giovedì 4 febbraio 2010

Benedetto XVI riduce allo stato laicale Marco Dessì, il sacerdote condannato per violenze sessuali di stampo pedofilo su bambini in Nicaragua

Padre Marco Dessì è fuori dalla Chiesa. Il missionario di Villamassargia condannato per abusi sessuali su bambini del Nicaragua, con un decreto emesso da Papa Benedetto XVI, è stato “dimesso dallo stato clericale”, "ex officio et in poenam, cum dispensatione ab omnibus oneribus e sacris ordinibus manantibus". Aldilà delle solenni espressioni in latino, significa che il sacerdote è stato ridotto allo stato laicale. Come recita il decreto, emesso l'8 gennaio scorso dal Sommo Pontefice, Marco Dessì "automaticamente perde i diritti propri dello stato clericale, la dignità e i compiti ecclesiastici; non è più tenuto agli altri obblighi connessi con lo stato clericale; rimane escluso dall'esercizio del sacro ministero né può avere un compito direttivo in ambito pastorale". Quindi, divieto assoluto di celebrare Messa e altri sacramenti, di portare l'abito talare e "insegnare alcuna disciplina teologica" perfino "negli istituti anche non dipendenti dall'Autorità ecclesiastica". Fulminato e incenerito. Con un provvedimento inappellabile, emesso dalla più alta autorità di Santa Romana Chiesa. Si pensava che il verdetto del Vaticano arrivasse dopo l'esaurimento dei vari gradi di giudizio presso i tribunali italiani, invece la giustizia della Santa Sede ha bruciato i tempi. Ma c'è una spiegazione. Nel confermare la notizia, un'autorevolissima fonte del Vaticano spiega che l'intervento del Papa è collegato a una vicenda che non lasciava più alcun dubbio sulla colpevolezza di Marco Dessì. Certezza legata alle indagini compiute direttamente dagli ispettori dalla Congregazione per la dottrina della fede. Tutto ha avuto inizio nel 2005, quando una rappresentanza di volontari cagliaritani ed emiliani che lavoravano in Nicaragua, delle onlus Solidando e Rock no war, ha sollecitato l'intervento della Santa Sede per porre fine alle violenze sessuali di Dessì nei confronti dei bambini, in prevalenza orfani, ospiti della missione Betania. La risposta è stata immediata e decisa. Con un atteggiamento di rottura rispetto al passato, quando le autorità ecclesiastiche spesso tendevano a schivare i casi di pedofilia, seppellendoli sotto una coltre di prudenza, che molti bollavano come insabbiamento. Stavolta non è accaduto. Di fronte a una denuncia circostanziata, la Chiesa ha voluto vederci chiaro, ha indagato, e di fronte alla scoperta di una terribile realtà, ha invitato i volontari a rivolgersi alla magistratura italiana. Ma ha fatto anche di più: li ha sostenuti, non solo moralmente, durante l'inchiesta giudiziaria. Un mutamento epocale, che coincide, in buona parte, con l'avvento al Pontificato di Joseph Ratzinger. Non a caso, mentre l'iter processuale italiano procede secondo ritmi lentissimi, che rischiano di sfociare nella prescrizione, il Papa ha voluto rimarcare, personalmente, un confine netto fra il missionario condannato per pedofilia e Santa Romana Chiesa. Con un decreto di dimissione adottato, in suo nome, dalla Congregazione per la dottrina della fede. Questo non significa che a Marco Dessì non sia stato garantito il diritto alla difesa. La Chiesa non ama le azioni di brusca rottura e ha quindi tentato di venire incontro alla sua pecora nera, sia pure nella misura consentita dai gravissimi fatti emersi nell'inchiesta, con una moral suasion tendente a provocarne le dimissioni spontanee. Tentativo fallito. D'altro canto, il prete di Villamassargia, che pure è assistito da un validissimo collegio di avvocati, non è mai stato un buon difensore di se stesso. Se nei confronti dei magistrati italiani ha tenuto un atteggiamento di chiusura assoluta ("non ho mai sentito la sua voce", ha detto il Pubblico ministero di Parma Lucia Russo) non è stato più disponibile con le autorità vaticane. Che hanno aperto nei suoi confronti un processo amministrativo penale canonico, durante il quale sono finalmente riuscite a fargli presentare una memoria difensiva, giudicata peraltro non convincente. Da qui la decisione di promuoverne la dimissione ex officio, e di farlo sapere a tutti gli interessati. Perché sia ben chiaro che la Chiesa non si nasconde e prende nettamente le distanze dal chierico che ha tradito i suoi principi, arrecandole un danno enorme, in terra di missione ma anche in Italia, dove Marco Dessì è conosciutissimo. Non è la prima volta che la punizione di un prete pedofilo viene divulgata. L'anno scorso, l'arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha inviato al parroco dell'Immacolata Concezione di Ginestra Fiorentina una sentenza di condanna, per abusi sessuali su minori, emessa dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti di don Roberto Berti. Il sacerdote dovrà trascorrere 8 anni in meditazione presso una casa di preghiera lontana dalla diocesi fiorentina. Il parroco ha affisso il documento nella bacheca della chiesa, perché tutti i fedeli lo leggessero. Anche il decreto che priva Marco Dessì dell'abito talare è stato notificato al nunzio apostolico in Nicaragua, mons. Jean Paul Gobel, perché faccia sapere alla popolazione locale che il fondatore della missione Betania è stato espulso dalla Chiesa cattolica. Analoga comunicazione è stata inviata ai superiori della confraternita Gesù divino operaio, della quale Marco Dessì fa parte, e alle onlus Solidando di Cagliari e Rock no war di Modena che, attraverso spettacoli e altre manifestazioni, avevano assicurato al missionario fondi ingenti, creando un autentico movimento in suo favore. Tutta gente che deve essere informata. Compresa la popolazione del Sulcis, dove Marco Dessì aveva raggiunto un altissimo livello di popolarità, tanto da essere considerato una sorta di santo. Per questo, dalla Congregazione per la dottrina della fede è partito un messaggio diretto a mons. Giovanni Paolo Zedda, vescovo di Iglesias. La Chiesa, insomma, si preoccupa di far sapere di non avere niente da nascondere: chi ha infangato il suo nome presentandosi come ministro di Dio è stato severamente punito. Due copie del decreto sono state inviate anche a Marco Dessì, nel carcere di Saluzzo, dove sta scontando la pena, in un reparto riservato ai detenuti per reati a sfondo sessuale. Gliele consegnerà il vescovo locale, Giuseppe Guerrini. L'ex sacerdote di Villamassargia dovrà firmarne una, per accettazione della condanna. Potrebbe anche non farlo, ma un eventuale rifiuto non cambierebbe il suo destino, ormai segnato. L'unica speranza che gli è rimasta è una riduzione della pena. Probabile, dopo che la Corte di Cassazione ha giudicato prescritti alcuni episodi che gli venivano addebitati e ha disposto la celebrazione di un nuovo processo in Appello. Nel prossimo autunno.

Lucio Salis, L'Unione Sarda.it

Messaggio del Papa per le Olimpiadi invernali di Vancouver: lo sport sia la base per costruire la pace e l'amicizia tra le persone e le nazioni

''Lo sport sia la base per costruire la pace e l'amicizia tra le persone e le nazioni''. E' l'esortazione di Papa Benedetto XVI per le prossime Olimpiadi e Paralimpiadi invernali, contenuta nel messaggio inviato all'arcivescovo di Vancouver, mons. J.Michael Miller, in vista della prossima edizione della manifestazione che si terrà nella città canadese dal 12 al 28 febbraio. Benedetto XVI ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II sullo sport e sull'effettivo contributo che questo comporta sia per ''la pacifica intesa fra i popoli'' sia per la creazione di una ''nuova civiltà dell'amore''. Il Pontefice ha assicurato poi le proprie preghiere per tutti coloro che saranno impegnati nell'iniziativa ecumenica ''More than Gold'' che prevede di assistere in modo spirituale e materiale i visitatori, i partecipanti e i volontari. Estendendo i suoi più cordiali saluti agli atleti, agli organizzatori e ai volontari che contribuiranno alla riuscita di questo evento internazionale, il Papa ha invocato la propria benedizione.

Asca

Gli interventi di Hans Pöttering e del card. Cordes alla conferenza stampa di presentazione del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2010

L’Europa ha bisogno di “un nuovo spirito di solidarietà”, perché quest’ultima, nel mondo globalizzato e ancora gravato da povertà ed emergenze, deve trovare un “più giusto” equilibrio con i principi di libertà e uguaglianza. Ad affermarlo è stato Hans-Gert Pöttering, presidente emerito del Parlamento europeo e presidente della Fondazione “Konrad Adenauer”, al quale questa mattina nella Sala stampa vaticana è spettato l’onere di aprire gli interventi di presentazione del Messaggio del Papa per la Quaresima 2010 sul tema "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22). Accanto a lui, il card. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. “La solidarietà è il nuovo nome della pace”. La parafrasi della celebre frase di Paolo VI – che nel 1967 aveva scritto nella "Populorum progressio" “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” – condensa il senso dell'intervento di Pöttering. La sua, come ha detto in apertura, è stata una riflessione sulle “diverse implicazioni politiche della lezione cristiana sulla giustizia”. Osservando come il crollo del sistema socialista di fine Novecento abbia dato spessore all’affermazione di Benedetto XVI per cui una forma di giustizia distributiva “svincolata dalla fede in Dio diventa ideologica”, Pöttering ha messo in chiaro che un principio trascurato dall’Europa nella sua crescita verso la libertà e l’uguaglianza è stato quello della fraternità: “Politicamente, si parla di 'solidarietà'. Teologicamente, abbiamo sempre parlato di carità. In queste parole - la carità, la solidarietà, la fraternità – si trova la chiave per una vera comprensione delle responsabilità dei cristiani nel mondo - una comprensione che è adeguata alla nostra epoca di globalizzazione. Solidarietà o carità implicano la responsabilità di difendere e tutelare la dignità universale di ogni essere umano in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi circostanza”. “Se vogliamo conservare la libertà, e se vogliamo aumentare la giustizia, allora – ha proseguito Pöttering – dobbiamo mettere il valore della fraternità e della solidarietà al centro del nostro pensiero politico”, si deve trasformarli in “progetto politico”. Tuttavia, ha ammesso, “il potere della solidarietà è piuttosto sbiadito all'interno dell'Europa dopo la riunificazione”. “Somme inimmaginabili”, ha affermato il presidente emerito dell’Europarlamento, sono state investite dagli Stati per fronteggiare la crisi finanziaria e di conseguenza, ha constatato, “l'attuazione della carità lascia molto a desiderare, soprattutto nella lotta contro la fame nel mondo”. Per questo, ha soggiunto: “L'Europa e la comunità internazionale hanno l'obbligo morale di assumere ulteriori responsabilità. Il 2010 come ‘Anno europeo per la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale’ offre la cornice ideale per un più forte ed efficace impegno dell'Unione Europea a fare di più per i più poveri del pianeta”. Ed è proprio qui, ha asserito Pöttering, “che la politica ha adottato il Messaggio quaresimale del Santo Padre: abbiamo bisogno di un nuovo spirito europeo di solidarietà”. Una solidarietà, ha ribadito, che “deve essere concreta” specie nei confronti di quei due miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro e mezzo al giorno. Come esempio, Pöttering ha citato – e invitato ad estendere in tutto il mondo – il progetto dell’Oms "Unitaid" che combatte Aids, malaria, tubercolosi e altre malattie in 93 dei Paesi più poveri grazie soprattutto alle entrate ottenute dal sovrapprezzo di uno o due dollari imposto da alcune compagnie aeree sul costo dei propri biglietti, che in poco più di tre anni ha permesso di raccogliere un miliardo e mezzo di dollari. D’altra parte, ha concluso Pöttering, la giustizia e la pace hanno bisogno che i popoli siano rispettosi l’un l’altro delle proprie convinzioni più profonde, a partire da quelle religiose: “Il rispetto reciproco all’interno di un dialogo interculturale non significa chiudere gli occhi davanti a insormontabili contrasti. Tuttavia, saremo in grado di fermare il fanatismo nel mondo del XXI secolo solo se priveremo i fanatici, che vogliono cambiare il mondo attraverso la violenza, dei pretesti spirituali grazie ai quali si possono manipolare le persone di buona volontà. Abbiamo quindi bisogno di un dialogo sincero di solidarietà tra cristiani e musulmani, tra cristiani ed ebrei”. Anche il card. Cordes ha sottolineato, presentando in sintesi il Messaggio del Papa, come il suo fulcro sia il tema della giustizia. La stessa il cui appello, ha detto, “risuona ovunque nel mondo” e che in molte parti è negata come ad esempio in Darfur, la cui crisi il porporato ha ricordato citando i resoconti ascoltati all’ultimo Sinodo sulla Chiesa africana. “Nel passato – ha affermato il presidente di Cor Unum – i cristiani erano tra i primi a farsi promotori di una maggiore giustizia”. E lo stesso accade oggi, ma per “entrare nella giustizia”, ha ripetuto con le parole di Benedetto XVI, è “necessario uscire da quell’illusione di autosufficienza…che è l’origine stessa dell’ingiustizia”. “La parola del Papa è soprattutto una sfida alla nostra volontà a fidarsi di Dio e a credere in Lui. Mette quindi a tema ciò che nella discussione generale sulla giustizia e sulla pace viene facilmente dimenticato o taciuto. A un tale auto-isolamento lontano da Dio – si potrebbe parlare di un ‘autismo dell’uomo causato dalla secolarizzazione’ – Papa Benedetto contrappone il suo fermo riferimento a Dio e la sua offerta di amore”. E poco dopo, rispondendo alle domande dei giornalisti, il card. Cordes ha ripreso un’osservazione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, per ribadire come il Messaggio del Papa per la prossima Quaresima derivi dalla "Caritas in veritate", dove è già presente il tentativo di evidenziare la “relazione tra mondo politico e mondo ecclesiale”:“Le due forze devono collaborare e correggersi l'una con l'altra. Io vedo, anche in questo, di nuovo, questa prospettiva del Papa che è molto interessante e che finalmente è basata sul concetto dell’uomo e dove la ragione deve sempre raggiungere la fede e la fede deve raggiungere la ragione”.

Il Papa: l'uomo vive di quell'amore che solo Dio può comunicargli, avendolo creato a sua immagine. Il cristiano contribuisca a formare società giuste

Una riflessione “sul vasto tema della giustizia”, a partire sull’affermazione paolina "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (cfr Rm 3,21-22): è quella che offre Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima 2010. Nel linguaggio comune “giustizia”, osserva il Papa, implica “dare a ciascuno il suo”, ma “ciò di cui l'uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un'esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l'uomo vive di quell'amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza”. Sono certamente “utili e necessari i beni materiali”, ma la giustizia “distributiva” non rende all'essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. “Come e più del pane – evidenzia il Pontefice -, egli ha infatti bisogno di Dio”. Ma da dove viene l'ingiustizia? “Una tentazione permanente dell'uomo”, avverte il Santo Padre, è “quella di individuare l'origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l'ingiustizia viene 'da fuori', affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l'attuazione”. In realtà, “questo modo di pensare”, come ammonisce Gesù, “è ingenuo e miope”. Infatti, “l'ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male”. Per Benedetto XVI, “l'uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l'altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l'egoismo, conseguenza della colpa originale”. Nel cuore della saggezza di Israele, prosegue il Papa, “troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che 'solleva dalla polvere il debole' e giustizia verso il prossimo”. Dio, infatti, “è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero, il forestiero, lo schiavo”. “Per entrare nella giustizia – osserva il Pontefice - è pertanto necessario uscire da quell'illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l'origine stessa dell'ingiustizia”. Occorre, in altre parole, “una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare”. E “l'annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell'uomo, come afferma l'apostolo Paolo nella Lettera ai Romani”. La giustizia di Cristo, spiega Benedetto XVI, è anzitutto “la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l'uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri”. Il fatto che l'“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa, chiarisce il Papa, che “non sono i sacrifici dell'uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell'amore di Dio che si apre fino all'estremo”. Di fronte alla giustizia della Croce “l'uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l'uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso”. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, “significa in fondo proprio questo: uscire dall'illusione dell'autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia”. Si capisce allora come “la fede sia tutt'altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del 'mio', per darmi gratuitamente il 'suo'. “Grazie all'azione di Cristo – sottolinea il Pontefice -, noi possiamo entrare nella giustizia 'più grande', che è quella dell'amore, la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare”. “Proprio forte di questa esperienza – conclude il Santo Padre -, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall'amore”.

SIR