lunedì 29 giugno 2009

Santi Pietro e Paolo. Il Papa: Il retto pastore deve saper resistere ai lupi. Deve nutrire il gregge con la Parola di Dio, conservare la sua unità

Stamane il Papa ha presiedito nella Basilica di San Pietro la Santa Messa nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma. Hanno concelebrato i 34 nuovi arcivescovi metropoliti, ai quali Benedetto XVI ha imposto il sacro Pallio, la stola di lana bianca, simbolo della potestà vescovile.
“Essere vescovo, essere sacerdote”, significa “assumere la posizione di Cristo”, cioè “pensare, vedere ed agire a partire dalla sua posizione elevata” e così “a partire da lui essere a disposizione degli uomini, affinché trovino la vita”. Con queste parole il Papa ha riassunto il senso del ministero sacerdotale nell’omelia. Partendo dalla prima lettera di Pietro, Benedetto XVI ha ricordato che l’apostolo chiama Cristo “vescovo delle anime”, termine che indica “un vedere nella prospettiva di Dio”, che “è un vedere dell’amore che vuole servire l’altro, vuole aiutarlo a diventare veramente se stesso”. L’espressione “vescovo delle anime” significa dunque che Cristo “ci vede nella prospettiva di Dio”. “Guardando a partire da Dio, si ha una visione d’insieme, si vedono i pericoli come anche le speranze e le possibilità”, ha spiegato il Santo Padre, perché “nella prospettiva di Dio si vede l’essenza, si vede l’uomo interiore”. “Se Cristo è il vescovo delle anime – ha detto il Papa - l’obiettivo è quello di evitare che l’anima nell’uomo s’immiserisca, è di far sì che l’uomo non perda la sua essenza, la capacità per la verità e per l’amore”, che “venga a conoscere Dio”, che “non si smarrisca in vicoli ciechi; che non si perda nell’isolamento, ma rimanga aperto per l’insieme”. “La Parola di Dio è il nutrimento di cui l’uomo ha bisogno”. Il Papa ha ricordato che “è compito del pastore pascolare e custodire il gregge e condurlo ai pascoli giusti. Pascolare il gregge vuol dire aver cura che le pecore trovino il nutrimento giusto, sia saziata la loro fame e spenta la loro sete”. “Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il compito del retto pastore”, che “deve anche saper resistere ai nemici, ai lupi. Deve precedere, indicare la via, conservare l’unità del gregge”, ha spiegato Benedetto XVI rivolgendosi in particolare ai 34 nuovi arcivescovi metropoliti.
Ma “non basta parlare”, ha aggiunto: “i pastori devono farsi modelli del gregge”, perché “la parola di Dio viene portata dal passato nel presente, quando è vissuta”. “È meraviglioso vedere come nei santi la parola di Dio diventi una parola rivolta al nostro tempo”, ha esclamato il Santo Padre, citando “figure come Francesco e poi di nuovo come Padre Pio e molti altri”, attraverso le quali “Cristo è diventato veramente contemporaneo della loro generazione, è uscito dal passato ed entrato nel presente”. “Questo significa essere pastore – modello del gregge: vivere la Parola ora, nella grande comunità della santa Chiesa”, ha sottolineato il Papa. “Fa parte dei nostri doveri come pastori di penetrare la fede col pensiero per essere in grado di mostrare la ragione della nostra speranza nella disputa del nostro tempo”. Il Papa ha attualizzato il ministero episcopale e sacerdotale. Partendo dall’esortazione contenuta nella prima lettera di Pietro (3,15), a “rendere ragione della speranza che è in voi”, Benedetto XVI ha affermato: “La fede cristiana è speranza. Apre la via verso il futuro. Ed è una speranza che possiede ragionevolezza; una speranza la cui ragione possiamo e dobbiamo esporre. La fede proviene dalla Ragione eterna che è entrata nel nostro mondo e ci ha mostrato il vero Dio. Va al di là della capacità propria della nostra ragione, così come l’amore vede più della semplice intelligenza. Ma la fede parla alla ragione e nel confronto dialettico può tener testa alla ragione. Non la contraddice, ma va di pari passo con essa e, al contempo, conduce al di là di essa – introduce nella Ragione più grande di Dio”. “Come pastori del nostro tempo abbiamo il compito di comprendere noi per primi la ragione della fede”, l’esortazione papale, secondo il quale ai vescovi e ai sacerdoti spetta “il compito di non lasciarla rimanere semplicemente una tradizione, ma di riconoscerla come risposta alle nostre domande”. Tutto ciò, ha proseguito il Papa, partendo dalla consapevolezza che “la fede esige la nostra partecipazione razionale, che si approfondisce e si purifica in una condivisione d’amore”. Ma “il pensare, così necessario, da solo, non basta”, così come “parlare, da solo, non basta”, ha precisato il Santo Padre, perché tutti noi, come i discepoli di Emmaus, “al di là del pensare e del parlare, abbiamo bisogno dell’esperienza della fede; del rapporto vitale con Gesù Cristo”.
In altre parole, “la fede non deve rimanere teoria: deve essere vita”, perché Solo dalla “certezza vissuta” dell’incontro con Cristo “deriva poi la capacità di comunicare la fede agli altri in modo credibile”. “Il Curato d’Ars non era un grande pensatore”, ha fatto notare il Papa riferendosi al santo cui è dedicato l’Anno Sacerdotale: “Ma egli ‘gustava’ il Signore. Viveva con Lui fin nelle minuzie del quotidiano oltre che nelle grandi esigenze del ministero pastorale. In questo modo divenne ‘uno che vede’. Aveva gustato, e per questo sapeva che il Signore è buono”. “Senza risanamento delle anime, senza risanamento dell’uomo dal di dentro, non può esserci una salvezza per l’umanità”. “L’incuria per le anime, l’immiserirsi dell’uomo interiore non distrugge soltanto il singolo, ma minaccia il destino dell’umanità nel suo insieme”, è la convinzione di fondo di Benedetto XVI, che ha ricordato come San Pietro qualifica “la vera malattia delle anime” come “ignoranza”, cioè come “non conoscenza di Dio”. “Chi non conosce Dio, chi almeno non lo cerca sinceramente, resta fuori della vera vita”, ha affermato il Santo Padre, sottolineando che “è l’obbedienza alla verità che rende pura l’anima. Ed è il convivere con la menzogna che la inquina”. “L’obbedienza alla verità – ha spiegato il Pontefice - comincia con le piccole verità del quotidiano, che spesso possono essere faticose e dolorose”, e poi “si estende poi fino all’obbedienza senza riserve di fronte alla verità stessa che è Cristo”. Il Papa si è soffermato sul tema della “salvezza delle anime”, sempre rendendo spunto dalla prima lettera di San Pietro. “Nel mondo del linguaggio e del pensiero dell’attuale cristianità questa è un’affermazione strana, per alcuni forse addirittura scandalosa”, ha ammesso Benedetto XVI. “La parola ‘anima’ – ha proseguito - è caduta in discredito”, in quanto “porterebbe ad una divisione dell’uomo in spirito e fisico, in anima e corpo, mentre in realtà egli sarebbe un’unità indivisibile”. Inoltre “la salvezza delle anime” come mèta della fede “sembra indicare un cristianesimo individualistico, una perdita di responsabilità per il mondo nel suo insieme, nella sua corporeità e materialità”. “Ma di tutto questo non si trova nulla nella Lettera di san Pietro”, ha replicato il Papa: al contrario, “lo zelo per la testimonianza in favore della speranza, la responsabilità per gli altri caratterizzano l’intero testo”. Quanto al ruolo dei sacerdoti, Benedetto XVI lo ha riassunto nell’“obbedienza senza riserve alla verità stessa che è Cristo”, che “ci rende non solo puri, ma soprattutto anche liberi per il servizio a Cristo e così alla salvezza del mondo, che pur sempre prende inizio dalla purificazione obbediente della propria anima mediante la verità. Possiamo indicare la via verso la verità solo se noi stessi – in obbedienza e pazienza – ci lasciamo purificare dalla verità”.

Apcom, SIR