lunedì 29 giugno 2009

Benedetto XVI ha imposto il Pallio all'arcivescovo di Firenze. Mons. Betori: mi ha chiesto come mi trovo nel nuovo incarico

Oggi in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, Papa Benedetto XVI ha imposto il Pallio all’arcivescovo di Firenze mons. Giuseppe Betori. Durante il gesto della consegna il Papa ha chiesto all’arcivescovo come si trovasse nel suo nuovo incarico. “Molto bene” è stata l’immediata risposta del presule. Mons. Betori Quelle ha rilasciato questa dichiarazione a Radio Toscana al termine della cerimonia nella Basilica di San Pietro. “Il Pallio che mi è stato consegnato oggi dal Papa è un simbolo che sta a significare il fatto che il vescovo deve farsi carico, mettere sulle proprie spalle il popolo di Dio che gli è stato affidato - ha detto il presule - ma rappresenta anche il segno di comunione con i vescovi del mio territorio e quindi con quelli di Arezzo, Pistoia, San Miniato e Fiesole che sono le diocesi suffraganee dell’arcidiocesi di Firenze. È un segno di comunione mia con loro e con il Papa, infatti nel ricevere il Pallio stamattina ho promesso fedeltà e obbedienza al Santo Padre e alla sede di Roma”.“Domani il Santo Padre – ha aggiunto Betori - compirà un gesto di amicizia verso tutti i vescovi che oggi hanno ricevuto il Pallio e li riceverà personalmente, con i loro familiari, in un’udienza privata. Mi attende dunque un altro incontro con il Papa che oggi, quando mi ha consegnato il paramento, mi ha chiesto come stavo a Firenze, manifestando così grande affetto verso di me e verso la città. Ho risposto al Santo Padre – ha concluso l’arcivescovo -. che mi trovo molto bene a Firenze, per questo ringrazio tutti i fiorentini”.

Toscana Oggi

Revoca della scomunica ai lefebvriani. Mons. Fellay: discussione profonda nella direzione giusta con serenità e calma

Il capo della Fraternità Sacerdotale Pio X, mons. Bernard Fellay (foto), si è detto ottimista sul dialogo aperto con il Vaticano, dopo la revoca della scomunica dei vescovi lefebvriani da parte di Benedetto XVI. "C'è una discussione profonda da fare in un clima di serenità, di calma e forse anche nel silenzio. Ma è un cammino intrapreso, che va nella giusta direzione", ha affermato Fellay, parlando con i giornalisti al termine della cerimonia di ordinazione di otto nuovi preti lefebvriani, stamani nel seminario-roccaforte di Econe, in Svizzera. "Noi abbiamo sempre detto che non abbiamo mai lasciato la Chiesa Cattolica e lo confermiamo fermamente - ha aggiunto -, ma la Chiesa vive uno stato di necessità e di disordine". "Per questo possiamo ritenere la legge sospesa, il diritto canonico ce lo consente, perché la legge suprema è solo quella dettata dalla nostra missione, la salvezza delle anime", ha detto ancora il vescovo tradizionalista, spiegando che lo stato di necessità consente quella deroga per cui, "con un ferito grave a bordo della tua macchina, passi con il semaforo rosso".

Il Sussidiario.net

Interrogativi e curiosità sull'anticipazione in alcuni quotidiani dell'Enciclica 'Caritas in veritate'

Venerdì pomeriggio messaggeri fidati hanno consegnato alle redazioni di alcuni quotidiani romani – non tutti – misteriose anonime buste dal contenuto “esplosivo”. Dentro, cinque cartelle, redatte con cura, che costituivano una sintesi e un’anticipazione, completa di brani virgolettati, della terza Enciclica di Benedetto XVI, la "Caritas in veritate". E’ capitato, in passato, che documenti pontifici, Encicliche comprese, siano stati anticipati; ma un’operazione come quella compiuta venerdì corso rappresenta un inedito nella storia dell’informazione vaticana. In precedenza le anticipazioni erano exploit personali del singolo giornalista, grazie alla complicità amichevole di qualche “gola profonda”. Qui invece l’impressione è di trovarsi davanti a un’operazione accuratamente preparata e organizzata. Infatti non è stato passato sottobanco il testo, ma qualcuno ha lavorato per preparare una sintesi, piuttosto lunga e calibrata; e poi l’ha fatta pervenire agli interessati; che forse erano e sono ignari del motore remoto della catena di distribuzione. E adesso le ipotesi. La più cattiva: qualcuno ha voluto abbassare l’interesse, che è molto alto, intorno al documento papale, ormai di imminente pubblicazione. E in questo caso, dal momento che è evidente che l’autore della sintesi deve essere in possesso del testo, la freccia sarebbe partita dall’interno del mondo vaticano. Non crediamo molto a questa eventualità. Anche perché difficilmente gli autori dell’operazione, che si è svolta a quanto pare grazie a messaggeri discreti, possono sperare di restare anonimi a lungo, in un mondo come quello dei giornalisti, non esattamente impermeabile alle fughe di notizie. Passiamo ora alla seconda ipotesi. Un’ipotesi “istituzionale”; e cioè qualcuno nei Sacri Palazzi ha pensato bene di cominciare a far montare l’interesse intorno alla “Caritas in veritate”, organizzando una piccola distribuzione ben guidata verso alcune testate giudicate degne di ricevere questa emarginazione, non si sa in base a quale criterio. Ma a quanto ci risulta non tutti dietro il Portone di Bronzo, anche a livelli molto alti, erano al corrente dell’iniziativa. Un dettaglio per specialisti. Se, come è probabile, nei prossimi giorni verrà annunciata la presentazione ufficiale dell’Enciclica in Sala Stampa, da quale momento il testo verrà considerato sotto embargo. Cioè chi ne rivelerà delle parti potrà essere punito. L’anticipazione quindi è avvenuta proprio nell’ultimo periodo utile a evitare violazioni formali. E anche questa accortezza non è un elemento da trascurare, nel valutare il caso. Infine una terza ipotesi. Si è molto parlato nei mesi e negli anni scorsi di un’eccessiva passività della gestione dell’informazione vaticana, spesso obbligata ad agire in risposta a critiche e problemi, più che in attacco. Può essere che qualcuno, avendo il testo a disposizione, abbia voluto mettere in pratica un’informazione “dinamica” e anticipare il senso dell’Enciclica, per dare una “linea” di interpretazione e prevenire letture parziali o frammentarie. Senza, necessariamente, informare dell’iniziativa i grossi papaveri. Un’operazione “corsara” dalle buone intenzioni. Resta il fatto che il modo in cui l’operazione è stata condotta costituisce un fatto inedito nella storia dell’informazione vaticana.

Marco Tosatti, San Pietro e dintorni

Anno Paolino. La chiusura a Tarso e Antiochia con il card. Tauran: i cristiani in Turchia siano testimoni credibili e coraggiosi di Gesù

"Siate cristiani coerenti. Siete una minoranza da cui tutti, in questo grande paese ricco di storia, si attendono qualcosa di diverso". E ancora: "Le nostre chiese non sono musei, i cristiani non sono pezzi di antiquariato". Sono alcune delle affermazioni che il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha pronunciato questa mattina nella città di Tarso, dove si è recato come inviato del Papa per le celebrazioni conclusive dell'Anno Paolino in Turchia. Per lo stesso motivo, ieri il porporato aveva presieduto una Messa ad Antiochia, durante la quale aveva esortato i cristiani a promuovere il dialogo e la comunione. Il Simposio su Paolo che si tiene in questi giorni in Turchia ha interrotto per un giorno i lavori per consentire ai professori di partecipare alla chiusura dell’Anno Paolino ad Antiochia e a Tarso. Ad Antiochia, tutto si è svolto con estrema semplicità nei luoghi di culto delle due confessioni religiose presenti in città, cioè il Cortile della Missione cattolica e la Chiesa ortodossa. Ad Antiochia, il card. Tauran ha preceduto la liturgia affiancato da cinque vescovi, da pastori dei maroniti e dei filocattolici e da 28 sacerdoti. Il porporato si è detto felice della comunione che i cattolici ortodossi trovano attorno alla Parola e al pane, invitando poi i cattolici che sono in Turchia a testimoniare coraggiosamente la propria fede. Quindi, il porporato si è poi trasferito, con i vescovi ed i sacerdoti, nella Chiesa Ortodossa, per partecipare al canto dei Vespri, presieduto dal Patriarca ecumenico ortodosso, Bartolomeo I. Solenne anche la cerimonia di Tarso, alla presenza di sette vescovi e 60 sacerdoti. Sulla cerimonia ha pesato tuttavia l’interrogativo sul futuro della Chiesa costruita in città in onore dell’Apostolo Paolo: sarà affidata al Vicariato apostolico di Anatolia, com’è stato promesso più volte dalle autorità nazionali e locali, o tornerà ad essere museo? “Lo chiediamo ancora una volta - ha detto mons. Luigi Padovese, vicario apostolico di Anatolia - perché Tarso è diventata, dopo il Santuario mariano di Meryem Ana di Efeso, il secondo luogo di pellegrinaggio in Turchia, ed un luogo di culto per i cattolici”. Se tornasse ad essere un museo, i pellegrini cristiani non avrebbero un loro luogo di culto e potrebbero cancellare da Tarso anche la loro presenza durante i pellegrinaggi. La risposta definitiva sul destino della Chiesa sarà data domani, ed i cattolici del mondo si augurano che essa sia positiva.

Radio Vaticana

L'Angelus. Il Papa: Roma mantenga viva la sua vocazione cristiana. Prossima la pubblicazione della mia Enciclica 'Caritas in veritate'

I cristiani restino sempre ''fedeli alla vocazione cristiana e non si conformino alla mentalità di questo mondo''. L'''esortazione'' è venuta questa mattina da Papa Benedetto XVI. Al termine della Messa celebrata nella Basilica Vaticana nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, con la partecipazione di una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e con l'imposizione dei Palli agli Arcivescovi Metropoliti, il Papa ha guidato la recita dell'Angelus con i fedeli presenti in San Pietro e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. ''Prego costantemente affinchè Roma mantenga viva la sua vocazione cristiana non solo conservando inalterato il suo immenso patrimonio spirituale e culturale, - ha detto il Pontefice - ma anche perchè i suoi abitanti possano tradurre la bellezza della fede ricevuta in modi concreti di pensare e di agire, ed offrano così a quanti, per varie ragioni vengono in questa città, un'atmosfera carica di umanità e di valori evangelici''. "Come vostro pastore – le parole di Benedetto XVI ai fedeli romani – vi esorto a restare fedeli alla vocazione cristiana e a non conformarvi alla mentalità di questo mondo – come scriveva l’Apostolo delle genti proprio ai cristiani di Roma – ma a lasciarvi sempre trasformare e rinnovare dal Vangelo".
Dopo la preghiera mariana, l'annuncio: "È ormai prossima la pubblicazione della mia terza Enciclica, che ha per titolo Caritas in veritate". "Riprendendo le tematiche sociali contenute nella 'Populorum progressio', scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967 - ha detto il Papa - questo documento, che porta la data proprio di oggi, 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, intende approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera - ha detto Benedetto XVI rivolto ai fedeli - questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all'umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti". Benedetto XVI ha salutato con "viva cordialità" la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che, ha detto, "come ogni anno, è giunta a Roma per la celebrazione dei Santi Pietro e Paolo". "La comune venerazione di questi Martiri sia pegno di comunione sempre più piena e sentita fra i cristiani di ogni parte del mondo", ha detto il Pontefice, che nello stringere le mani dei vescovi e sacerdoti ortodossi ha affidato loro il suo grazie per il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I che li ha inviati a Roma per questa circostanza. "L'odierna solennità - ha spiegato - riveste anche un carattere universale: esprime l'unità e la cattolicità della Chiesa. Ecco perchè ogni anno, in questa data, vengono a Roma i nuovi Arcivescovi Metropoliti a ricevere il Pallio, simbolo di comunione con il Successore di Pietro. Rinnovo pertanto - ha concluso il Pontefice - il mio saluto ai Fratelli nell'Episcopato per i quali ho compiuto questa mattina in Basilica tale gesto ed ai fedeli che li hanno accompagnati".

Asca, Apcom, Agi


Santi Pietro e Paolo. Il Papa: Il retto pastore deve saper resistere ai lupi. Deve nutrire il gregge con la Parola di Dio, conservare la sua unità

Stamane il Papa ha presiedito nella Basilica di San Pietro la Santa Messa nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma. Hanno concelebrato i 34 nuovi arcivescovi metropoliti, ai quali Benedetto XVI ha imposto il sacro Pallio, la stola di lana bianca, simbolo della potestà vescovile.
“Essere vescovo, essere sacerdote”, significa “assumere la posizione di Cristo”, cioè “pensare, vedere ed agire a partire dalla sua posizione elevata” e così “a partire da lui essere a disposizione degli uomini, affinché trovino la vita”. Con queste parole il Papa ha riassunto il senso del ministero sacerdotale nell’omelia. Partendo dalla prima lettera di Pietro, Benedetto XVI ha ricordato che l’apostolo chiama Cristo “vescovo delle anime”, termine che indica “un vedere nella prospettiva di Dio”, che “è un vedere dell’amore che vuole servire l’altro, vuole aiutarlo a diventare veramente se stesso”. L’espressione “vescovo delle anime” significa dunque che Cristo “ci vede nella prospettiva di Dio”. “Guardando a partire da Dio, si ha una visione d’insieme, si vedono i pericoli come anche le speranze e le possibilità”, ha spiegato il Santo Padre, perché “nella prospettiva di Dio si vede l’essenza, si vede l’uomo interiore”. “Se Cristo è il vescovo delle anime – ha detto il Papa - l’obiettivo è quello di evitare che l’anima nell’uomo s’immiserisca, è di far sì che l’uomo non perda la sua essenza, la capacità per la verità e per l’amore”, che “venga a conoscere Dio”, che “non si smarrisca in vicoli ciechi; che non si perda nell’isolamento, ma rimanga aperto per l’insieme”. “La Parola di Dio è il nutrimento di cui l’uomo ha bisogno”. Il Papa ha ricordato che “è compito del pastore pascolare e custodire il gregge e condurlo ai pascoli giusti. Pascolare il gregge vuol dire aver cura che le pecore trovino il nutrimento giusto, sia saziata la loro fame e spenta la loro sete”. “Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il compito del retto pastore”, che “deve anche saper resistere ai nemici, ai lupi. Deve precedere, indicare la via, conservare l’unità del gregge”, ha spiegato Benedetto XVI rivolgendosi in particolare ai 34 nuovi arcivescovi metropoliti.
Ma “non basta parlare”, ha aggiunto: “i pastori devono farsi modelli del gregge”, perché “la parola di Dio viene portata dal passato nel presente, quando è vissuta”. “È meraviglioso vedere come nei santi la parola di Dio diventi una parola rivolta al nostro tempo”, ha esclamato il Santo Padre, citando “figure come Francesco e poi di nuovo come Padre Pio e molti altri”, attraverso le quali “Cristo è diventato veramente contemporaneo della loro generazione, è uscito dal passato ed entrato nel presente”. “Questo significa essere pastore – modello del gregge: vivere la Parola ora, nella grande comunità della santa Chiesa”, ha sottolineato il Papa. “Fa parte dei nostri doveri come pastori di penetrare la fede col pensiero per essere in grado di mostrare la ragione della nostra speranza nella disputa del nostro tempo”. Il Papa ha attualizzato il ministero episcopale e sacerdotale. Partendo dall’esortazione contenuta nella prima lettera di Pietro (3,15), a “rendere ragione della speranza che è in voi”, Benedetto XVI ha affermato: “La fede cristiana è speranza. Apre la via verso il futuro. Ed è una speranza che possiede ragionevolezza; una speranza la cui ragione possiamo e dobbiamo esporre. La fede proviene dalla Ragione eterna che è entrata nel nostro mondo e ci ha mostrato il vero Dio. Va al di là della capacità propria della nostra ragione, così come l’amore vede più della semplice intelligenza. Ma la fede parla alla ragione e nel confronto dialettico può tener testa alla ragione. Non la contraddice, ma va di pari passo con essa e, al contempo, conduce al di là di essa – introduce nella Ragione più grande di Dio”. “Come pastori del nostro tempo abbiamo il compito di comprendere noi per primi la ragione della fede”, l’esortazione papale, secondo il quale ai vescovi e ai sacerdoti spetta “il compito di non lasciarla rimanere semplicemente una tradizione, ma di riconoscerla come risposta alle nostre domande”. Tutto ciò, ha proseguito il Papa, partendo dalla consapevolezza che “la fede esige la nostra partecipazione razionale, che si approfondisce e si purifica in una condivisione d’amore”. Ma “il pensare, così necessario, da solo, non basta”, così come “parlare, da solo, non basta”, ha precisato il Santo Padre, perché tutti noi, come i discepoli di Emmaus, “al di là del pensare e del parlare, abbiamo bisogno dell’esperienza della fede; del rapporto vitale con Gesù Cristo”.
In altre parole, “la fede non deve rimanere teoria: deve essere vita”, perché Solo dalla “certezza vissuta” dell’incontro con Cristo “deriva poi la capacità di comunicare la fede agli altri in modo credibile”. “Il Curato d’Ars non era un grande pensatore”, ha fatto notare il Papa riferendosi al santo cui è dedicato l’Anno Sacerdotale: “Ma egli ‘gustava’ il Signore. Viveva con Lui fin nelle minuzie del quotidiano oltre che nelle grandi esigenze del ministero pastorale. In questo modo divenne ‘uno che vede’. Aveva gustato, e per questo sapeva che il Signore è buono”. “Senza risanamento delle anime, senza risanamento dell’uomo dal di dentro, non può esserci una salvezza per l’umanità”. “L’incuria per le anime, l’immiserirsi dell’uomo interiore non distrugge soltanto il singolo, ma minaccia il destino dell’umanità nel suo insieme”, è la convinzione di fondo di Benedetto XVI, che ha ricordato come San Pietro qualifica “la vera malattia delle anime” come “ignoranza”, cioè come “non conoscenza di Dio”. “Chi non conosce Dio, chi almeno non lo cerca sinceramente, resta fuori della vera vita”, ha affermato il Santo Padre, sottolineando che “è l’obbedienza alla verità che rende pura l’anima. Ed è il convivere con la menzogna che la inquina”. “L’obbedienza alla verità – ha spiegato il Pontefice - comincia con le piccole verità del quotidiano, che spesso possono essere faticose e dolorose”, e poi “si estende poi fino all’obbedienza senza riserve di fronte alla verità stessa che è Cristo”. Il Papa si è soffermato sul tema della “salvezza delle anime”, sempre rendendo spunto dalla prima lettera di San Pietro. “Nel mondo del linguaggio e del pensiero dell’attuale cristianità questa è un’affermazione strana, per alcuni forse addirittura scandalosa”, ha ammesso Benedetto XVI. “La parola ‘anima’ – ha proseguito - è caduta in discredito”, in quanto “porterebbe ad una divisione dell’uomo in spirito e fisico, in anima e corpo, mentre in realtà egli sarebbe un’unità indivisibile”. Inoltre “la salvezza delle anime” come mèta della fede “sembra indicare un cristianesimo individualistico, una perdita di responsabilità per il mondo nel suo insieme, nella sua corporeità e materialità”. “Ma di tutto questo non si trova nulla nella Lettera di san Pietro”, ha replicato il Papa: al contrario, “lo zelo per la testimonianza in favore della speranza, la responsabilità per gli altri caratterizzano l’intero testo”. Quanto al ruolo dei sacerdoti, Benedetto XVI lo ha riassunto nell’“obbedienza senza riserve alla verità stessa che è Cristo”, che “ci rende non solo puri, ma soprattutto anche liberi per il servizio a Cristo e così alla salvezza del mondo, che pur sempre prende inizio dalla purificazione obbediente della propria anima mediante la verità. Possiamo indicare la via verso la verità solo se noi stessi – in obbedienza e pazienza – ci lasciamo purificare dalla verità”.

Apcom, SIR