domenica 11 luglio 2010

Perché è delicata la lenta scelta dei nuovi vescovi a Milano e Torino. L’arrivo del card. Ouellet cambia le carte in tavola e il Papa prende tempo

L’arrivo alla guida della “fabbrica dei vescovi” del cardinale franco canadese Marc Ouellet, ratzingeriano di ferro fin dai tempi della collaborazione alla rivista Communio fondata in alternativa alla rahneriana Concilium, mescola le carte in tavola in vista delle due nomine italiane più attese: i nuovi arcivescovi di Torino e Milano. Benedetto XVI ha preso dal card. Giovanni Battista Re, ex prefetto ai vescovi, capofila della scuola “bresciana” di derivazione montiniana, il dossier delle due prestigiose diocesi e in questi giorni lo consegna nella mani di Ouellet, porporato vergine agli ambienti della curia romana e ai diversi interessi che ruotano attorno alle due ricche diocesi del Nord. Fino a qualche settimana fa tutto sembrava deciso. Il card. Tarcisio Bertone, piemontese che conosce da vicino la realtà di Torino e che non è alieno al mondo curiale-finanziario milanese (il suo primo discorso davanti al gotha della finanza bianca avviene tre anni fa alla Ca’ de Sass, “sancta sanctorum” della Cariplo, oggi di Intesa-Sanpaolo) aveva già fatto intendere le sue preferenze per sostituire Severino Poletto e Dionigi Tettamanzi. In questi giorni il vercellese vescovo di Alessandria, Giuseppe Versaldi, avrebbe dovuto sostituire Poletto mentre Gianfranco Ravasi, brianzolo, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, luminare delle sacre scritture e divulgatore della fede capace di farsi ascoltare anche dagli uditori meno vicini alla sensibilità cattolica, teologo cresciuto alla scuola del card. Carlo Maria Martini quando questi insegnava al Pontificio Istituto Biblico, era il nome sulla bocca dei più per salire sulla cattedra di Ambrogio dopo Tettamanzi. L’impressione è che l’arrivo di Ouellet abbia modificato le cose. Anzitutto la nomina del successore di Poletto è slittata a dopo l’estate. Il candidato principe resta Versaldi, seguito a ruota dagli altri desiderata di Bertone: il nunzio in Italia Giuseppe Bertello, il vescovo di Ivrea Arrigo Miglio, e come ultima chance il vescovo di Vicenza, di scuola ruinina, Cesare Nosiglia. Nelle ultime settimane, però, questi nomi hanno fatto parlare troppo, e troppo aspramente, le diverse anime della chiesa torinese. Tanto che i continui borbottii da Torino sono arrivati a Roma. E il risultato è che il Papa ha preso tempo vagliando anche altre ipotesi: tra queste quella di un outsider, un candidato non piemontese come potrebbe essere il rettore uscente della Gregoriana, il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda. Stesso discorso per Milano dove però, visti i tempi più lunghi, l’influenza di Ouellet dovrebbe essere più importante. Tanto che già si ipotizzano candidati oltre a Ravasi: il vescovo di Crema Oscar Cantoni e l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto. Torino e Milano vengono da anni difficili. La gestione di Poletto a Torino, dal 1999, e quella di Carlo Maria Martini prima e Tettamanzi poi a Milano, dal 1979 il primo, dal 2002 il secondo, hanno visto i seminari svuotarsi, i preti diminuire, la pratica religiosa in calo. Colpa dei vescovi? Difficile rispondere. Secondo molti oggi servirebbe un segnale da Roma, con la nomina di due pastori che sappiano far tornare le due chiese ai fastosi anni di Maurilio Fossati, vescovo di Torino fino al 1965,e dei grandi vescovi milanesi quali furono Andrea Carlo Ferrari, Alfredo Ildefonso Schuster e Giovanni Colombo. Quale il loro portato? Seppero più di altri mediare l’incontro e i conflitti tra le forze vive del territorio e la curia-istituzione. A Torino i grandi “Santi sociali”, don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Faà di Bruno, fioriscono quando la dialettica con la curia non è esasperata. La stessa cosa accade a Milano, dove l’ambrosianità ecclesiale diviene modello per il mondo quando le forze territoriali dialogano con la curia senza chiusure. Ai tempi di Carlo Borromeo la tensione era tra la riforma della diocesi e l’autonomia degli ordini religiosi: spine nel fianco e insieme particolarità valorizzate. Oggi il disturbatore principe della curia istituzione è Comunione e liberazione. Torino, a differenza dell’affaristica Milano, ha una caratteristica in più. E’ la città del pensiero debole, culla dei Bobbio e dei Vattimo. Negli ultimi anni il dialogo con la chiesa è stato molto povero. La cultura ne soffre, e anche la città. Il nuovo vescovo deve tornare a proporsi autorevolmente ai custodi di questo pensiero.

Paolo Rodari, Il Foglio

Il Papa: trasformare la nostra mentalità secondo la logica di Cristo, quella della carità. Dio è amore, rendergli culto significa servire i fratelli

"Da qualche giorno ho lasciato Roma per il soggiorno estivo di Castel Gandolfo. Ringrazio Dio che mi offre questa possibilità di riposo. Ai cari abitanti di questa bella cittadina, dove torno sempre volentieri, rivolgo il mio cordiale saluto". Con queste parole Papa Benedetto XVI ha aperto il suo primo Angelus dalla residenza pontificia di Castel Gandolfo dove si trova dal pomeriggio di mercoledì per trascorrere un periodo di riposo. Il Pontefice si è affacciato al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico per recitare l'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Ispirato dal Vangelo odierno, il Papa si è soffermato sulla risposta che Gesu dà ad un dottore della Legge che gli chiede: “Maestro che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? “Amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, e amare il prossimo come se stessi”, risponde il figlio di Dio. Ma chi è il mio prossimo? Chiede ancora il dottore della Legge e Gesù risponde con la parabola del ‘buon Samaritano’, “per indicare – ha spiegato Benedetto XVI - che sta a noi farci ‘prossimo’ di chiunque abbia bisogno di aiuto”. “La parabola, pertanto, deve indurci a trasformare la nostra mentalità secondo la logica di Cristo, che è la logica della carità: Dio è amore, e rendergli culto significa servire i fratelli con amore sincero e generoso”. “Questo racconto evangelico – ha osservato il Papa - offre il ‘criterio di misura’, cioè “l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato ‘per caso’, chiunque egli sia”. “Accanto a questa regola universale, vi è anche un’esigenza specificamente ecclesiale: che “nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno”. Il cristiano dunque ha “‘un cuore che vede’ dove c’è bisogno di amore, e agisce in modo conseguente”. "Affidiamo alla Vergine Maria il nostro cammino di fede - ha detto ancora il Pontefice - e, in particolare, questo tempo di vacanze, affinché i nostri cuori non perdano mai di vista la Parola di Dio e i fratelli in difficoltà".
Benedetto XVI ha quindi ricordato San Benedetto da Norcia, patrono d'Europa e del suo pontificato. La folla di pellegrini nel cortile del Palazzo Apostolico ha salutato con un lungo applauso la ricorrenza dell'onomastico del Papa. E un gruppo di suore ha intonato 'Buon onomastico Santità'. "Desidero anche ricordare che oggi la Chiesa fa memoria di San Benedetto da Norcia, padre e legislatore del monachesimo occidentale - ha aggiunto -. Egli, come narra San Gregorio Magno, 'fu un uomo di vita santa...di nome e per grazia'. 'Scrisse una Regola per i monaci, specchio di un magistero incarnato nella sua persona: infatti il santo non poté nel modo più assoluto insegnare diversamente da come visse'. Il Papa Paolo VI proclamò San Benedetto Patrono d'Europa il 24 ottobre 1964, riconoscendone l'opera meravigliosa svolta per la formazione della civiltà europea". "Il suo motto 'ora et labora' - ha detto il Pontefice su San Benedetto nei saluti in lingua polacca - è una risposta adeguata alla domanda che abbiamo udito nell'odierna Santa Messa: 'Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?'. Il nostro lavoro e la nostra preghiera ci conducano a un gioioso incontro con Dio, che sarà la nostra ricompensa nell'eternità".

Apcom, Radio Vaticana


'Petrus': i sei 'veggenti' di Medjugorje convocati in Vaticano per rispondere alle domande della Commissione d'inchiesta sulle apparizioni

Secondo il sito Petrus i sei veggenti di Medjugorje dovranno presentarsi in Vaticano, probabilmente dopo l’estate, per rispondere alle domande della Commissione d’indagine sulle apparizioni mariane e dovranno consegnare i 10 segreti che la Madonna ha loro affidato. E’ dal 24 giugno del 1981 che sei ragazzi di Medjugorje, uno sconosciuto villaggio della Bosnia, affermano di avere le apparizioni della Madre del Signore. Oggi, dopo 29 anni, i giovani sono diventati persone mature e le apparizioni mariane continuano ininterrottamente. Le vicende sono note anche al grande pubblico perché ne hanno parlato più volte i media, ma la Chiesa non si è mai pronunciata, né a favore, né contro questa testimonianza così importante per la vita spirituale della cristianità.Si sono pronunciati sicuramente in modo entusiasta le migliaia di pellegrini che durante tutto l’anno si recano nella cittadina bosniaca ottenendo la conversione, una profusione di grazie e le guarigioni del corpo e dello spirito. Ma ultimamente pare che le acque si siano mosse perché Benedetto XVI ha istituito una Commissione d’indagine, presieduta dal card. Camillo Ruini, incaricata di fare luce sulle apparizioni e soprattutto sui dieci segreti di cui tre dei veggenti sono depositari, mentre gli altri tre ne conoscono nove e affermano di vedere la Santa Vergine ogni giorno, finchè non riceveranno anche il decimo segreto. Non si può certo mettere in dubbio la competenza teologica del Papa e dei suoi collaboratori, ma davanti ad un richiamo così forte nessuno può rimanere indifferente, tanto meno i vertici della Chiesa.

Il Nord.com