morto di Isaia? Ma no. Di Iesse, il padre di Davide dalla cui discendenza nacque Gesù. Così è nella citazione del profeta correttamente riportata poche righe prima. E così è nell’originale tedesco, dove Isaia è Jesaja (abbreviato Jes) e Jesse è Isai (al genitivo Isais). E i due nomi sono sempre ciascuno al posto giusto. La traduzione e l’edizione italiana del libro del Papa sono state entrambe curate da Ingrid Stampa, la sua ex governante tedesca. Ed è probabilmente da lei che l’errore si è propagato alle edizioni francese e spagnola. È statisticamente molto improbabile, infatti, che un errore identico di tal fatta possa essere germinato separatamente e spontaneamente in ben tre diverse traduzioni del libro. L’edizione francese, edita da Flammarion, si presenta come “tradotta dal tedesco” dalla madre domenicana Marie des Anges Cayeux, dal padre lazzarista Jean Landousies e da monsignor Jean-Marie Speich. L’edizione spagnola, edita da Planeta, si presenta come tradotta dal padre agostiniano J. Fernando del Río. L’una scrive: “de la souche morte d’Isaïe” (invece che “de Jessé”). E l’altra: “Del tronco muerto de Isaías” (invece che “de Jesé”). Evidentemente, accanto all’originale tedesco (dove il genitivo “Isais”, di Iesse, già poteva indurli in tentazione), i pur titolati traduttori avevano qui sott’occhio anche la versione italiana, sbagliata, di Ingrid Stampa. È andata bene, invece, nelle traduzioni inglese e portoghese del libro. Inappuntabili come nell’originale tedesco.

Sandro Magister, Settimo Cielo

Gesù bambino raccontato da Giuseppe

La letterina di Joseph Ratzinger del Natale 1934: caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini, anche a me porterai gioia. Il documento esposto nella casa-museo a Pentling

“Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia”. E’ il tipico testo di una letterina di Natale. I bambini di tutti i tempi la lasciano davanti al presepe e attendono la notte della Vigilia. Ma quello che la rende speciale è che è firmata Joseph Ratzinger ed è datata 1934. Cosa desiderava il piccolo Joseph ad appena sette anni ? “Vorrei il Volks-Schott, un vestito per la Messa verde e un Cuore di Gesù. Sarò sempre bravo. Cari saluti da Joseph Ratzinger”. La letterina è stata ritrovata durante i lavori di ristrutturazione della casa di Joseph Ratzinger a Pentling in Baviera, oggi trasformata in un piccolo museo dedicato al Pontefice. La sorella Maria aveva custodito la letterina davvero insolita per un bimbo di 7 anni. Il piccolo Joseph non chiedeva giocattoli o dolci, che pure erano sempre davanti al presepe della famiglia Ratzinger per i tre fratelli. Joseph chiede tre cose molto particolari. Lo Schott è uno dei primi libri di preghiere con il messale in lingua tedesca con testo a fronte in latino. All’epoca in Germania ne esistevano due edizioni, una per adulti e una per bambini. E il piccolo Joseph proprio attraverso quel libretto inizia ad amare la liturgia sul cui ritmo era modellata la vita della famiglia. “I volumetti che di volta in volta ricevevo - scrive Benedetto XVI nella sua biografia - erano qualcosa di prezioso, come non potevo sognarli di più belli”. Nella letterina c’erano tre richieste. Una in particolare ci lascia stupiti: il piccolo Joseph chiede un paramento per celebrare la Messa. In effetti i fratelli Ratzinger facevano spesso un gioco, il “gioco del parroco” per il quale la mamma preparava dei paramenti. Lo ha raccontato il fratello Georg in una intervista un paio di anni fa per Inside the Vatican. “Si celebrava la Messa e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi. E uno volta a turno eravamo il ministrante o il chierichetto.” Poi un “Cuore di Gesù”, una immagine del Sacro Cuore cui era molto devota tutta la famiglia. E tutto davanti al presepe che ogni anno “aumentava di qualche figura ed era sempre motivo di grande gioia. Andare con papà nel bosco a raccogliere muschio ginepro e ramoscelli d’abete". Ora la commovente letterina, come riferisce Bild, è esposta per la prima volta nella casa natale del Papa a Marktl am Inn in Baviera. Nella caratteristica calligrafia corsiva dell’epoca chiamata Sütterlinschrift lo scolaro, che frequentava la seconda, espone i desideri del suo cuore al Bambin Gesù. Ci sono anche le altre letterine dei bambini. Georg, che aveva dieci anni, voleva la partitura di una canzone e una pianeta bianca, mentre Maria, che aveva tredici anni sognava un libro pieno di disegni. Le letterine erano tutte su un unico foglio, perchè la famiglia Ratzinger non era certo ricca La famiglia Ratzinger all’epoca, nel 1934, viveva nell’idillica Aschau am Inn. “Il Papa si è molto rallegrato di scoprire la lettera e il suo contenuto lo ha fatto sorridere”, ha raccontato il suo segretario particolare Georg Gaenswein quando ha inaugurato il piccolo museo alla fine dell’estate : “Per lui, l’odore di muschio appartiene ancora oggi al Natale”. Le lettere sono esposte per il periodo natalizio a Monaco di Baviera.

Angela Ambrogetti, Korazym.org

www.papst-in-pentling.de

Benedetto XVI l'africano: durante l'attuale Pontificato crescita delle Nunziature, aumento dei cardinali, maggior numero di cariche nella Curia romana. Il Papa punta sull'Africa perchè, dice, è il continente con la fede più viva

"L’Africa è attualmente il continente più dinamico dal punto di vista dell'espansione della Chiesa e del cristianesimo in generale, e dove le vocazioni sono percentualmente più numerose". Lo ha ricordato un recente articolo della Civiltà Cattolica dedicato a un convegno dedicato a “Paolo VI e l’Africa” nel quale da più relatori è stata sottolineata "la grande attenzione" che quel Papa dedicò al continente, "intuendone profeticamente anche la disponibilità al messaggio evangelico". Nell’articolo si evidenzia come anche Benedetto XVI "si è riferito all’Africa come al 'polmone' della Chiesa". E in effetti il Pontificato di Joseph Ratzinger si sta rivelando di anno in anno sempre più attento a quello che si muove nel continente nero. L'attenzione di Benedetto XVI all'Africa è evidentissima dal punto di vista diplomatico, tanto per iniziare. Nel corso dell’attuale Pontificato la rete di nunziature in Africa si è ulteriormente sviluppata. Con Benedetto XVI infatti sono state aperte due nuove sedi di nunziature in Burkina Faso e Liberia. Non solo. Incaricati vaticani residenti stabilmente sono stati inviati in Ciad, Gabon e Malawi. Ma anche i paesi africani hanno manifestato un crescente interesse ad avere rapporti più stretti con la Santa Sede. Nel 2008, infatti, anche il Botswana ha allacciato pieni rapporti diplomatici con la Santa Sede. Così, oggi, solo tre paesi africani, tutti a stragrande maggioranza islamica, non hanno ancora uno scambio di rappresentanze con il Vaticano. Sono le isole Comore, la Mauritania e la martoriata Somalia. Con Papa Ratzinger, poi, proprio mentre l’Irlanda ha declassato la sua storica rappresentanza diplomatica da residente a non residente, cinque nazioni hanno intrapreso il percorso inverso, stabilendo a Roma la residenza del loro ambasciatore. Di queste ben tre sono africane: il Camerun, il Benin e, da quest’anno, la Nigeria, il più popoloso stato del continente. A questo si deve aggiungere il moltiplicarsi di accordi diplomatici tra Santa Sede e paesi africani. Prima dell'attuale Pontificato, il Vaticano aveva stipulato un "modus vivendi" con la Tunisia nel 1964, c’era stato poi uno scambio di lettere tra il re del Marocco e Giovanni Paolo II nel 1983-84, quindi due accordi col Camerun riguardanti l’Institut Catholique di Yaoundé e un paio di convenzioni parziali con la Costa d’Avorio. L’unico accordo-quadro, di più ampio respiro, era quello con il Gabon del 1997. Con Benedetto XVI sono stati stipulati già tre accordi-quadro: col Mozambico nel 2011, con la Guinea Equatoriale e il Burundi quest’anno. Ma la speciale attenzione dell'attuale Papa all’Africa non si manifesta esclusivamente o primariamente nell’ambito diplomatico. Prendiamo i viaggi. Il Papa vi si è recato finora due volte, nonostante l’età avanzata. Giovanni Paolo II fece il suo ultimo viaggio africano, in Nigeria, nel 1998, quando aveva 78 anni. Benedetto XVI è andato in Camerun e Angola nel 2009 a 82 anni e nel 2011 in Benin quando ne aveva 84. Passiamo alle creazioni cardinalizie. Con Ratzinger Papa, tra i 74 nuovi porporati elettori da lui creati, 7 sono africani, il 9,5 per cento. È la quota più alta di sempre. Giovanni Paolo II ne fece 16 su 210 (il 7,6 per cento), Paolo VI 12 su 143 (l’8,4 per cento). Anche nelle nomine nella Curia romana Benedetto XVI ha un occhio di riguardo per il continente africano. Ha chiamato il cardinale ghanese Peter Turkson a presiedere il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e ha promosso il guineano Robert Sarah a presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", concedendogli la porpora. Papa Ratzinger ha inoltre chiamato l’arcivescovo tanzaniano Novatus Rugambwa a ricoprire l’incarico di segretario aggiunto di "Propaganda Fide", mentre ha scelto il beninese Barthélemy Adoukonou come segretario del Pontificio Consiglio per la Cultura, elevandolo all’episcopato, e mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, della Repubblica Democratica del Congo, come nuovo segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria. Con Benedetto XVI un africano è diventato per la prima volta cerimoniere pontificio: è Jean-Pierre Kwambemba Masi della Repubblica Democratica del Congo. E per la prima volta un figlio del continente nero ha avuto il delicato incarico di capo del protocollo della Segreteria di Stato. Si è trattato di mons. Fortunatus Nwachukwu, nigeriano, che recentemente, dopo cinque anni di servizio, è stato promosso arcivescovo e nunzio in Nicaragua, diventando il quarto rappresentante pontificio africano nominato durante questo Pontificato. Gli altri sono Leon Kalenga, della Repubblica Democratica del Congo, il nigeriano Jude Thaddeus Okolo, e il tanzaniano Rugambwa (poi, come detto, chiamato in Curia). Anche questo è un piccolo record ratzingeriano. Sino al 2005 infatti il primo e unico nunzio africano era l’ugandese Augustine Kasujja, nominato da Giovanni Paolo II nel 1998. Ma qual è la radice di questa predilezione africana di Papa Ratzinger? Lo ha spiegato lo stesso pontefice nell’omelia di apertura del sinodo africano del 2009: "L’Africa rappresenta un immenso 'polmone' spirituale per un’umanità che appare in crisi di fede e speranza". Benedetto XVI ha ulteriormente approfondito questa sua intuizione parlando ai giornalisti durante il viaggio in Benin del 2011: "Questa freschezza del sì alla vita che c’è in Africa, questa gioventù che esiste, che è piena di entusiasmo e di speranza, anche di umorismo e di allegria, ci mostra che qui c’è una riserva umana, c’è ancora una freschezza del senso religioso e della speranza; c’è ancora una percezione della realtà metafisica, della realtà nella sua totalità con Dio: non questa riduzione al positivismo, che restringe la nostra vita e la fa un po’ arida, e anche spegne la speranza...Quindi, direi, l'umanesimo fresco che si trova nell’anima giovane dell’Africa, nonostante tutti i problemi che esistono e che esisteranno, mostra che qui c’è ancora una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale possiamo contare". E il successivo 22 dicembre, nel discorso prenatalizio alla Curia romana, ha ribadito di non aver percepito in Africa "alcun cenno di quella stanchezza della fede tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile...Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa". Due anni prima, il 21 dicembre 2009, tirando le somme del suo viaggio in Camerun e Angola, Benedetto XVI ha anche valutato positivamente lo stile con cui in Africa si celebra la liturgia: "In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle celebrazioni liturgiche. Le celebrazioni della Santa Eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente...Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano 'sobria ebrietas': l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole". Certamente Papa Benedetto non ignora i limiti e le difficoltà della Chiesa africana, divenuti eclatanti, ad esempio, con le dimissioni da lui imposte ai vescovi centroafricani di Bangui e Bossangoa nel 2009 per problemi morali e a quello di Koudougou in Burkina Faso nel 2011 per incapacità gestionale, o con il “sollevamento” d’autorità del vescovo di Point-Noire in Congo sempre nel 2011. Ma questo non impedisce al canuto “bianco Padre” di continuare a puntare sul continente nero per il futuro della Chiesa.

www. chiesa

Card. Bertone: con il nuovo regolamento della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede si ritorna allo spirito originario. Amministrare con trasparenza i beni della Chiesa a servizio della sua missione

I beni gestiti dagli enti vaticani sono al servizio della missione universale della Chiesa e oggi, in particolare, è richiesto “un impegno sempre più incisivo” di correttezza e trasparenza amministrativa. Sono due dei concetti principali ribaditi questa mattina dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nel discorso tenuto alla presentazione del nuovo Regolamento della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Fu Paolo VI a volere che, nella Curia Romana da lui riformata, vi fosse un Ufficio preposto alla gestione degli Affari Economici della Santa Sede. Tale ufficio doveva assolvere a compiti precisi: conoscenza, controllo, vigilanza e coordinamento “di tutti gli investimenti e le operazioni economiche più importanti della Santa Sede”. In Papa Montini c'era l'esigenza di ammodernare tutto il lavoro svolto con il fondamentale obiettivo di assicurare alla Chiesa un aspetto essenziale per la sua stessa esistenza, quello della “autosufficienza economica”. Del resto, ha sottolineato il card. Bertone, la Chiesa si è “sempre preoccupata di considerare la mera strumentalità dei beni temporali in rapporto allo svolgimento della propria missione”, e cioè “il culto divino, le opere di apostolato e di carità, l’onesto sostentamento del clero e degli altri ministri”. Anche il Codice di Diritto Canonico, ha ricordato il segretario di Stato, stabilisce che per il raggiungimento dei suoi “fini istituzionali” sia lecito per la Chiesa “l’acquisto, il possesso, l’alienazione e l’amministrazione dei beni temporali”. Tuttavia, ha proseguito il segretario di Stato, “la Chiesa, in quanto tale, non possiede beni: essa li possiede per il tramite degli enti che la compongono” e dunque ecco spiegato il ruolo centrale svolto da un organismo come la Prefettura degli Affari Economici. Nel recente passato, ha notato Bertone, la prassi aveva in certo modo ridotto i compiti con i quali la Prefettura era stata pensata, trasformandola in “una sorta di ragioneria centrale della Santa Sede” e vedendo offuscati i compiti di “programmazione e coordinamento economico generale”. Invece, con il nuovo regolamento, ha soggiunto, “si ritorna allo spirito originario”, per cui la Prefettura degli Affari Economici si pone come un ente superiore rispetto alle singole amministrazioni vaticane, in diretto rapporto con la Segreteria di Stato, con la quale è tenuta a concordare le linee di “indirizzo e programmazione”. Il nuovo Regolamento, promulgato lo scorso febbraio, vede la luce nel periodo in cui, ha affermato il segretario di Stato, la Santa Sede ha deciso di adeguarsi “alle norme internazionali di controllo finanziario” e di conseguenza, ha asserito, “la necessaria trasparenza delle attività economiche e finanziarie della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano esige un impegno sempre più incisivo e congiunto di correttezza da parte delle singole Amministrazioni nella gestione del patrimonio e delle attività economiche”. Infine, il card. Bertone ha fatto riferimento alla situazione di crisi che ha investito il mondo, ribadendo che “anche la Santa Sede” non “può che procedere ad una riduzione graduale, ma effettiva dei costi a fronte di una perdurante impossibilità di aumentare i ricavi, almeno in proporzione ai disavanzi che ultimamente si stanno registrando nei consuntivi consolidati”. “E’ quanto mai necessario – ha concluso – che si accresca in tutti la consapevolezza di dover sostenere non solo la missione della Chiesa e della Santa Sede, ma anche la sua credibilità”.

Radio Vaticana

Il nuovo regolamento della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Sulla strada della trasparenza e della credibilità