venerdì 18 gennaio 2013

'L'infanzia di Gesù'. Davanti al solo uomo che è la misura per tutti: il Papa desidera mostrarci cosa significa che Gesù e il Dio con noi. I racconti un importante cardine tra l'Antico e il Nuovo Testamento

di Gerhard Ludwig Müller
Arcivescovo prefetto della Congregrazione per la Dottrina della Fede

Con il prologo sui “racconti dell’infanzia”, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI completa la sua trilogia su Gesù di Nazaret, che la Chiesa professa come unico mediatore fra Dio e gli uomini (cfr. 1 Timoteo, 2, 5). Il primo volume tratta del cammino di Gesù "dal Battesimo alla trasfigurazione", mentre il secondo conduce il lettore dall’"ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione". Vale certamente la pena studiare questa straordinaria opera di circa novecento pagine. Chiunque desideri sapere cosa si può aspettare da Dio e qual è la situazione dell’uomo, deve passare per Gesù di Nazaret. Gesù, infatti, non è una qualunque delle figure determinanti della storia dell’umanità, bensì il solo uomo che è la misura per tutti. Per mezzo di lui, Dio è venuto da noi, in lui ci ha accettati e ha rivelato a ogni essere umano la sua vocazione più alta. È l’unico nome sotto il cielo per mezzo del quale verremo salvati (cfr. Atti degli apostoli, 4, 12). Per questo la Chiesa crede che in Cristo sono dati "la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana" ("Gaudium et spes", n. 10). Composta da tre parti, l’opera non è redatta secondo un ordine cronologico, poiché i vangeli non vogliono essere una biografia nel senso di genere letterario. Quale testimonianza della Chiesa, essi rivelano il significato salvifico di Cristo, che è stato mandato dal Padre e la cui vita sfocia nella morte e nella risurrezione. Pertanto, i due volumi sulla vita pubblica di Gesù e sulla passione e la risurrezione costituiscono la parte più consistente della trilogia. Anche se l’ultimo volume pubblicato, sui racconti dell’infanzia di Gesù in Matteo e in Luca, è molto più breve, ciò non sminuisce l’importanza dei primi due capitoli dei suddetti vangeli. I racconti dell’infanzia non si dilungano in bei ricordi dei primi anni di vita di una persona che da adulta finisce al centro dell’attenzione. Sono invece intimamente intrecciati con il Vangelo di "Gesù Cristo, figlio di Dio" (Marco, 1, 1) per formare un’unità. Soprattutto, anche dal punto di vista letterario, rappresentano il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Costituiscono un importante cardine tra le due parti della Scrittura e mostrano così l’unità della storia della salvezza. L’universo semantico del racconto dell’annunciazione nasce dalla fede del popolo di Dio, così come viene testimoniata dall’Antico Testamento, incompatibile con qualsiasi genere di mitologia antica e moderna. Anche se nei due Vangeli non tutti i dettagli storici corrispondono e la presentazione delle diverse scene segue la concezione teologica del singolo evangelista, non c’è però alcun dubbio sulla credibilità storica dei racconti dell’infanzia. Il loro centro storico-teologico è il concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo e la sua nascita dalla Vergine Maria, sine virili semine. Si viene così condotti, in modo ben ponderato e chiaramente formulato dal punto di vista intellettuale, verso il mistero della persona di colui che è "luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Luca, 2, 32). È così che si esprime Simeone nella presentazione del Signore nel Tempio. La peculiarità letteraria e teologica dei Vangeli corrisponde all’unicità di Gesù, che è giunta fino a noi attraverso la testimonianza dei discepoli e della Chiesa primitiva dopo la Pasqua e la Pentecoste. Maria, sua madre, e altri familiari sono collegati alla vita pubblica di Gesù e testimoniati anche dalla Chiesa dei primordi. È per questo che la loro testimonianza della vita nascosta di Gesù, nei primi trent’anni della sua vita, rientra nella tradizione su Gesù e costituisce parte integrante della professione di Cristo da parte della Chiesa. Non è una costruzione letteraria basata su un’idea teologica soggettiva a collegare i racconti dell’infanzia con la narrazione della vita pubblica di Gesù e con la testimonianza della passione e della risurrezione. Piuttosto, è il Dio uno e trino a rivelarsi, nella fede della Chiesa, come autore della Sacra Scrittura nell’Antico e nel Nuovo Testamento, nell’unica storia della salvezza. Sarebbe in contraddizione con la peculiarità letteraria dei vangeli, quale testimonianza della persona e della missione di Gesù, se si volesse portare alla luce un nucleo storico e lasciare tutto il resto a un’interpretazione esistenziale libera. Alla luce della fede, i racconti dell’infanzia di Gesù formano una parte costitutiva del Vangelo di Cristo. Il Bambino, che per opera dello Spirito Santo nasce dalla Vergine Maria, salverà il popolo dai suoi peccati (cfr. Matteo, 1, 21). La grande gioia, della quale deve essere reso partecipe tutto il popolo, si fonda sul messaggio dell’angelo ai pastori: "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore", che è messia, il Signore (Luca, 2, 11). Nei racconti dell’infanzia è possibile riconoscere accenni di diversi generi letterari. Ma ciò non limita la loro volontà di espressione storico-teologica. In quanto Vangelo, sono professione di Cristo, Figlio di Dio, che edificherà per tutti il regno di Dio. Così, nel primo capitolo il Papa inizia dalla domanda circa l’origine di Gesù quale domanda circa l’essere e la missione, a partire dalla spiegazione di due genealogie. Prosegue poi, nel secondo capitolo, con l’esposizione dell’annuncio della nascita del Battista e di Gesù, per trattare poi nel terzo capitolo la nascita del Signore a Betlemme e la sua presentazione nel Tempio. Nel quarto capitolo il Papa si dedica alle narrazioni sui magi d’oriente e sulla fuga in Egitto della sacra famiglia. In un epilogo viene spiegato il racconto di Gesù, dodicenne, nel Tempio, che riveste una grandissima importanza dal punto di vista cristologico. Qui, per la prima volta, Gesù stesso prende la parola, rivelando la propria discendenza trascendente da Dio. Nel Tempio egli si trova nella casa del «Padre mio». Nel tempio del suo corpo ora Dio è per sempre in mezzo a noi nella sua gloria, nella sua misericordia e nel suo amore. Per riconquistare l’unità intima della dogmatica e dell’esegesi, occorre superare la contrapposizione dualistica del razionalismo e dell’empirismo nella filosofia moderna. La ragione dell’uomo, nella sua esistenza fisico-mentale, ha sempre un orientamento empirico-storico, e allo stesso tempo supera sempre ciò che può essere constatato in modo solo positivistico. Anche il mondo concreto viene reso accessibile dal punto di vista linguistico e intellettuale, per cui l’uomo è sempre ed essenzialmente aperto alla ragione trascendente di ogni realtà. Dio gli si può rivelare nel mondo e nella storia. L’incarnazione del Verbo e il concepimento di Gesù come uomo, per opera dello Spirito Santo, non è un mito e nemmeno una rarità biologica, bensì una verità storica. Infatti, diversamente dalla gnosi, con il suo aspro dualismo tra spirito e materia, il creatore del cielo e della terra nella sua azione salvifica abbraccia ogni dimensione del creato. Chi crede che Dio ha il potere sulla materia, comprende anche la ragionevolezza della fede nell’incarnazione del Verbo nella Vergine Maria, nella risurrezione del corpo del Signore e nella transustanziazione del pane e del vino nella carne e nel sangue di Cristo nel sacramento dell’altare. Quando qualche scettico mi domanda se davvero credo che il Figlio unigenito di Dio sia stato concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria senza il contributo di un uomo, allora rispondo con convinzione e senza esitare: sì, perché credo in Dio, per il quale nulla è impossibile. Il creato non sfugge dalla mano di Dio. Il Verbo eterno può farsi carne in una vergine. Ragionevoli sono la fede in Dio e l’illimitatezza delle sue possibilità d’azione. Sarebbe invece contrario alla ragione limitare il piano salvifico e l’azione di Dio nella storia a ciò che l’uomo considera possibile. Il motivo più profondo di chi rifiuta il fatto che Cristo sia nato dalla Vergine Maria è di natura filosofico-dualistica e gnostica contraria alla materia, ed è radicato nella paura che Dio potrebbe avvicinarsi troppo all’uomo. Dalla fede, invece, nasce la gioia per il fatto che Dio ha guardato all’umiltà della sua ancella. Laddove si riconosce l’amore di Dio, non ci sono più paure e timori, perché siamo chiamati, e siamo, figli e figlie di Dio. Il messaggio dei vangeli non si esaurisce però nel dibattito sul tema moderno di fede e ragione. La sua importanza attuale emerge pienamente nel rapporto tra l’azione di Dio e la risposta umana. La grazia di Dio agisce in modo tale da rivolgersi alla libertà dell’uomo e portarla a compimento. Proprio nella libera accettazione della Vergine Maria si rivela che lo Spirito di Dio è sempre uno Spirito di libertà e di amore. In Maria, madre dei credenti, l’uomo viene elevato e reso libero. I racconti dell’infanzia si mostrano in tutta la loro modernità laddove si tratta della grazia che conduce l’uomo alla sua piena libertà. Quando Maria dà all’angelo la risposta della sua vita «avvenga di me quello che hai detto», per ogni uomo diventa evidente che è chiamato alla «libertà e alla gloria dei figli di Dio». Scrive il Papa: "È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo 'sì'" (p. 47). Nella premessa l’autore definisce il suo libro sui racconti dell’infanzia "una specie di piccola 'sala d’ingresso' ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret". Nella piena consapevolezza dei problemi teologici e storici che si pongono quando si studia la Sacra Scrittura, "la domanda circa il rapporto del passato con il presente fa immancabilmente parte della stessa interpretazione". Poiché, secondo la nostra fede, è Dio l’autore della testimonianza della sua azione salvifica, per mezzo di Gesù Cristo e nello Spirito Santo, in ultima analisi l’esegesi scientifica non serve ciò che è stato un tempo, ma colui che è il Verbo, che si è fatto uomo e ha dimorato in mezzo a noi. Attraverso il suo nuovo libro, il Papa desidera mostrarci che cosa significa che Gesù è l’Emmanuele, Dio con noi (cfr. Matteo, 1, 23).

L'Osservatore Romano

Benedetto XVI nomina mons. Eamon Martin coadiutore dell’arcidiocesi di Armagh: diventerà il successore del card. Brady, che aveva coperto casi di abusi su minori

Benedetto XVI ha nominato oggi mons. Eamon Martin (foto) nuovo arcivescovo coadiutore dell'arcidiocesi di Armagh, nell'Irlanda del Nord. Mons. Martin, 51 anni, era finora amministratore diocesano della diocesi di Derry, dopo le dimissioni nel 2011 del precedente vescovo, mons. Seamus Hegarty. Come nuovo coadiutore, Martin diventerà il successore dell'attuale arcivescovo di Armagh, card. Sean Brady, e come tale futuro primate di tutta l'Irlanda. La nomina del nuovo coadiutore arriva dopo che nei confronti di Brady si erano ripetute le richieste di dimissioni per aver coperto casi di abusi sessuali di sacerdoti nei confronti di minori: coperture ammesse dallo stesso porporato. Il primate d'Irlanda aveva anche detto nel 2010, quando la vicenda era venuta alla luce, di provare "vergogna" per il fatto di essere stato presente agli incontri in cui bambini dovevano sottoscrivere impegni al silenzio sulle accuse contro il sacerdote Brendan Smyth (morto nel 1997), uno dei più noti pedofili d'Irlanda. Molte vittime avevano invocato le dimissioni di Brady.

Vatican Insider 

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il Magistero del Papa: come potrebbero e possono, gli uomini di oggi, conoscere il volto di Dio nel volto di Gesù Cristo se noi cristiani siamo divisi, se uno insegna contro l’altro, se uno sta contro l’altro?

“Quel che il Signore esige da noi”: su queste parole del Profeta Michea si fonda il tema dell’edizione 2013 della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che inizia oggi. Sin dall’alba del suo Pontificato, Benedetto XVI ha posto il dialogo ecumenico tra le priorità del suo ministero e in molte circostanze le sue parole hanno espresso con forza l’auspicio che tutti i credenti in Cristo ritrovino l’unità della prima ora della Chiesa. L’unità della Chiesa nasce a poche ore dalla sua apparente fine. Nasce nel Cenacolo – in quella splendida, intensa preghiera di Gesù che affida al Padre gli Apostoli – e sembra distrutta di lì a poco, quando l’autore della preghiera pende crocifisso sul Golgota. Tra il Getsemani e il Calvario gli Apostoli rinnegano, scappano, si danno per vinti. E in quel loro disperdersi sembra annidarsi il segno di ciò che, nei secoli avvenire, sarà della comunità cristiana, creata sul sangue di un Dio morto e risorto ma incapace di restare unita come il suo Artefice l’aveva pensata e benedetta. Riflettendo sui primi anni del cristianesimo, Benedetto XVI notò in una occasione l’intervento cui fu costretto San Paolo già ai tempi dei primi fedeli corinzi: “L’Apostolo, infatti, aveva saputo che nella comunità cristiana di Corinto erano nate discordie e divisioni; perciò, con grande fermezza, aggiunge: 'E’ forse diviso il Cristo?'. Così dicendo, egli afferma che ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo; e, al tempo stesso, che è sempre in Lui, unico Capo e Signore, che possiamo ritrovarci uniti, per la forza inesauribile della sua grazia” (Angelus, 23 gennaio 2011).
La tentazione della discordia è davvero antica pur tra chi è stato creato per essere una cosa sola. E la conseguenza di quella “offesa a Cristo” – ha messo più volte in risalto il Papa – è che la divisione tra i cristiani è sovente uno schermo nero che non lascia trasparire appieno la presenza di Dio al resto dell’umanità: "Il mondo soffre per l’assenza di Dio, per l’inaccessibilità di Dio, ha desiderio di conoscere il volto di Dio. Ma come potrebbero e possono, gli uomini di oggi, conoscere questo volto di Dio nel volto di Gesù Cristo se noi cristiani siamo divisi, se uno insegna contro l’altro, se uno sta contro l’altro? Solo nell’unità possiamo mostrare realmente a questo mondo – che ne ha bisogno – il volto di Dio, il volto di Cristo" (Udienza generale, 23 gennaio 2008).
E il primo e più immediato modo di testimoniare l’unità tra cristiani divisi è quello di pregare assieme: "Nella preghiera comune, le comunità cristiane si pongono insieme di fronte al Signore e, prendendo coscienza delle contraddizioni generate dalla divisione, manifestano la volontà di ubbidire alla sua volontà ricorrendo fiduciosi al suo onnipotente soccorso...La preghiera comune non è quindi un atto volontaristico o puramente sociologico, ma è espressione della fede che unisce tutti i discepoli di Cristo” (Udienza generale, 23 gennaio 2008) .
Preghiera, certo, ma non solo, per non essere cembali squillanti. Ci vuole anche l’azione, quella della carità. Ed è ciò che Benedetto XVI ha sempre auspicato del dialogo ecumenico. Affiancare alla preghiera condivisa anche dei gesti concreti di condivisa solidarietà: “Ciò favorisce il cammino dell’unità, perché si può dire che ogni sollievo, pur piccolo, che i cristiani recano insieme alla sofferenza del prossimo, contribuisce a rendere più visibile anche la loro comunione e la loro fedeltà al comando del Signore” (Udienza generale, 17 gennaio 2007).

Radio Vaticana

Benedetto XVI concede la 'Ecclesiastica Communio' al nuovo Patriarca di Alessandria dei Copti Ibrahim Isaac Sidrak e accetta le dimissioni del card. Antonios Naguib

Il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la “Ecclesiastica Communio” richiestagli in conformità al can. 76 § 2 del CCEO da Sua Beatitudine Ibrahim Isaac Sidrak, canonicamente eletto Patriarca di Alessandria dei Copti il 15 gennaio 2013 dal Sinodo di quella Chiesa Patriarcale. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa Copta Cattolica, riunitosi a Moqattam (Il Cairo-Egitto) dal 12 al 16 gennaio 2013, dopo aver consultato il Santo Padre, ha accettato la rinuncia all’Ufficio presentata dal card. Antonios Naguib (foto), Patriarca di Alessandria dei Copti, in conformità al CCEO can. 126 § 2. Il medesimo Sinodo ha eletto nuovo Patriarca mons. Ibrahim Isaac Sidrak, finora vescovo di Minya. Mons.

Il Sismografo

CONCESSIONE DELL’ECCLESIASTICA COMMUNIO AL NUOVO PATRIARCA DI ALESSANDRIA DEI COPTI

Quaresima 2013. Sarà il card. Ravasi a predicare gli Esercizi spirituali del Papa e della Curia romana, dal 17 al 23 febbraio. 'Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera' il tema

"Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica". È il tema degli esercizi spirituali, che si terranno in Vaticano, da domenica 17 a sabato 23 febbraio, ai quali parteciperà Benedetto XVI. Le meditazioni saranno dettate dal card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Saranno introdotte da una riflessione sui verbi della preghiera: "Respirare, pensare, lottare, amare". Alla base di questi esercizi ci sarà il Salterio biblico. Parole umane e ispirazione divina dei salmi accompagneranno la riflessione in un duplice itinerario: ascensionale, verso il mistero, e discensionale, alla scoperta della luce divina che illumina il volto dell’uomo. Gli esercizi si terranno nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico. Oltre al Pontefice, saranno presenti i membri della Curia romana. Ravasi sarà il primo capo dicastero della Curia in funzione a predicare questo ritiro spirituale nel corso del Pontificato. Come ogni anno, il Papa sospenderà tutte le udienze, compresa l’Udienza generale, per gli Esercizi spirituali dei responsabili della Curia. L’anno scorso, il Papa aveva affidato questo compito al cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo). Prima di lui ci sono stati tre italiani, i cardinali Marco Cé e Giacomo Biffi, mons. Enrico dal Covolo, due francesi, il card. Albert Vanhoye e padre François-Marie Léthel, e anche il cardinale nigeriano Francis Arinze, allora appena pensionato.

L'Osservatore Romano - Antoine-Marie Izoard, Vatican Insider 

Anno della fede. Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani: il Concilio Vaticano II intende l’impegno ecumenico come parte essenziale della missione della Chiesa. Senza la ricerca dell’unità la fede rinuncerebbe a se stessa

di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei cristiani

L’Anno della fede, che ci dona Papa Benedetto XVI, si collega strettamente al Concilio Vaticano II da un punto di vista non solo temporale, ma anche di contenuto. Esso è stato infatti inaugurato nel giorno della commemorazione dell’apertura del concilio, avvenuta cinquant’anni fa, ed è animato dall’intento di attualizzarne le principali affermazioni magisteriali, vedendo in esso il punto di riferimento decisivo per la missione della Chiesa anche oggi. In ciò rientra anche l’impegno ecumenico assunto dalla Chiesa cattolica, il quale non è un tema secondario del concilio, ma una delle sue priorità centrali, come si legge già nella prima frase del decreto sull’ecumenismo: "Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro concilio ecumenico Vaticano II" ("Unitatis redintegratio", n. 1). La convinzione che l’ecumenismo sia stato un importante leitmotiv del concilio anche e precisamente per il rinnovamento della Chiesa cattolica è stata espressa da Papa Paolo VI già all’inizio della seconda sessione dello stesso concilio, nel suo incisivo discorso di apertura, al quale l’allora consultore Joseph Ratzinger riconosceva «un vero carattere ecumenico». Il Papa sottolineava che l’avvicinamento ecumenico tra i cristiani e le Chiese divisi era uno degli obiettivi centrali, ovvero il dramma spirituale, per cui il concilio era stato convocato. E nel momento della promulgazione del decreto sull’ecumenismo, alla fine della terza sessione del concilio, egli affermava espressamente che questo decreto delucidava e completava la costituzione dogmatica sulla Chiesa: "Ea doctrina explicationibus completa". In tal modo, Papa Paolo VI rimarcava in maniera inequivocabile che il decreto sull’ecumenismo non era né un documento a parte né poteva essere considerato come un documento tra i tanti, ma si collocava all’interno dell’intero Magistero conciliare e costituiva il risultato dell’attenzione rivolta a una delle priorità centrali di tutto il concilio. In questo senso, la costituzione sulla sacra liturgia menziona tra gli obiettivi del Concilio quello di "favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo" ("Sacrosanctum concilium", n. 1). Il decreto sull’attività missionaria della Chiesa ricorda che gli sforzi ecumenici si congiungono saldamente all’opera missionaria, poiché la divisione dei cristiani è di pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo e "impedisce a molti di abbracciare la fede" ("Ad gentes", n. 6). All’impegno ecumenico è improntata anche tutta la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, come si evince in particolare dai paragrafi conclusivi: "Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità" ("Gaudium et spes", n. 92). Un intimo nesso esiste soprattutto tra il decreto sull’ecumenismo e la costituzione dogmatica sulla Chiesa, nella quale si trovano i fondamenti di fede dell’impegno ecumenico della Chiesa Cattolica. L’ecumenismo è tutt’altro che una questione di mera politica ecclesiale o una faccenda puramente pragmatica; esso, piuttosto, è intrinseco alla fede stessa. Pertanto, l’Anno della fede ci chiama anche ad attualizzare i fondamenti di fede del compito ecumenico della Chiesa e a cementarli nuovamente davanti a una situazione ecumenica profondamente mutata. Mi limiterò qui a ricordare i due principali fondamenti dogmatici dell’ecumenismo enunciati dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa. Il fondamento di più ampia portata su cui si basa il legame ecumenico esistente tra la Chiesa Cattolica e i cristiani non cattolici viene individuato in primo luogo nel vincolo sacramentale del battesimo, come si legge nell’articolo 15 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa: "La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il Successore di Pietro". Il riconoscimento del battesimo come vincolo sacramentale di unità tra tutti coloro che tramite esso sono rinati si basa soprattutto sul fatto che il battesimo unisce il battezzato a Cristo così intimamente che il battezzato trova la sua dimora in Gesù Cristo e vive in una reciproca compenetrazione, quasi mistica. Ne consegue direttamente che, con il passaggio esistenziale del battezzato a Cristo, avviene anche la sua immissione nella Chiesa come Corpo di Cristo. Infatti, l’essere in Cristo come dono del battesimo è una realtà ecclesiale di base: “essere in Cristo” è sinonimo di “essere nel Corpo di Cristo”. Il battesimo è la porta d’entrata nella Chiesa e, dunque, anche nell’ecumenismo. Il battesimo e il mutuo riconoscimento del battesimo costituiscono il fondamento di fede di tutti gli sforzi ecumenici a tal punto che l’ecumenismo cristiano è essenzialmente ecumenismo battesimale e sta o cade proprio con questo fondamento. In secondo luogo, alla luce di quanto appena detto, è coerente che soprattutto l’articolo 8 della costituzione dogmatica sulla Chiesa formuli quella che è l’auto-comprensione della Chiesa cattolica in modo da includervi la dimensione ecumenica. Difatti, quando della Chiesa di Gesù Cristo si dice che essa è realizzata nella Chiesa cattolica, in questo "subsistit" in è contenuta in nuce tutta la questione ecumenica. Più precisamente, come spiega Papa Benedetto XVI, tale affermazione esprime due cose: da un lato, si opera una "forte concretizzazione", nel senso che la Chiesa di Gesù Cristo non è un’idea platonica, ma esiste nella storia come soggetto concreto ed è realizzata nella Chiesa Cattolica. Dall’altro lato, non si esclude con ciò che anche al di fuori di questa realizzazione storica esista una realtà ecclesiale; piuttosto, si fa posto "al plurale 'Chiese' accanto al singolare". Eccoci davanti alla questione centrale del dialogo ecumenico, che è quella di sapere come si rapportano tra loro il plurale, prodottosi nella storia, delle Chiese e Comunità ecclesiali separate e il singolare, altrettanto legato alla storia, dell’unità della Chiesa Xattolica. Questa necessaria chiarificazione ecclesiologica non ha ancora condotto a un soddisfacente consenso ecumenico, ma ha, al contrario, reso evidente un problema ancora più profondo. Poiché le diverse ecclesiologie comportano anche concetti di ecumenismo molto diversi, il vero e proprio dilemma dell’odierna situazione ecumenica consiste nel fatto che non siamo più concordi su ciò che significa ecumenismo e su quello che è il suo obiettivo. Spesso non sappiamo più cosa vogliamo nell’ecumenismo e cosa dovremmo volere. Ciò rappresenta una grande sfida. Infatti, se non siamo più d’accordo su dove deve condurci il nostro cammino, corriamo il rischio di avviarci in direzioni diverse, dovendo poi alla fine costatare che ci siamo allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Per evitare proprio questo, oggi è indispensabile riflettere nuovamente sulla destinazione che deve avere il viaggio ecumenico alla luce della fede. Il fatto che tale necessaria riflessione sull’obiettivo comune del movimento ecumenico risulti oggi così difficile è dovuto fondamentalmente allo spirito pluralistico e relativistico del tempo postmoderno, così ampiamente diffuso anche nella cristianità. L’idea chiave della postmodernità è quella di non potere e di non dovere indagare col pensiero oltre la pluralità della realtà se non si vuole essere sospettati di propendere verso un pensiero totalitario; si è cioè convinti che la pluralità è l’unico modo in cui la totalità del reale ci si mostra, se mai lo fa. Questo rifiuto, in linea di principio, di ogni pensiero di unità ha condotto nel movimento ecumenico alla perdita dell’obiettivo comune e a un pluralismo ecclesiologico diventato ormai largamente plausibile, secondo il quale ogni ricerca di unità, anche e precisamente nell’ecumenismo, è guardata con sospetto. L’unità viene vista al massimo come un riconoscimento tollerante della molteplicità e della varietà, in cui si considera come già realizzata una diversità riconciliata. L’ecumenismo cristiano potrà far fronte a questa grande sfida soltanto se non si conformerà al paradigma postmoderno ma se terrà sveglia anche oggi, con amorevole tenacia, la ricerca dell’unità, poiché senza ricerca dell’unità la fede cristiana rinuncerebbe a se stessa. L’unità è e rimane una categoria fondamentale della fede cristiana, sia nella Sacra Scrittura che nella tradizione della Chiesa. Disunità, separazione e divisione sono, per la Sacra Scrittura, conseguenze del peccato, a cui viene contrapposto il messaggio redentore di un’unità fondamentale, come si dice in modo ineguagliabile nella lettera agli Efesini: "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (4, 4-6). La constatazione che, a distanza di cinquant’anni dall’inizio del Concilio, non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo ecumenico di un’unità nella fede, ci ha fatto comunque comprendere sempre di più che non siamo noi uomini a forgiare l’unità e che non possiamo definire né la sua forma né il tempo in cui si compirà, ma possiamo soltanto riceverla in dono. Al riguardo, la preghiera sacerdotale di Gesù ci si presenta come un’utile segnavia. Di fatti, Gesù non ha comandato l’unità ai suoi discepoli, né l’ha pretesa da loro, ma ha pregato per essa. La preghiera per l’unità è e rimane dunque anche oggi il segno distintivo di ogni sforzo ecumenico. Con la preghiera, esprimiamo la nostra convinzione di fede che il movimento ecumenico è opera dello Spirito Santo, che lo ha iniziato, e che dimostreremmo di avere scarsa fede se non credessimo che lo Spirito lo porterà anche a compimento: quando, dove e come vorrà. Il più profondo fondamento di fede dell’unità cristiana, ovvero la magna charta dell’ecumenismo, ci viene dunque donato nella preghiera sacerdotale di Gesù, con la quale egli invoca l’unità dei suoi discepoli, ma volge al contempo lo sguardo oltre la comunità dei discepoli di allora per abbracciare tutti coloro che, per la loro parola, crederanno, come osserva in modo pregnante Papa Benedetto XVI: "Il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le generazioni, la futura Chiesa è inclusa nella preghiera di Gesù. Egli invoca l’unità per i futuri discepoli". Poiché nella preghiera di Gesù sono compresi anche i cristiani di oggi, anche su di essi si proietta la luce dell’unità impetrata da Gesù ed è proprio dalla preghiera sacerdotale di Gesù che possiamo capire al meglio in cosa consiste e deve consistere, al livello più profondo, l’impegno ecumenico alla luce della fede: se l’unità dei discepoli è la priorità centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo può essere soltanto un unirsi, da parte di tutti i cristiani, alla sua preghiera, facendo proprio il desiderio che più sta a cuore a Gesù stesso. E se l’ecumenismo ha un motivo e un fondamento non semplicemente interpersonale e filantropico, ma realmente cristologico, allora esso non potrà essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. Gesù stesso vuole farci entrare in questa preghiera e vuole mostrarci il cammino sul quale, come cristiani divisi e come Chiese divise, potremo sempre più avvicinarci gli uni agli altri. Riconoscere nella preghiera di Gesù il luogo più interiore della nostra unità e addentrarci sempre più profondamente in questo fondamento di fede dell’impegno ecumenico è un compito urgente del tempo odierno che l’Anno della fede ci chiama ad assumere e ad assolvere, ricordandoci quello che è il grande lascito del concilio Vaticano II.

L'Osservatore Romano
 

Il Papa incontra i vescovi dell'Abruzzo: dalla fede nasce la carità, la speranza e la forza per andare avanti, nonostante le drammatiche difficoltà di chi è senza lavoro e di chi vorrebbe veder ricostruita la propria casa. Mons. Molinari: L'Aquila ha la forza per ricostruirsi

Anche il Papa è con L'Aquila. Messaggi di forza e incoraggiamento per la città e la popolazione devastate dal sisma del 2009 sono arrivati direttamente da Benedetto XVI, che ha accolto in visita l'arcivescovo del capoluogo, mons. Giuseppe Molinari, insieme ad altri sei presuli abruzzesi. “I problemi sono molti, - ha affermato il Papa – ma non sono tutto. Dalla fede nasce la carità, la speranza e la forza per andare avanti, nonostante le drammatiche difficoltà di chi è senza lavoro e di chi vorrebbe veder ricostruita la propria casa”. Benedetto XVI ha ascoltato con molta attenzione gli interlocutori, ponendo numerose domande sulla ricostruzione del cratere e sulle città di Avezzano, Teramo, Pescara e Sulmona e ricordando il ruolo fondamentale della fede. In un'intervista a Radio Vaticana, l'arcivescovo de L'Aquila racconta di aver riferito al Papa che la ricostruzione in periferia sembra procedere un po' più rapidamente, anche se, ha affermato: “Tutti quanti auspichiamo che la politica, la burocrazia, lo Stato, si muovano con maggiore celerità”. Dopo aver fatto il punto sulla situazione delle diocesi e in generale della regione, mons. Molinari ha spiegato che tra il 2009 e il 2010, grazie ad un accordo fra Protezione Civile e CEI, 43 chiese sono state rese agibili e messe in sicurezza. “Purtroppo – ha proseguito - solo una delle chiese più antiche, quelle del centro storico, è stata ricostruita, la parrocchia universitaria, la chiesa di San Biagio d'Amiterno, ora chiamata chiesa di San Giuseppe Artigiano. La Chiesa di Santa Maria del Suffragio, che usiamo ogni tanto, e' parzialmente agibile, come pure Collemaggio. Ma siamo fiduciosi. Anche la Caritas Italiana ci ha aiutato a costruire sette centri comunitari, che servono per le celebrazioni liturgiche, e sei locali parrocchiali, spazi per le parrocchie che aiutano molto”. L'attenzione paterna di Benedetto XVI è stata una conferma di fede e speranza per i vescovi abruzzesi, che hanno colto l'occasione per ribadire la forza che muove l'intera città: “Non ci scoraggiamo”, hanno affermato. “L'Aquila - ha concluso l'arcivescovo - ha avuto tante prove, tanti terremoti, tanti drammi segnati dal terremoto, ma è rinata sempre. È riuscita sempre a ricostruirsi, ad andare avanti, e sono sicuro che anche questa volta supererà tutte le difficoltà”.

Le accuse alla Chiesa tedesca sui casi di pedofilia del criminologo Pfeiffer, dai vescovi del Paese incaricato nel 2010 di indagare e da poco destituito. Le indagini saranno affidate a un altro soggetto

C’era mezza Germania ieri sera davanti al talk-show “Beckmann”, dalle 22.45 sulla prima rete pubblica Ard. Tutti incollati ai teleschermi per guardare il duello fra colui che è divenuto il grande accusatore della Chiesa Cattolica, il criminologo Christian Pfeiffer, e il segretario della Conferenza Episcopale del paese, il padre gesuita Hans Langendoerfer. Le accuse di Pfeiffer sono pesanti. Destituito all’improvviso nei giorni scorsi dell’incarico assunto nel 2010 di stanare per conto della stessa Chiesa i preti pedofili, ha dichiarato “di non comprendere il motivo” della decisione e si è detto preoccupato che vescovi e clero possano tornare a “insabbiare” come un tempo. E a poco sono servite le parole di un grande vecchio dell’episcopato, il card. Karl Lehmann, che ha detto: “Noi non abbiamo niente da nascondere”. Così, invece, il vescovo di Münster, mons. Felix Genn, ha respinto le accuse di Pfeiffer di “censura” da parte della Chiesa: “E’ vero casomai il contrario”, ha affermato. Era il 2010 quando la Chiesa tedesca, sull’onda dei dati diffusi fra gli altri dall’agenzia tedesca Dpa che contava “più di 250 casi sospetti di preti pedofili” in 23 delle 27 diocesi tedesche, l’indignazione montò parecchio quando venne rivelato che i casi si erano verificati nel collegio gesuita Canisius di Berlino, a Monaco quando era arcivescovo Joseph Ratzinger, nel coro delle voci bianche di Ratisbona diretti dal fratello maggiore del Papa, Georg Ratzinger e infine a Friburgo sede vescovile dell’attuale capo dei vescovi Robert Zollitsch, affidò a Pfeiffer l’incarico d’indagare. Per svolgere al meglio il suo compito, al criminologo la Chiesa Cattolica concesse di accedere all’archivio di ogni sacerdote attivo sul territorio, anni giovanili compresi. L’esistenza di ogni sacerdote fu vagliata alla ricerca d’indizi. “Sull’onda di una isteria collettiva”, dice oggi a Il Foglio Guido Horst, direttore di Vatican Magazine e corrispondente da Roma per la Tagespost, “la Chiesa aveva deciso di aprirsi totalmente alle ispezioni con tutti i rischi che ciò comportava”. Fra questi, il rischio reale che l’iter formativo d’ogni sacerdote, pregi e soprattutto difetti compresi, divenisse di fatto pubblico, a volte uscendo addirittura senza alcun preavviso sui quotidiani nazionali. Ciò che Pfeiffer però non ha preventivato è stata la reazione degli stessi sacerdoti. Un gruppo nutrito di loro è sceso nei mesi scorsi a Roma. Ha protestato chiedendo l’intervento del Vaticano contro quello che a loro dire altro non era che un “sopruso” della propria privacy. Il Vaticano si è fatto sentire con Zollitsch e Langendoerfer e immediatamenente a Pfeiffer è stato revocato l’incarico. Dice Horst: “E’ stato soprattutto Peter Beer, vescovo vicario di Monaco, a insistere col Vaticano per un intervento definitivo e la sua linea ha prevalso". Secondo l’agenzia Dpa la collaborazione col criminologo sarebbe saltata in quanto la Conferenza Episcopale tedesca avrebbe chiesto, a seguito di forti resistenze interne al clero contro l’indagine, di intervenire a posteriori sui risultati, di autorizzarli prima della pubblicazione e, all’occorrenza, addirittura di vietarli. Alcune diocesi, inoltre, sarebbero addirittura arrivate a distruggere in passato diversi atti sugli abusi e successivamente non avrebbero risposto alle richieste di chiarimento avanzate da Pfeiffer. “Eravamo partiti bene, ma all’improvviso sono emerse resistenze dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga”, ha detto Pfeiffer alla tv pubblica tedesca. “Ma in realtà - spiega ancora Horst - la Chiesa affiderà a un altro soggetto le indagini che oggi sono legittimamente chiuse semplicemente perché Pfeiffer lavorava senza avere più la fiducia dei vescovi e dello stesso clero”.

Paolo Rodari, Il Foglio

Anno della fede. Il 18 marzo Benedetto XVI accoglierà in udienza speciale i militari italiani. Mons. Pelvi: ogni persona e ogni comunità è chiamata a operare la pace, realizzando il bene comune. L’uomo è fatto per la pace

Benedetto XVI accoglierà, il prossimo 18 marzo, i militari italiani in udienza speciale per l’Anno della fede. L’annuncio è stato dato ieri sera dall’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, nell’ambito della celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, che si è svolta presso il seminario della cittadella militare della Cecchignola, a Roma, presieduta dal vicario del Papa, card. Agostino Vallini. Alla presenza del ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo De Paola, e delle più alte cariche militari, mons. Pelvi ricordando il Messaggio del Pontefice per la Giornata della Pace ha affermato che “nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti disuguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato, oltre che da diverse forme di terrorismo e di criminalità, siamo certi che il mondo è ricco di molteplici opere di pace”. “Ogni persona e ogni comunità – ha detto mons. Pelvi - è chiamata a operare la pace, realizzando il bene comune. L’uomo è fatto per la pace”. Dal vescovo castrense è arrivato anche il ricordo dei “nostri amati militari che quotidianamente contribuiscono alla sicurezza e alla pace sia sul territorio nazionale sia nelle missioni internazionali in terre martoriate”. Non sono mancati nemmeno riferimenti ad aree di tensione come il Mali ed il Medio Oriente, “dove il risveglio del fanatismo islamico e una situazione di gravi tensioni e crisi politiche lasciano il fiato sospeso”. Un pensiero è andato agli oltre seicentomila rifugiati siriani in Libano, Giordania e Turchia. “In questo Anno della fede – ha concluso l’arcivescovo - vogliamo essere sempre più consapevoli che la fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. L’operatore di pace è colui che ricerca il bene dell’altro”.

SIR

Il card. Cañizares annuncia la pubblicazione entro l'anno di un opuscolo per fedeli e sacerdoti per vivere correttamente la Santa Messa: non spettacolo, ma comunicazione diretta con Dio

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sta preparando un opuscolo sulla Santa Messa, rivolto sia ai sacerdoti, per assisterli nella celebrazione, sia ai fedeli, per aiutarli a partecipare correttamente alla stessa. Lo ha annunciato ieri il card. Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione vaticana, durante una conferenza nell'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, sul tema La Liturgia cattolica a partire dal Vaticano II: continuità ed evoluzione. "Siamo ancora in fase di preparazione del documento” ha dichiarato il porporato all'agenzia Zenit, spiegando che esso servirà “per celebrare bene e partecipare bene” e che probabilmente “verrà pubblicato quest'anno, in estate”. Durante la conferenza, Cañizares ha ribadito l'importanza data dal Concilio Vaticano II alla Liturgia, il cui rinnovamento – ha detto – “deve essere in linea con la tradizione della Chiesa e non una rottura o una discontinuità”, ovvero pieno di tutte quelle “innovazioni” che "non sono rispettose di tutto ciò che Pio XII ha indicato”. In particolare, il cardinale ha citato la "Sacrosanctum Concilium", il primo documento conciliare sulla sacra liturgia, attraverso la quale “si è esercitata l'opera della nostra redenzione, specialmente nel divino sacrificio dell'Eucaristia". “Dio - ha sottolineato - vuole essere adorato in modo concreto e non dobbiamo essere noi persone a cambiarla". Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha parlato, inoltre, di “Chiesa rinnovata”, precisando che ciò non deve essere inteso “come una semplice riforma delle strutture, ma come un cambiamento a partire dalla liturgia”, perché è attraverso di essa che “in effetti opera la salvezza”. E riflettendo sulla Liturgia non si possono dimenticare le parole del documento conciliare secondo cui "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nella Liturgia. Egli è presente nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro - ‘offrendosi ora per il ministero dei sacerdoti, come si offrì prima sulla croce’ - sia soprattutto sotto le specie eucaristiche ". Scopo della liturgia è dunque “il culto di Dio e la salvezza degli uomini” che, ha detto il cardinale, non è “una nostra creazione, ma la fonte e il culmine della Chiesa”. Il porporato ha criticato, inoltre, gli “abusi” esistenti verso la Liturgia, come la sua “spettacolarizzazione”, lodando invece quei momenti di silenzio che sono “l'azione" che “permettono al sacerdote e ai fedeli di comunicare con Gesù Cristo” e che riducono la “predominanza della parola”, che spesso si trasforma “in protagonismo del sacerdote celebrante”. In tal senso, l'atteggiamento da seguire è quello di Giovanni il Battista “che si eclissa per dare spazio al Messia". Ha poi rimarcato che il Concilio ha specificamente parlato della Messa rivolta verso il popolo e dell'importanza di Cristo sull'altare, in modo da non escludere i fedeli presenti, in particolare dalla parola di Dio. Ha anche sottolineato la necessità della nozione del “mistero” e di alcuni particolari interessanti prima molto più rispettati, come “l'altare a est” o la coscienza del “significato sacrificale dell'Eucaristia”. Interrogato dall’ambasciatore di Panama presso la Santa Sede sull'azione delle culture indigene nella liturgia, il cardinale ha detto che "il Concilio parla di inculturazione della liturgia" nel rispetto delle “varietà legittime", cioè evitando che i loro principi vengano rimossi. In proposito, ha raccontato una sua esperienza in Spagna, a Santa Fe, nella Domenica delle Palme, quando, assistendo ad una Messa gitana, si emozionò tanto nel sentire i fedeli cantare l’“Agnello di Dio” come un “martello”, quasi come un “vero e proprio gemito dell'anima” che “coinvolgeva l'intero gruppo”. Soffermandosi, infine, sul caso Lefebre, il cardinale ha affermato che Benedetto XVI ha offerto una “mediazione sanatoria” che però “non è stata corrisposta”.

H. Sergio Mora, Zenit

Aperto l'account di Benedetto XVI su Twitter in latino, domenica il primo tweet. Sul social network il Papa ha superato i 2 milioni e mezzo di followers

Il primo tweet in latino partirà domenica 20 gennaio, ma già due ore dopo la diffusione della notizia i follower erano quasi 700. "Tuus adventus in paginam publicam Summi Pontificis Benedicti XVI breviloquentis optatissimus est. Ex Civitate Vaticana news.va" si legge sul nuovo account del Papa, @Pontifex_ln. "Visto l'argomento, non posso essere un osservatore obiettivo e disinteressato - ha detto Manlio Simonetti a L'Osservatore Romano - perché tutto quello che può giovare al latino mi vede favorevole. Il latino, inoltre, si adatta benissimo alla sintesi richiesta dai nuovi social network, ancor più dell'inglese". È della stessa opinione il salesiano don Roberto Spataro, segretario della nuova Pontificia Accademia di Latinità: "Twitter è uno strumento che impone una comunicazione rapida. Se dico in inglese 'the corruption of the best one is horrible', in latino sono sufficienti tre parole: 'corruptio optimi pessima'; è una lingua che aiuta a pensare con precisione e sobrietà. E ha prodotto un patrimonio eccezionale di scienza, sapienza e fede». In realtà "breviloquium", aggiunge Simonetti, "non è una traduzione letterale di twitter, ma ne descrive bene le caratteristiche". E avrebbe pure il vantaggio di richiamare alla memoria la prima opera di San Bonaventura, il "Breviloquium", che descrive la realtà come una “sinfonia di Dio”. Il Papa ha superato i 2 milioni e mezzo di followers.

Silvia Guidi, L'Osservatore Romano
 

Anno della fede. Mons. Fisichella: attraversa le diverse tappe della vita della comunità cristiana nella prassi quotidiana, dove alcuni segni acquistano un significato più forte. Anche in cinese il logo e il calendario dei grandi eventi

La Penitenzieria Apostolica vaticana, sollecitata dal Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, ha disposto che durante tutto l'arco dell'Anno della fede voluto dal Papa (11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013) "potranno acquisire l'indulgenza plenaria, applicabile anche in suffragio alle anime dei defunti, tutti i fedeli veramente pentiti, debitamente confessati, comunicati sacramentalmente, e che preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, in quattro modi". Lo spiega a L'Osservatore Romano mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero vaticano. "Anzitutto - spiega Fisichella - partecipando ad almeno tre momenti di predicazioni durante le missioni popolari, oppure ad almeno tre lezioni sugli atti del Concilio Vaticano II e sugli articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, in qualsiasi chiesa o luogo idoneo; in secondo luogo visitando in pellegrinaggio una Basilica papale, una catacomba, una cattedrale, un luogo sacro designato dall'ordinario del luogo (per esempio Basiliche minori e Santuari dedicati alla Madonna, agli Apostoli e ai Santi patroni) e partecipando a sacre funzioni o almeno soffermandosi per un congruo tempo di raccoglimento, concludendo con il Padre Nostro, la professione di fede, le invocazioni alla Vergine Maria e ai santi apostoli o patroni. Una terza modalità è quella di partecipare, nei giorni determinati dall'ordinario del luogo (per esempio nelle Solennità del Signore, della Beata Vergine, nelle feste dei Santi Apostoli e patroni, nella Cattedra di San Pietro), a una solenne celebrazione eucaristica o alla liturgia delle ore, aggiungendo la professione di fede. Infine si può ottenere l'indulgenza rinnovando le promesse battesimali in un giorno liberamente scelto per la visita del battistero o degli altri luoghi nei quali si è ricevuto il sacramento". L'Anno della fede "attraversa le diverse tappe della vita della comunità cristiana nella prassi quotidiana, dove alcuni segni acquistano un significato più forte", afferma mons. Fisichella: "Tra questi segnalerei la professione di fede e la celebrazione del sacramento della riconciliazione con cui si collega l'indulgenza. Per questo qui in Vaticano abbiamo chiesto alla Basilica di San Pietro che i confessori siano sempre più disponibili per amministrare il sacramento". Intanto il logo dell'Anno della fede, così come il calendario dei 'grandi eventi', "sono stati tradotti nelle maggiori lingue, ma anche in altri idiomi, persino in cinese. Quindi l'Anno della fede ha raggiunto la Cina, dove è presente nelle comunità e nelle Chiese che vivono anch'esse questa esperienza della Chiesa universale. L'ho già riferito al Santo Padre durante l'udienza per gli auguri natalizi della Curia romana. E il Papa non solo si è mostrato molto contento, ma mi ha pure confidato che anche comunità protestanti si sono mostrate interessate". Quanto al recente Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, "ora il Papa sta lavorando all'Esortazione Apostolica, alla quale - spiega mons. Fisichella - anche noi come Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione dovremmo essere capaci di dare il nostro contributo".
 
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