martedì 7 agosto 2012

Card. Dolan: noi cattolici e americani amiamo le suore. Anche Roma le ama e le apprezza così tanto da volerle il più possibile forti e fedeli

"Noi cattolici amiamo le suore, noi americani amiamo le suore". È un elogio convinto quello espresso ieri dal card. Timothy Michael Dolan (nella foto con Benedetto XVI), arcivescovo di New York, nel suo blog. Il cardinale ricorda che la comunità cattolica negli Stati Uniti ha dovuto, sin dall’inizio, fronteggiare un’intolleranza "profonda e dilagante" e forti pregiudizi. E in questo scenario, a farne le spese sono state anche le religiose. Ma vi sono stati avvenimenti, nella storia, che hanno fatto giustizia di questi pregiudizi, radicati nell’ignoranza e nella superstizione. Il porporato si riferisce in particolare all’"eroica carità" messa in atto dalle suore cattoliche sui campi di battaglia durante la guerra civile. Le religiose si prodigarono nella cura di feriti e moribondi, incuranti del rischio di rimanere uccise da cannonate o da proiettili. E queste stesse suore, sottolinea il card. Dolan, non fecero certo distinzione di fronte al fatto che i feriti potessero essere del Sud o del Nord: di ciascuno le religiose presero cura con competenza, compassione e fede. E molti feriti, dopo essere tornati a casa grazie all’assistenza delle suore, commentarono: "Questi cattolici non sono niente male. Infatti, alcuni di loro, cioè queste donne che chiamano 'sorelle', ci hanno salvato la vita". Il porporato ricorda poi che nella sua diocesi e in America sono venerate donne come Santa Elisabetta Anna Seton, santa Francesca Cabrini, Rose Hawthorne e Mary Angeline Teresa, tanto per citare solo alcune delle fondatrici di congregazioni femminili che tuttora svolgono la loro opera. "Contrariamente a quanto si è potuto sentire, Roma ama le suore!" scrive poi Dolan. E aggiunge che quando si ama qualcuno, gli si mostra interesse e sollecitudine. E recentemente, ricorda il porporato, la Santa Sede ha espresso questa sollecitudine riguardo alla Lcwr con un atteggiamento che esprime un alto elogio per questa organizzazione e una ancora più alta stima per tutte le suore in America. Il card. Dolan sottolinea che Roma apprezza le suore così tanto da volerle il più possibile forti e fedeli. Eppure alcuni dicono che la Santa Sede sia troppo “morbida” e che la Lcwr dovrebbe essere soppressa perché “eretica”. All’estremo opposto si sostiene che l’“oppressivo” Vaticano abbia paura di queste donne indipendenti, dal libero pensiero: e quindi andrebbero lasciate sole. Queste "caricature" certo non aiutano, commenta il porporato, che conclude sottolineando che se le religiose sono sopravvissute ai campi di battaglia durante la guerra civile, sopravviveranno anche ai drammatici cambiamenti dell’ultimo mezzo secolo. Con una conclusione netta: "Ciò che non è mai in discussione è il nostro amore e la nostra gratitudine per queste sorelle".

L'Osservatore Romano

Carl Anderson: ai Cavalieri di Colombo grande incoraggiamento da Benedetto XVI a difendere la libertà religiosa negli Stati Uniti e nel mondo

"Abbiamo oltre 14 mila consigli locali, la maggior parte dei quali nelle parrocchie e siamo diffusi negli Stati Uniti, in Canada, nel Messico, nelle Filippine, in Polonia, a Cuba e in altri Paesi. I nostri membri sono chiamati ad essere fedeli ai principi dei Cavalieri di Colombo che sono carità, unità e fratellanza. Chiediamo a tutti i nostri membri ed a tutti i nostri consigli di essere attivi nel campo della carità all'interno delle loro parrocchie e delle loro comunità. L'anno scorso, i nostri membri hanno devoluto 158 milioni di dollari ad opere di carità ed hanno dedicato oltre 70 milioni di ore al servizio di volontariato". Sono le cifre dei Cavalieri di Colombo, potente gruppo cattolico statunitense, illustrate dal cavaliere supremo Carl A. Anderson, ai microfoni di Radio Vaticana. Intervistato in occasione dell'apertura, oggi ad Anaheim, in California, la 130° convention dei Cavalieri di Colombo incentrata sul tema della libertà religiosa, Anderson ha commentato con soddisfazione il messaggio inviato per l'occasione dal Papa. "E' stato per noi un grande privilegio ricevere il bellissimo messaggio dal Santo Padre, nel quale ha ribadito l'importanza del laicato, in particolare la necessità che i laici cattolici si ergano a difesa della Chiesa", ha detto Anderson. "E questo soprattutto nel momento in cui riconosciamo quella che il Papa ha definito 'una minaccia senza precedenti alla libertà e alla testimonianza pubblica della Chiesa', a causa delle politiche di alcuni governi che vogliono ridefinire in termini restrittivi la missione della Chiesa. Questo messaggio è stato un grande incoraggiamento per i Cavalieri di Colombo per assumere responsabilità ancora maggiori in tutti gli ambiti della nostra missione, in particolare da parte dei laici. I laici difenderanno la Chiesa e sosterranno e favoriranno la missione della Chiesa".

TMNews

Carl Anderson: grande incoraggiamento dal Papa a difendere la libertà religiosa negli Usa e nel mondo

Il Papa ad Arezzo e Sansepolcro. Centotremila euro per i poveri: la carità di Benedetto alimenta il fondo diocesano per le famiglie in difficoltà

Era stato affidato a due giovani il compito di consegnare a Papa Benedetto XVI il dono che la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro aveva preparato in occasione della visita pastorale che il Pontefice ha compiuto domenica 13 maggio scorso; e così, pochi istanti prima dell’inizio della Messa celebrata al Prato di Arezzo, si è svolto un gesto altamente simbolico che da qualche tempom complice l’attuale crisi economica, si ripete nei viaggi papali e che si radica nella tradizione della comunità cristiana sin dalle sue origini. Infatti, come avveniva nella Chiesa nascente, quando ai piedi degli apostoli veniva deposto il ricavato della vendita dei beni, perché fosse distribuito a ciascuno secondo il bisogno (Atti, 4, 32-35), allo stesso modo la comunità cristiana aretina, cortonese e biturgense ha voluto donare al Papa il ricavato di una grande colletta che si è svolta domenica 22 aprile, perché fosse destinato ad opere di carità. Il gesto, spiegato dall’arcivescovo in una lettera a suo tempo indirizzata ai parroci, e in certo qual modo suggerito proprio da Papa Benedetto XVI, voleva richiamare l’importanza di far festa, in occasione della visita del Pontefice, senza dimenticarsi dei più bisognosi. "Vogliamo fare un regalo 'costoso' per il Papa", aveva scherzato mons. Fontana qualche giorno prima dello storico appuntamento del 13 maggio, sollecitando la generosità degli aretini; e i fedeli non si sono fatti pregare: infatti, secondo quanto viene reso noto in occasione della festa di San Donato, patrono della diocesi, all’esito delle rendicontazioni pervenute dalle 246 parrocchie e dopo che donatori privati si sono voluti aggiungere in questo tempo, la colletta ha raggiunto la somma di 103.746 euro, addirittura superando la grande raccolta quaresimale del 2010, destinata alla realizzazione di alcuni appartamenti per le famiglie cristiane di Gerusalemme. Benedetto XVI, che nelle settimane precedenti la sua visita aveva voluto informazioni sulla realtà aretina ed era venuto a conoscenza delle difficoltà economiche che attraversa la nostra provincia, ha disposto che il ricavato della colletta sia impiegato per le numerose famiglie in difficoltà di questa terra. Così, le offerte raccolte andranno ad alimentare il “Fondo di solidarietà” da tempo attivato dalla diocesi, e saranno distribuite secondo criteri di giustizia ed equità tramite i parroci e le rispettive Caritas parrocchiali.

Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro

Messa nella Basilica Vaticana per il 34° anniversario della morte di Paolo VI. Card. Tettamanzi: che presto la Chiesa lo possa venerare come Beato

"Che presto la Chiesa possa venerare Paolo VI (nella foto con l'allora card. Ratzinger) come Beato". E’ l’auspicio espresso questo pomeriggio dal cardinale Dionigi Tettamanzi celebrando presso l'Altare della Cattedra nella Basilica Vaticana la Messa per il 34° anniversario della morte di Papa Montini. Il porporato ha ricordato l’amore del Pontefice, morto il 6 agosto 1978, per la festa della Trasfigurazione eil suo invito a vivere la fede con gaudio, senza timore e ad essere “testimoni di una luce vigiliare, foriera della luce piena del giorno eterno”. “Confido qui il mio ardente desiderio – e sono sicuro che è condiviso da tanti (tutti) – che presto la Chiesa possa venerare Paolo VI come Beato: un desiderio che mi si riaccende ogniqualvolta leggo i suoi scritti e penso al suo servizio d’amore alla Chiesa e all’umanità”. Da voce al desiderio di molti il card. Tettamanzi ricordando Papa Montini a 34 anni dalla sua dipartita, avvenuta nella residenza estiva di Castel Gandolfo nel 1978 nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità della Trasfigurazione del Signore. Un mistero, ha ricordato il porporato, al quale Paolo VI era molto legato e sul quale in vista dell’Angelus del 6 agosto di quell’anno scrisse parole, che mai potè pronunciare, ma che ci ha lasciato come regalo: Ecco le sue parole: “La Trasfigurazione del Signore… getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana . Una sorte incomparabile ci attende, se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono”. “Siamo invitati ad un 'sì' gioioso e impegnativo della fede”, ha ammonito il card. Tettamanzi parafrasando Paolo VI: un “sì” che vuol dire “impegno di conoscenza, di contemplazione e preghiera, di vita coerente, testimonianza, slancio missionario e grande letizia spirituale”. Una sollecitazione in tal senso ci giunge dal prossimo Anno della fede indetto da Benedetto XVI per i 50 anni del Concilio Vaticano II e che ha come precedente – ha ricordato il porporato - quello voluto proprio da Paolo VI nel 1967. Ed è a lui che in tema di fede desideriamo lasciare l’ultima parola, riprendendola da una sua Udienza generale del mercoledì: “Non più peso essa ci sembrerà, ma energia e gaudio; non più temeremo di immergerci nella vita profana del mondo, dove non saremo sperduti e naufraghi, ma testimoni sereni e forti d’una luce vigiliare e notturna, la fede nel tempo presente, foriera della luce piena del giorno eterno”.

Radio Vaticana

Testo dell'omelia del card. Tettamanzi, Festa della Trasfigurazione del Signore, e ricordo di Paolo VI nel 34° anniversario della sua morte

Il vescovo di Albano ricorda Paolo VI: uomo della fede

Il Concilio Vaticano II vissuto da mons. Albino Luciani: il senso della libertà religiosa, la riforma nella continuità rilanciata da Benedetto XVI

Le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, previste per il prossimo ottobre, cadono in un momento nel quale l’interpretazione dei testi conciliari è un tema d’attualità nella vita della Chiesa, dopo l’ormai celebre discorso di Papa Ratzinger (dicembre 2005) sulla corretta ermeneutica e il permanere del dissenso sia sul fronte progressista che su quello tradizionalista. L’11 ottobre 1962, alla cerimonia di apertura, c’era anche un giovane prelato, consacrato vescovo di Vittorio Veneto dallo stesso Giovanni XXIII quattro anni prima. Era Albino Luciani (nella foto con l'allora card. Ratzinger), e sarebbe stato il primo Papa ad aver vissuto da vescovo il Concilio e ad averlo applicato nelle sue diocesi. È interessante innanzitutto notare (come ha fatto Marco Roncalli nella sua recente e corposa biografia su Luciani, edita da San Paolo) che cosa l’allora vescovo di Vittorio Veneto avesse auspicato nel testo inviato a Roma durante la fase preparatoria. Luciani, nel suo voto, auspicava che il futuro Concilio mettesse in luce l’"ottimismo cristiano" insito nell’insegnamento del Risorto, contro "il diffuso pessimismo" della cultura relativistica, denunciando una sostanziale ignoranza delle "cose elementari della fede". Il futuro Papa non aveva manifestato particolare interesse per i temi "tecnici" relativi a nuovi modi di consultazione collegiali degli Episcopati, e non aveva fatto alla questione biblica, ecumenica, ecclesiologica. Aveva posto invece a tema la necessità di tornare ad annunciare le "cose elementari della fede", notando già allora la crisi della trasmissione dei suoi contenuti, segno della secolarizzazione. Quanto all’interpretazione globale da dare al Concilio, mons. Luciani si attesta su una linea che corrisponde pienamente a quell’ermeneutica della riforma nella continuità proposta da Benedetto XVI come la chiave interpretativa più corretta del Vaticano II. "Alla Chiesa Cattolica – scriveva il vescovo di Vittorio Veneto – la fisionomia e le strutture sono state fissate, una volta per sempre, dal Signore e non si possono toccare. Semmai, si possono toccare le sovrastrutture: ciò che non Cristo, ma i Papi o i Concili o i fedeli stessi hanno introdotto ieri, può essere tolto o mutato oggi o domani. Hanno introdotto ieri un certo numero di diocesi, un certo sistema nel dirigere le missioni, nel preparare un sacerdote, hanno usato un certo tipo di cultura? Si può cambiare e si potrà dire: 'La Chiesa che esce dal Concilio è ancora quella di ieri ma rinnovata'. Mai si potrà, invece, dire: 'Abbiamo una Chiesa nuova, diversa da quella di ieri'". Ma è interessante anche notare il modo in cui Luciani visse il lungo processo che portò alla promulgazione della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa "Dignitatis humanae". "La libertà religiosa, rettamente intesa, però – scriveva Luciani – perché non avessimo a capire a rovescio. Tutti siamo d’accordo che c’è una sola vera religione, e chi la conosce è obbligato a praticare quella e basta. Ma, detto questo, ci sono anche altre cose che sono giuste e bisogna dirle. Cioè, chi non è convinto dal cattolicesimo ha il diritto di professare la sua religione per più motivi. Il diritto naturale dice che ciascuno ha il diritto di cercare la verità. Ora guardate che la verità, specialmente religiosa, non si può cercarla chiudendosi in una stanza e leggendo qualche libro. La si cerca seriamente parlando con gli altri, consultandosi... Si dice per modo di dire i diritti della verità, ma ci sono solo persone fisiche o morali che non hanno diritto di cercare la verità. Quindi non abbiate paura di dare uno schiaffo alla verità quando date a una persona il diritto di usare della sua libertà". "La scelta della religione deve essere libera – spiegava ancora il vescovo di Vittorio Veneto – quanto più è libera e convinta, tanto più chi l’abbraccia se ne sente onorato. Questi sono i diritti, i diritti naturali. Ora, non c’è un diritto al quale non corrisponda anche un dovere. I non cattolici hanno il diritto di professare la loro religione, e io ho il dovere di rispettare il loro diritto: io privato, io prete, io vescovo, io Stato". Concludeva Luciani: "Qualche vescovo si è spaventato: ma allora domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda a Roma, vengono a convertire l’Italia. Oppure ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea. Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare. Se volete che i vostri figli non si facciano buddisti o non diventino musulmani, dovete fare meglio il catechismo, fare in modo che siano veramente convinti della loro religione cattolica". "Dovete fare meglio il catechismo", cioè annunciare nuovamente la fede cristiana senza dare nulla per scontato. Una prospettiva che Benedetto XVI ha ben presente e che ha indicato come prioritaria nell’Anno della fede.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Anno delle fede. Da Paolo VI a Benedetto XVI, il nemico è la pigrizia. L'urgenza della nuova evangelizzazione già presente negli anni di Papa Montini

Trentaquattro anni fa terminava la sua giornata il Papa della fede. A Castel Gandolfo, il 6 agosto 1978, si spegneva il cuore di Paolo VI (nella foto con l'allora card. Ratzinger). Nella festa della trasfigurazione del Signore il Pontefice della modernità, colui che aveva ereditato da Giovanni XXIII la barra del Concilio Ecumenico Vaticano II, il Papa tormentato che negli ultimi mesi di regno aveva somatizzato l’omicidio del suo amico Aldo Moro, lasciava la Chiesa con un volto totalmente diverso da quello che aveva conosciuto sotto il pontificato di Roncalli. "Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce". Così scriveva Giovanni Battista Montini, il 16 settembre 1972, alle 7.30 del mattino, nel suo testamento. "Nomino la Santa Sede mio erede universale...Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo...Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere)". Era stato Montini, il Papa incompreso, un Pontefice da riscoprire, a indire, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il primo Anno della fede. Il secondo sarà aperto il prossimo 11 ottobre da Benedetto XVI nel cinquantesimo anniversario dall’apertura del Vaticano II. Un anno, quello voluto da Montini, "dedicato - come spiegò il 30 giugno 1968 durante la solenne concelebrazione di chiusura di quell’evento straordinario - alla commemorazione dei Santi Apostoli per attestare il nostro incrollabile proposito di fedeltà al Deposito della fede che essi ci hanno trasmesso, e per rafforzare il nostro desiderio di farne sostanza di vita nella situazione storica, in cui si trova la Chiesa pellegrina nel mondo". In quell’occasione Paolo VI pronunciò la solenne "Professione di fede", un testo che condensa il depositum fidei della Chiesa di Roma. C’è da chiedersi se Joseph Ratzinger, che dalle mani di Montini ricevette la berretta cardinalizia, scriverà nei prossimi mesi, come il card. Tarcisio Bertone ha ipotizzato qualche giorno fa, un’Enciclica dedicata alla fede in occasione di questo anno a lei dedicato e che completerebbe così una sorta di trilogia delle virtù teologali con le altre due Encicliche ratzingeriane dedicate alla carità e alla speranza. Quanto differirà l’Anno della fede montiniano da quello che spalancherà le sue porte in ottobre? L’urgenza della nuova evangelizzazione, parola chiave del Pontificato wojtyliano, era già presente negli anni di Papa Montini, che da vescovo nell’arcidiocesi ambrosiana aveva indetto la missione per Milano, conclusa il 24 novembre 1957. "La pigrizia religiosa - scriveva l’allora cardinale - domina la nostra età. Il mondo sembra diventare meno sensibile al religioso". Sono molti, proseguiva Montini, "i lontani, pensosi e solleciti. E possono essere questi lontani i preferiti" dell’evangelizzazione. Invitare i “lontani” ad ascoltare la Parola di Dio, fuori da ogni apologia o peggio da ogni richiamo di ritorno alla comunità cristiana, è stato l’obiettivo concreto della missione per Milano. Un obiettivo da perseguire ancora oggi nell’Anno della fede ratzingeriano.

Francesco Grana, Orticalab