sabato 20 ottobre 2012

Anno della fede. Domani in Piazza San Pietro Benedetto XVI presiede la cerimonia di Canonizzazione di sette Beati. Le novità nel rito

 
 
 
 
 
 
 
 
Gli articoli de L'Osservatore Romano
 
 
 
 
 
 

Diciottesima Congregazione generale. Presentata in aula la prima bozza del messaggio del Sinodo dei vescovi: la novità di esortazioni specifiche rivolte ai continenti, considerato che le situazioni sono molto diverse

E' per "un atto di trasparenza" che i Padri sinodali stanno mettendo a punto il messaggio (nuntius) espressamente "rivolto al popolo di Dio", dunque "agli evangelizzatori che sono anch’essi da evangelizzare". A presentare e leggere in aula la prima bozza del testo, questa mattina, il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, presidente della Commissione per il messaggio. È un documento molto atteso e immediato che, ha spiegato, consentirà "alle nostre comunità di avere uno sguardo organico degli argomenti trattati dall’assemblea dal punto di vista pastorale". In attesa dell’Esortazione Apostolica post-sinodale del Pontefice. Illustrandone forma e contenuti, il card. Betori ha rimarcato l’impegno di tener conto di tutte "le diverse articolazioni del popolo di Dio" con lo stile di "incoraggiare" e anche di "lodare gli sforzi" di quanti sono impegnati nell’evangelizzazione. Il messaggio di questo Sinodo avrà, rispetto alle assemblee precedenti, "la novità di esortazioni specifiche rivolte ai continenti", considerato che "le situazioni sono molto diverse". Lo sguardo unitario del Sinodo non perde però di vista le diversità e le situazioni particolari. Puntando a far emergere le linee essenziali e fondamentali sulla nuova evangelizzazione, così come le stanno indicando in questi giorni i padri sinodali, il testo definitivo del messaggio terrà dunque conto di tutti gli interventi. L’obiettivo di fondo è infatti quello di sostenere e orientare l’annuncio e la testimonianza evangelica in tutti i contesti. La presentazione e la votazione del messaggio sono previste per la mattina di venerdì 26 ottobre. Per l’arcivescovo Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, questa prima bozza è già un testo "solido e attraente" e lo ha confermato l’applauso in aula dei Padri sinodali. Hanno poi preso la parola in dodici per presentare osservazioni e formulare proposte aggiuntive. Altri interventi riguardo al testo definitivo saranno presentati per iscritto alla Wegreteria. La diciottesima Congregazione generale, presieduta dal card. Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara, alla presenza di 250 Padri sinodali, si era aperta con il primo turno di votazione per l’elezione dei dodici membri del consiglio ordinario: altri tre saranno poi nominati dal Papa. Un ruolo importante, ha spiegato mons. Eterović, perché questo organismo "dovrà dare seguito alle indicazioni del Papa e coadiuvarlo eventualmente anche nella redazione dell’Esortazione post-sinodale". Nel secondo turno di votazioni, martedì 23 ottobre, saranno eletti tre rappresentanti per ogni continente: Africa, America, Europa e Asia-Oceania. Tutti i membri dovranno appartenere a Paesi diversi. E i lavori in aula riprenderanno proprio martedì mattina con la presentazione delle preposizioni. Alla segreteria del Sinodo, ha detto mons. Eterović, ne sono arrivate 326. I lavori di questa mattina si sono conclusi in anticipo per consentire ai padri sinodali di partecipare, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, alla consegna dei riconoscimenti della seconda edizione del Premio Ratzinger. Infine, per domenica mattina l’appuntamento per tutti è in Piazza San Pietro per partecipare alla canonizzazione di sette beati, presieduta da Benedetto XVI. Proprio la santità, è stato rilevato negli interventi che hanno fatto seguito alla lettura della prima bozza del messaggio, è decisiva per la nuova evangelizzazione: innanzitutto perché gli evangelizzatori per evangelizzare devono essere santi e poi anche perché la lettura delle vite dei Santi è una testimonianza che invita alla conversione.

L'Osservatore Romano

DICIOTTESIMA CONGREGAZIONE GENERALE

Card. Ruini: Rémi Brague e Brian Daley due studiosi che, a partire da una straordinaria conoscenza delle origini e della storia della fede cristiana, sanno guardare in avanti per costruire sulla base di questa fede il presente e il futuro della famiglia umana

"La Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - ha detto il card. Camillo Ruini, presidente del comitato scientifico della Fondazione, presentando i premiati dell’edizione 2012 - ha visto in Rémi Brague e Brian Daley due studiosi che, a partire da una straordinaria conoscenza delle origini e della storia della fede cristiana, sanno guardare in avanti, per costruire sulla base di questa medesima fede il presente e il futuro della famiglia umana". Padre Brian Edward Daley, teologo e patrologo gesuita statunitense ha compiuto gli studi teologici alla Hochschule Skt. Georgen di Francoforte, dove è stato anche assistente del grande storico della cristologia Alois Grillmeier. Ha conseguito il dottorato a Oxford pubblicando un’edizione critica delle opere di Leonzio Bizantino, e ha insegnato dal 1978 al 1996 teologia alla Weston School of Theology di Cambridge nel Massachusetts e poi, fino a oggi, all’University of Notre Dame. Ha inoltre lavorato molto in ambito ecumenico, specialmente per i rapporti tra cattolici e ortodossi, e attualmente è segretario esecutivo, per parte cattolica, dell’organismo consuntivo cattolico-ortodosso per il Nord America. È autore del volume "The hope of the Early Church: a Handbook of Patristic Eschatology" e ha tradotto in inglese le antiche omelie greche sulla Dormizione di Maria e omelie patristiche greche e bizantine sulla Trasfigurazione, oltre al libro di Hans Urs von Balthasar "Liturgia cosmica. L’universo secondo Massimo il Confessore". "Rémi Brague, con il quale mi onoro di avere un rapporto anche personale - ha continuato Ruini - è un filosofo vero e al contempo un grande storico del pensiero della cultura, che unisce alla forza speculativa e alla visione storica una fede cristiana e cattolica profonda ed esplicita, testimoniata senza complessi". Brague ha studiato filosofia e lingue classiche all’École Normale Supérieure di Parigi e poi anche ebraico e arabo. Ha insegnato per vent’anni, dal 1990 al 2010, alla Sorbona e attualmente ha la cattedra "Romano Guardini" di Scienza e storia delle religioni e di Weltanschauung cristiana presso l’università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera. È membro dell’Institut de France, Académie des Sciences Morales et Politiques e ha conseguito prestigiosi premi internazionali, tra cui il Grand prix de philosophie de l’Académie Française. "Tra i suoi molti libri - ha chiosato Ruini - che spaziano dalla filosofia greca alla filosofia medioevale cristiana, giudaica e islamica e alle opere di sintesi e approfondimento teoretico, vorrei ricordare 'Europe, la voie romaine; La Sagesse du rnonde. Histoire de l’expérience humaine de l’univers', da me particolarmente amato 'Du Dieu des chrétiens et d’un ou deux autres e finalmente il recentissimo 'Les Ancres dans le ciel. L’infrastructure métaphysique'".

L'Osservatore Romano

Mons. Scotti: il Premio Ratzinger un modo nobile ed eloquente con il quale, attraverso il gesto autorevole di Pietro, la Chiesa invita tutti a favorire un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza

"La ricerca su Dio e la capacità dell’uomo di dar voce alla Sua presenza sono un investimento vero e decisivo per il futuro dell’uomo; di tutto l’uomo che è 'fatto di poco inferiore agli angeli, coronato di gloria e di onore'". Con queste parole ha aperto il suo saluto a Papa Benedetto XVI mons. Giuseppe Antonio Scotti, presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, che ha aperto la cerimonia. Un saluto nel quale mons. Scotti ha innanzitutto sottolineato il significato del premio giunto quest’anno alla seconda edizione: "È il modo con il quale la Fondazione vuole dire che lo studio e la ricerca scientifica, che ha Dio come oggetto, è capace di portare luce e gioia nella vita dell’uomo. Questo, lo sappiamo bene, è il cuore del suo insegnamento". Richiamando poi le parole usate da Benedetto XVI nella notte di Pasqua, quando il Papa affermò che "il buio veramente minaccioso per l’uomo è il fatto che egli, in verità, è capace di vedere e indagare le cose tangibili, materiali, ma non vede dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male" aggiungendo: "La fede, che ci mostra la luce di Dio...è un’irruzione della luce di Dio nel nostro mondo, un’apertura dei nostri occhi per la vera luce". Mons. Scotti ha ricordato come "tutti noi siamo consapevoli del grande e immenso bisogno di una nuova 'irruzione di luce' nel nostro tempo". Per questo, ha sottolineato non solo l’importanza del premio che ricorda a tutti come sia possibile cercare e trovare quella "luce", ma anche il dono prezioso dell’Anno della fede appena inaugurato nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II: tutte occasioni "per essere nuovamente capaci di 'riproporre efficacemente il mistero cristiano all’uomo contemp oraneo'". A nome di tutti i presenti, fra i quali anche i Padri sinodali che per l’occasione hanno interrotto i loro lavori, mons. Scotti ha quindi ringraziato Benedetto XVI: "Grazie, beatissimo Padre, perché con il suo servizio richiama tutti noi al senso vero e profondo dell’esistere. Lei, con la parola e con lo scritto, porta ciascuno di noi a chiedersi: 'È vero ciò che è stato detto?' e, se è vero, 'riguarda proprio me? E, se mi riguarda, in che modo?'. Sono quelle domande poste con amicizia al cuore e all’intelligenza dell’uomo che avremo tutti modo di leggere e di riascoltare fra pochi giorni, quando avremo fra le mani il suo volume 'L’infanzia di Gesù', con il quale completa la sua trilogia su Gesù di Nazaret. Il suo assegnare ora, il Premio Ratzinger a questi due studiosi che hanno svolto un servizio alla ragione illuminata dalla fede in diverse e prestigiose università, è un modo nobile ed eloquente con il quale, attraverso il gesto autorevole di Pietro, la Chiesa invita tutti a favorire un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza".

L'Osservatore Romano

Il Papa: è proprio di persone che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio vicino e credibile all’uomo d’oggi, ciò di cui abbiamo bisogno, uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio, perché possano parlare anche alla mente e al cuore degli altri

Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, alla presenza dei Padri sinodali, il Santo Padre Benedetto XVI ha conferito a due personalità il "Premio Ratzinger" istituito dalla "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI". I premiati di quest’anno sono Rémi Brague, francese, laico, studioso di Filosofia delle religioni e Brian E. Daley, padre gesuita, statunitense, storico di Teologia patristica.
“Mi congratulo vivamente con il padre Daley e il prof. Brague, che con la loro personalità illustrano questa iniziativa nella sua seconda edizione. E intendo ‘personalità’ in senso pieno: il profilo della ricerca e di tutto il lavoro scientifico; il prezioso servizio dell’insegnamento, che entrambi svolgono da lunghi anni; ma anche il loro essere, naturalmente in modi diversi – uno è un gesuita, l’altro un laico sposato – impegnati nella Chiesa, attivi nell’offrire il loro contributo qualificato alla presenza della Chiesa nel mondo di oggi”. Lo ha detto il Papa nel suo discorso. “I due premiati di quest’anno – ha evidenziato il Papa - sono competenti e impegnati in due aspetti decisivi per la Chiesa nei nostri tempi: mi riferisco all’ecumenismo e al confronto con le altre religioni. Il padre Daley, studiando a fondo i Padri della Chiesa, si è posto nella migliore scuola per conoscere e amare la Chiesa una e indivisa, pur nella ricchezza delle sue diverse tradizioni; per questo egli svolge anche un servizio di responsabilità nei rapporti con le Chiese ortodosse. E il prof. Brague è un grande studioso della filosofia delle religioni, in particolare di quelle ebraica e islamica nel medioevo”. Perciò, al Pontefice, a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, “piacerebbe rileggere insieme con loro due documenti conciliari: la Dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane e il Decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, a cui aggiungerei però un altro documento che si è rivelato di straordinaria importanza: la dichiarazione 'Dignitatis humanae' sulla libertà religiosa”.
“Sicuramente – ha osservato il Santo Padre - sarebbe molto interessante, caro padre e caro professore, ascoltare le vostre riflessioni e anche le vostre esperienze in questi campi, dove si gioca una parte rilevante del dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo”. “Questo ideale incontro e confronto – ha affermato Benedetto XVI - già avviene leggendo le loro pubblicazioni, che in parte sono disponibili in diverse lingue. Sento di dover esprimere particolare apprezzamento e gratitudine per questa fatica del comunicare i frutti di tali ricerche. Un impegno, questo, che è gravoso ma prezioso per la Chiesa e per quanti operano in ambito accademico e culturale”. Il Papa ha sottolineato, poi, che entrambi i premiati sono professori universitari: “Questo aspetto merita di essere messo in rilievo, perché mostra un aspetto di coerenza nell’attività della Fondazione, che, oltre al Premio, promuove borse di studio per dottorandi in Teologia e anche convegni di studio a livello universitario, come quello che si è tenuto quest’anno in Polonia, e quello che avrà luogo fra tre settimane a Rio de Janeiro”. Personalità come Daley e Brague sono “esemplari per la trasmissione di un sapere che unisce scienza e sapienza, rigore scientifico e passione per l’uomo, perché possa scoprire l’‘arte del vivere’”. Per il Pontefice, “è proprio di persone che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio vicino e credibile all’uomo d’oggi, ciò di cui abbiamo bisogno; uomini che tengano lo sguardo fisso verso Dio attingendo da questa sorgente la vera umanità per aiutare chi il Signore mette sul nostro cammino a comprendere che è Cristo la strada della vita; uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio, perché possano parlare anche alla mente e al cuore degli altri”. “Operare nella vigna del Signore, dove ci chiama – ha aggiunto -, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano scoprire e riscoprire la vera ‘arte del vivere’: questa è stata anche una grande passione del Concilio Vaticano II, più che mai attuale nell’impegno della nuova evangelizzazione”.

SIR

CONFERIMENTO DEL "PREMIO RATZINGER" 2012 - il testo integrale del discorso del Papa
 

Nominati dal Papa i nuovi vescovi di tre diocesi italiane: mons. Caliandro a Brindisi, mons. Gallese ad Alessandria e mons. Palletti a La Spezia

Papa Benedetto XVI ha nominato oggi nuovi vescovi per tre diocesi italiane che erano da tempo senza pastore. Si tratta di mons. Domenico Caliandro, fino ad oggi vescovo di Nardò-Gallipoli, 'promosso' da Papa Ratzinger alla testa dell'arcidiocesi di Brindisi-Ostuni; di mons. Guido Gallese, nominato vescovo di Alessandria e prima collaboratore del card. Angelo Bagnasco a Genova dove dirigeva l'ufficio per l'università e la pastorale giovanile; e infine di mons. Luigi Ernesto Palletti, nuovo vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato. Anche Palletti lavorava con il presidente della CEI a Genova, dove era vescovo ausiliare.

Asca

RINUNCE E NOMINE

Telegramma di cordoglio del Papa per l'attentato a Beirut: dolore per le vittime. Dio doni al Libano e a tutta la regione la pace e la riconciliazione

Dolore di Benedetto XVI per le vittime dell'attentato di ieri a Beirut che ha causato 8 morti e decine di feriti. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e indirizzato al Patriarca maronita Bechara Boutros Raï, il Papa esprime il proprio cordoglio per le vittime del terribile attentato in Libano e rinnova l'appello di pace per tutta la regione. Benedetto XVI condanna fermamente la violenza “che genera sempre tanta sofferenza”. A poco più di un mese dal suo viaggio apostolico nel Paese dei Cedri, il Papa chiede dunque a Dio di dare "al Libano e a tutta la regione il dono della pace e della riconciliazione". Il Pontefice è vicino al dolore delle famiglie delle vittime e prega il Signore "affinché li accolga nella sua luce". Nel suo messaggio di cordoglio al Patriarca Bechara Raï, esprime quindi la sua vicinanza al popolo libanese, vittima del "terribile attentato" che ha sconvolto Beirut. Il Papa manifesta la propria solidarietà ai feriti, per i quali invoca il conforto di Dio, affinché li sostenga nella prova. Assicura infine le sue preghiere per tutta la popolazione libanese.

Radio Vaticana

La sapienza certosina: quel sentiero paradossale dove si sale scendendo. Un anno fa la visita di Benedetto XVI ai monaci della Certosa di Serra San Bruno

Il 9 ottobre 2011 Benedetto XVI visitava i monaci della Certosa di Serra San Bruno e, con loro, simbolicamente tutto l’ordine certosino sparso nel mondo da San Bruno dopo i modestissimi inizi dell’estate 1084 nei boschi francesi della Chartreuse. Fugitiva relinquere et aeterna captare ("abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno"): così, con una frase del fondatore, il Papa sintetizzava il nucleo della spiritualità certosina. L’eterno, Dio, è quel tesoro di cui parla il vangelo di Matteo (13, 44) "che è stato nascosto nel campo, che un uomo trovando nascose di nuovo, e per la gioia che è in lui, va e vende tutto quanto possiede e compra quel campo". In singolare armonia con le parole di Benedetto XVI, un giovane monaco certosino ci svela, in un piccolo ma davvero prezioso libro intitolato "Sentieri del deserto" (Rubbettino - La Certosa), il senso di questa parola della Scrittura solo apparentemente semplice e ci permette di rileggere a fondo il discorso del Pontefice. "Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si espone al reale nella sua nudità", dice il Papa, "si espone ad un apparente vuoto", e il monaco lasciando tutto rischia, sente il peso vertiginoso della solitudine. "Dall’inizio del noviziato - scrive in effetti il giovane certosino - improvvisamente tutto è cambiato". Dopo l’entusiasmo provato entrando in certosa, "quel tesoro così vicino non lo vedevo più" ed "era come se mai l’avessi avuto davanti. Tra le mani mi restava la nuda e scura terra dei miei giorni". E "come nel matrimonio - sembra fargli eco da Serra San Bruno il Papa - non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo". È come se il tesoro sul quale d’impeto vorremmo gettarci ci fosse nascosto, è come se ci volessero giorni di buio e di sepolcro per gustare veramente la luce della Resurrezione: questo è quello che insieme dicono il Papa e il giovane monaco. "Ero entrato - scrive ancora il certosino - convinto che per trovare Dio avrei dovuto fare un salto oltre, su per montagne, scale, gradini e ascensori delle mie letture spirituali" e invece "mi sono trovato a fare un salto in basso, giù per un paradossale sentiero, dove si sale scendendo!". Questo tipo di tesoro non si può rubare, non si può comprare ma, per ottenerlo, la parola chiave è “vendere”: e vendere non solo i beni materiali ma la parte più ostinata del nostro io. "Se provo a rivedere i luoghi concreti di questa compravendita - continua il monaco - mi pare di riconoscerne con chiarezza tre": debolezza, inutilità e povertà. "Ho venduto quella parte di autocompiacimento che mi restava e ho comprato una debolezza sconfinata. Ma proprio là in fondo ho ritrovato la misericordia infinita di Dio" che è "il suo modo più straordinario di amare gli uomini". E ancora: "Ho venduto il mio sentirmi indispensabile e ho comprato la mia inutilità" guardando alla croce sulla quale "Gesù non era più utile a nessuno ma stava salvando tutti". E infine, conclude il certosino, "ho venduto le mie facili certezze e ho comprato la mia grande povertà con il grido di speranza che si porta dietro". Solo allora si possiede il tesoro: "la vita in una Certosa - diceva un anno fa il Papa - partecipa della stabilità della croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele", una vita, suggerisce alla fine del suo scritto il monaco, che tende giorno per giorno al tesoro della gioia: "La Gioia che non ha paragoni immaginabili con nessuna delle gioie umane, quella che resta quando tutte le altre muoiono, quella che non so descrivere, circoscrivere, narrare, eppure è qui, nella terra che io sono, nella terra che ogni uomo è". La sapienza certosina fa scoprire anche a noi la Gioia che ci abita. Quella stessa Gioia che porta a vendere tutto ciò che ci impedisce in questo mondo di gustarla pienamente.

Ferdinando Cancelli, L'Osservatore Romano

Il Papa in Libano. Un mese dopo tre giovani ricordano il viaggio di Benedetto XVI: con le sue parole ha mostrato che ci conosce e ci comprende, ha menzionato ogni singolo dettaglio riguardante i giovani e ci ha dato strumenti pratici per affrontare ogni difficoltà

“Il Papa con la sua visita ci ha portato non soltanto la pace ma anche un gioia grandissima. Ha toccato tutte le problematiche che viviamo ogni giorno e questo ci ha dato una pace nel cuore, perché adesso sappiamo che il Papa , la Chiesa, è accanto a noi, conosce i nostri problemi, e vuole aiutarci”. Joseph Sawaya ha 28 anni, ed è un ingegnere meccanico. È uno dei tanti giovani libanesi che sono andati a Bkerké, ad ascoltare il Papa. Ancora a un mese di distanza, il messaggio del Papa è molto sentito in Libano. Anche se all’entusiasmo dei primi giorni, in alcuni ha preso posto anche l’analisi, fredda, lucida, della situazione libanese. Come quella che fa Kiara Kathounian, 21 anni, cooperatrice sociale. “Non credo – dice – che la visita del Papa avrà un impatto di lungo termine sul governo o sul Medio Oriente riguardo le questioni politiche e le decisioni. Credo però che quella visita ha mostrato che i Libanesi e gli altri popoli del Medioriente hanno bisogno di pace e che vogliono fare piazza pulita di tutti gli ostacoli del passato e ottenere un nuovo inizio di pace. E questo è diventato ovvio quando abbiamo visto dei giovani musulmani partecipare all’evento e dare il benvenuto al Papa”. E sottolinea il senso e il significato di unità della visita Christian da Silva, un giovane brasiliano trapiantato il Libano. “La presenza del Papa in questo piccolo paese di 4 milioni di abitanti – dice - è stata sentita e voluta non solo della diversità del mondo cristiano, ma anche dei musulmani e drusi che hanno colto con gioia la presenza unica del Papa che riesce riunire tutti attorno a se. Personalmente, non credo che oggi ci sia una figura pubblica che riesca trasmettere una forza sopranaturale così speciale come lo fa il Papa. E attorno al Papa tutti si sono ritrovati. Il Libano ha mostrato che è ancora possibile una convivenza armoniosa tra le comunità. Le quali hanno accolto Benedetto come hanno fatto in precedenza con Giovanni Paolo II”. Per Christian è stato “bello vedere sempre i 7 patriarchi cattolici e tanti metropoliti delle chiese ortodosse presenti in Libano attorno al Papa, testimoniando che siamo uno, nonostante le differenze”. Kiara è entusiasta del messaggio lanciato dal Papa, che “ha parlato in modo molto positivo e amorevole di come uscire fuori da tutti i problemi affrontati dai giovani. Con le sue parole, il Papa mi ha mostrato che ci conosce e ci comprende, ha menzionato ogni singolo dettaglio riguardante i giovani, mi ha impressionato. E ci ha dato strumenti pratici per affrontare ogni difficoltà: le preghiera, e l’amore nei confronti di Dio e delle persone intorno a noi”. Ma quali sono i problemi dei giovani in Libano? È sempre Kiara a parlare, forte della sua posizione di cooperatore sociale che le fa vivere i problemi in qualche modo dall’interno. “Le possibilità che hanno i giovani di realizzarsi – dice – sono strettamente legate al nostro livello socio-economico: niente è accessibile a tutti e le ineguaglianze sono evidenti. Il governo non dà servizi ai giovani, e se questi sono dati, sono di scarsa qualità”. È per questo – aggiunge Kiara – che molti “giovani stanno lasciando il Libano per trovare nuove opportunità”. Eppure, “la gioventù libanese crede ancora nella propria nazione, e spera che le cose migliorino. Hanno il coraggio di organizzare eventi e manifestazioni per dare la loro opinione, e sfruttano ogni occasione per dialogare con altri giovani di differenti religioni, confessioni e culture”.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org

Card. Versaldi: trasparenza non significa automaticamente pubblicizzazione del male che porta allo scandalo. La Chiesa comunichi meglio come vengono usati i beni in suo possesso che sono a servizio dell' evangelizzazione e della promozione umana in tutto il mondo

Malversazione, corruzione, malgoverno a volte non risparmiano nemmeno le strutture cattoliche. Ecco cosa dovrebbe fare un vescovo quando scopre che all’interno della propria diocesi che c’è chi sottrae dalle casse comuni preziose risorse. Il card. Giuseppe Versaldi (nella foto con Benedetto XVI), presidente della Prefettura degli Affari Economici, uno dei più stretti collaboratori del card. Tarcisio Bertone, nel suo intervento scritto al Sinodo dei vescovi, ha stilato una serie di regole pratiche da seguire. E proprio per evitare danni peggiori, ha sottolineato, bisogna evitare di mettere tutto in piazza. "Trasparenza non significa automaticamente pubblicizzazione del male che porta allo scandalo". Un po’ come dire: i panni sporchi è meglio lavarli in casa. Ma vediamo quali sono i suggerimenti forniti dal cardinale. Primo: Se si scoprono irregolarità, prima di denunciare all’autorità ecclesiastica il responsabile di questi "errori", occorre far leva su una buona dose di comprensione. "Esiste una reale difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra le prioritarie esigenze del fine spirituale e le tecniche con cui i beni materiali sono trattati dalle amministrazioni ecclesiastiche in quanto queste tecniche sono dettate dal mondo e sovente possono essere in contrasto con il fine religioso. Ne consegue - ha rilevato il cardinale - che la possibilità di sbagliare da parte di coloro che amministrano i beni ecclesiastici verso i quali deve valere nella Chiesa la presunzione di buona intenzione e di onestà fino alla dimostrazione del contrario, anziché la facile accusa di interesse o di potere personale propria dei denigratori della Chiesa". Secondo: "Nei casi possibili di cattiva amministrazione dei beni ecclesiali, come terapia deve valere nella Chiesa la medicina evangelica della correzione fraterna". Terzo: "Prima della denuncia all’autorità deve valere il confronto personale per dare la possibilità di ravvedimento e riparazione". Quarto: "Solo se non c’è conversione, si deve ricorrere all’autorità competente alla quale spetta il compito di verificare le accuse senza che queste siano già considerate prova di malgoverno". E comunque, quando nella Chiesa si commettono "errori" nell’amministrazione del denaro e delle proprietà materiali, deve valere sempre "la presunzione di buona intenzione e di onestà", almeno fintanto che non sia "dimostrato il contrario", anzichè la "facile accusa di interesse o di potere personale". Il card. Versaldi motiva questa lista di osservazioni, sottolineando che "l’annuncio del Vangelo deve essere sempre accompagnato dalla credibilità di colui che lo annuncia mettendo in pratica il messaggio che proclama". In ogni caso non è facile amministrare i beni della Chiesa. "Esiste una reale difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra le prioritarie esigenze del fine spirituale e le tecniche con cui i beni materiali sono trattati dalle amministrazioni ecclesiastiche in quanto queste tecniche sono dettate dal mondo e sovente possono essere in contrasto col fine religioso". In ogni caso Versaldi mette in guardia: la Chiesa dovrebbe comunicare "meglio come vengono usati i beni in suo possesso che sono a servizio dell’evangelizzazione e della promozione umana in tutto il mondo".

Franca Giansoldati, Il Messaggero.it

Intervento del card. Giuseppe VERSALDI, Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede

Attentato in quartiere cristiano di Beirut, 8 morti. Lombardi: ferma condanna per l'assurda violenza contraria alla convivenza pacifica. Matar: vogliono spingerci alla guerra

"L'attentato avvenuto a Beirut merita la più ferma condanna, per l'assurda violenza omicida che manifesta e perché è contrario agli sforzi e all'impegno per conservare una convivenza pacifica nel Libano". Lo dichiara in una nota il direttore della Sala Stampa vaticana, il gesuita Federico Lombardi. "Il Libano invece, come ha ripetuto più volte il Santo Padre Benedetto XVI, è chiamato ad essere un messaggio di pace e di speranza per chi vi abita e per tutta quella Regione. Mentre si partecipa con compassione al dolore per la morte e il ferimento di tante persone - conclude Lombardi - ci si augura che questo fatto orribile non sia occasione del diffondersi ulteriore della violenza".
L'attentato di ieri a Beirut "è avvenuto in pieno quartiere cristiano; i bersagli erano chiaramente le persone, i civili. Ed è questo che lo rende più grave: non è, infatti, una guerra politica, non sono i politici il bersaglio degli attentati, ma i poveri civili nelle loro case". Lo ha detto ai microfoni di Radio Vaticana l'arcivescovo maronita di Beirut, Paul Youssef Matar. "Aspetteremo ora di sapere - se mai potremo saperlo! - chi c'è dietro a quest'attentato", ha sottolineato il presule. "Noi cerchiamo di lavorare perché il nostro Paese non sia coinvolto in quello che sta accadendo in Siria, ma ci sono persone che vogliono invece spingerlo nella guerra... non lo so. So che ci vuole tanta saggezza, tanta forza per salvare questo nostro Paese". L'arcivescovo di Beirut ha raccontato: "Da casa mia, dall'arcivescovado, ho sentito una grande deflagrazione, a un chilometro, ottocento metri da qui... E' stata fortissima, hanno tremato le finestre. Poi, mezz'ora dopo, dalla televisione abbiamo saputo che erano state piazzate una o forse più bombe davanti ad un edificio".

TMNews

DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA, PADRE FEDERICO LOMBARDI, SULL’ATTENTATO AVVENUTO A BEIRUT (LIBANO)