sabato 28 agosto 2010

Pubblicati dall'Archivio Segreto Vaticano in un volume i 'fogli di udienza' del card. Eugenio Pacelli quand'era segretario di Stato di Pio XI

Dal ''comunismo ateo'' al ''razzismo fascista'', dal ''vandalismo antisemita'' dei nazisti al rapporto tra lo Stato italiano e la Chiesa. C'è tutto questo e molto altro nei ''fogli di udienza'' del card. Eugenio Pacelli (foto), dall'8 febbraio 1930 segretario di Stato di Pio XI e poi suo successore con il nome di Pio XII, appena pubblicati dall'Archivio Segreto Vaticano nel volume "I "fogli di udienza" del cardinale Eugenio Pacelli segretario di Stato", a cura di Sergio Pagano, Marcel Chappin, Giovanni Coco, secondo quanto reso noto da L'Osservatore Romano. Si tratta di 2627 fogli che danno conto di innumerevoli questioni trattate in 1956 udienze da Papa Pio XI nel corso del suo pontificato, inziato il 6 febbraio 1922 e terminato il 10 febbraio 1939, giorno della sua morte. Già il card. Pietro Gasparri, predecessore di Pacelli alla guida della Segreteria di Stato, dal 1914 al 1930, aveva lasciato appunti occasionali delle sue udienze, ma fu proprio Pacelli, spiega il giornale a inaugurare la prassi dei ''fogli di udienza'', appunti ''finalizzati al lavoro della Segreteria di Stato e della Curia romana in stretta dipendenza da Pio XI''. ''Mille e mille questioni occuparono il tempo e i pensieri di Pio XI e del cardinale Pacelli lungo tanti anni, come bene testimoniano questi 'fogli' - scrive nella prefazione il Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, sulle pagine de L'Osservatore Romano - dalle più minute richieste di sussidi'' alle ''rilevanti questioni ecclesiali e politiche, tanto più complicate, quanto più avanzano gli anni che separano le ferite della prima guerra mondiale da quelle della seconda''. Bertone spiega che Papa Ratti riservò ''una cura vigilante'' per ''l'Italia dell'età fascista, la Russia sovietica, la nascente ideologia nazionalsocialista in Germania. Vediamo - osserva ancora il Segretario di Stato Vaticano - già nel 1930 alzarsi il livello di guardia della Santa Sede per tali programmi politici e le loro organizzazioni''. Leggendo i ''fogli'' si ripercorrono alcuni dei momenti più drammatici di quel particolare periodo storico. Dal ''razzismo fascista'' al ''comunismo ateo'': temi sui quali, scrive Sergio Pagano, si scorgono perfino ''differenza di vedute e nei programmi'' tra Papa Ratti e il card. Pacelli. ''Se, ad esempio - osserva Pagano - sul cruciale problema del comunismo ateo Pio XI e Pacelli concordano perfettamente nel loro pensiero, su altri temi, quali la politica della Germania, l'antisemitismo, il rapporto Stato-Chiesa sotto il fascismo in Italia, le posizioni dei governi francese e spagnolo di fronte alle Chiese locali e alle loro gerarchie, la pratica dei concordati (per tacere altri aspetti), Pacelli nutriva forse posizioni un poco diverse da quelle di Papa Ratti, pronto però sempre a eseguire gli ordini del Papa una volta che questi avesse espressa la sua linea di pensiero. Non è anzi escluso (come lascerebbero intuire alcuni passi dei nostri 'fogli') che il fedelissimo segretario di Stato riuscisse qualche volta (sembra quasi impossibile crederlo, dato il carattere imperioso di Papa Ratti) a convincere il Pontefice nel merito, ad esempio, di atteggiamenti prudenziali da tenere nei riguardi di certi governi, anche di fronte a loro mosse discutibili, oppure sull'opportunità di proseguire pazientemente le trattative concordatarie, pure quando la Santa Sede incontrava ostacoli da ogni parte e Pio XI sulle prime si irrigidiva''.

Asca

Secondo giorno del 'Ratzinger Schülerkreis'. Il Papa: letto con la giusta ermeneutica il Concilio può essere una grande forza per rinnovare la Chiesa

Seconda giornata, al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, del Ratzinger Schülerkreis, il tradizionale incontro estivo degli studenti di Benedetto XVI. Tema dell’incontro a porte chiuse, al quale prende parte anche il Papa, è quest’anno l’ermeneutica, ovvero l’interpretazione, del Concilio Vaticano II. Il momento culminante della riunione sarà la Messa presieduta domani mattina dal Pontefice al Centro Congressi Mariapoli.
Qual è la giusta ermeneutica, la “giusta chiave di lettura e di applicazione” del Concilio Vaticano II? Benedetto XVI sottolinea che la risposta a questo interrogativo ci aiuta a comprendere perché la recezione del Concilio si sia svolta in modo così difficile in grandi parti della Chiesa. Ciò, avverte il Papa, deriva da una “ermeneutica della discontinuità” secondo la quale occorrerebbe seguire “non i testi del Concilio, ma il suo spirito”. Con ciò però, spiega il Papa, si fraintende la natura di un Concilio come tale. Esso infatti verrebbe considerato come una specie di Costituente, “che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova”. Ma la Costituente, prosegue, ha bisogno di un mandante, il popolo, e di una conferma dello stesso: “I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso”.
A questa ermeneutica della discontinuità, osserva Benedetto XVI, “si oppone l’ermeneutica della riforma”, a cui si riferì Giovanni XXIII proprio nel suo discorso d’apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962. Papa Roncalli ribadiva infatti che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina senza attenuazioni o travisamenti” e che dovere dei Padri conciliari è non solo custodire il deposito della fede, ma anche approfondirlo e presentarlo “in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo”. Ecco allora, afferma il Papa, che è nell’ “insieme di continuità e discontinuità” che possiamo vedere la natura della vera riforma del Concilio: “In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole”.
Per questo, è la riflessione del Pontefice, bisogna imparare a riconoscere che, in tali decisioni, “solo i principi esprimono l’aspetto duraturo”. Così, avverte, “le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare”: “Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza”.
In definitiva, sottolinea Benedetto XVI, il “passo fatto dal Concilio verso l’età moderna” appartiene in definitiva "al perenne problema del rapporto tra fede e ragione”. Adesso, conclude, “questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta” dalla Chiesa in questo momento: “Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”.

Radio Vaticana