mercoledì 12 gennaio 2011

'L'Osservatore Romano': amara e severa analisi de 'L'Unità' sull'abitudine dei media di enfatizzare, talvolta sino all'invenzione, le parole del Papa

L'Osservatore Romano cita L'Unità e in un articolo intitolato 'Balle giornalistiche' ne sottoscrive "l'amara e severa" analisi: il tema è l'intepretazione giornalistica delle parole di Papa Benedetto XVI e l'abitudine di "enfatizzare - talvolta sino all'estremo dell'invenzione - che da qualche tempo si va diffondendo nei media". "L'attenzione del titolare della rubrica "Settimo cielo" Filippo Di Giacomo - si legge sul giornale pontificio -, ospitata dal quotidiano fondato da Antonio Gramsci, è rivolta soprattutto al trattamento subito dal discorso papale al Corpo diplomatico: 'Riassunto nel lancio di agenzia e via dicendo tuona così: "La libertà religiosa della Ue minacciata dall'educazione sessuale'. Come avrebbe detto il cardinale Tardini, se questo è quanto capiscono i primi, figuriamoci i secondi". "Non si può non sottoscrivere - conclude il quotidiano vaticano - l'amara e severa conclusione: 'Ora, non si comprende per quale strana congiunzione astrale, nonostante gli articoli di alcuni giornalisti che, prima di parlare o scrivere, hanno ascoltato e letto ciò che il Papa ha realmente pronunciato, smentendo ampiamente la balla del primo lancio d'agenzia e del primo titolo messo on line, a vincere nelle riunioni di redazione sia stata, pervicacemente la 'non notizia'. In Italia, anche quando il Papa parla di politica al mondo, l'importante è spararla grossa".

TMNews

L'arcivescovo di Lagos presenta al Papa le speranze e l'impegno dei cattolici in Nigeria: la pace nel Paese è possibile, anzi è inevitabile

"La pace in Nigeria è possibile. Anzi, è inevitabile". È con questa convinzione, "non campata in aria ma fondata su fatti concreti spesso trascurati dai mass media internazionali", che il card. Anthony Olubunmi Okogie, arcivescovo di Lagos, ha presentato questa mattina al Papa durante l'Udienza generale del mercoledì le speranze e l'impegno dei cattolici nigeriani per la pace, la giustizia e il dialogo con i musulmani. "Le violenze non ci intimidiscono" afferma il porporato, figura di spicco nel suo Paese, riferimento per l'intera società civile e non solo per la Chiesa. "Le ingiustizie rendono più forte la fede e più urgente una testimonianza autentica. Lo dimostra il fatto che sta aumentando il numero dei fedeli che va alla messa domenicale, nonostante rischi e minacce". Sui rapporti con i musulmani il cardinale rileva come a Lagos la situazione sia particolarmente positiva: "Non ci sono paure e non mancano occasioni di incontro e di collaborazione pacifica". In prospettiva, per la pace ripone "fiducia nelle prossime scadenze elettorali e soprattutto nella preghiera, perché nulla è impossibile a Dio". Anche il dialogo con gli ebrei ha ricevuto, a margine dell'Ydienza generale, una nuova spinta in avanti. L'iniziativa è stata del rabbino di Efrat, Shlomo Riskin, che da anni, in collaborazione con la fondazione Pave the Way, promuove il dialogo con il mondo cattolico anche per favorire una corretta valutazione storica della figura di Pio XII, sia negli Stati Uniti d'America che in Israele. Ad accompagnarlo il rabbino David Nekrutman, personalmente impegnato a promuovere il riconoscimento di Eugenio Pacelli come "giusto fra le nazioni" a Yad Vashem. A rimarcare, infine, l'urgenza dell'"emergenza educativa" i 4200 studenti delle scuole di Caserta accompagnati dal vescovo Pietro Farina. "Un pellegrinaggio imponente - dice - che ha riempito metà dell'Aula Paolo VI, a testimonianza del crescente interesse dei giovani per il Pontefice e la vita della Chiesa". Sono stati festeggiati con Benedetto XVI anche due "compleanni": i settant'anni del titolo Pontificio assegnato all'Istituto ecclesiastico ungherese e i quarant'anni della scuola paritaria Maria Immacolata nella borgata romana di Torre Angela. Per l'occasione con le suore dell'Immacolata di Santa Chiara sono venuti in novecento tra alunni, genitori e personale.

L'Osservatore Romano

Il 5 febbraio nella Basilica Vaticana il Papa consacrerà cinque nuovi vescovi. Tra essi mons. Hon: profonda gratitudine per la fiducia che ha mostrato

Il neo-segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il salesiano di Hong Kong Savio Hon Tai-fai, sarà consacrato vescovo da Benedetto XVI sabato 5 febbraio, terzo giorno del nuovo anno lunare cinese. Insieme a lui il Papa ordinerà anche i nuovi segretari della Congregazione per il clero, lo spagnolo Celso Morga Iruzubieta, e di quella delle Cause dei Santi, l’umbro Marcello Bartolucci, e i due nuovi nunzi nominati sabato scorso, l’italiano Antonio Guido Filipazzi e il venezuelano Edgar Pena Parra. La celebrazione si svolgerà nella Basilica di San Pietro alle 10.00. Sarà la terza consacrazione episcopale presieduta da Benedetto XVI. La prima venne celebrata il 29 settembre 2007 (i consacrati furono i neovescovi Mokrzycki, Brugnaro, Ravasi, Caputo, Pagano, Di Mauro) e la seconda il 12 settembre 2009 (per i neopresuli Caccia, Coppola, Parolin, Martinelli, Corbellini). "Noi dobbiamo rispettare i cattolici clandestini che sono stati ligi alla propria fede e capire il valore della loro esistenza", ha detto mons. Hon all’agenzia cattolica Ucanews. "È troppo sbrigativo e unilaterale chiedere loro di confluire nella Chiesa 'aperta' per problemi nella formazione sacerdotale e per altre difficoltà che possono incontrare". Nel difendere i principi della Chiesa come quelli inerenti all’ordinazione dei vescovi, Hon ha poi sottolineato: "Sono per la linea dura". Hon ha dichiarato di essere stato ispirato dal profondo acume e dal senso di giustizia del suo maestro e confratello salesiano, il card. Joseph Zen-Ze kiun. Interpellato in occasione della sua nomina, lo scorso 23 dicembre, Hon aveva espresso la sua "profonda gratitudine all’amato Santo Padre per la fiducia che mi ha mostrato nel nominarmi". "Farò del mio meglio – aveva aggiunto – per adempiere agli importanti compiti nella Santa Sede che mi sono stati affidati. Prego di poter sempre essere un buon strumento di Dio".

Gianni Cardinale, Avvenire

Ecco perché Benedetto XVI stavolta ad Assisi ci andrà. Dalle critiche dell’86 al giudizio di oggi, passando per Ratisbona e la 'Dominus Iesus'

Joseph Ratzinger il prossimo ottobre andrà ad Assisi, venticinque anni dopo l’incontro di preghiera interreligioso per la pace convocato da Karol Wojtyla. Nel 1986 il raduno guadagnò diverse critiche anche all’interno della Curia romana: “Così si apre la strada all’indifferentismo e al relativismo religioso”, era il giudizio di molti, secondo alcuni anche quello dell’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio. E oggi? Perché Benedetto XVI va ad Assisi? Non viene alimentata in questo modo l’idea che una religione valga l’altra? E poi: è giusto dialogare con l’islam senza un esplicito impegno al riconoscimento della libertà religiosa per i cristiani nei paesi musulmani? Lo storico Giovanni Maria Vian dirige L’Osservatore Romano. Dice: “La decisione di andare ad Assisi è una conseguenza logica della linea che il Papa ha sempre tenuto sui rapporti con le altre religioni fin dall’elezione: confronto amichevole e nello stesso tempo insistenza sulla necessità che venga garantita a tutti la possibilità di essere se stessi, insomma la ‘libertà religiosa’. Assisi in questo senso è evento simbolico, che tuttavia prestò il fianco a interpretazioni sbagliate e chiarite con la dichiarazione ‘Dominus Iesus’, del 2000. E nel 2002 fu il card. Ratzinger ad accompagnare il Papa nella città di San Francesco. Il 20 aprile 2005, il giorno dopo l’elezione, Benedetto XVI chiese ‘un dialogo aperto e sincero’ con le altre culture e religioni. Il 20 agosto dello stesso anno, a Colonia, incontrò alcuni musulmani e chiese la stessa cosa. Disse loro: ‘Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro. La difesa della libertà religiosa, in questo senso, è un imperativo costante e il rispetto delle minoranze un segno indiscutibile di vera civiltà’. Dopo Colonia, nel 2006, ci fu Ratisbona. Il centro della ‘lectio’ papale non fu l’islam ma il legame tra fede e ragione. A mio avviso in quell’occasione il Papa venne strumentalizzato. La sua linea era invece quella di sempre: ‘Nemo impediatur, nemo cogatur’, disse Paolo VI sintetizzando la ‘Dignitatis humanae’. Ovvero ‘nessuno sia impedito, nessuno sia costretto’. In questo senso è importante che tutti godano di un’effettiva libertà di religione. Ma è importante anche il dialogo. Assisi è tutto questo”. Dice in proposito Antonio Socci: “Penso che Assisi sia in un certo senso un compimento di Ratisbona, diciamo l’altra faccia della medaglia. In Germania il Papa disse la verità: non può esserci fede senza ragione. Ma lo disse tendendo la mano all’islam. Questa mano tesa però non venne colta. Oggi ad Assisi è questo che Ratzinger fa. Torna a tendere la mano pur senza rinnegare la verità”. Secondo alcuni critici, e non solo nell’area più tradizionalista della Chiesa, pregare assieme può creare confusione e rischia di annacquare le differenti identità, l’identità cattolica in testa. Dice ancora Vian: “Ogni incontro tra religioni presenta rischi. Tutto però dipende da come viene pensato e presentato. Ratzinger ovviamente sa quello che fa. Non dimentichiamo che fu lui a firmare la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ dedicata all’unicità e all’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa. Era la dottrina del Vaticano II e di sempre. Una dottrina inequivocabile. Ad Assisi tutto ciò sarà ben presente”. In curia in molti ricordano quando i card. Ratzinger andò ad Assisi nel 2002 per una riedizione del raduno del 1986. Accompagnò Wojtyla. Di ritorno disse ad Andrea Riccardi, capo della Comunità di Sant’Egidio che dall’86 aveva continuato a convocare annualmente i leader religiosi: “Sono molto contento. Tutto si è svolto nel modo giusto”. Una volta a Roma, Joseph Ratzinger scrisse le sue riflessioni per il mensile 30Giorni, sembrano una risposta indiretta a quelle critiche. Spiegò che Assisi era “uno splendido segnale di speranza”. Disse che i cristiani “non devono temere” raduni simili perché Assisi non era “un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino e di una ricerca per la pace che è tale solo se unita alla giustizia”. Insomma: ben venga Assisi a patto che ai buoni propositi si accompagni l’affermazione dei diritti dei singoli. Anche “l’assenza di guerra”, scrisse il Papa, “può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione”. Comunque sia ancora oggi Assisi è un tema che molto fa discutere in Vaticano. Non tutti, anche nella Curia, lo digeriscono. Fuori dalla Curia i più acerrimi nemici di Assisi sono i lefebvriani. Nelle scorse ore mons. Bernard Fellay, capo della Fraternità San Pio X, ha detto: “Un brivido mi è passato sulla colonna vertebrale quando ho saputo che il Papa andrà ad Assisi. Si cerca di negare ciò che è accaduto la prima volta”. Cosa? L’accusa è quella che per primo fece Marcel Lefebvre. Fu lui nel 1986, due anni prima della scomunica papale, a calcare la mano su un’accusa dalla quale poi i raduni successivi hanno cercato d’emendarsi: il sincretismo. Fu in quei giorni che venne diffusa una foto che scioccò molti: una teca con una statua di Buddha sull’altare della chiesa di san Pietro, sopra le reliquie del martire Vittorino, ammazzato, 400 anni dopo Cristo, per testimoniare la sua fede. Ieri su Il Foglio alcuni cattolici hanno chiesto al Papa di non riaccendere, andando ad Assisi, le confusioni sincretiste. Filippo Di Giacomo scrive su L’Unità e firmerebbe l’appello de Il Foglio. Dice: “E’ difficile capire perché il Papa vada ad Assisi. Senz’altro c’è una struttura dialogica ufficiale nella Chiesa che sente il bisogno d’essere visibile tramite la realizzazione di gesti del genere. Ma la domanda di fondo resta una: a cosa servono questi incontri? Cosa lasciano? Oltre al rischio che vi sia chi, anche nella Chiesa, pensi che Dio sia uno abbia un nome che cambia a seconda della religione che lo professa, c’è un elemento molto concreto da non sottovalutare. Ed è il fatto che incontri come quello di Assisi mostrano agli occhi dei fedeli di altre religioni un cattolicesimo debole, gentile, che fa domandare: non è che tutta questa fioritura di martiri cristiani sia un frutto perverso di questa stagione dialogante?”.

Paolo Rodari, Il Foglio


Il Papa: incoraggiamento e affetto al popolo di Haiti, sia protagonista della sua storia attuale e futura. Ricostruire strutture e convivenza civile

“Una parola di speranza in circostanze ancora oggi particolarmente difficili”. E’ quanto Papa Benedetto XVI ha voluto dire alla popolazione di Haiti in un messaggio scritto per il primo anniversario del “devastante” terremoto ha colpito il Paese. Il messaggio del Santo Padre è stato consegnato dal Presidente di Cor Unum, card. Robert Sarah, che è giunto ad Haiti portando a nome del Santo Padre anche un aiuto concreto proveniente dalle offerte ricevute per il terremoto. “E’ giunto il momento – scrive il Papa - di ricostruire, non solo le strutture materiali ma anche la convivenza civile, sociale e religiosa. Spero che il popolo haitiano sia il primo protagonista della sua storia attuale e del suo futuro, contando anche sull’aiuto internazionale che è stato donato con grande generosità attraverso l’aiuto economico e attraverso i volontari provenienti da tutti i Paesi”. Facendo quindi riferimento alla presenza sull’isola del card. Sarah, il Papa aggiunge: “Vi porta, attraverso la sua presenza e la sua voce, il mio incoraggiamento e il mio affetto. Vi affido all'intercessione di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, Patrona di Haiti, che sono sicuro, dal cielo, non rimane indifferente alle vostre preghiere”.

Il Papa: il purgatorio non un luogo ma un fuoco interiore che purifica l’anima. Dalle donne un contributo fondamentale alla società e alla Chiesa

Il purgatorio come “esperienza interiore dell’uomo in cammino verso l’eternità”. E’ una delle immagini più conosciute di Santa Caterina da Genova, nata a Genova nel 1447 e morta nel 1510, figura al centro della catechesi dell’Udienza generale di Benedetto XVI di questa mattina nell'Aula Paolo VI. Nel 1473 ebbe una “singolare esperienza”: recandosi nella chiesa di San Benedetto e nel vicino monastero di Nostra Signore delle Grazie ricevette, scrive, “una ferita al cuore con una visione delle sue miserie e dei suoi difetti e della bonta di Dio che quasi svenne. Da questa esperienza nacque la decisione che orientò tutta la sua vita: ’Non più mondo, non più peccati’”. Fuggì lasciando in sospeso la confessione. tornò a casa e pianse a lungo. Fu una “esperienza spirituale dell’amore di Dio verso lei peccatrice”. Pochi giorni dopo tornò dal sacerdote “per compiere una buona confessione”. “Iniziò qui quella vita di purificazione che, per lungo tempo, le fece provare un costante dolore per i peccati commessi e la spinse ad imporsi penitenze e sacrifici per mostrare a Dio il suo amore”. Nella sua “Vita” è scritto che “la sua anima era guidata e ammaestrata interiormente dal solo dolce amore di Dio, che le dava tutto ciò di cui aveva bisogno”. Si trasferì nell’ospedale di Pammatone del quale divenne direttrice e animatrice. E “si venne formando attorno a lei un gruppo di seguaci, discepoli e collaboratori, affascinati dalla sua vita di fede e dalla sua carità. Nacque un gruppo di persone affascinate dalla sua vita”. Lo stesso marito ne fu conquistato tanto da lasciare la vita che conduceva, farsi terziario francescano e trasferirsi anch’egli all’ospedale. Caterina non ebbe "mai rivelazioni specifiche sul purgatorio o sulle anime che vi si stanno purificando”, ha spiegato Benedetto XVI, ma nei suoi scritti “è un elemento centrale e il modo di descriverlo ha caratteristiche originali rispetto alla sua epoca”. Il primo “tratto originale” di Santa Caterina riguarda il “luogo” della purificazione delle anime: “Nel suo tempo – ha ricordato il Papa - lo si raffigurava principalmente con il ricorso ad immagini legate allo spazio”, mentre in Caterina il purgatorio “non è presentato come un elemento del paesaggio delle viscere della terra: è un fuoco non esteriore, ma interiore”. Caterina, in particolare, parla del “cammino di purificazione dell’anima verso la comunione piena con Dio, partendo dalla propria esperienza di profondo dolore per i peccati commessi, in confronto all’infinito amore di Dio”. Anche qui, per Benedetto XVI, c’è un “tratto originale” rispetto al pensiero del tempo: “Non si parte dall’aldilà per raccontare i tormenti del purgatorio e poi indicare la via per la purificazione o la conversione, ma si parte dall’esperienza interiore dell’uomo in cammino verso l’eternità”. L’anima, per Caterina, “si presenta a Dio ancora legata ai desideri e alla pena che derivano dal peccato, e questo le rende impossibile godere della visione beatifica di Dio”. In altre parole, “Dio è così puro e santo che l’anima con le macchie del peccato non può trovarsi in presenza della divina maestà. L’anima è consapevole dell’immenso amore e della perfetta giustizia di Dio e, di conseguenza, soffre per non aver risposto in modo perfetto a tale amore e proprio l’amore stesso di Dio la purifica dalle sue scorie di peccato”. L’immagine ripresa dalla Santa è quella di Dionigi l’Areopagita: il “filo d’oro” che “collega il cuore umano con Dio stesso”. Quando viene purificato, cioè, “il cuore dell’uomo viene invaso dall’amore di Dio, che diventa l’unica guida, l’unico motore della sua esistenza”. Questa situazione di “elevazione verso Dio e di abbandono alla sua volontà”, espressa dall’immagine del filo, viene utilizzata da Caterina per esprimere “l’azione della luce divina sulle anime del purgatorio, luce che le purifica e le soleva verso gli splendori dei raggi fulgenti di Dio”. “Quanto più amiamo Dio e siamo costanti nella preghiera, tanto più riusciremo ad amare veramente chi ci sta vicino, perché saremo capaci di vedere in ogni persona il volto del Signore, che ama senza limiti e distinzioni”. Santa Caterina da Genova, ha sottolineato il Santo Padre fuori testo, “visse una vita totalmente attiva, nonostante la profondità della sua vita interiore”. Due gli elementi caratterizzanti della sua esistenza: “Da una parte l‘esperienza mistica, la profonda unione con Dio, e dall’altra l’assistenza ai malati, il servizio al prossimo, specialmente i più bisognosi e abbandonati”. “Dio e il prossimo”: due “poli”, questi, ha spiegato Benedetto XVI, che “riempirono totalmente la sua vita”, trascorsa praticamente all’interno delle mura dell’ospedale Pammatone, il più grande complesso ospedaliero genovese, del quale fu “direttrice e animatrice”. “La mistica – ha precisato il Papa a braccio – non crea distanza, ma amicizia all’altro, perché comincia a vedere con gli occhi e con il cuore di Dio”. Scrivendo sul purgatorio, ha affemato Benedetto XVI, Santa Caterina da Genova “ci ricorda una verità fondamentale della fede che diventa per noi invito a pregare per i defunti affinché possano giungere alla visione beata di Dio nella comunione dei Santi”. "Il servizio umile, fedele e generoso che la santa prestò per tutta la sua vita in ospedale - ha concluso il Papa- è un esempio luminoso di carità per tutti ed un incoraggiamento specialmente per le donne che danno un contributo fondamentale alla società e alla Chiesa con la loro preziosa opera, arricchita dalla loro sensibilità e dall’attenzione verso i più poveri e i più bisognosi”.

SIR, AsiaNews

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa

Il video

A un anno esatto dalla scomparsa del predecessore Benedetto XVI nomina il nuovo arcivescovo di Port-au-Prince, affiancato da un vescovo ausiliare

Papa Benedetto XVI ha nominato oggi il nuovo arcivescovo di Port-au-Prince, capitale di Haiti, a un anno esatto dalla scomparsa del suo predecessore rimasto vittima del terremoto. La scelta del Pontefice è ricaduta su mons. Guire Poulard, 70 anni, fino ad oggi vescovo di Les Cayes. Sarà affiancato da mons. Glandas Marie Erick Toussaint, 45 anni, finora parroco della Cattedrale di Port-au-Prince e direttore della Caritas della capitale haitiana, nominato da Papa Ratzinger vescovo ausiliare. L'arcivescovo di Port-au-Prince, mons. Joseph Serge-Miot, era morto un anno fa nel violento terremoto che ha devastato l'isola lo scorso 12 gennaio, rimanendo schiacciato tra le macerie dell'Arcivescovado.

Asca