venerdì 27 aprile 2012

Il 3 maggio Benedetto XVI all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Anelli: il suo insegnamento guida preziosa per vivere più intensamente la missione

Giovedì 3 maggio, alle 11.00, Benedetto XVI farà visita all’Università Cattolica del Sacro Cuore, presso la sede di Roma dell’Ateneo, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli”. L’incontro della comunità universitaria della Cattolica con il Pontefice avrà luogo nel piazzale antistante l’Auditorium del Policlinico Gemelli. Ad accogliere il Papa vi saranno il card. Angelo Scola, presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, e il professore Franco Anelli, prorettore vicario dell’Università Cattolica. È la quinta volta che Benedetto XVI visita la Cattolica e il Policlinico Gemelli dall’inizio del suo Pontificato. Ancora una volta il Santo Padre ci fa dono della Sua presenza e della Sua parola – ha affermato il prorettore Anelli - e l’intera comunità universitaria Gli è profondamente grata per l’attenzione con cui Egli segue la vita del nostro Ateneo. Siamo certi che l’insegnamento che Sua Santità ci vorrà offrire anche in questa speciale occasione sarà guida preziosa per comprendere meglio e vivere più intensamente la missione affidata all’Università dei cattolici italiani”. La visita del Papa ha luogo in coincidenza con la prima Giornata per la Ricerca promossa dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia intitolata “Una vita per la Ricerca, la Ricerca per la vita”, che si svolgerà a partire dalla ore 14.30 presso l’Auditorium dell’Ateneo. Nell’ambito della manifestazione, avrà luogo la cerimonia di consegna della prima edizione del Premio Giovanni Paolo II, che quest’anno verrà attribuito a “Telethon” per il suo impegno nella lotta alle malattie genetiche e che sarà ritirato dal presidente Luca Cordero di Montezemolo.

Radio Vaticana, Zenit

Visita di congedo al Papa dell'ambasciatore di Spagna. La Santa Sede concede il 'placet' alla nomina del nuovo diplomatico del governo Rajoy

Il Papa ha ricevuto questa mattina in udienza Maria Jesus Figa Lopez-Palop (foto), ambasciatore di Spagna nominata un anno fa dall'allora presidente del Governo José Luis Rodriguez Zapatero, in visita di congedo. La stampa spagnola riporta, intanto, che la Santa Sede ha concesso il proprio 'placet' al nuovo ambasciatore, Eduardo Gutierrez Saenz de Buruaga, 53 anni, che dovrebbe entrare in carica il prossimo 16 maggio e il cui nome era stato preannunciato nelle scorse settimane dal ministro degli Esteri del nuovo Governo Rajoy, José Manuel Garcia-Margallo. L'ambasciatrice uscente, che ha gestito il viaggio apostolico del Papa a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù dello scorso agosto, diventerà rappresentante del Governo spagnolo in Finlandia.

TMNews

Joseph Ratzinger nel 1970: la croce fondamento e continuo centro del sacerdozio cristiano, suo compimento solo nella disponibilità a Dio e all'uomo

Domenica ricorre la 49° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. In tale ricorrenza, Benedetto XVI ordinerà nove diaconi della diocesi di Roma, durante una Messa solenne in San Pietro. “La questione del ministero sacerdotale nella Chiesa è diventata improvvisamente un problema scottante. Esiste legittimamente il sacerdozio sacramentale?”. Inizia così, con questo interrogativo fondamentale, un lungo articolo del futuro Pontefice, pubblicato il 28 maggio 1970 da L’Osservatore Romano. L’allora professore di teologia dogmatica all’Università di Ratisbona sottolinea da subito che “la crisi contemporanea dovrebbe spronarci ad ascoltare con una vigilanza nuova il messaggio delle origini per lasciarci da esso di nuovo fecondare e guidare”. Joseph Ratzinger accompagna il lettore in un’appassionante analisi delle Lettere paoline per arrivare all’affermazione che non è “difficile dimostrare che già lo stesso Nuovo Testamento dimostra l’unione tra l’apostolato e il presbiteriato”. Questa struttura, aggiunge, “è presentata come una realtà permanente nella Chiesa”. Un nesso che “appare già negli scritti di Luca”. Ecco dunque, scrive il teologo tedesco, che “il sacerdozio della Chiesa non è contrario alla testimonianza del Nuovo Testamento”, ma “è fermamente ancorato in essa”. Dal punto d vista della storia delle religioni, osserva, “ciò presenta naturalmente qualcosa di completamente nuovo: non proviene dal sacerdozio del tempio dell’Antica Alleanza né dalla idea vetero-testamentaria del ‘sacerdozio regale’”. Proviene piuttosto, annota, “da un nesso messianico-apostolico: la missione nella continuazione della missione di Gesù Cristo”.“Nessuno – soggiunge – contesterà che nella storia della Chiesa si sono sempre alternati segni di oscuramento”, ma “questo non mette in questione il sacerdozio come tale, bensì noi ai quali fu trasmesso come compito”. Infatti, si chiede, “siamo noi così sicuri che l'oscurità esisteva soltanto negli altri tempi? Oppure non è piuttosto così che ogni tempo deve accettare di nuovo il dono del Signore?". Nella parte conclusiva della sua riflessione, il futuro Benedetto XVI afferma che “la forza purificatrice dell'investigazione storica è importante”, ma “essa non basta, perché il pensare ha la sua sede nella vita e da essa riceve i suoi presupposti e i suoi limiti”. E aggiunge: “Soltanto se accettiamo sempre di nuovo in questa totalità la consegna del Signore, il nostro pensare può trovare la strada”. “Il sacerdozio di Cristo – conclude – si è adempiuto” sulla croce. Dunque, “la croce è e rimane il fondamento e il continuo centro del sacerdozio cristiano che può trovare il suo compimento soltanto nella disponibilità del proprio io per il Signore e per gli uomini”.

Radio Vaticana

Il ministero sacerdotale. Fondamento e centro del sacerdozio cristiano è la croce (Articolo di Joseph Ratzinger pubblicato su L'Osservatore Romano del 28 maggio 1970)

Il Papa chiama il suo grande elettore Herranz per cacciare le talpe vaticane: con semplicità e grande cuore incarna un Pontificato non di transizione

Sarà pure mite Benedetto XVI ma di certo non fugge davanti ai lupi. E se è pur vero che è un Papa animalista, con i felini in pole position nel suo cuore, non ama essere pugnalato da talpe e corvi. Ed ecco spiegato il motivo della sua scelta: affidare a tre cardinali ultraottantenni (Júlian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi) il compito di stanare i corvi del Vaticano. A guidare questa inedita commissione cardinalizia è Herranz (foto), colui che per ventidue anni è stato il segretario del fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria Escrivà. Il porporato spagnolo, insigne giurista, nel conclave del 2005 è stato tra i grandi elettori di Joseph Ratzinger sulla Cattedra di Pietro. Discreto e riservato, Herranz ha lavorato minuziosamente per consolidare attorno al cardinale bavarese la maggioranza necessaria per la fumata bianca, esponendo con grande chiarezza e altrettanta fermezza le ragioni di questa scelta. "Perché - si domanda Herranz nel suo libro "Nei dintorni di Gerico" - confluirono così rapidamente sul nome di Ratzinger più di due terzi dei voti necessari? Si è parlato e scritto giustamente - risponde il cardinale - di una quadruplice legittimità: il prestigio intellettuale del grande teologo; la legittimità istituzionale del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e decano del Sacro Collegio; la legittimità romana in quanto membro della Curia da tanti anni; e la legittimità wojtyliana dell’uomo di fiducia di Giovanni Paolo II. Oserei aggiungere - prosegue Herranz - un’ulteriore ragione: la legittimità spirituale di un sacerdote di profonda vita interiore (è un contemplativo) e, nel contempo, di vibrante spirito apostolico, il quale, come Giovanni Paolo II, è sempre disposto a portare la dottrina e l’amore di Cristo a tutti gli areopaghi del mondo. Un uomo capace di incarnare non un Pontificato di transizione, bensì di continuità dinamica con il grande Pontificato di Giovanni Paolo II: mistico apostolo di Cristo". Il cardinale ricorda, poi, gli attimi successivi all’Elezione del Pontefice: "Ripenso a quanto è accaduto nella Cappella Sistina: i nostri applausi quando alla quarta votazione (la prima del pomeriggio) è stato eletto Papa il card. Ratzinger; la sua risposta affermativa alla domanda 'Accetti l’elezione canonica a Sommo Pontefice?'; la scelta del nome Benedetto, patrono d’Europa, che ha messo nella sua Regola il principio 'Nulla venga mai anteposto a Cristo'; la vestizione con gli abiti pontifici già pronti nella sacrestia alla destra della Cappella Sistina; l’atto di obbedienza al nuovo Papa da parte di ciascuno di noi (mentre gli baciavo sorridendo la mano l’ho assicurato della mia cordiale unità e disponibilità, e ho osato aggiungere: 'In cielo saranno particolarmente contenti San Josemaria Escrivà e Giovanni Paolo II')". Ricorda ancora Herranz: "La serenità di carattere e il sorriso di Ratzinger, mai perduti in quei giorni così tesi, la semplicità con cui ha vissuto nella residenza Santa Marta l’atmosfera fraterna che lo spingeva - ne sono testimone - a servire ai commensali l’acqua durante il pranzo, o a cedere il passo in ascensore, mi fanno pensare che la bella personalità dell’eletto saprà accattivarsi, con la sua semplicità e il suo grande cuore, la simpatia e l’affetto delle genti".

Francesco Grana, Orticalab

Benedetto XVI ordina sacerdoti 9 diaconi provenienti dai seminari di Roma. 8 rimarranno nella diocesi, tra loro un magistrato e un pilota d'aereo

Un pilota d’aereo, un magistrato, ma anche un giovane “di parrocchia”, laureato e fidanzato. Storie di vita e di fede raccontate con l’accento romano, vicentino, ma anche ivoriano, colombiano e vietnamita dai 9 diaconi che domenica 29 aprile, IV di Pasqua e Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, riceveranno l’Ordinazione sacerdotale dalle mani di Benedetto XVI. Otto di loro diverranno sacerdoti per la diocesi di Roma. Uno, Giuseppe Vu Van Hieu, vietnamita, formatosi anche lui nella Capitale, all’Almo Collegio Capranica, sarà ordinato per la diocesi di Bui Chu.Tre i nuovi presbiteri provenienti dal Pontificio Seminario Romano Maggiore: don Giuseppe Cippitelli, don Claudio Fabbri e don Alfredo Tedesco. Quest’ultimo, formatosi nell’Azione cattolica della parrocchia di Santa Maria della Mercede, fidanzato, con una laurea in chimica, racconta di aver avvertito presto che "la realtà che vivevo mi stava stretta". A 22 anni entra al Maggiore per l’anno propedeutico. Domenica a San Pietro alla celebrazione per la sua ordinazione parteciperà anche la sua ex fidanzata con il futuro marito. Arriva dal Capranica invece don Piero Gallo, 42 anni. Una vocazione adulta, la sua, maturata attraverso un percorso professionale che lo ha portato a essere magistrato, per 2 anni, e quindi, per 8 anni, avvocato dello Stato. Ad indicare l’esperienza che ha cambiato la sua vita non ha dubbi: "L’ascolto delle catechesi sui dieci comandamenti tenute nella mia parrocchia di Santa Maria Goretti da don Fabio Rosini", riferisce. Gli ultimi 4 ordinandi, infine, si sono formati al Collegio diocesano Redemptoris Mater. Si tratta del trentenne Jean Florent Agbo, ivoriano, del colombiano Jorge Alexander Suarez Barbaran, 31 anni, di Daniele Natalizi, ventisettenne originario di Vicenza, e del romano Marco Santarelli, 30 anni il prossimo novembre. Pilota di aereo privato con il sogno di portare, un giorno, un Boeing 747, don Marco parla della Giornata Mondiale della Gioventù di Toronto, nel 2002, come occasione nella quale la chiamata da parte del Signore lo ha raggiunto in modo significativo "attraverso le parole di Giovanni Paolo II che invitava i giovani a seguire Gesù Cristo senza paura". Due anni dopo entrava in seminario, accompagnato dalla sua comunità neocatecumenale.

RomaSette.it

Libretto della Celebrazione

Coccopalmerio: prevenire abusi nelle cause di nullità matrimoniale attraverso efficace azione pastorale. Non lasciarsi attrarre da vantaggi economici

Come prevenire gli abusi nelle cause di nullità matrimoniale? Come favorire la giusta interpretazione del canone 1095 del Codice di Diritto Canonico? E ancora, come difendere e tutelare in un clima di inquinamento valoriale, l'indissolubilità del matrimonio? Questi alcuni degli interrogativi al centro del Convegno, ieri e oggi a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce. "Urge un'efficace azione pastorale per contrastare anche l'ammissione scontata dei fidanzati al Sacramento", ha commentato a Radio Vaticana il card. Francesco Coccopalmerio (nella foto con Benedetto XVI), presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. "L'abuso si verifica quando una persona sa che il suo matrimonio è valido e, nello stesso tempo, cerca di carpire alla Chiesa una dichiarazione di nullità. In quel caso, si ricorre ad espedienti per far apparire il matrimonio nullo mentre, in realtà, il matrimonio non è nullo. Qui bisogna anche far appello alla correttezza non soltanto dei due sposi, ma anche alla correttezza deontologica dei patroni, che non devono in nessun modo lasciarsi attrarre dai possibili vantaggi, come ad esempio quelli economici". "Possiamo dire di vivere in un'atmosfera fortemente 'inquinata'", ha detto il presidente del dicastero vaticano, "in cui il matrimonio - come si diceva in un famoso film - è diventato una 'burletta', cioè un qualcosa che si può trattare con tutta libertà. Colui o colei che ho preso per tutta la vita, ad un certo punto posso rifiutarlo o rifiutarla così come posso rifiutare una cosa che è diventata inutile, vecchia o sorpassata. La stessa cosa avviene quando si concepisce il matrimonio con una forma di leggerezza, di superficialità, di non rispetto per la persona. Questo è terribile. Purtroppo, però, è questa l'atmosfera in cui viviamo. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II hanno senza dubbio fatto molto, in questo senso. Anche da un punto di vista di valori mediatici e di testimonianze portate dalla televisione - ha concluso mons. Coccopalmerio - dovremo portare avanti anche un altro modo di vedere".

TMNews

Cause di nullità matrimoniale, il card. Coccopalmerio: prevenire gli abusi attraverso un'efficace azione pastorale

Il dissenso, la fede dei semplici e il neo-clericalismo: gli 'scismi silenziosi' e il richiamo del Papa all’essenziale dell’annuncio cristiano

Anche se molta (comprensibile) attenzione mediatica in queste settimane è incentrata sull’esito del dialogo tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, la realtà fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre che potrebbe presto rientrare nella piena comunione con Roma, non c’è dubbio che proporzioni ben più vaste e diffuse, nella Chiesa Cattolica, abbia al giorno d’oggi un altro tipo di dissenso. Quello che si diffonde nell’Europa del centro e del nord, in Austria, Germania, Belgio, Irlanda, e che vede gruppi di sacerdoti firmare appelli alla "disobbedienza" manifestando posizioni fortemente critiche verso la linea "romana", in materie che riguardano la sessualità, comunione ai divorziati risposati, il celibato sacerdotale, il sacerdozio femminile, il ruolo dei laici nella Chiesa. Mentre fa discutere negli Stati Uniti l’intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede nei confronti della "Leadership Conference of Women Religious" l’organizzazione che raccoglie la grande maggioranza delle Superiore maggiori delle congregazioni delle suore americane, messe sotto vigilanza per le loro posizioni non in linea con quelle della Chiesa su temi quali l’aborto, l’omosessualità e il sacerdozio. Esistono "scismi" silenziosi in atto, che le cronache necessariamente e impietosamente riferiscono, e che contribuiscono a infrangere l’immagine di una Chiesa sempre trionfante. "Scismi" che non possono essere facilmente liquidati come singulti della contestazione post-conciliare o delle vecchie frange progressiste destinate all’estinzione. Di fronte a quanto sta accadendo, si assiste spesso alle difficoltà da parte dei vescovi di affrontare e "governare" queste situazioni, in attesa che sulla questione "intervenga Roma". D’altra parte è pure innegabile la difficoltà di mettere veramente a tema le questioni sollevate dai dissenzienti, affrontandole in un confronto aperto. Un esempio di come questo possa essere fatto è stato rappresentato dal passaggio dell’omelia della Messa Crismale che Benedetto XVI ha dedicato alla protesta dei preti austriaci, parlando della loro richiesta di discutere il sacerdozio femminile. Il Papa è intervenuto ponendo, a loro come a tutti quelli che lo ascoltavano in San Pietro, delle domande su che cosa significhi conformarsi alla volontà di Cristo e seguirlo. L’approccio che ha seguito, e ciò è avvenuto anche nel caso dei "dialoghi dottrinali" con la Fraternità Sn Pio X, è stato quello di chi, pur rivestendo il ruolo di "roccia" e di autorità suprema nella Chiesa, non rinuncia a dare continuamente, e con un linguaggio adatto ai tempi, le ragioni profonde che soggiacciono a certe posizioni dottrinali. Benedetto XVI è un Papa che ha guidato il dicastero dottrinale facendo quotidianamente i conti con tutti i problemi sopra esposti. Così si esprimeva in proposito, ancor prima di essere chiamato a Roma da Giovanni Paolo II: "Il magistero ecclesiale protegge la fede dei semplici; di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali: questo è il suo compito democratico. Esso deve dare voce a quelli che non hanno voce". "Non sono i dotti – diceva in un’omelia pronunciata a Monaco nel dicembre 1979 – a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Non sono le spiegazioni intellettuali la misura della professione di fede battesimale, bensì la professione di fede battesimale, nella sua ingenua letteralità, è misura di tutta la teologia. Il battezzato, colui che sta nella fede del battesimo, non ha bisogno di essere ammaestrato. Egli ha ricevuto la verità decisiva e la porta con sé con la fede stessa...". Nella stessa omelia, l’allora card. Ratzinger aggiungeva: "Dovrebbe essere finalmente chiaro anche che dire dell’opinione di qualcuno che essa non corrisponde alla dottrina della Chiesa Cattolica non significa violare i diritti umani. Ciascuno deve avere il diritto di formarsi e di esprimere liberamente la propria opinione. La Chiesa con il Concilio Vaticano II si è dichiarata decisamente a favore di ciò e lo è ancora oggi. Ma ciò non significa che ogni opinione esterna debba essere riconosciuta come cattolica. Ciascuno deve potersi esprimere come vuole e come può davanti alla propria coscienza. La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli e al mondo". Si può comprender meglio, alla luce di queste parole, il perché Benedetto XVI abbia voluto istituire un nuovo dicastero dedicato alla nuova evangelizzazione e abbia proclamato l’Anno della fede. Il richiamo all’essenzialità della fede battesimale, il cui "a-b-c" è spesso ignorato anche nel cuore di quell’Europa che fu cristiana, è considerato da Papa Ratzinger un’urgenza. Ma sarebbe un errore giudicare questo richiamo come indirizzato soltanto a "strigliare" un certo dissenso. Si tratta infatti di un appello più vasto e più profondo, che dovrebbe mettere in discussione anche quel mondo ecclesiastico più in linea con il pontificato. Richiamare all’urgenza dell’annuncio della fede, e dell’approfondimento dei suoi contenuti, dovrebbe infatti distogliere tanti prelati dall’interessarsi troppo e troppo da vicino della politica, degli schieramenti, delle nomine negli enti pubblici, dei mass media, come pure dall’intervenire spesso o spessissimo in materie dove ciò potrebbe essere fatto con maggiore libertà dai laici cattolici. Uno dei frutti sperati del Concilio Vaticano II, iniziato cinquant’anni fa, riguardava proprio il ruolo dei laici nella Chiesa. E non è fuori luogo osservare come proprio il decreto a questo dedicato, "Apostolicam actuositatem", appaia mezzo secolo dopo il documento meno realizzato nella pratica concreta della vita ecclesiale, di fronte all’emergere in diversi Paesi di un neo-clericalismo che sembra considerare i laici soltanto come il "braccio secolare" di una gerarchia che tutto indirizza o tutto vorrebbe indirizzare, ben al di là degli ambiti di sua competenza.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

VII anniversario dell'Elezione di Benedetto XVI. Sarà ricordato più per le omelie, e per i suoi gesti audaci, controcorrente. Come quello a Madrid

Nessuno l'ha detto, una settimana fa, nel diluvio di omaggi per il settimo compleanno di Benedetto XVI da Papa. Ma l'elemento che più ha svelato il senso profondo del suo Pontificato è stato un temporale. Era una notte torrida a Madrid, nell'agosto del 2011. Davanti a Papa Benedetto, nella spianata, un milione di giovani, età media 22 anni, un'incognita. All'improvviso un turbine d'acqua, di fulmini, di vento si abbatte su tutti, senza riparo. Saltano grappoli di riflettori, volano via cartelloni, anche il Papa si infradicia. Ma resta al suo posto, davanti all'esplosivo tripudio di ragazzi e ragazze per l'inaspettato fuori programma dal cielo. Quando cessa la pioggia, il Papa accantona il discorso scritto, rivolge ai giovani poche parole. Invita a guardare non lui ma quel Gesù che dice vivo e presente nell'ostia consacrata, sull'altare. Si inginocchia in silenzio adorante. E altrettanto accade sulla spianata. Tutti si inginocchiano sulla terra bagnata. In totale silenzio. Per una buona mezz'ora. A Madrid non era la prima volta che Benedetto XVI si inginocchiava davanti all'ostia santa, in prolungato silenzio. L'aveva già fatto a Colonia nel 2005, da poco eletto Papa, anche là nella Veglia notturna con miriadi di giovani, nello stupore di tutti. Nelle valutazioni di questo papato, pochi hanno capito l'audacia di questi gesti controcorrente. Ma quando Benedetto XVI li compie e li spiega, lo fa con l'aria pacata di chi non vuole inventare nulla di proprio, ma semplicemente andare al cuore dell'avventura umana e del mistero cristiano. Anche Raffaello, cinque secoli fa, in quel sublime affresco delle Stanze Vaticane che è la "Disputa del Santissimo Sacramento", pose l'ostia consacrata al centro di tutto, sull'altare di una grandiosa liturgia cosmica che vede interagire il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, la Chiesa terrena e celeste, il tempo e l'eterno. Quando Benedetto XVI convocò il suo primo Sinodo, nel 2005, lo dedicò proprio all'Eucaristia. E volle che fosse proiettato per tutta la durata dell'assise proprio quell'affresco di Raffaello, su uno schermo davanti ai vescovi lì convenuti da tutto il mondo. Di Joseph Ratzinger hanno fatto discutere le dotte lezioni all'università di Ratisbona e al Collège des Bernardins di Parigi, alla Westminster Hall di Londra e al Bundestag di Berlino. Ma si scoprirà un giorno che il vero distintivo di questo Papa sono le omelie, come prima di lui lo sono state per San Leone Magno, il Papa che fermò Attila. Le omelie sono le parole di Benedetto XVI che fanno meno notizia. Le pronuncia durante la Messa, pericolosamente vicino, quindi, a quel Gesù che addita vivo e presente nei segni del pane e del vino, a quel Gesù che, egli predica instancabile, è lo stesso che spiegò le Sacre Scritture ai viandanti di Emmaus, così simili agli uomini smarriti di oggi, e si rivelò loro allo spezzare del pane, come nel dipinto del Caravaggio alla National Gallery di Londra, e appena riconosciuto scomparve, perché la fede è così, non è mai visione geometricamente compiuta, è gioco inesauribile di libertà e di grazia. Alla nessuna o poca fede di tanti uomini d'oggi, alle Messe banalmente ridotte ad abbracci di pace e assemblee solidali, Papa Benedetto vuole offrire la fede corposa in un Dio che si fa realmente vicino, che ama e perdona, che si fa toccare e mangiare. Questa era anche la fede dei primi cristiani. Benedetto XVI l'ha ricordato all'Angelus di due domeniche fa. La nascita della domenica come "Giorno del Signore", ha detto, fu un gesto di audacia rivoluzionaria proprio perché straordinario e sconvolgente fu l'avvenimento che l'originò: la risurrezione di Gesù e poi il suo apparire da risorto tra i discepoli ogni "primo giorno della settimana", cioè il giorno d'inizio della creazione. Il pane terreno che diventa comunione con Dio, ha detto il Papa in un'altra omelia, "vuol essere l'inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio".

Sandro Magister, www. chiesa

'Gesù di Nazaret - Secondo volume'. Forte: un'opera davanti alla quale non si può restare neutrali. Storicità dei Vangeli non acritica e pregiudiziale

di mons. Bruno Forte

Il "Gesù di Nazaret" è un’opera davanti alla quale non si può restare “neutrali”. Il punto su cui l’attenzione dei “critici” sembra essersi focalizzata può esprimersi nella domanda se si sia di fronte a un lavoro “scientifico” o se si tratti “unicamente” di una testimonianza spirituale. In realtà, entrambe queste letture mi sembrano parziali. "In duecento anni di lavoro esegetico - afferma l’autore nella premessa al II volume - l’interpretazione storico-critica ha ormai dato ciò che di essenziale aveva da dare. Se l’esegesi biblica scientifica non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi di lavoro diventando teologicamente insignificante, deve fare un passo metodologicamente nuovo e riconoscersi nuovamente come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico". L’opera di Ratzinger su Gesù non ignora, dunque, i due secoli di critica moderna alla storicità dei Vangeli e certamente non vuole essere un ritorno a quell’innocenza narrativa pre-critica, che dava per scontata l’attendibilità storica di ogni informazione evangelica. L’autore dà credito alla affidabilità storica dei Vangeli, ma non lo fa in maniera acritica e pregiudiziale, bensì vagliando le testimonianze e applicando i criteri che il raffinato dibattito di due secoli intorno alla storicità delle informazioni evangeliche ha elaborato. Certamente, anche in questa linea di lettura ci sono accenti diversi, che vanno da un minimalismo a un massimalismo. Il libro del Papa si colloca su una linea precisa che è motivata da una fondamentale opzione interpretativa, secondo cui l’accostamento alla figura del Gesù storico non è mai irrilevante per la mente e il cuore di chi lo opera. Gioca in questa scelta la maturazione della scienza ermeneutica compiutasi, ad esempio, attraverso il contributo di Gadamer: questi rivela giustamente che nel rapporto a una figura o a un’opera del passato entrano in gioco almeno tre elementi, l’estraneità, la coappartenenza e la finale fusione di orizzonti. Anzitutto, l’“estraneità”. Il passato è passato e va trattato da “passato”: la presa di distanza e il conseguente rigore critico sono in tal senso la garanzia dell’oggettività. Quanto è avvenuto nella storia di Gesù di Nazaret non è una proiezione del desiderio dei discepoli o di chi nel tempo ne ha fatto oggetto di indagine o di fede: l’evento Cristo ha uno spessore oggettivo, che si offre a noi e ci sfida al rischio della conoscenza e dell’amore. Il Signore Gesù, insomma, non è “qualcosa” che diviene in noi, nei cuori dei discepoli mossi dalla commozione o dalla nostalgia: non è manipolabile a nostro piacimento, né è la semplice risposta alle nostre domande. Egli è piuttosto Qualcuno che viene a noi, che sovverte le nostre domande e soloa prezzo di una vera nostra “metànoia” vi corrisponde: è il Vivente, che ci dona la vita piena e vera oggi e per l’eternità. E tuttavia non ci si avvicinerebbe a una figura come quella di Gesù di Nazaret se non ci fosse anche una “coappartenenza”, un investire cioè il passato delle domande del presente, quelle che toccano da vicino il nostro cuore e la nostra vita. È grazie a questa coappartenenza dell’umano all’umano, che quanto si offrì in Gesù di Nazaret venti secoli fa continua a interpellarci, a essere anzi sommamente importante per noi. Quando si arriva all’incontro fra i due poli dell’estraneità e della coappartenenza si ha, infine, la comprensione, quella “fusione di orizzonti” in cui il passato parla al presente e lo feconda trasformandolo. Questa fusione è in particolare la meta di ogni accostamento del credente ai Vangeli, che non è mai mosso da semplice curiosità intellettuale, ma dal desiderio di comprendere meglio se stesso e la vita di tutti alla luce di quanto sappiamo della storia del Figlio di Dio venuto nella carne. Nella fusione di orizzonti fra l’interrogante del presente e l’Interrogato del passato, si compie una singolare presenza, una ripresentazione o attualizzazione dell’evento passato, che in riferimento alla persona e all’opera di Gesù avviene in particolare grazie all’azione dello Spirito Santo. Va detto che un simile approccio alla storia di Gesù e all’evento Cristo è tutt’altro che pregiudiziale o non scientifico: esso adegua la criticità necessaria alla conoscenza storica all’oggetto e rende la ricerca condotta sul passato una singolare sorgente di novità di vita e di freschi legami con il presente, che resta comunque aperto all’insondabile ulteriorità del dono offerto nell’evento di rivelazione.

L'Osservatore Romano

Card. Koch: mi ha stupito il significativo appello del Papa ai preti dissidenti. Gli Ordinariati di ex anglicani sono frutto del dialogo ecumenico

"La mia reazione immediata è stata di stupore: perchè rendere tale onore della citazione alla 'Chiamata alla disobbedienza'? D'altra parte, perciò, era ormai necessario che il Papa dicesse una parola al riguardo". Il card. Kurt Koch (nella foto con Benedetto XVI), presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei cristiani, confida alla rubrica "Rosso porpora" del settimanale Tempi la sua reazione davanti all'appello all'obbedienza rivolto da Benedetto XVI ai sacerdoti dissidenti dell'Austria nella Messa crismale, un "contesto - spiega - dove si rinnovano le promesse sacerdotali, tra le quali quella dell'obbedienza". "Un'occasione significativa - dunque - poichè sono importanti non solo le parole ma anche il contesto che rende il tutto assolutamente chiaro". Il Pontefice, sottolinea Koch, anche in questo caso è intervenuto "alla sua maniera, chiara ma molto gentile". Nell'intervista, il porporato si sofferma anche sulle radici del dissenso che sembra estendersi dall'Austria all'intera area tedesca. "Credo che da noi - spiega il porporato svizzero - abbiano recepito il Concilio accogliendo soprattutto l'interpretazione datane da Hans Küng e, a ruota, da molti massmedia". Su questa, secondo il card. Koch, "si fondano le irrequietezze odierne". In ogni caso, osserva il capo dicastero, "molti hanno firmato perchè percepiscono le difficoltà del momento; non penso però che tutti siano d'accordo con gli sviluppi: sacerdoti e diaconi che incitano alla disobbedienza è un fatto molto inusuale". "Il fatto che gruppi di anglicani chiedano di entrare nella Chiesa Cattolica è il frutto del dialogo ecumenico di questi decenni, di questi anni. Senza il consenso raccolto per il lavoro fatto, tale situazione non si sarebbe concretizzata". "La conversione di singoli - osserva Koch - è una costante nella storia della Chiesa Cattolica. La novità risiede nel fatto che in questa fase ci sono gruppi di vescovi e sacerdoti con i loro fedeli che chiedono di entrare. Fin qui sono oltre mille, un fatto nuovo che il Santo Padre ha onorato, aprendo ai postulanti la porta della Chiesa Cattolica e concedendo loro - attraverso l'istituzione degli Ordinariati - di conservare alcune forme liturgiche specifiche anglicane". "L'iniziativa - tiene a ricordare il capo dicastero - non è stata del Santo Padre, il quale ha dato una risposta positiva a una richiesta esterna". Tutto dipende, secondo Koch, "dalle grandi dinamiche sviluppatesi in questi anni all'interno della comunità mondiale anglicana". Infatti, "tra le varie Chiese nazionali le differenze in materia etica sono enormi. L'arcivescovo di Canterbury è responsabile dell'unità interna, ma non ha il potere di imporre soluzioni". E il dimissionario Rowan Williams "ha fatto molto, ha cercato di salvare quel che poteva".

Agi