martedì 17 aprile 2012

85° genetliaco di Benedetto XVI. Tre volumi della Lindau su Joseph Ratzinger, un Papa umile ma scomodo che conquista con la semplicità

In occasione dell’85° compleanno di Papa Benedetto XVI, la Lindau ha presentato tre libri, tutti dedicati alla figura del Pontefice. In un incontro tenutosi ieri sera presso il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, a due passi da Porta Pia, e moderato dal giornalista Roberto Fontolan, sono intervenuti gli autori delle tre pubblicazioni. Il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha illustrato il suo saggio "Il mistero del granello di senape. Fondamenti del pensiero teologico di Benedetto XVI" (Lindau, 2012, pp. 393, euro 32). Il giornalista vaticanista Aldo Maria Valli ha invece presentato il volume "La verità del Papa. Perché lo attaccano, perché va ascoltato" (Lindau, 2010, pp. 179, euro 12), pubblicato quasi due anni fa ma estremamente attuale. Il terzo libro presentato presso il Centro Internazionale di CL è stato "Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger" (Lindau, 2012, pp. 144, euro 14), a cura di Andrea Monda, docente di religione nei licei, giornalista, scrittore ed esperto di letteratura anglosassone. L’intervento del card. Koch, partendo da una base teologica, ha messo in relazione la formazione accademica di Joseph Ratzinger con la virtù della semplicità e della chiarezza espositiva che caratterizza il Pontefice. Ribadendo l’interdipendenza tra teologia, Chiesa e Verità, il porporato svizzero ha sottolineato vari aspetti del Magistero ratzingeriano, tra cui l’esigenza di una teologia cristiana che ritorni “alle basi elementari della fede”. La scelta del titolo Il mistero del granello di senape è tutt’altro che casuale: si tratta infatti di una parabola su cui il Papa medita “di continuo” e che ben rappresenta il fulcro del suo pensiero. In un suo saggio di dieci anni fa, citato dal card. Koch, il card. Ratzinger, infatti, scrive: “Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape”. Quest’ultimo, ha osservato Koch, è “il più piccolo di tutti i semi ma diventa più grande di altre piante”: esso è quindi “una bella metafora della speranza cristiana”. Il profilo del “Papa scomodo”, inviso ai poteri forti e tenace avversario delle degenerazioni della modernità, è stato preso in esame da Aldo Maria Valli che ha ricordato come, alla base del pensiero ratzingeriano, vi sia l’ambizione di “allargare lo spazio della ragione, di darle maggiore respiro”. Benedetto XVI, avversando il mito della “libertà sciolta da ogni legame”, ci mette in guardia dal pericolo di un’umanità poco interessata alla verità e al senso profondo dell’esistenza, quindi “più facilmente manipolabile” dai poteri forti. Valli si è soffermato anche sull’aspetto più genuinamente umano della personalità di un Pontefice che, per il suo pensiero controcorrente, ha suscitato spesso ostilità e pregiudizi, specie da parte delle élite e degli intellettuali. Eppure Joseph Ratzinger, con la sua disarmante semplicità, ha sempre saputo “conquistare tutti”, cattolici e non, e, come testimonia il successo dei suoi viaggi pastorali, molti di coloro che prima lo avversavano, ne sono diventati dei sinceri ammiratori. Sulle virtù dell’umiltà, della semplicità e del buonumore di Benedetto XVI, si è soffermato in particolare Andrea Monda. “Conobbi il card. Ratzinger molti anni fa quando ero un giovane giornalista – ha raccontato Monda -. Conversando con lui mi accorsi che era un grande conoscitore dell’opera di Gilbert K. Chesterton e che non faceva affatto pesare a nessuno la sua immensa cultura”. Il giornalista e scrittore romano ha poi sottolineato la notevole sensibilità artistica, letteraria e musicale di Ratzinger che, oltre a suonare il piano, è solito commentare i concerti che gli vengono dedicati “con parole sublimi”. In molti scritti e discorsi ratzingeriani emerge una forma mentis vicina a quella di molti scrittori cattolici anglosassoni: oltre che con Chesterton, Monda ha individuato un parallelo con Oscar Wilde che affermava: “Le cose vere della vita non si studiano, né si imparano, ma si incontrano”. Un’affermazione, quest’ultima, molto in linea con la mistica del reale della "Deus Caritas est". “La parola umorismo – ha osservato ancora Monda – ha la stessa radice etimologica di umiltà e in papa Ratzinger quest’ultima dote si esprime anche nella capacità di rinuncia. Quando è stato eletto papa ha dovuto, ad esempio, sacrificare l’aspirazione ad una vecchiaia tranquilla ed esclusivamente dedita agli studi”. La piega che ha preso la vita di Joseph Ratzinger, al momento di diventare Benedetto XVI, può quindi richiamare la frase di un altro grande letterato anglosassone, Cormac McCarthy, che ha affermato: “Ho avuto quello che mi serviva, invece di quello che volevo”. Tutti e tre gli autori intervenuti hanno evidenziato aspetti differenti della vita e della personalità di Joseph Ratzinger, giungendo, tuttavia, a conclusioni molto simili. Il filo rosso delle considerazioni di chi ha la fortuna di conoscere da vicino il Santo Padre risiede nella “semplicità che conquista”, nella consapevolezza di avere di fronte un vero gigante tanto dell’intelletto, quanto della fede, altrettanto grande nell’umiltà.

Luca Marcolivio, Zenit

Padre Lombardi: al momento non c'è nessuna concretezza su un viaggio del Papa in Serbia nel 2013. Per ora solo l'aspettativa della GMG in Brasile

Al momento non è allo studio un viaggio del Papa in Serbia, nel 2013, per le celebrazioni del Patriarcato serbo. Lo ha detto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, interpellato dai giornalisti durante la conferenza stampa di presentazione del convegno "Costantino il grande, alle radici d'Europa". "Non abbiamo nulla - ha detto padre Lombardi - per quanto riguardi i viaggi del Papa per l'anno prossimo, se non la aspettativa dei brasiliani per la Giornata Mondiale della Gioventù. E' vero - ha aggiunto - che se ne era parlato in passato", a proposito delle celebrazioni per il Patriarcato dei serbi nel 2013, e per l'invito del presidente serbo, ma "non siamo mai andati oltre questo, non c'è nessuna concretezza".

TMNews

85° genetliaco di Benedetto XVI. Nella ricerca della verità, la storia di Joseph Ratzinger. Tra vita, Pontificato e la svolta nella diplomazia

“Lo ha sempre inquietato l’impulso a considerare la verità come un oggetto posseduta da difendere. Non si sentiva a suo agio con la tendenza neoscolastica a rinchiudere la verità in definizioni astratte, impersonali, preconfezionate. Quella, secondo Ratzinger, era una teologia che pretendeva di sezionare il mistero. Non una teologia che si inginocchia. Un’astrazione, ha detto una volta, che non aveva bisogno di avere una madre”. Sono parole di Alfred Läpple, “istitutore”, si potrebbe dire con un termine ormai desueto, di Joseph Ratzinger. Läpple fu prima professore di filosofia, poi amico di Joseph Ratzinger. Basterebbero le sue parole a raccontare la ricerca di Joseph Ratzinger. Una ricerca che è stato un cammino continuo alla ricerca del mistero, e delle parole giuste di spiegare il mistero. Vero, la teologia è qualcosa di sempre perfettibile nel modo in cui viene raccontata. Ma ha bisogno di basi solide, e la fede è una base solidissima dalla quale partire. D’altronde, la fede che ci sia stato un disegno ragionevole al principio di tutte le cose (anche della razionalità stessa) appare da sempre a Benedetto XVI come una spiegazione sicuramente più ragionevole al fatto che l’uomo sia uno scherzo del caso, e che dunque anche la sua razionalità venga da qualcosa di irrazionale. Si muove dalla fede il percorso di vita di Joseph Ratzinger. Dalla devozione del padre e della madre, dal rosario detto con frequenza in casa, dalla preghiera costante e continua. Un percorso che passa per gli anni del nazismo, dove vive il disagio del padre, ufficiale di polizia, per quanto gli viene richiesto dai nuovi governanti, dove sperimenta sulla sua pelle il senso di un regime che, lo dirà più volte nel corso del suo Pontificato, vuole uccidere Dio. Joseph Ratzinger aveva già la sua vocazione, Dio lo aveva cominciato a vivere da tempo, e da tempo aveva cominciato la sua ricerca.Finisce la guerra, e arriva il giorno più bello della sua vita, come più volte lo ha definito: l’ordinazione sacerdotale. Il 29 giugno del 1951 comincia la straordinaria avventura di Joseph Ratzinger sacerdote. Il suo primo incarico comincia il 1° agosto 1951: viceparroco presso la Chiesa del Preziosissimo Sangue. Passa diverse ore a confessare. E lì, a partire dalle parole dei suoi parrocchiani, si rende conto dell’indifferenza religiosa delle persone. È una Chiesa di pagani, non nel senso di pagani che sono diventati cristiani, bensì nel senso di cristiani che continuano a chiamarsi cristiani e che invece sono pagani. E’ un male che affligge tutta l’Europa, avrà poi a dire nel saggio “I nuovi Pagani e la Chiesa”, che “ormai da quattrocento anni è culla di un nuovo paganesimo”. La sua ricerca parte da qui, da questa osservazione. Come conciliare i segni dei tempi con la verità della fede? Come innovare senza relativizzare? Come far riconciliare fede e ragione? Basta andarsi a vedere i saggi, le lezioni, le parole spese da Joseph Ratzinger in tutta la sua vita per rendersi conto del senso della sua ricerca: ovvero comprendere la realtà, raccontare le cose in modo nuovo, ma tenendo ferma la verità. È una vita in crescita, quella di Benedetto XVI. Il quale, diventato Papa, ha dato una svolta significativa al ruolo del Papato nel mondo. La Santa Sede ha un ruolo importante nel concerto delle nazioni. È un punto di vista altro ed elevato, ascoltato alle Nazioni Unite, che da tempo vorrebbero che la Santa Sede diventi uno Stato membro, tenuto in considerazione nei consessi internazionali, sebbene sia a volte spesso messo in minoranza e oggetto di campagne che ne vorrebbero diminuire l’impatto internazionale. Prima di Papa Ratzinger, la diplomazia della Santa Sede si basava tutta sulla Ostpolitik delineata dal card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato in tre Pontificati. Casaroli era riuscito, in base a una politica di basso profilo, ad aprire in qualche modo la Cortina di Ferro, a tenere rapporti con i Paesi del blocco sovietico. Un lavoro che aveva permesso alla Chiesa di essere presente dall’altra parte del Muro. E che aveva raggiunto l’apice con l’elezione di un Papa polacco al soglio di Pietro. Ma, dopo Casaroli, questa Ostpolitik era rimasta una scuola buona per tutte le stagioni, applicata anche ad altri scenari internazionali, e soprattutto applicata in una realtà che non era più quella che aveva preceduto la caduta del Muro di Berlino. La fede era diventato un attore tra i tanti, non si poteva dare più per scontato. La verità era qualcosa che andava cercato, sempre e comunque. Ed ecco che, divenuto Papa, Joseph Ratzinger segna la svolta. Ancora le posizioni della Santa Sede sulla verità. Il primo messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace è proprio “Nella verità, la pace”. La sua critica al relativismo, portata avanti con convinzione e pacatezza durante gli anni da professore, da vescovo di Monaco, da prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, si possono leggere in tutti i suoi discorsi. A Ratisbona, nel 2006, la sua lezione all’università crea moltissime polemiche. Ma è perché sono in pochi a rendersi conto che tutto è cambiato. Che ormai non ci si può più nascondere, che si deve cercare la verità con argomenti di ragione. Mentre l’Occidente continua ad attaccare il Papa, in Medio Oriente si accorgono che una nuova via di dialogo è possibile. Nasce da lì, la lettera dei 138 musulmani, che porterà ad un incontro bilaterale in Vaticano. La ricerca della verità diventa fondante anche nel rapporto, sempre difficilem con la Chiesa di Cina. Una lettera del Papa nel 2007 detta le condizioni per ricondurre all’unità, nella fedeltà di tutti a Roma e nell’accordo con le autorità dello Stato, i cattolici in Cina, sanando la frattura tra la Chiesa ufficiale e quella clandestina. Poi, nel 2008, il Papa chiama il card. Zen, uno dei più battaglieri vescovi cinesi, a scrivere le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo. E, in un momento in cui le relazioni sembrano diventare ancora più difficili, il Papa crea cardinale John Tong, il successore di Zen, un uomo equilibrato che sa combattere il regime con argomenti di ragione. Ma è tutta una nuova visione del mondo diplomatico che ha portato Benedetto XVI a puntare più sulla solidità del diritto che sulla leggerezza della diplomazia. Emblematica la scelta di nominare nunzio apostolico in Irlanda un non diplomatico, proveniente dalle file della Congregazione della Dottrina della Fede. Ancora più emblematica la scelta di nominare Segretario di Stato Tarcisio Bertone, canonista, senza scuola diplomatica alle spalle, che subito ha detto che avrebbe voluto più che altro essere un “Segretario di Chiesa”. La fede, in fondo, deve avere anche una solida struttura che la tuteli. Così, anche la battaglia per la libertà religiosa si basa, oggi, sul piano del diritto internazionale, su solide basi, e non sulla ricerca di concessioni o di aperture per le minoranze, o di tolleranza per la presenza delle religioni. È una battaglia che si porta avanti in termini di ragione. Ed è la ragione di cui Benedetto XVI ha parlato in tutti gli incontri con la società civile e politica dei luoghi in cui è andato in viaggio da Papa. Fermo nella verità, eppure consapevole di quello che aveva scritto, da teologo, nel suo volume più celebre, "Introduzione al cristianesimo": “Chi tenta di diffondere la fede in mezzo agli uomini che si trovano a vivere e a pensare nell’oggi può davvero avere l’impressione di essere un pagliaccio, oppure addirittura un resuscitato da un vetusto sarcofago, che si presenta al mondo odierno avvolto nelle vesti e nel pensiero degli antichi, e nell’epoca nostra e pertanto nell’impossibilità di comprendere gli uomini dell’epoca nostra e di essere compreso da loro”. Il Papa della ragione però sta continuando la sua ricerca perché la fede sia compresa. Ed è una ricerca che si fonda su argomenti di verità. Una ricerca che ha affascinato anche Fidel Castro. Che, incontrando il Papa a Cuba, gli ha chiesto libri per approfondire l’argomento. Avevano parlato dell’assenza di Dio.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org

Il Papa: l’annuncio pasquale, rinnovato dalla comune testimonianza nella verità e nell’amore, rafforzi la fede dei cristiani e rinnovi loro speranza

In occasione della Pasqua, che secondo il calendario giuliano è stata celebrata domenica scorsa, il Papa ha voluto inviare i suoi auguri ai capi delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali. Nel suo messaggio, Benedetto XVI, citando le parole che l’Angelo disse alle donne che la mattina del giorno di Pasqua si erano recate al sepolcro in cui era stato riposto il corpo di Gesù “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto” (Mt 28, 5-6), afferma che l’annuncio della Risurrezione di Gesù è motivo di speranza per l’umanità intera, perché mostra che l’ultima parola nell’esistenza umana non è la morte, ma la vita, e rivela in tal modo la pienezza dell’amore di Dio. Quindi, il Santo Padre, ricordando che oggi i cristiani sono chiamati a diffondere questo messaggio di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, sottolinea che questo annuncio risuonerà con più forza quando potremo proclamarlo insieme. Gli sforzi per promuovere l’unità dei cristiani, infatti, sono primariamente fondati sulle parole della preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: “Che siano una cosa sola, perché il mondo creda” (Gv 17,21). Pertanto il Papa augura che l’annuncio pasquale, rinnovato dalla comune testimonianza nella verità e nell’amore, possa rafforzare la fede di tutti i cristiani e rinnovare la loro speranza, specialmente in quelle parti del mondo dove essi sono vittime della violenza, e donare pace e consolazione a quanti soffrono a causa della sofferenza, della malattia, dell’ingiustizia, della fame e della povertà in questa nostra difficile epoca.

Radio Vaticana

Benedetto XVI ci invita a proclamare ancora di più la gioia come nostro patrimonio, a mostrare che l’esperienza della fede non priva del buon umore

Nella logica delle agende informative, le notizie e le opinioni sono solite succedersi così rapidamente da farci correre il rischio che, per la presunta maggiore rilevanza di altri eventi, passino inosservati messaggi o fatti davvero importanti. Così può essere accaduto al Messaggio del Papa per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012, che con il tema "Siate sempre lieti nel Signore", tratto dalla lettera di San Paolo ai Filippesi (4, 4), è dedicato alla riflessione su questa grande virtù della gioia. È un bel testo, stimolante e pieno di senso positivo, che ricorda l’Esortazione Apostolica "Gaudete in Domino" di Paolo VI pubblicata (9 maggio 1975) nel cuore dell’Anno Santo. Questa riflessione di Benedetto XVI chiama a superare la comune considerazione, per quanto contraddittoria e falsa, che le realtà spirituali sono noiose o addirittura avvolte, come le vecchie lettere listate a lutto, da una miscela di serietà e di tristezza. Contribuendo a smontare la falsa immagine della Chiesa, diffusa in modo interessato da alcuni, come qualcosa di anacronistico, che si limita a condannare e che dice sempre no a ogni proposta umana. Il Papa, con il rigore intellettuale e con la semplicità espositiva che lo caratterizzano, nel suo Messaggio rivolto in primo luogo ai giovani, analizza la dimensione umana e soprannaturale della gioia, accompagnando il suo insegnamento con importanti riferimenti biblici e teologici, insieme a un grande e positivo senso comune. Benedetto XVI, grande conoscitore della natura umana, creata e amata da Dio e capace di Lui, come pure dei desideri più profondi di felicità che ogni persona nutre nel proprio cuore, ci orienta verso Dio come meta suprema. Quel Dio che nel suo figlio Gesù ci ha resi già partecipi del suo amore pieno, e che fa proprie nella sua bellezza, bontà e verità, le speranze e le gioie nobili di questo mondo. Questo messaggio, oltre a rivendicare un segno irrinunciabile della fede cristiana quale è la gioia, è un efficace e opportuno sprone per superare le difficoltà e lo sconforto con cui l’attuale crisi economica e di valori minaccia la società e soprattutto i più giovani, offrendo motivi per vincere le tentazioni del pessimismo e gli ingannevoli surrogati della felicità. Assecondando questo invito del Papa, noi cristiani faremmo bene a proclamare ancora di più la gioia come nostro patrimonio, e a mostrare che l’esperienza della fede non ci può privare del buon umore, e ancor meno della gioia delle realtà umane più alte, tra le quali figurano quelle che Papa Benedetto chiama "gioie semplici", autentici doni di Dio: "La gioia di vivere, la gioia di fronte alla bellezza della natura, la gioia di un lavoro ben fatto, la gioia del servizio, la gioia dell’amore sincero e puro, i bei momenti della vita familiare, l’amicizia condivisa, la scoperta delle proprie capacità personali e il raggiungimento di buoni risultati, l’apprezzamento da parte degli altri, la possibilità di esprimersi e di sentirsi capiti, la sensazione di essere utili al prossimo. E poi l’acquisizione di nuove conoscenze". Il cristiano potrebbe perfezionare queste gioie, sublimarle con la fede nella resurrezione di Cristo, alla quale siamo chiamati come suprema felicità e che in questo tempo pasquale celebriamo con gioia, ma non le può mai escludere dal cammino cristiano, se davvero vuole essere tale. Non si tratta di un ottimismo ideologico, basato sul successo di un progetto semplicemente terreno che evita le difficoltà nel cammino dell’uomo, progetto che in questo momento della storia si è mostrato inutile e tragico, perché inumano, nelle ideologie che lo hanno sostenuto, ma si tratta di testimoniare, oggi più che mai nella nuova evangelizzazione, la gioia che nasce dalla fede e dalla grazia. Una gioia che pone Dio, sempre vicino, quale fondamento: meta e pienezza dell’essere umano, che ci aiuta soprattutto quando le possibilità del mondo vengono meno. Dio ci vuole bene e ci vuole felici.

José María Gil Tamayo, L'Osservatore Romano

85° genetliaco di Benedetto XVI. La fede della Baviera: gioia e gratitudine del popolo nelle parole del ministro presidente e del card. Marx

Una festa di compleanno trasformata in opportunità di vivere la gioia e la bellezza della fede per comunicarla attraverso la missione della nuova evangelizzazione. È questo il regalo più bello che la gente dellaB aviera ha fatto a Benedetto XVI e che è stato presentato, all’inizio dell’udienza nella Sala Clementina, ieri mattina 16 aprile, dalle parole del ministro presidente della Baviera, Horst Seehofer, e del card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga. Seehofer ha dato voce al "desiderio profondo della gente che vive in Baviera di portare al bavarese più famoso i migliori auguri di benedizione per il compleanno". Infatti "quando ascoltiamo le sue parole e i suoi messaggi - ha detto - sappiamo che non parla solo Papa Benedetto XVI, il Successore di Pietro. Parla anche l’uomo che ha radici profonde nella nostra patria bavarese dall’impronta cristiana" e "ha reso ancora più forti le nostrer adici cristiane". Un punto fermo nell’insegnamento di Benedetto XVI è l’incoraggiamento "a riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Proprio nel nostro mondo secolarizzato - ha proseguito il ministro presidente - osservo con fiducia quanto sia viva la gioia della fede da noi in Baviera. Noi lo percepiamo ovunque nelle nostre comunità durante le solennità della Chiesa, come adesso a Pasqua. E ovunque in Baviera osserviamo segni importanti delle nostre radici cristiane: a cominciare dalle nostre tradizioni cristiane vive, passando dai crocifissi nelle aule scolastiche fino alle numerose edicole votive ai bordi delle strade". Così,come dono di compleanno, la gente di Baviera ha portato al Papa un crocifisso come dimostrazione delle proprie radici cristiane. "Per noi bavaresi - ha aggiunto Seehofer - l’immagine cristiana dell’uomo e i nostri valori cristiani sono fondamenti irrinunciabili per un futuro degno di essere vissuto. La fede è importante, lo è per la singola persona e per la convivenza degli uomini. È questo che in Baviera sentiamo e viviamo. E trasmettiamo questa convinzione profonda ai nostri figli. Sappiamo che i nostri figli e i nostri nipoti manterranno vive le nostre radici cristiane e le nostre tradizioni bavaresi. La tradizione e la fede devono essere vissute e trasmesse". Ha quindi preso la parola il card. Marx che ha innanzitutto ringraziato il Pontefice "per avercelebrato con noi la Santa Eucaristia e per aver spiegato in modo così straordinario la Parola di Dio nella sua omelia. È sempre bello quando noi vescovi ci ritroviamo con il capo del Collegio episcopale e possiamo farci rafforzare dal Successore di Pietro". Al Papa il cardinale ha raccontato di aver celebrato, il giorno prima alla presenza di tanti fedeli, la Messa "a Marktl, nella chiesa dove lei ha ricevuto il battesimo. Si riusciva a percepire quanto le persone siano legate a lei, e anche quanto siano orgogliose di questo grande figlio della terra bavarese. È una cosa che continuo a constatare nei numerosi incontri con i fedeli. Ovunque lei abbia operato come sacerdote, professore e vescovo in Baviera, si serba un vivo ricordo di lei e si nutre profonda stima per la sua persona. Non vale solo per Marktl, Aschau, Tittmoning, Traunstein, Monaco e Frisinga, ma va ben oltre questi luoghi. E naturalmente vale per tantissime persone in tutta la Germania".Il porporato ha anche ringraziato il Papa per la sua testimonianza di servizio. "Lei ha continuato a ripetere il suo sì: al momento dell’ordinazione sacerdotale, a quello della consacrazione episcopale e sette anni fa nella Cappella Sistina. Per tutti i servitori della Chiesa questa è una straordinaria testimonianza di obbedienza, che è anche al centro dello spirito di Gesù. Proprio in questo momento della Chiesa, la testimonianza di fedeltà e di obbedienza è molto importante". L’augurio più grande, ha detto, è "soprattutto serenità spirituale,espressione di vera libertà" e di conservare lo stupore perché, ha spiegato, "continua a colpirmi il fatto che lei non abbia mai smesso di stupirsi per ciò che Dio ha compiuto in noi e che continua a compiere. Non si tratta forse davvero di mettersi sempre di nuovo in cammino, di farsi condurre dallo Spirito nella vastità di Dio e d’intuire, pieni di gioia, che la fede cattolica è l’avventura più grande della mente umana? Sono fermamente convinto che un tale atteggiamento sia anche un importante mattone per costruire quella che lei chiama nuova evangelizzazione, che le è tanto cara e che ha dato come compito a tutti noi". Il dono più prezioso, ha concluso, è "la promessa di continuare a sostenerla nella preghiera. E portiamo con noi la promessa della nostra fedeltà e anche di più: del nostro affetto e del nostro amore. Lei ha ripetutamente ricordato le parole dette dal card. Faulhaber ai giovani presbiteri in occasione della sua ordinazione sacerdotale: 'Non vi chiamo più servi, ma amici!'. Durante i miei incontri con lei ricordo spesso queste parole e forse, in maniera magari un po’ audace, posso applicarle a lei. Anche lei grida a noi vescovi, ma in fondo anche a tutti i fratelli e le sorelle nella fede, queste parole di Gesù, e noi vogliamo rispondere con la nostra amicizia e il nostro affetto".

L'Osservatore Romano

VII anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Il 25 aprile a Baghdad conferenza organizzata dal nunzio in Giordania e Iraq, a cui seguirà la Messa

Per ricordare il settimo anno di Pontificato di Benedetto XVI si svolgerà a Baghdad, il prossimo 25 aprile, una conferenza organizzata dal nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, mons. Giorgio Lingua. A darne notizia è il sito Baghdadhope che riporta le parole di mons. Jacques Isaac, rettore del Babel College, l‘unica facoltà teologica cristiana nel paese e direttore delle riviste Naðm al Mashriq (Stella d‘Oriente) e Beth Nahrein (Mesopotamia). “La relazione centrale sarà tenuta da mons. Selim Sayegh, vescovo ausilIare emerito per la Giordania. A seguire verrà celebrata una Messa nella cattedrale latina di San Giuseppe alla presenza del vescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, ed alla quale parteciperà il patriarca della Chiesa caldea, il card. Mar Emmanuel III Delly”.

SIR

85° genetliaco di Benedetto XVI. Pisapia: sua presenza a Milano è motivo di gioia. Podestà: provincia impegnata per Incontro Mondiale delle Famiglie

''Eminenza Reverendissima, la prego di rivolgere i miei più sentiti auguri a Sua Santità Benedetto XVI, in occasione del suo 85esimo compleanno''. Con queste parole, indirizzate al cardinale Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha inviato gli auguri al Papa. ''Questa ricorrenza - sottolinea Pisapia nel suo messaggio al Santo Padre - arriva a poche settimane da un altro importante appuntamento, la visita del Santo Padre nella nostra città, prevista per il 1° giugno, in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. La sua presenza a Milano, dopo 28 anni dall'ultima visita di un Pontefice, è per noi motivo di gioia. Sono certo che sarà un momento di arricchimento e di condivisione per la nostra comunità e per quanti dalle diverse parti del mondo giungeranno in Italia per partecipare a questo grande evento''. I più sinceri auguri al Santo Padre ''anche a nome dei cittadini del Milanese e di Milano''. A esprimerli, è il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà. '' L'occasione mi è gradita - aggiunge Podestà in una nota - per consegnare a Papa Benedetto XVI l'impegno che la Provincia sta profondendo sull'onda dell'antica vocazione all'accoglienza del nostro territorio. Questo valore sta animando l'opera condotta, da noi addetti ai lavori, nell'ottica di consentire ai numerosi pellegrini desiderosi di incontrare il Pontefice di partecipare al VII Incontro Mondiale delle Famiglie. La 'Grande Milano' si rivelerà, del resto, dal 30 maggio al 3 giugno, il cuore pulsante della comunità cattolica internazionale. Sarà, insomma, una gara della solidarietà. Una festa della famiglia capace di fare proseliti della celebre frase scandita, nell'opera 'Ad Marcellinam sororem libri tres', da Sant'Ambrogio: 'Se vinci la famiglia, vinci anche il mondo'''.

Asca

VII anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Ciò che preme davvero al Papa è annunciare la gioia della fede cristiana che salva l’uomo dalla morte

"Che cosa devo fare in quest’ora della Chiesa, con tanti problemi, con tante gioie, con tante sfide che riguardano la Chiesa universale? Tante cose succedono giorno per giorno e non sono in grado di rispondere a tutto. Faccio la mia parte, faccio quanto posso fare. Cerco di trovare le priorità". Era passato appena poco più di un anno dall’elezione e Benedetto XVI si confidava con queste parole ai sacerdoti della diocesi di Albano. Quasi uno sfogo per un uomo, un sacerdote che aveva chiesto già tante volte di andare in pensione, di tornare ai suoi studi in Baviera e che, all’improvviso, a 78 anni si è trovato sulla ribalta del mondo, alla guida della Chiesa universale, con il compito di raccogliere il difficile testimone di Wojtyla. Quanto è lontano il vero Joseph Ratzinger (timido, sensibile, riflessivo, umile, rispettoso delle persone) dall’immagine che, all’indomani del conclave, ne avevano dato i giornali del mondo: il "pastore tedesco", il cardinale di ferro, il Papa teologo che avrebbe rimesso in riga la Curia vaticana. A pochi giorni dal settimo anniversario dell’Elezione, si può fare un primo bilancio. Due settimane dopo quella "confessione" di Papa Ratzinger ai sacerdoti di Albano, scoppia il caso di Ratisbona: Benedetto XVI, in Baviera, suo paese natale, viene invitato a tenere la lectio magistralis nella prestigiosa Università di Ratisbona. Con l’aiuto di un autore del XIV secolo, l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, Joseph Ratzinger esplora quella notte della ragione che spinge una religione come l’Islam a rinnegare la sua autentica radice e a degenerare nel fanatismo violento e nel fondamentalismo, in nome della jihād, la guerra santa. Quel discorso segna uno spartiacque nel Pontificato di Benedetto XVI. La reazione del mondo islamico alle parole del Papa è immediata e violentissima. Proteste, manifestazioni, croci e fotografie del Papa bruciate nelle piazze musulmane di molti Paesi. Una suora italiana a Mogadiscio, suor Leonella Sgorbati, resta uccisa a seguito delle proteste dei fondamentalisti islamici. Per Papa Ratzinger è un drammatico risveglio: tocca con la mano la complessità del suo nuovo "ruolo" e l’enorme valenza pubblica e mediatica che hanno le sue parole e i suoi gesti. Di lì a poco il card. Tarcisio Bertone sostituisce Angelo Sodano alla guida della Segreteria di Stato. Un gran sollievo per il Papa ancora sotto shock per le proteste. Bertone aiuta Benedetto XVI a placare gli animi e a riaprire un canale di dialogo con il mondo islamico. Da quel momento in poi in Papa Ratzinger matura la convinzione di dover affidare al Segretario di Stato molti di quei compiti che Giovanni Paolo II in buona parte affrontava in prima persona: viaggi all’estero (oltre a quelli programmati per il Papa) visite, interventi, discorsi. Così Benedetto XVI potrà dedicarsi più a fondo e con maggiore libertà alla stesura dei discorsi e dei documenti, insieme con la stesura del suo libro su Gesù di Nazaret. Nel definire le priorità di questo Pontificato, Joseph Ratzinger ha messo al primo posto l’annuncio e l’insegnamento delle verità della fede. Cioè la catechesi. Mentre il governo della Chiesa, i rapporti con la politica e con il mondo venivano in subordine e per questo affidati in buona parte a Bertone e agli altri collaboratori. Quello di Benedetto XVI si qualifica così come una sorta di "Pontificato pedagogico", sul modello dei grandi padri della Chiesa come San Leone Magno. Ciò che preme davvero al Papa è annunciare la gioia della fede cristiana che salva l’uomo dalla morte e dalla disperazione. Spesso però è un Pontefice incompreso. E forse proprio queste difficoltà a essere capito insieme con la fatica del Pontificato hanno progressivamente venato di pessimismo gli anni più recenti di Benedetto XVI tanto che nel suo messaggio di auguri alla Curia romana, il 22 dicembre 2011, il Papa è tornato più volte a parlare della “stanchezza della fede”, del dubbio, del “tedio dell’essere cristiani” che vede intorno a lui. Un pessimismo che tuttavia nulla toglie al significato profondo del messaggio che Benedetto lancia con il suo Pontificato: cioè la gioia dell’essere cristiani, più forte di qualsiasi stanchezza.

Ignazio Ingrao, Panorama.it

Il Papa in Libano. Benedetto XVI nel Paese dopo la 'primavera araba' per sostenere i cristiani e ridargli il senso della loro presenza

L'annunciato viaggio di Benedetto XVI in Libano (14-16 settembre 2012) ha una sua particolare urgenza per i rivolgimenti in cui è in preda la regione. Certo, il motivo evidente è anzitutto quello di diffondere l'Esortazione Apostolica che lui ha scritto in base a tutti i suggerimenti venuti dal Sinodo. Ma un motivo più profondo è quello di domandare ai cristiani di ridare alle loro società il senso profondo della Primavera araba, spesso snaturato dai politici e dai movimenti estremisti. Il Sinodo delle Chiese del Medio oriente è avvenuto nell'ottobre 2010. Nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011 è cominciata la cosiddetta "Primavera araba". Da allora tutto il mondo arabo è in piena ebollizione. Qualcuno ha detto che il Sinodo aveva pre-sentito tutti i cambiamenti che si stanno verificando oggi. Ma le crogiolanti trasformazioni di cui è oggetto il mondo arabo stanno cambiando il suo volto in modo radicale e costringe al cambiamento anche la vita dei cristiani.
La ‟Primavera araba" e la sua evoluzione. La Primavera araba è stata anzitutto una grande speranza: il movimento dei giovani in Tunisia, Egitto, Libia e anche altrove, si è mosso per garantire giustizia, parità, democrazia, dignità umana, e soprattutto libertà, che manca un po' dappertutto nella regione. La libertà era uno dei temi forti del Sinodo, insieme agli altri temi menzionati. Un altro aspetto. presente soprattutto in Egitto, dove vive una forte comunità cristiana copta, era il sostegno a un'idea di parità fra musulmani e cristiani: si diceva "siamo tutti una mano sola"; "non vogliamo più guardare o farci frenare dalla differenza religiosa"; ‟siamo tutti cittadini". Tutti ricordiamo la bandiera egiziana con i simboli della croce e del Corano, le mani che si uniscono, ecc. Quando il movimento islamista ha cominciato a farsi sentire, dopo essere rimasto estraneo e in opposizione alla "Primavera", i giovani musulmani e cristiani hanno chiesto insieme che non ci fosse la sharia, un sistema religioso, ma che ci fosse rispetto per tutte le religioni e fedi. Gridavano: ‟Siamo tutti credenti, ma lasciateci credere come l'intendiamo". Pochi mesi dopo si è giunti ad una seconda tappa: prima sono penetrati lentamente gli islamisti, i Fratelli Musulmani; più tardi i salafiti, che sono più estremisti di loro. Con il sostegno, finanziario e ideologico, dell'Arabia saudita e poi dal Qatar, è iniziata una lotta interna all'islam. Oggi nella "Primavera araba" domina un conflitto fra diversi tipi d'islam. Ciò è visibile in Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen e Siria. Il risultato è davanti agli occhi di tutti : gli islamisti hanno preso il potere in Tunisia, in Egitto e in Libia, e rischiano di prenderlo in Siria. Questa nuova situazione è allarmante per tutti, e più particolarmente per i cristiani, con il rischio che una parte di loro (i più capaci d'integrarsi in Occidente) abbandona la loro patria per emigrare in Paesi più liberali.
Sostenere i cristiani e costruire la nuova società. Di fronte a questa situazione imprevista e sconosciuta, è urgente rafforzare i cristiani che si sentono esitanti sulle scelte da compiere. E questa è la ragione profonda per la venuta del Papa in Libano e in Medio oriente. Ciò è ancora più urgente nel caso della Siria. Qui, ogni giorno decine, anche centinaia di persone vengono uccise. Per i cristiani sembra non esserci altra scelta che il fuggire, o farsi uccidere. Perché il Papa viene proprio in Libano? La prima risposta è che non vi sono altri Paesi mediorientali dove andare, in cui esistano sicurezza e cristiani. In Iraq vi sono cristiani, ma non vi è sicurezza. In Egitto i cattolici sono una minoranza che non supera le 250mila persone, senza peso in una società di 84 milioni di abitanti. In Tunisia non vi sono cristiani o quasi. Rimane quindi il Libano, dove esiste una comunità cattolica di peso, rispettata e attiva, con una forte infrastruttura organizzativa. Ma c'è anche un altro motivo: il Papa viene in Libano con l'occhio alla Siria, con cui il Libano e i cristiani libanesi hanno molti legami. Egli viene per dare un indirizzo ai cristiani, che sono divisi sulla politica e sul da fare nella crisi siriana. In Siria la crisi è gravissima. La gerarchia cristiana in Siria, tutte le denominazioni, preferisce il regime non democratico, assolutista di Assad, che però garantisce sicurezza e una larga libertà religiosa. Il popolo è diviso: la classe più alta è con il regime, perché essa ha spazi per vivere e negoziare in tranquillità. Questo vale anche per i musulmani ricchi delle grandi città come Damasco e Aleppo. Ma le classi meno agiate soffrono problemi e soprusi. Chi cerca un po' di giustizia e democrazia non può essere con il governo; soprattutto, chi la pensa politicamente diversamente dal governo non può esprimersi a rischio di prigione e torture. Il punto è che se cambia questo governo, l'unico a sostituirlo, sarà un governo islamista, col sostegno dell'Arabia saudita e del Qatar. Io spero che il Papa, venendo in Libano, dica una parola equilibrata, che cancelli il disagio attuale dei cristiani.
Perché il Libano. Un ulteriore motivo è che la presenza dei cristiani e dei cattolici in Libano è una presenza apprezzata e aiuta il resto dei cristiani del Medio Oriente attraverso i media. La stampa libera, le radio cattoliche (come La Voce della Carità), o i canali televisivi (NoorSat, Telelumière, ecc..) sono seguiti da tutto il mondo della diaspora in America, Svezia, Germania, Kuwait, ecc.. Parlare in Libano significa parlare a tutti i cristiani orientali sparsi del mondo per dare loro il messaggio del Sinodo: rimanete in Medio oriente; qui è la vostra missione. Più importante ancora è il fatto che il Libano non è un Paese musulmano. E' un Paese arabo multireligioso. Il presidente della Repubblica è automaticamente cristiano (cattolico), mentre il primo ministro è automaticamente musulmano (sunnita). Le funzioni alte sono ripartite tra le due religioni. Il Parlamento è composto di 128 membri : 64 cristiani e 64 musulmani (inclusi i Druzi) ed è presieduto da un musulmano sciita. Infine, esiste una sola università pubblica, l'Università Libanese con varie sezioni geografiche, fondata nel 1951. Ma ci sono 7 università cristiane: le due antiche (Università Americana fondata nel 1866, di origine protestante; e l'Università San Giuseppe, 1875, dei Gesuiti) e cinque più recenti: Kaslik (1962, dei Monaci Baladiti Maroniti), Louaizé (1987,dei Monaci Mariamiti maroniti), Balamand (1988, dei Greci Ortodossi), Antonina (1996, maronita) e la Sapienza (1999, della diocesi maronita di Beirut). Queste università formano in parte l'élite della popolazione del Libano, e non solo dei cristiani. A titolo d'esempio, l'Università San Giuseppe ha circa 11mila studenti, dei quali il 34% è composto da musulmani.
Ridare ai cristiani il senso della loro presenza. Questa missione ha anche un risvolto specifico: testimoniare il vangelo ai musulmani. In questo, i cristiani arabi sono i più idonei: hanno la stessa lingua, una cultura comune, ecc.. Negli altri Paesi musulmani (Indonesia, Malaysia, Pakistan, Sudan, Somalia, Senegal, ecc.), i cristiani sono un piccolo numero, o non hanno radici culturali arabe. La lingua araba è di fatto il punto di riferimento dei musulmani nel mondo. Noi cristiani arabi abbiamo queste radici e possiamo dialogare più facilmente con loro. Il Santo Padre potrebbe insistere sulla nostra missione per l'insieme dei musulmani del mondo (compresa l'Europa), e sull'evangelizzazione delle nostre società attraverso la nostra testimonianza. Il momento che viviamo è davvero importante: non si era mai avuta una rivoluzione così generale nel mondo arabo. E c'è il rischio che da tali rivoluzioni scivolino per decenni nel fanatismo e nella violenza; che emergano regimi islamici con nuovi e aspri problemi per i cristiani, ma anche per tutta la regione. Grazie a Dio, sembra che in Tunisia, i tentativi dei salafiti di imporre la sharia sono stati frenati e c'è la speranza di un governo più democratico. Proprio questo esempio fa comprendere che questa situazione drammatica è anche un'opportunità: occorre spingere i cristiani a collaborare e impegnarsi sui temi della Primavera araba come i diritti umani, la democrazia, la giustizia, la libertà, l'educazione, e soprattutto il ruolo essenziale della donna nella società. In questo periodo è forte pure la tensione con l'Iran. Anche questa è una nuova tappa nei rivolgimenti della regione. Nei nostri Paesi vediamo con chiarezza l'opposizione fra sunniti e sciiti. Ma ora questa tensione sta prendendo una forma sempre più marcata e si esprime nel conflitto fra l'Arabia saudita ed altri Paesi contro l'Iran. In Siria si sta combattendo anche questo tipo di guerra, con gli alauiti (vicini allo sciismo) contro i sunniti; in Libano vi è la tensione fra Hezbollah e sunniti... La presenza del Santo Padre potrebbe sciogliere questo scontro. Noi cristiani non possiamo essere contenti di una lotta interna all'Islam. Sarebbe una ‟tattica politica" indegna del cristiano. Abbiamo un ruolo da giocare anche fra questi movimenti contrastanti. La lotta fra Arabia Saudita e Qatar contro Iran e Siria rischia di deflagrare in tutta la regione e sembra inarrestabile, perché potrebbe coinvolgere Israele, gli Stati Uniti, e altri. Anche il nostro contributo per la pace tra Palestina (e mondo islamico) ed Israele è fondamentale. Da oggi a settembre, è importante usare la ragione per capire i passi da fare. Il Papa è il migliore ambasciatore di pace e non ha, come i politici di altri Paesi in occidente, interessi particolari e nascosti. Penso che la sua presenza e il suo pensiero aiuterà non solo i cristiani, ma tutti quanti a meglio affrontare le nostre situazioni e a costruire delle società più giuste, più democratiche, più aperte a tutti, insomma più degne dell'Uomo.


Samir Khalil Samir, AsiaNews

VII anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Capacità di resistenza anche fisica che non può non stupire. Forse non è solo, ma in buona Compagnia

Ho una curiosità, un po’ maligna. Mi chiedo quanti di quelli che nell’aprile del 2005 hanno votato per il card. Joseph Ratzinger pensavano che sette anni più tardi il Pontefice bavarese sarebbe stato ancora lì, in mezzo a noi; con i suoi passettini veloci, resi più incerti dai problemi all’anca e al ginocchio destro; ma ancora lì, e con un’evidente voglia di fare. Purtroppo è una domanda difficile da porre, e a cui è probabilmente ancora più difficile rispondere sinceramente. Ma quello che nelle intenzioni di molti porporati doveva essere un papato di transizione si sta rivelando qualche cosa di diverso. Un regno fondante, l’opera di qualcuno che cerca di lavorare in silenzio e ostinazione, e in profondità. Come? Pochi sanno che una gran parte del suo tempo e del suo impegno Benedetto XVI li pone in un lavoro oscuro, che non attira, e non potrebbe, l’interesse dei media, ma che è fondamentale per la vita della Chiesa: proprio per evitare che di qui a qualche anno i media abbiano motivi, non esaltanti, per occuparsi di lei. Benedetto XVI è convinto che la forza, e la debolezza, della Chiesa sia in primo luogo nelle diocesi, nelle Chiese locali. Nel Pontificato di Giovanni Paolo II molto spesso la scelta dei vescovi era delegata ai presidenti delle Conferenze Episcopali, ai nunzi, e ad altre componenti della Chiesa centrale e di quelle locali. Il Papa, molto spesso, e soprattutto negli ultimi anni di vita, se quello che ci viene raccontato è vero (e non abbiamo motivo di dubitarne), si limitava a firmare. Giovanni Paolo II delegava; si fidava dei suoi collaboratori, non sempre con molta fortuna, come la storia ci ha dimostrato. Benedetto XVI ha uno stile diverso. Studia ogni “ponenza” (così si chiamano i dossier preparati per i tre candidati a ogni diocesi), studia il percorso di studi e di lavoro dei possibili futuri vescovi, e alla fine decide. E non è infrequente che chieda che gli siano presentati altri candidati, perché nessuno della “terna” lo soddisfa. E’ un lavoro tedioso, poco appariscente, ma di cui la Chiesa dei prossimi decenni dovrà essergli grata. E’ lo stile di Benedetto. Che era anche quello di Joseph Ratzinger cardinale. Uno stile solitario, certamente; a parte qualche rara visita ad anziani cardinali di lingua tedesca, non si ricorda nella memoria della Curia un “Ratzinger sociale”, che invita e ed invitato a casa di colleghi e amici. La stessa solitudine la si percepisce ora che è Papa. E il progressivo indebolirsi della figura del suo Segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, sottolinea questa caratteristica. Pio XII nell’autunno del suo Pontificato aveva Tardini e Ottaviani, due “mastini” di prima grandezza, a vegliare sulle spalle che si andavano curvando; Paolo VI aveva Benelli a tenere sotto verga di ferro la Segreteria di Stato e la Curia. Ma sarebbe difficile oggi indicare con certezza chi siano “gli uomini del Papa” al di là del Portone di Bronzo, fatta eccezione per Bertone, che però sembra incapace di reagire in maniera efficace agli attacchi che i vari corvi gli hanno sferrato nei mesi scorsi. Senza che ancora si veda una risposta di qualche tipo dalle conclamate “indagini” su "Vatileaks", le fughe di documenti che hanno toccato anche l’Appartamento, e dalla misteriosa commissione vaticana di cardinali, di cui non si conoscono né i componenti, né le opere, tanto che non sono pochi quelli che dubitano della sua esistenza reale. In questi sette anni Benedetto XVI ha camminato, portando avanti la sua opera; cercando di onorare un’eredità, lasciata dal profetico Papa polacco, spesso pesante e ambigua; di difendere se stesso e la Chiesa da una quantità di attacchi e di malevolenza quale non si registrava dai tempi della Guerra fredda, con strumenti spesso inadeguati e insufficienti. E, soprattutto, per tornare all’inizio di questa riflessione, con una capacità, anche fisica, di resistenza che non può non stupire, e che forse stupisce qualcuno. E che porta altri a ipotizzare che forse non è tanto solo, forse è in una buona Compagnia. Ad multos annos.

Marco Tosatti, Vatican Insider

Il Papa ad Arezzo e Sansepolcro. Su invito dell'arcivescovo il premier Monti lo accoglierà all'arrivo con le altre autorità e parteciperà alla Messa

Chi è quell'uomo vestito di grigio di fianco al Papa? E’ lui, è proprio lui: "super Mario", Mario Monti (nella foto con Benedetto XVI), il presidente del Consiglio, da qualche mese il timoniere della barca Italia. Il tecnico dei tecnici, che tra una manovra e l’altra trova il tempo di puntare la barra anche su Arezzo. Tranquilli, non per una nuova tassa tutta aretina: ma per accogliere Benedetto XVI nella città. Accoglierlo di fianco al prefetto, al presidente della Regione, al sindaco Fanfani: accoglierlo per poi seguirne in prima fila la Messa del Prato. Un colpo da biliardo, che per un giorno accende d’incanto tutti i riflettori sulla città. E il merito va all’arcivescovo Riccardo Fontana, che tra un cantiere e l’altro ha pescato l’asso giusto perfino dentro Palazzo Chigi. "E’ un regalo straordinario quello che Monti fa alla nostra Chiesa ma in generale all’intera città" si limita a commentare. Asciutto, ma gli occhi e il sorriso parlano per lui. Dall’inizio aveva descritto l’evento dell’anno come un momento centrale non solo sul piano della fede ma anche su quello della ribalta nazionale. Da qui la scelta del Prato, sostenuta dal Comune ma che certo poteva nascondere mille difficoltà. E il Prato era l’occasione di accogliere nel salotto migliore un Papa e insieme di presentare al mondo i gioielli di famiglia. Mondo che con l’arrivo concomitante di Mario Monti non ha più scelta: è libero di fare i suoi comodi il 12 maggio e se vuole anche il 14. Ma il 13 no, il 13 deve essere qui, tra le quinte di una città in festa. L’invito al presidente del Consiglio è partito direttamente dal vescovo. "D’altra parte queste sono occasioni che vanno colte al volo". Monti farà così il suo esordio assoluto in città. Naturalmente da premier, sia come privato cittadino che come commissario europeo aveva già avuto modo di affacciarsi lì dove le telcamere per un giorno saranno praticamente incollate. L’ultima volta grazie a Donato Palarchi, che con il suo Circolo Verso l’Europa dà del tu ai grandi: Monti lo aveva premiato nella Sala dei Grandi, nel novembre del 2007, davanti all’ambasciatore del Portogallo, due anni dopo Giulio Andreotti e un anno dopo il card. Silvestrini. Palarchi, l’uomo di Olmo, si sa, vede lontano: ma certo stavolta è un evento unico. Ha il sapore della visita ufficiale, ha il sigillo del Governo, ha il traino dell’uomo in testa a tutti i sondaggi. E che tra l’altro gli inviti, nel suo nuovo ruolo, li accetta con il contagocce. E invece stavolta ha ceduto al pressing del vescovo oltre che naturalmente al piacere di accogliere il Papa in quella che sarà quest’anno una delle principali visite pastorali in Italia. Le modalità sono naturalmente ancora da mettere a punto. Monti arriverà in tempo per l’atterraggio dell’elicottero, previsto per le 9.00 allo Stadio. Mario Monti accoglierà il Santo Padre all'atterraggio dell'elicottero ad Arezzo inzieme con l'arcivescovo Riccardo Fontana e le autorità locali. Al loro fianco Francesco Maria Greco, ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, mons. Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Italia, Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, Saverio Ordine, prefetto di Arezzo, Giuseppe Fanfani, sindaco di Arezzo e Roberto Vasai, presidente della provincia. Sul resto dettagli, dettagli che scopriremo solo in corsa, dopo che ci avranno lavorato sopra la Curia, la Segreteria di Stato e l’ufficio per il cerimoniale nazionale, anche se la visita si dovrebbe configurare come esclusivamente privata. Ma i dettagli alla fine spostano poco, forse meno. Quello che resta è l’evento dell’anno, ricco di ingredienti a sorpresa. E la certezza che quell’uomo vestito di grigio di fianco al Papa è proprio Mario Monti.

La Nazione

VII anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Un Pontificato che già da tempo non può dirsi di transizione, con ancora molti lavori in corso

Rivolgendosi ai fedeli radunati la scorsa domenica mattina in Piazza San Pietro, Benedetto XVI nei saluti in lingua francese ha parlato del settimo anniversario dell’Elezione, che ricorderà giovedì: "Vi chiedo di pregare per me, perché il Signore mi doni la forza di compiere la missione che mi ha affidato!". Parole che possono considerarsi l’ennesima conferma del fatto che Benedetto, pur contemplando la possibilità della rinuncia in caso di grave impedimento fisico o mentale, non ha affatto programmato le sue dimissioni. Martedì 19 aprile 2005, dopo aver pronunciato la parola "accetto", diventando così il 264°Successore di Pietro, Papa Ratzinger spiegò ai cardinali che l’avevano eletto leragioni della scelta del nome: disse che sceglieva Benedetto per ciò che la figura del grande patrono d’Europa aveva significato, ma anche perché l’ultimo Papa a prendere questo nome, Benedetto XV, al secolo Giacomo Della Chiesa, si era adoperato per la pace e non aveva avuto un Pontificato lungo. Un importante porporato curiale, alla fine del conclave, pronosticò che il nuovo Pontefice non sarebbe durato più di due anni. Questa settimana entra invece nell’ottavo anno un Pontificato che già da tempo non può più dirsi di transizione, con ancora molti lavori in corso. Joseph Ratzinger soffre di artrosi, ha qualche problema all’anca destra, ha deciso di riesumare la pedana mobile usata negli ultimo anni dal suo predecessore per spostarsi. Ma tutto sommato sembra avere problemi minori di quelli che affliggono la maggior parte dei suoi coetanei. E nonostante qualche collaboratore gli consigli di rallentare con i viaggi, è appena tornato da una faticosa trasferta in Messico e Cuba, in giugno sarà a Milano per tre giorni e dopo l’estate si recherà in Libano. L’anno prossimo è prevista la sua presenza in Brasile per la Giornata Mondiale della Gioventù, e non è stato ancora del tutto escluso un viaggio in Asia. Anche la produzione libraria non si ferma: a completare la trilogia dedicata a Gesù si attende, forse già per il prossimo dicembre, un terzo volume dedicato all’infanzia del Nazareno. Certo, il Pontificato di Benedetto XVI è stato costellato da problemi e da crisi. La più grave tra quelle che sembrano in via di superamento è legata allo scandalo della pedofilia, fenomeno che il Papa ha combattuto con fermezza. Mentre tra quelle ancora aperte vi è il dissenso dilagante tra i sacerdoti che aderiscono agli appelli "alla disobbedienza" in Austria, Germania, Belgio e Irlanda. I prossimi giorni saranno decisivi per la possibile soluzione di un’altra crisi, quella con i lefebvriani: l’accordo che chiude la ferita aperta dal 1988 sarebbe il certamente il regalo di compleanno più gradito per un Papa che predica la riconciliazione ma finisce per essere criticato sia da sinistra che da destra. Da chi non gli perdona di aver teso la mano ai tradizionalisti e di aver detto che il Concilio Vaticano II non ha cambiato la fede cattolica, come da certi "ratzingeriani" che vorrebbero vederlo usare il "pugno di ferro" contro il dissenso.

Andrea Tornielli, La Stampa.it