
di Andrea Monda
"La gioia profonda del cuore
è anche il vero presupposto dello 'humour';
e così lo 'humour',
sotto un certo aspetto,
è un indice,
un barometro della fede".
(Benedetto XVI)
Non ho fatto un esame accurato, ma sono pronto a scommettere che se si analizzassero le ricorrenze verbali all'interno dei testi di Benedetto XVI, la parola più presente sarebbe “gioia”.Partiamo da una delle tantissime sue affermazioni sull'importanza, per il cristiano, della gioia e proviamo ad applicarla a questo papa che si presentò appena eletto come "umile lavoratore nella vigna del Signore". È una frase tratta dal libro-intervista "Luce del mondo" e, posta quasi in apertura, suona categorica: “Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un'esistenza vissuta sempre e soltanto 'contro' sarebbe insopportabile”. Primo punto: gioia e ragione sono collegati. E il collegamento si trova in questa strana religione che “allarga gli orizzonti”. Scriveva Gilbert K. Chesterton parlando della sua conversione: “Diventare cattolici allarga la mente” e, più avanti: “Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”. Secondo punto, a sorpresa: ci eravamo forse abituati all'idea di un Papa rivoluzionario, di un Papa "contro”, ed ecco che arriva subito la smentita, perché non si può vivere “sempre e soltanto 'contro'”. Ovviamente la contrapposizione è solo apparente. Nella stessa frase, più avanti, infatti il Papa precisa: “Ma allo stesso tempo ho sempre avuto presente, anche se in misura diversa, che il Vangelo si trova in opposizione a costellazioni potenti. […] Sopportare attacchi e opporre resistenza quindi fa parte del gioco; è una resistenza, però tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo”. Resistenza, dunque, che vuol dire abbandono di ogni rassegnazione, lamento o risentimento, e cammino di ricerca paziente e tenace di “ciò che vi è di positivo”, di quella bontà che è nascosta nelle pieghe della storia degli uomini. È questo il coraggio di Benedetto, il coraggio della gioia: “La gioia semplice, genuina, è divenuta più rara. La gioia è oggi in certo qual modo sempre più carica di ipoteche morali e ideologiche. […] Il mondo non diventa migliore se privato della gioia, il mondo ha bisogno di persone che scoprono il bene, che sono capaci di provare gioia per esso e che in questo modo ricevono anche lo stimolo e il coraggio di fare il bene. […] Abbiamo bisogno di quella fiducia originaria che, ultimamente, solo la fede può dare. Che, alla fine, il mondo è buono, che Dio c'è ed è buono. Da qui deriva anche il coraggio della gioia, che diventa a sua volta impegno perché anche gli altri possano gioire e ricevere il lieto annuncio”. Umiltà vuol dire coraggio, il coraggio della gioia. Gioia e umiltà progrediscono o regrediscono di pari passo. Lo aveva ben colto Chesterton nel suo breve ma denso saggio del 1901 sull'umiltà: “Secondo la nuova filosofia dell'autostima e dell'autoaffermazione, l'umiltà è un vizio. […] Essa accompagna ogni grande gioia della vita con la precisione di un orologio. Nessuno per esempio è mai stato innamorato senza abbandonarsi a una vera e propria orgia di umiltà. […] Se oggi l'umiltà è stata screditata come virtù, non sarà del tutto superfluo osservare che questo discredito coincide con il grande regresso della gioia nella letteratura e nella filosofia contemporanee. […] Quando siamo genuinamente felici pensiamo di non meritare la felicità. Ma quando pretendiamo un'emancipazione divina, sembriamo avere la certezza assoluta di non meritare nulla”.Gioia e umiltà, quindi. Le due stanno o cadono insieme. Manca un piccolo tassello intermedio che però è molto presente nell'uomo e nel Papa bavarese: l'umorismo. Gioia e umorismo sono per Benedetto XVI strettamente collegati. Scrive a conclusione del suo saggio di teologia dogmatica “Il Dio di Gesù Cristo”: "Una delle regole fondamentali per il discernimento degli spiriti potrebbe essere dunque la seguente: dove manca la gioia, dove l'umorismo muore, qui non c'è nemmeno lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù Cristo. E viceversa: la gioia è un segno della grazia. Chi è profondamente sereno, chi ha sofferto senza per questo perdere la gioia, costui non è lontano dal Dio del Vangelo, dallo Spirito di Dio, che è lo Spirito della gioia eterna”. Diceva Jacques Maritain che una società che perde il senso dell'umorismo si prepara il suo funerale.Umorismo come via per la gioia; il "sense of humour" come modo divertente (nel senso più sano del termine) di vivere la vita, partendo dal punto fondamentale: l'essenza del cristianesimo è la gioia. Per dirla con Chesterton, maestro di umorismo, “la gioia è il gigantesco segreto del cristiano”. Scrive Benedetto XVI in "Il sale della terra": “La fede dà la gioia. Se Dio non è qui, il mondo è una desolazione, e tutto diventa noioso, ogni cosa è del tutto insufficiente. […] L'elemento costitutivo del cristianesimo è la gioia. Gioia non nel senso di un divertimento superficiale, il cui sfondo può anche essere la disperazione”. Se il mondo volta le spalle a Dio, ci dice il Papa-teologo ex prefetto dell'ex Sant'Uffizio, non si condanna alla falsità, alla bestemmia e neanche all'eresia, ma alla noia. Viene in mente la battuta di Clive S. Lewis pronunciata quando ancora non si era convertito dall'ateismo al cristianesimo: “I cristiani hanno torto, ma tutti gli altri sono noiosi”.
La pagina sopra riportata è tratta dall'ultimo capitolo del libro su Benedetto XVI che l'autore ha pubblicato in questi giorni, "Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger", Lindau, Torino 2012, pp. 192, euro 14. Nel tracciare il profilo del Papa, Monda mette decisamente al centro della scena due sue virtù, l'umiltà e "il suo frutto più gustoso", l'umorismo: "Sono due parole che trovano in 'humus', terra, una comune radice etimologica. Chi è 'terra terra', chi non si insuperbisce, è a un tempo umile e dotato di umorismo, perché avverte che esiste un mondo più grande del proprio io e, oltre questo mondo, Qualcuno di ancora più grande. Umiltà e umorismo son il segreto della vita, soprattutto per un cattolico, e sono due tratti che caratterizzano al massimo grado l'uomo Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, non meno della sua opera".
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C’erano ovviamente anche vescovi e cardinali nella delegazione bavarese che ha fatto visita a Benedetto XVI al termine della Messa. “Non posso salutarvi tutti, siete molti. Ma ho letto due volte la lista dei partecipanti, ed è come se ho avuto un dialogo personale con voi”. Tra i prelati, oltre a Marx e Wetter, c’erano anche il vescovo di Ratisbona Muller, il presidente della Conferenza Episcopale tedesca Zoellitsch, il vescovo protestante di Baviera e Charlotte Knobloch in rappresentanza della comunità ebraica. Nel suo discorso di benvenuto, Seehofer ha detto: “Siamo fieri che il cuore del Papa batta bavarese. La Baviera è tuttora il land più cattolico della Germania. Abbiamo il crocifisso nelle nostre scuole, abbiamo le nostre edicole religiose ai crocicchi delle strade”. Poi, una parata di dieci bambini ha portato i doni al Papa, vestiti con il costume tradizionale bavarese, e si è ballato lo Schluplattern, il ballo tradizionale della Baviera. Il Papa ne è stato particolarmente compiaciuto. Tanto che, quando ha preso la parola, ha sottolineato: “Voi siete come l’immagine riflessa di tutta la storia della mia vita”. Un discorso carico di commozione, in cui il Papa ha ringrazia il cardinale di Monaco e Frisinga, diocesi alla quale appartiene come sacerdote. Ringrazia il ministro presidente della Baviera, che “ha fatto parlare il cuore della Baviera, un cuore cristiano, cattolico e così facendo mi ha commosso”; “lei – ha affermato - ha raccolto qui una sorta di immagine speculare della geografia interiore ed esteriore della mia vita” che parte da Marktl am Inn passando per Tittmoning e ancora fino a Ratisbona: "In tutte queste tappe, che qui sono presenti, c’è sempre un pezzetto della mia vita, una parte in cui sono vissuto e ho lottato e che ha contribuito a farmi diventare come sono e come ora mi trovo di fronte a voi e come, un giorno, dovrò presentarmi al Signore”.
Il Papa ha ringraziato quindi i vescovi presenti, il vescovo della Chiesa evangelica di Monaco di Baviera, a testimonianza della dimensione ecumenica: una presenza che fra l’altro gli ricorda la grande amicizia che lo aveva legato al vescovo Hansemann. Il Papa ha ricordato poi la comunità ebraica con il dr. Lamm e il dr. Snopkowski, con i quali erano nate amicizie cordiali che, ha detto, "mi avevano interiormente avvicinato alla parte ebraica del nostro popolo e al popolo ebraico come tale, e che sono presenti in me in forza del ricordo”. Poi ci sono i media “che portano nel mondo quello che facciamo e quello che diciamo...a volte dobbiamo aggiustarlo un po’ – ha detto - ma cosa saremmo senza il loro servizio?”. Il ricordo va quindi alla Baviera, viva nei bambini, una terra che “proprio perché rimane fedele a se stessa rimane giovane e progredisce”. E poi le danze e la musica risuonata nella Sala Clementina lo riportano alle melodie dell’infanzia e a suo padre che sulla cetra suonava “Gott grüße Dich”. "Il cuore ricolmo richiederebbe tante parole, allo stesso tempo mi limita perché sarebbe troppo grande quello che avrei da dire. Alla fine, però, tutto si riassume nell’unica parola con la quale vorrei chiudere: 'Vergelt’s Gott!' – Dio Ve ne renda merito”. 
Bernadette, ha soggiunto Benedetto XVI, “sapeva vedere” quel che la Madonna le indicava: la “sorgente di acqua viva, pura”. Acqua, ha spiegato, che è immagine “della verità che ci viene incontro dalla fede, della verità non dissimulata e incontaminata”. Perché “per poter vivere, per poter diventare puri – ha affermato il Pontefice – abbiamo bisogno che in noi nasca la nostalgia della vita pura, della verità vera, dell’incontaminato dalla corruzione, dell’essere umani senza peccato”: “In questo nostro tempo, in cui vediamo il mondo in tanto affanno, e in cui erompe la necessità dell’acqua, dell’acqua pura, questo segno è tanto più grande. Da Maria, dalla Madre del Signore, dal cuore puro, viene anche l’acqua pura, incontaminata, che dà la vita, l’acqua che in questo secolo – e nei secoli che possano venire – ci purifica e ci guarisce”. Di Benedetto Giuseppe Labre, il Papa ha ricordato il suo peregrinare attraverso tutta l’Europa e i suoi santuari del continente. Un Santo “europeo”, dunque, che ha la sua particolarità nel fatto che, ha notato, “non vuole fare altro che pregare e rendere testimonianza a ciò che conta” nella vita: Dio. Non “un esempio da emulare”, ma come “un dito che indica l’essenziale”: che Dio da solo “basta” e che chi “si apre a Dio non si estranea dal mondo e dagli uomini “perché trova fratelli, perché in Dio cadono le frontiere, perché solo Dio può eliminare le frontiere perché per quanto riguarda Dio, siamo tutti solo fratelli, facciamo parte gli uni degli altri; che l’unicità di Dio significa al contempo la fratellanza e la riconciliazione degli uomini, lo smantellamento delle frontiere che ci unisce e ci guarisce”. Soffermandosi poi sul Sabato Santo della sua nascita, Benedetto XVI ha ringraziato i suoi genitori per averlo “fatto rinascere” in quello stesso giorno attraverso l’acqua del Battesimo e, ovviamente, per il dono della vita.
Tuttavia, si è chiesto in modo provocatorio: in che modo il dono della vita è realmente tale? “E’ giusto dare la vita così, semplicemente? E’ responsabile o troppo imprevedibile?”. La “vita biologica di per sé è un dono, eppure – ha obiettato – è circondata da una grande domanda”: “La vita diventa un vero dono se insieme a essa si può donare anche una promessa che è più forte di qualunque sventura che ci possa minacciare, se essa viene immersa in una forza che garantisce che sia un bene essere un uomo (...) Così, alla nascita va associata la rinascita, la certezza che in verità è un bene esserci, perché la promessa è più forte delle minacce”. Ecco spiegato il senso del Battesimo, come l’appartenere alla “grande, nuova famiglia di Dio che – ha ribadito Benedetto XVI – è più forte” di “tutte le forze negative che ci minacciano”. E dopo una breve riflessione sul senso del Sabato Santo, che ha riecheggiato da vicino le sue meditazioni prima della Pasqua, il Papa, che all’inizio aveva ricevuto un affettuoso saluto dal cardinale decano, Angelo Sodano, e che altrettanto affettuosamente ha ringraziato, ha poi concluso con un atto di consapevolezza e affidamento a Dio: “Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il ‘sì’ di Dio attraverso la loro fede”.




