venerdì 2 settembre 2011

A breve la risposta ufficiale vaticana al governo irlandese sugli abusi. ll nuovo secolarismo dell’occidente all’attacco di una Chiesa meno remissiva

E’ attesa nelle prossime ore, probabilmente domani mattina, la risposta ufficiale del Vaticano al governo irlandese che il 20 luglio scorso, per voce del primo ministro Enda Kenny, aveva lanciato “un attacco senza precedenti”, come lo definì Avvenire, alla Santa Sede, “accusando pesantemente il Vaticano di non aver affrontato a dovere lo scandalo degli abusi sessuali commessidai preti pedofili”. Le critiche vennero formulate nel corso di un dibattito parlamentare su un report relativo alla diocesi di Cloyne, nel quale si imputa alla Chiesa di aver reagito in modo inappropriato di fronte alle accuse di violenze nei confronti di diciannove esponenti religiosi. Le richieste irlandesi a Roma sono molteplici. Tra queste, una particolarmente “irricevibile”, come l’hanno definita prima mons. Gianfranco Girotti, numero due della Penitenzieria apostolica, e successivamente Sean Brady, primate d’Irlanda. Si tratta del progetto di legge che, se approvato, obbligherebbe i sacerdoti irlandesi a riferire notizie su abusi di minori anche se apprese in confessione. Una ingerenza del potere secolare nella sfera di autonomia della Chiesa come non si vede in occidente da secoli, sintomo di un più profondo contenzioso che si va delineando tra diritto canonico e leggi civili. Lo statement vaticano entra nel merito delle accuse senza accennare a decisioni riguardanti il futuro dei vescovi irlandesi e la possibilità che coloro che sono stati nominati prima del 2003 si dimettano. Il Vaticano si concentra su quanto, seppur a titolo personale, il portavoce padre Federico Lombardi aveva già accennato lo scorso luglio: “Non vi è alcuna ragione per interpretare, come fa il report governativo, una lettera del nunzio in Irlanda del 1997, citata nel rapporto Cloyne, ‘come intesa a occultare i casi di abuso’. Allo stesso tempo non vi è assolutamente nulla nella lettera che suoni come un invito a non rispettare le leggi del paese”. Anzi “le obiezioni a cui faceva riferimento la lettera circa un obbligo di informazione alle autorità civili (‘mandatory reporting’), non si opponevano ad alcuna legge civile in tal senso, perché essa non esisteva in Irlanda a quel tempo (e le proposte di introdurla sono state oggetto di discussione per diversi motivi nello stesso ambito civile). Risulta perciò curiosa la gravità di certe critiche mosse al Vaticano, come se la Santa Sede fosse colpevole di non aver dato valore di legge canonica a norme a cui uno stato non aveva ritenuto necessario dare valore di legge civile”. La risposta della Santa Sede è tipica della linea che la diplomazia d’oltretevere ha mantenuto da quando Joseph Ratzinger è salito al soglio di Pietro: collaborazione e insieme disponibilità a riconoscere i propri errori, ma nessun cedimento di fronte alle pretese degli stati i cui governi, anno dopo anno, si mostrano sempre più ostili verso la Chiesa Cattolica. Una linea, questa, che ha mandato in soffitta ciò che ancora restava di quella leva diplomatica che fino alla prima metà del pontificato wojtyliano ancora era in auge, e che trovava una sua applicazione particolare nella Ostpolitik: l’idea che con i governi prima di difendersi fosse opportuno trattare. Perché questo cambiamento di rotta? Un dato emerge. E’ oggi che, come non avveniva in passato, i paesi che sulla carta dovrebbero essere amici divengono ostili, inimicati dalla politica “non conformata alla mentalità del secolo” che caratterizza la Chiesa fedele al Vangelo. Il governo irlandese, pur lamentando legittimamente gravi errori commessi dai vescovi locali, è l’ultimo interprete di questa ostilità. Ai tempi di Wojtyla era impensabile che l’Inghilterra si mostrasse più amica di Roma della cattolica Irlanda. Come era impensabile che paesi retti da democrazie moderne attaccassero pancia a terra il Papa per le sue idee in materia di educazione sessuale: fu nel 2009 che il Parlamento del Belgio, paese dall’importante tradizione cattolica, approvò una mozione contro le affermazioni di Papa Ratzinger sull’Aids e i profilattici durante il viaggio in Camerun e Angola del 2009. Il Vaticano rispose rispedendo almittente le accuse. E sempre in Belgio è avvenuto il grave sfregio della violazione delle tombe dei cardinali da parte della magistratura dello stato. Ma il cambiamento della diplomazia d’oltretevere è figlio anche del nuovo pontificato. E’ un fatto che Benedetto XVI sia meno appassionato ai temi della geopolitica rispetto al suo predecessore. Predilige illuminare con le parole e la preghiera la vita della Chiesa piuttosto che intervenire con una diretta azione politica sulle questioni inerenti i rapporti con gli stati. Per l’Irlanda, il Papa ha ad esempio lasciato che fosse la Segreteria di Stato a formulare lo statement che verrà reso pubbliconelle prossime ore. Anche perché la sua parola, più alta e diversa, l’ha già data con la Lettera ai cattolici irlandesi dove ricorda come i peccati dei preti chiedano anzitutto alla Chiesa “penitenza” e “conversione”. Se molto è cambiata la diplomazia vaticana dai tempi di Wojtyla a oggi lo si deve anche alla decisione del Papa che, all’inizio del pontificato, non portò al suo fianco un diplomatico di carriera, ma un uomo dal profilo pastorale, il card. Tarcisio Bertone. In molti allora si domandarono cosa stesse succedendo. Massimo Faggioli, docente di Storia del cristianesimo moderno all’Università San Tommaso nel Minnesota e discepolo di quella dossettiana scuola bolognese da sempre estimatrice dell’Ostpolitik casaroliana, in un saggio intitolato “La politica estera della Santa Sede” si domandò se la linea meno politica e più religiosa della diplomazia fosse dovuta solo a “prudenza” dei “primi mesi del nuovo pontificato”, o invece alla “scelta di un profilo radicalmente diverso, più religioso e spirituale, e meno politico”. Ma oltre all’atteggiamento della Chiesa, a essere progressivamente cambiato, soprattutto a partire dall’inizio del nuovo millennio, è il contesto internazionale, dove gli anni del trionfalistico “ritorno del sacro” dopo la morte delle ideologie sembrano ormai essere un ricordo lontano. Massimo Introvigne, rappresentante dell’Osce per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e ladiscriminazione, pur riconoscendo la diversità di approccio di Papa Ratzinger rispetto a Wojtyla non crede che “le nuove leve della diplomazia vaticana abbiano portato un cambiamento di linea. Anche perché la qualità è sempre alta. Il cambiamento piuttosto avviene fuori dalla Chiesa. Oggi, più che qualche decennio fa, la lettura anticonformista della realtà offerta dalla Chiesa disturba. E con i governi disturba le lobby che lavorano per escludere la Chiesa dall’influenza pubblica. La Chiesa, in sostanza, deve smettere di mettersi in mezzo, di dire la sua in merito alla ricerca sulle cellule staminali, sull’educazione sessuale, sull’aborto, l’eutanasia, la famiglia. La Chiesa, secondo queste persone, deve smettere di disturbare. E’ il mondo che è cambiato, che si è ferocemente secolarizzato”. Di qui lo scontro con paesi che dovrebbero essere amici. Non si tratta più di governi di destra o di sinistra: “L’odio verso la Chiesa è trasversale. In Irlanda al governo c’è la destra”. Nel dibattito avvenuto un anno fa tra Charles Taylor e Christoph Schönborn venne fuori che l’idea di espellere la Chiesa dalle decisioni che contano dei governi è antica e risale ai tempi di Marsilio da Padova del ’400: “Ma di certo oggi l’assalto è più feroce: sembra d’essere quasi a un assalto finale”. Il lavoro diplomatico è cambiato con Papa Ratzinger. Non è indifferente il fatto che i nunzi vengano ricevuti dal Papa soltanto all’inizio e alla fine del loro mandato e non con maggiore frequenza, come avveniva prima. Eppure, quando lo scorso gennaio il Papa ricevette il corpo diplomatico accreditato Gianni Cardinale su Avvenire sottolineò come sia oggi aumentato “il numero di paesi che intrattengono rapporti diplomatici con la Santa Sede”. Come svelato dai cablogrammi diffusi da Wikileaks, “l’ambasciata Usa in Vaticano in vista della visita di Obama sottolineava come la Santa Sede fosse seconda solo agli Usa per numero di paesi con cui intrattiene rapporti diplomatici”. Quanti? Con Papa Ratzinger sono divenuti 178. Ma al di là dei risultati numerici è innegabile che oggi le crisi diplomatiche a cui il Vaticano deve far fronte sono molteplici e non provengono solo da paesi ostili come può essere la Cina. Le crisi si verificano anche con le democrazie occidentali. Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, riconosce che “oggi molti paesi considerati amici della Chiesa non lo sono più, anche a motivo della forte secolarizzazione che ha investito l’occidente, e dunque molte delle crisi che questi paesi hanno con il Vaticano provengono anche dall’avanzare di questo fenomeno”. Certo, dice, “è cambiata anche la diplomazia vaticana, i suoi protagonisti e le sue linee d’azione. Oggi, in qualche modo, sembra che il Vaticano abbia meno interesse alle problematiche diplomatiche. Il Papa punta molto sulla forza del Magistero, richiama i fedeli alla verità, possiamo dire che illumina con la parola e l’esempio, il che non è ovviamente in contraddizione con una buona diplomazia, seppure è innegabile che l’attenzione è maggiormente riservata ai princìpi piuttosto che alla mediazione. E poi, rispetto al passato, la diplomazia della Chiesa è influenzata maggiormente da prospettive imposte dalla diplomazia internazionale, soprattutto occidentale, ad esempio sul terreno dei diritti umani e della libertà religiosa”. Che congli stati occorra sempre trattare era convinzione di Casaroli. Dice Giovagnoli: “Non separerei Casaroli da una tradizione che cominciò molto prima di lui, basti ricordare il card. Pietro Gasparri e successivamente il cardinale Domenico Tardini. Certo, a volte c’era un eccesso di fiducia negli interlocutori, ma comunque i risultati arrivarono. Oggi credo che parte di questa tradizionepossa tornare utile seppure i nemici, o gli interlocutori, sono cambiati”. Quali sono oggi i fronti più problematici? “Penso alla Cina, dove credo che le armi tradizionali possano ancora avere un senso. Penso ai paesi a maggioranza islamica. E penso poi alle sfide delle democrazie occidentali, al cuore dell’Europa dove a volte lo scontro è aspro”.

Paolo Rodari, Il Foglio

Il Papa in Germania. Un difficile viaggio ma che promette soprese. Contribuirà a modellare l'identità dei tedeschi, che significa essere cattolici

Tra tre settimane, Papa Benedetto XVI inizierà il suo viaggio di Stato in Germania, un viaggio apostolico che si preannuncia storico, stimolante e potenzialmente molto fruttuoso. Il viaggio, che si svolgerà dal 22 al 25 settembre, includerà una visita alla capitale tedesca, Berlino, e alle città di Erfurt, nell'ex Germania Est, e Friburgo in Brisgovia. Il Papa celebrerà una Messa all'aperto all'Olympiastadion di Berlino e altre due Eucaristie di questo tipo a Erfurt e Friburgo, e incontrerà figure di spicco della Chiesa, seminaristi, giovani e i leader ecumenici e interreligiosi del Paese. Il suo viaggio inizierà con un memorabile discorso al Parlamento Federale. Il viaggio sarà ricco di sfide: il secolarismo ha preso piede da molto tempo nella patria del Santo Padre, anche se senz'altro meno nella sua Baviera, con una minoranza di sacerdoti e di laici che esprime apertamente dissenso nei confronti dell'insegnamento della Chiesa. I problemi ecclesiali sono stati aggravati dalla crisi degli abusi sessuali, che continua a covare nel Paese. Gli effetti di tutto ciò sono drammatici. Secondo gli ultimi dati ecclesiali ufficiali, lo scorso anno il numero dei cattolici tedeschi che si sono de-registrati dalla propria chiesa cattolica locale è aumentato di almeno il 50%, da 124.000 persone a 181.000. Il problema si è aggravato in parte perché, come membri di una Chiesa, i tedeschi devono pagare una “tassa”, e la deregistrazione li libera da questo onere. Ad ogni modo, i cattolici continuano a rappresentare una percentuale significativa della popolazione, poco più del 30%, pari a 24,6 milioni di abitanti. “Il secolarismo [in Germania] è ovviamente un dolore per il Papa”, ha affermato Paul Badde, corrispondente da Roma per il quotidiano tedesco Die Welt. “Viene da un universo cattolico, una famiglia cattolica di un piccolo villaggio cattolico tedesco. Non era un mondo inscalfibile, ma dopo il 1945 ha dovuto testimoniare la sua rottura sempre più evidente attraverso l'accelerato processo di secolarismo che era iniziato in Germania”. Un così profondo allontanamento dalla Chiesa, crede Badde, rende il viaggio “più complicato” del pubblicizzatissimo viaggio di Stato del Papa in Gran Bretagna lo scorso anno, un viaggio che “alla fine è stata un gioco facile per lui”. La tappa berlinese sarà probabilmente la più difficile. Berlino è una città ancora presa dallo spirito edonistico degli anni Sessanta, e continua ad essere un punto di riferimento fondamentale per le ideologie secolariste. Sono state programmate molte proteste, inclusa una grande dimostrazione durante il discorso del Papa al Reichstag, il Parlamento. La maggioranza dei contestatori dimostrerà contro l'insegnamento della Chiesa sull'utilizzo del preservativo, l'aborto e l'omosessualità. Ad ogni modo, a differenza di ciò che è accaduto durante il viaggio di Papa Giovanni Paolo II nel 1996, quando la polizia non è stata in grado di controllare alcuni contestatori che hanno bersagliato la papamobile con la vernice, la speranza è che questa volta non si arriverà a violenze e arresti. Il sindaco apertamente omosessuale di Berlino, Klaus Wowereit, ha cercato di assumere un atteggiamento conciliatore, estendendo al Papa un benvenuto ufficiale, anche se dice di comprendere quanti hanno intenzione di protestare, presumendo che lo facciano pacificamente. Proteste o no, per Badde compiendo un viaggio di Stato in patria Benedetto XVI potrebbe “reinserire il cattolicesimo” nella mappa della Germania. La Nazione europea, sostiene, può essere il “Paese della Riforma”, ma ha profonde radici cattoliche, e ora un Papa bavarese sta aiutando i tedeschi a ricollegarsi alla loro lunga e ricca storia. “Quando ho saputo che era stato eletto, il mio primo pensiero è stato che la guerra era finita”, ha spiegato Badde. “Abbiamo avuto una grande storia, ma è stata ridotta a 12 anni – dal 1933 al 1945. Ma come sta facendo con la Chiesa attraverso la sua ermeneutica della continuità [la sua affermazione che il Concilio Vaticano II non ha segnato una frattura con la tradizione], il Papa sta rappresentando la più grande storia della Germania”. E' stato Benedetto XVI a cambiare il modo di vedere la Chiesa, e di vedere lui stesso, tra i tedeschi? Il sacerdote gesuita Bernd Hagenkord, direttore della sezione tedesca della Radio Vaticana, crede che la percezione dei tedeschi di Joseph Ratzinger e della Chiesa sia cambiata notevolmente in 30 anni. “Sono cresciuto negli anni Ottanta come un normale ragazzo cattolico, e abbiamo pensato che tutte le cose di Roma erano negative, che cercava di controllare tutto, non capiva il modo in cui pensiamo e viviamo e così via”, ha riconosciuto, aggiungendo che il card. Ratzinger era considerato negativamente per la sua opposizione a questioni come la teologia della liberazione. Il presbitero ha tuttavia sottolineato che questi atteggiamenti sono “cambiati molto”, e Benedetto XVI è percepito come più blando e più spirituale di prima, ad esempio rispetto ai suoi anni come cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. “C'era grande euforia quando è stato eletto – 'Noi siamo il Papa', recitavano i titoli dei giornali”, ha ricordato padre Hagenkord. “Ora l'euforia è finita, ma l'interesse resta, e molte persone sono interessate perché il Papa ha qualcosa da dire”. “Non è una popstar che appare e scompare e parla solo di amore, pace e felicità”, ha rilevato il gesuita. “Parla di cose che in genere non ami se sei un tedesco, ma che sono lì, ti sfidano e non sono proposte per ottenere i titoli dei quotidiani”. Badde, autore del recente libro “Il Volto Santo di Manoppello”, crede che piuttosto che una minoranza esista in Germania una “maggioranza silenziosa” che in realtà sostiene gli insegnamenti della Chiesa e a suo avviso sta diventando sempre meno silenziosa. “Internet permette un fenomeno non dissimile da ciò che è avvenuto in Egitto – le voci si fanno sentire”. Sia padre Hagenkord che Badde credono tuttavia che il vero impatto di questo Papa sulla Germania non si sentirà ancora per qualche anno. “E' un Papa di cui parleremo tra 20-30 anni”, ha dichiarato padre Hagenkord. “Si lascerà dietro molte cose, e noi le prenderemo e le 'masticheremo'”. Il sacerdote non crede che “la vecchia fede cattolica che conoscevamo” tornerà mai in Germania. “E' passata, per cui dobbiamo stabilire un nuovo modo di essere cattolici”, sostiene. “Il Papa, così come altri, contribuirà a questo, a modellare la nostra identità – che cosa significa essere cattolici”. Il maggiore impatto del Santo Padre in questo viaggio, ad ogni modo, interesserà probabilmente l'ex Germania Est. Padre Hagenkord vi vede un terreno fertile, e ha visto il Papa comunicare efficacemente a quanti abitano dove il comunismo non ha affatto eliminato il cristianesimo. “Si può vedere un interesse autentico, vogliono sapere di che cosa si tratta, come funziona, che cosa sono il Vaticano, un sacerdote, un Vescovo, perché non sanno più molto”, ha spiegato. “Vogliono ascoltare, discutere – non sono imprigionati dai conflitti che abbiamo sempre avuto nella Germania occidentale, come l'ordinazione di donne, il celibato, l'obbedienza”. E' in parte per questo che, per la sorpresa di qualcuno, un politico dell'ex Germania Est comunista e diventato di sinistra ha riempito di lodi Benedetto XVI il mese scorso. Gregor Gysi ha ringraziato il Papa per aver affermato costantemente che una società moderna deve avere norme morali per funzionare correttamente, secondo la Reuters. Gysi, un legislatore riformista degli ultimi anni dell'ex Germania Est, ha anche sottolineato con approvazione che Benedetto XVI ha affermato che le religioni senza ragione possono portare al fanatismo, mentre il pensiero razionale senza fede può portare a un eccesso di orgoglio e intolleranza. E' solo il primo di quelli che alcuni pensano potrebbero essere molti sviluppi inaspettati di questa storica visita in un Paese che ovviamente sta a cuore al Papa, ma è anche al centro delle tensioni secolariste-cristiane dell'Europa. “Ci saranno sicuramente sorprese”, afferma Badde, “sorprese per i tedeschi e per il mondo”.

Edward Pentin, Zenit

XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Inaugurazione della mostra 'Alla Mensa del Signore': per il Papa la bellezza segno dell'Incarnazione di Dio

Tanto il ministero sacerdotale quanto la missione dell’artista “aprono, certo con mezzi e modi diversi, al mondo del trascendente, dell’invisibile, dell’ineffabile”. Il parallelo, fatto da Papa Paolo VI, è stato ripreso oggi dal card. Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città delVaticano, all’inaugurazione della mostra “Alla Mensa del Signore. Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo”, allestita alla Mole Vanvitelliana di Ancona in occasione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Paolo VI, ha aggiunto il porporato, “parlava della forza profetica dell’arte”, Giovanni Paolo II “mise in luce il rapporto tra l’arte e il mistero dell’Incarnazione e la nuovadimensione della bellezza”, Benedetto XVI, “in una visione altamente spirituale, ha parlato della via pulchritudinis e della bellezza come segno, forma sperimentale dell’Incarnazione di Dio che ‘sa cogliere il Tutto nel frammento, risvegliando il senso della presenza di Dio’”. “Queste tre prese di posizione di tre grandi Pontefici, di diverso approccio al tema, ma assai omogenee tra di loro – ha precisato il porporato –, offrono un ampio valido fondamento dottrinale non solo per una concezione dottrinale sull’estetica dell’arte edell’arte sacra, ma per una prassi artistica adeguata alla realtà spirituale della Chiesa e alle sue specifiche esigenze”. Il card. Lajolo ha sottolineato come sia “ben significativo” il titolo della mostra, dal momento che l’Eucaristia è “il centro irradiante di tutta l’attività della Chiesa: non solo della liturgia, ma anche dell’annuncio della Parola, del servizio della carità e anche dell’arte sacra. Nell’Eucaristia è infatti presente e operante il Verbo incarnato, nella pienezza della sua realtà divina e umana, fornace ardente diamore per l’uomo, tesoro, al contempo nascosto e a tutti accessibile, di ogniscienza e conoscenza”. E proprio il Verbo incarnato, ha ricordato, “ha permesso di superare il severo divieto d’immagine enunciato nell’Antico Testamento. Nell’umanità del Cristo, di Gesù di Nazareth, il Dio invisibile si è fatto visibile, e noi dalla sua immagine, come insegna il Concilio ecumenico Niceno II, possiamo e dobbiamo risalire al ‘prototipo’, ovvero alla realtà che esso significa”. Il porporato ha infine distinto tra “arte religiosa” e “arte sacra”, limitando quest’ultimo termine “all’arte propriamente connessa con la liturgia della Chiesa e i suoi ambiti, o con la pietà, le pratiche devote del popolo cristiano”. In esposizione vi sono 120 opere, tra le quali molte sono di dimensioni monumentali, il cui allestimento è stato reso possibile grazie agli spazi della Mole Vanvitelliana. Un vero e proprio museo, pur se temporaneo, il cui tema evoca subito i nomi di Leonardo e Raffaello, il primo presente con la predella della pala Baglione raffigurante la Carità, il secondo evocato da molte opere fra cui spicca il gruppo scultoreo della basilica della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, che permetterà al pubblico di ammirare in forma tridimensionale il celebre affresco di Leonardo del convento delle Grazie. La straordinarietà di questa mostra risiede anche nella raccolta del vasto tesoro artistico conservato nelle diocesi marchigiane: un ordinamento storico-artistico mai realizzato prima d’ora e che rende la rassegna unica nel suo genere. A presiedere l’inaugurazione, oltre al card. Lajolo, mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, e delle autorità locali.

SIR

XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Domani al via con l'accoglienza del card. Re, il discorso del card. Bagnasco e l'arrivo della Croce della GMG

Arriverà dal mare, su un’imbarcazione proveniente da Numana, il legato pontificio, card. Giovanni Battista Re, per aprire il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, che Benedetto XVI concluderà poi personalmente l’11 settembre con una grande celebrazione nell’area della Fincantieri. Ad accogliere l’inviato del Papa al Porto di Ancona saranno l’arcivescovo di Ancona-Osimo, mons. Edoardo Menichelli, e il presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco. La cerimonia avrà due momenti: quello liturgico nella Cattedrale di San Ciriaco (foto), e quello civile nel Teatro delle Muse, dove il card. Bagnasco rivolgerà un discorso alle autorità civili. Seguirà una relazione del professor Andrea Riccardi, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre e fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Ci si sposterà poi alla Mole Vanvitelliana per l’arrivo della Croce della Giornata Mondiale della Gioventù proveniente da Madrid. Alla Mole Vanvitelliana, il card. Re inaugurerà poi lo Spazio Giovani. In serata raggiungerà infine la Fiera di Ancona per l’inaugurazione degli stand informativi. Mentre il segretario della CEI, mons. Mariano Crociata incontrerà i giovani e padre Ermes Ronchi, l’attuale successore di Padre Mariano su Rai Uno, proporrà una 'lectio divina'. Per l’intera settimana si alterneranno poi mostre, incontri e iniziative in attesa della visita di Benedetto XVI nel capoluogo marchigiano. Il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona sarà “un appuntamento di popolo”, ha spiegato mons. Menichelli, perché l’incontro intorno all’eucaristia “non è riservato a esperti, come accade in tanti altri convegni, ma è rivolto a tutti i fedeli”. Durante il Congresso saranno approfonditi in maniera particolare tre ambiti, l’affettività, la fragilità e la cittadinanza, tutti con un occhio particolare ai giovani, che dopo il successo della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, saranno i veri protagonisti dell’incontro. Secondo Menichelli, infatti, la vera preoccupazione della Chiesa oggi non deve essere per la “distanza tra il grande numero dei battezzati e la scarsità dei fedeli presenti alla messa domenicale”, ma impegnarsi per “fare in modo che chi ci va, a messa, abbia partecipato in maniera veramente consapevole e piena alla celebrazione eucaristica”. “Oggi - ha detto da parte sua ai giornalisti mons. Adriano Caprioli, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e presidente del Comitato della CEI per i Congressi eucaristici nazionali - viviamo in una società non più cristiana, per tanti aspetti”, ma il Papa invita “a non considerare questa distanza culturale come una disgrazia o una fatalità, ma come un’occasione preziosa, un’opportunità per operare scelte prioritarie sul nostro modo di essere cristiani”. Il primo Congresso Eucaristico si tenne nel 1881 a Lille, in Francia, promosso da una donna, Emilie Tamisier, che diede applicazione all’intuizione di san Pier Giuliano Eymard, “l’Apostolo dell’Eucaristia” scomparso 20 anni prima. L’idea fu poi sostenuta da Leone XIII e i Congressi sono diventati un appuntamento regolare in molti paesi e a livello internazionale.

Agi

Il Papa: dagli attuali scenari culturali, sociali ed economici le stesse sfide per cattolici e ortodossi. Rinnovato vigore nell'annuncio del Vangelo

''Gli attuali scenari culturali, sociali ed economici pongono a cattolici ed ortodossi le medesime sfide'': lo scrive Papa Benedetto XVI nella lettera inviata al presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, card. Kurt Koch, in occasione del XII Simposio Intercristiano sul tema ''La testimonianza della Chiesa nel mondo contemporaneo'' in corso a Salonicco dal 30 agosto al 2 settembre. Si tratta di un tema, secondo il Pontefice, ''di grande attualità ed è al centro delle mie preoccupazioni e preghiere''. ''Nel corso dei secoli - ricorda Papa Ratzinger - la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma quello stesso annuncio ha bisogno oggi di un rinnovato vigore in molte delle regioni che per prime ne accolsero la luce, e che sperimentano gli effetti di una secolarizzazione capace di impoverire l'uomo nella sua dimensione più profonda''. ''In realtà - prosegue il Pontefice - assistiamo, nel mondo contemporaneo, a fenomeni contraddittori: da un lato si registra una diffusa distrazione o anche insensibilità nei confronti della trascendenza, dall'altro, vi sono numerosi segni che attestano il permanere, nel cuore di molti, di una profonda nostalgia di Dio che si manifesta in modi diversi e pone numerosi uomini e donne in atteggiamento di sincera ricerca''. È qui, prosegue il Pontefice, che scatta la responsabilità di cattolici e ortodossi, di fronte a sfide che sono “comuni”. “La conoscenza reciproca delle nostre tradizioni e l'amicizia sincera rappresentano – assicura il Papa – già in sé stesse un contributo alla causa dell'unità dei cristiani”. Perché “la sorte dell’evangelizzazione – ricordava Paolo VI, citato dal Papa – è certamente legata alla testimonianza di unità data dalla Chiesa”.

Asca, Radio Vaticana

LETTERA DEL SANTO PADRE AL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI IN OCCASIONE DEL XII SIMPOSIO INTERCRISTIANO

Le Ville Pontificie di Castel Gandolfo, tra luogo dello spirito e azienda agricola modello. Dove Benedetto XVI è felice di stare perchè trova tutto

"Qui trovo tutto: montagna, lago e vedo persino il mare, una bella chiesa con la facciata rinnovata, e gente buona. Per questo sono felice di essere qui". Con queste poche parole, semplici e non di circostanza, Benedetto XVI ha salutato dalla finestra esterna del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo la folla di fedeli che, nel tardo pomeriggio del 7 luglio, lo ha festosamente accolto in quella che da secoli è la residenza estiva dei Sommi Pontefici. Poche parole che sono, si perdoni il paragone, quasi uno "spot pubblicitario" d’eccezione, offerto, gratuitamente, da un "testimonial" di insuperabile notorietà. Parole che sono piaciute non poco al sindaco della ridente cittadina dei Castelli romani, tanto che il Comune le ha subito immortalate a futura memoria in una solenne targa marmorea. Ma che non di meno hanno fatto gioire il dottor Saverio Petrillo, che dal 1986 è il direttore delle Ville Pontificie, il cosiddetto "Vaticano numero due" che in realtà è ben più grande dello stesso "numero uno", la Città del Vaticano: 55 ettari contro 44. Anche perché, per il secondo anno consecutivo, Benedetto XVI ha concesso, come accadeva tradizionalmente in passato, la sua "esclusiva" in fatto di vacanze estive al Complesso delle Ville Pontificie. Complesso che è il frutto di una serie di acquisizioni avvenute nel corso degli ultimi quattro secoli. Da principio lo storico Palazzo Apostolico che Urbano VIII nel ’600 elesse a residenza estiva dei Pontefici, dove si trova anche la storica sede del centro di osservazione astronomica affidata ai gesuiti, la Specola Vaticana. Seguì l’adiacente Villa Cybo, acquistata da Clemente XIV nel 1773. Infine arrivò la contigua Villa Barberini, incamerata, insieme a dieci ettari di terreno coltivabile fatti comprare da Pio XI come gesto di rispetto e considerazione nei confronti del mondo agricolo, in seguito ai Patti Lateranensi, quando tutto il complesso divenne zona extraterritoriale. Cosicché Petrillo ama scherzare sulle sue competenze che vanno "dalle stelle alle stalle". Al di là delle battute il direttore delle Ville governa su una cinquantina di lavoratori, divisi tra giardinieri/agricoltori e tecnici addetti alla manutenzione. La parte agricola si può dire che sia una piccola fattoria modello che riesce sempre ad autofinanziare ogni attività. Un podere che sforna 500-600 litri di latte vaccino e duecento uova al giorno, frutta (ciliegie, fichi, kiwi, e le famose pesche di Castel Gandolfo), ortaggi. Senza contare l’olio prodotto da 900 ulivi, compreso quello storico donato da re Hussein di Giordania a Paolo VI durante il viaggio in Terra Santa del 1964. Tutti prodotti che arrivano giornalmente, freschissimi, alla mensa del Papa, ma anche allo spaccio vaticano e ad alcuni negozi castellani. Mancano vigneti: "In passato fu tentato di impiantarli, ma l’operazione non riuscì perché l’esposizione non è ottimale per questo tipo di coltura, ora stiamo studiando di fare un nuovo tentativo", spiega Petrillo. Ovviamente però più che l’azienda agricola il fiore all’occhiello delle Ville Pontificie sono i curatissimi Giardini dove il Papa può fare lunghe passeggiate tra pini e cipressi, lecci e limoni, rose e violette, ortensie e magnolie. Un vero spettacolo di colori e profumi. Impreziosito da fontane, balaustre e scalinate barocche, da statue e ruderi romani che spuntano da ogni dove. Tutto il complesso infatti insiste su quella che fu l’imponente villa di Domiziano, il cui resto più appariscente è certamente il gigantesco criptoportico lungo centinaia di metri. C’è il Giardino del Moro, il più antico, attiguo al Palazzo apostolico, che Benedetto XVI ama frequentare per le brevi passeggiate successive ai pasti. E poi ci sono i grandi giardini del Belvedere che invece Papa Ratzinger raggiunge con una golfcar bianca nel pomeriggio per una camminata più lunga quando recita il rosario quotidiano insieme al suo segretario particolare, mons. Georg Ganswein, camminata che si conclude solitamente con un canto mariano intonato davanti alla statua della Beata Vergine Maria fatta erigere da Pio XI davanti ad un laghetto artificiale. Lo scorso anno il CTV "rubò" alcune scene di questa passeggiata, facendo vedere le immagini del simpatico gesto del Papa che getta molliche di pane nello specchio d’acqua per nutrire i pesci bianchi e rossi, e le due carpe, che lo abitano. Non si trattò di una concessione pontificia alle esigenze televisive dell’emittente vaticana, ma di un gesto spontaneo, compiuto dal Papa con la semplicità di un bimbo. È sempre nei giardini poi che si trova la piscinetta di 18 metri quadri che Giovanni Paolo II volle far costruire a vantaggio della propria salute fisica (gli immancabili borbottatori, ricorda Petrillo, subirono la battuta fulminante di Papa Wojtyla: "Costerebbe di più un nuovo Conclave"). Piscinetta che fu usata almeno fino al 2000, quando rinfrancò il Papa polacco reduce dall’afosa GMG agostana di Tor Vergata. A passeggiare nei Giardini di Castel Gandolfo, quando non c’è il Papa, possono accedere anche porporati che ne facciano richiesta. È noto che quando il card. Giovanni Battista Montini venne a Roma per il conclave successivo alla morte di Giovanni XXIII chiese e ottenne ospitalità al direttore delle Ville dell’epoca, Emilio Bonomelli, che era suo amico di vecchia data. "Lo fece - ricorda sorridendo Petrillo - per sfuggire alla curiosità dei giornalisti che già lo indicavano come principale "papabile"...". Sia l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, che il card. Camillo Ruini più di una volta hanno cercato qui un luogo dove poter fare delle tranquille camminate ristoratrici. Diverso è il discorso per il segretario di Stato. Dai tempi del card. Jean Villot, che ricoprì l’incarico con Paolo VI, il più stretto collaboratore del Papa ha a sua disposizione un appartamento nel piano nobile di Villa Barberini, nello stesso Palazzo dove risiede e ha gli uffici il direttore. Il complesso delle Ville Pontificie, quando è stato necessario, ha aperto le sue porte non solo a Papi o cardinali, ma anche alla popolazione circostante. Nella storia si ricorda quando nel 1798 alcuni insorti antifrancesi vennero accolti nel Palazzo Pontificio, ma le truppe di Gioacchino Murat lo sfondarono a cannonate e li trucidarono tutti. Ma l’episodio più clamoroso risale alla Seconda guerra mondiale, quando le Ville arrivarono ad ospitare oltre diecimila tra sfollati, sbandati, militari alla macchia. Per governare questa popolosa "comunità" di rifugiati il direttore Bonomelli organizzò addirittura un piccolo servizio d’ordine e una efficiente infermeria che fu affidata ad un giovane medico di Albano, Antonio Ascenzi, che poi sarebbe diventato un famoso anatomopatologo. La maggior parte dei rifugiati erano i poveri abitanti di Albano, Ariccia, Genzano e degli altri centri vicini. Non mancarono anche alcune famiglie di ebrei e personalità famose. Dal settembre al dicembre 1943 fu ospitato Alcide De Gasperi. Furono accolti anche dirigenti fascisti come Giuseppe Bottai o Antonio Marpicati, "che era accompagnato – sottolinea Petrillo – dal giovane nipote Luigi Pintor" che poi sarebbe diventato un celebre giornalista de Il Manifesto. Non tutti, in seguito, manifestarono riconoscenza per l’aiuto ricevuto. Ma la popolazione più semplice sì. Lo dimostra un fatto curioso e commovente. Durante quei mesi terribili nacquero nel Palazzo pontificio circa cinquanta bambini. Pio XII fece diventare il suo appartamento personale il reparto partorienti e le gestanti diedero alla luce i bimbi proprio sul letto del Papa. Ebbene, a moltissimi di questi pargoli venne dato il nome di Pio e di Eugenio, proprio come gesto di riconoscenza verso Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli.

Gianni Cardinale, Avvenire

Nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo: tutti gli animali del Papa

Il 15 ottobre a Santiago del Cile marcia dei cattolici laici per esprimere pubblicamente l'allegria della fede. Le foto dell'evento in dono al Papa

In una delle più importanti piazze di Santiago del Cile, "Plaza Italia", nel centro della città, il 15 ottobre si svolgerà una manifestazione singolare e inedita nella storia della regione latinoamericana: migliaia di cattolici laici, impegnati attivamente in numerose iniziative di solidarietà, accompagnamento, educazione, formazione e assistenza, si incontreranno a mezzogiorno per esprimere pubblicamente la propria fede e farlo, dice la lettera d'invito, “con spirito di festa, gioia e speranza”. La manifestazione, che ha ricevuto il caldo sostegno dell'arcivescovo della capitale, mons. Ricardo Ezzati, è stata chiamata "L'allegria di essere cattolici" e dopo un primo incontro in piazza proseguirà come un marcia verso il centro della città. Gli organizzatori hanno annunciato che sarà realizzato uno speciale servizio fotografico dell'evento che poi sarà fatto recapitare a Papa Benedetto XVI come "espressione di affetto e devozione". Infatti, il raduno e la marcia, alla quale si consiglia partecipare con una maglietta bianca, desiderano "manifestare pubblicamente la fede, dando testimonianza dell'adesione alla Chiesa cilena, a suoi vescovi e sacerdoti e al Santo Padre" che ci ha "insegnato che la Persona di Cristo trasmette ad ognuno dei suoi discepoli allegria e speranza". "Sono i tempi che viviamo, si legge nel manifesto, ciò che anima ad uscire per strada, come membri della Chiesa, per proclamare la nostra fede in Cristo e per rendere testimonianza" dei nostri doveri "di impegno con il Vangelo, di solidarietà con i più deboli e di iniziativa concreta nella nostra società".

Luis Badilla, Il Sismografo

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