sabato 22 settembre 2012

Con la scomparsa dell'arcivescovo di Capua salgono a sei le diocesi della Campania a cui Benedetto XVI dovrà dare nei prossimi mesi nuovi pastori

Nell’Anno della fede sarà ridisegnata un’ampia parte del volto della Chiesa campana. Con la scomparsa di mons. Bruno Schettino, infatti, salgono a sei le diocesi della Conferenza Eiscopale regionale a cui il Papa dovrà provvedere nei prossimi mesi nominando nuovi pastori. Non si tratterà di una scelta facile e rapida, ma di un lavoro ponderato che durerà diversi mesi e che vedrà come attivi protagonisti la Nunziatura Apostolica in Italia retta da mons. Adriano Bernardini e la Congregazione per i vescovi guidata dal prefetto il cardinale canadese Marc Ouellet. Saranno questi due dicasteri, infatti, a raccogliere le informazioni e a preparare le terne dei candidati per ciascuna diocesi che saranno presentate a Benedetto XVI al quale toccherà l’ultima parola, ovvero la scelta dei nuovi vescovi. Teoricamente, il Papa potrebbe nominare anche un presule non indicato nella terna, ma ciò avviene raramente e per lo più per diocesi cardinalizie. Non è questo il caso delle sei chiese particolari che attendono, nei prossimi mesi, di conoscere il nome e il volto dei loro nuovi pastori. In tre delle sei diocesi campane nelle quali è previsto l’arrivo del nuovo vescovo gli attuali pastori sono sulla soglia dei settantacinque anni di vita. È l’età in cui, secondo quanto stabilito dal Codice di Diritto Canonico al primo paragrafo del numero 401, il vescovo diocesano deve presentare al Papa la rinuncia al suo ufficio. Mons. Salvatore Giovanni Rinaldi, alla guida della Chiesa di Acerra, ha compiuto settantacinque anni il 3 maggio scorso, mentre mons. Antonio Napoletano, vescovo di Sessa Aurunca, li ha festeggiati l’8 giugno scorso. Il 6 novembre li finirà, invece, mons. Carlo Liberati arcivescovo prelato di Pompei. Nelle altre tre diocesi campane nelle quali il Papa nei prossimi mesi dovrà nominare i nuovi vescovi le situazioni sono molto diverse. A Ischia mons. Filippo Strofaldi, 72 anni compiuti ad agosto, si è dimesso nel luglio scorso per gravi motivi di salute, così come previsto dal paragrafo due del numero 401 del Codice di Diritto Canonico. Come amministratore diocesano, nell’attesa che il Papa nomini il suo successore, è stato eletto dal clero della diocesi isolana l’ottantaseienne mons. Giuseppe Regine, parroco di San Vito a Forio. Diverso è lo scenario nell’arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi - Conza - Nusco - Bisaccia dopo che mons. Francesco Alfano, 56 anni, è stato trasferito il 10 marzo scorso alla guida dell’arcidiocesi di Sorrento - Castellamare di Stabia, retta fino a quel momento da mons. Felice Cece, 76 anni, dimessosi per raggiunti limiti d’età. Alfano al momento è anche Amministratore apostolico di Sant’Angelo dei Lombardi - Conza - Nusco - Bisaccia in attesa che il Papa nomini il nuovo vescovo. E, infine, c’è l’arcidiocesi di Capua divenuta vacante con la morte di mons. Bruno Schettino, stroncato da un infarto all’età di 71 anni. Con la scomparsa di questo presule diminuisce anche il numero dei vescovi campani presenti nel Consiglio Episcopale Permanente della CEI. Schettino ne faceva parte in qualità di presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni e della Fondazione "Migrantes". Gli altri due vescovi campani presenti nel massimo organismo della CEI sono il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Conferenza Episcopale campana, e mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e vicepresidente della Conferenza Episcopale italiana.

Francesco Grana, Orticalab

Il Papa: il contributo politico e istituzionale dovrà continuare ad assumere come centrale ed imprescindibile la ricerca del bene comune, la promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana

Questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti all’incontro promosso dall’Internazionale Democratico Cristiana.  "È trascorso un lustro dal nostro precedente incontro ed in questo tempo l'impegno dei cristiani nella società non ha cessato di essere vivace fermento per un miglioramento delle relazioni umane e delle condizioni di vita. Questo impegno non deve conoscere flessioni o ripiegamenti, ma al contrario va profuso con rinnovata vitalità, in considerazione del persistere e, per alcuni versi, dell'aggravarsi delle problematiche che abbiamo dinanzi", ha esordito il Papa nel suo discorso. "Un rilievo crescente - ha proseguito - assume l'attuale situazione economica, la cui complessità e gravità giustamente preoccupa, ma dinanzi alla quale il cristiano è chiamato ad agire e ad esprimersi con spirito profetico, capace cioè di cogliere nelle trasformazioni in atto l'incessante quanto misteriosa presenza di Dio nella storia, assumendo così con realismo, fiducia e speranza le nuove emergenti responsabilità". "'La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, diventando così occasione di discernimento e di nuova progettualità'", ha detto ancora il Pontefice, citando l'Enciclica "Caritas in veritate". Benedetto XVI, in particolare, ha rivolto ai leader democristiani un invito ad affrontare la crisi in una "chiave, fiduciosa e non rassegnata". Che consenta di fare in modo che "l'impegno civile e politico possa ricevere nuovo stimolo ed impulso nella ricerca di un solido fondamento etico, la cui assenza in campo economico ha contribuito a creare l'attuale crisi finanziaria globale". "Il contributo politico ed istituzionale di cui voi siete portatori - ha detto il Papa - non potrà quindi limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato, ma dovrà continuare ad assumere come centrale ed imprescindibile la ricerca del bene comune, rettamente inteso, come pure la promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana". "Oggi - ha affermato ancora Benedetto XVI- risuona quanto mai attuale l'insegnamento conciliare secondo cui 'ell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario'. Un ordine, questo della persona, che 'ha come fondamento la verità, si edifica nella giustizia' ed 'è vivificato dall'amore'. Ed il cui discernimento non può procedere senza una costante attenzione alla Parola di Dio ed al Magistero della Chiesa, particolarmente da parte di coloro che, come voi, ispirano la propria attività ai principi ed ai valori cristiani. Sono purtroppo molte e rumorose le offerte di risposte sbrigative, superficiali e di breve respiro ai bisogni più fondamentali e profondi della persona". Il Papa non ha poi mancato di indicare "gli ambiti nei quali si esercita questo decisivo discernimento", "quelli concernenti gli interessi più vitali e delicati della persona, lì dove hanno luogo le scelte fondamentali inerenti il senso della vita e la ricerca della felicità, "profondamente collegati, sussistendo tra di essi un evidente 'continuum' costituito dal rispetto della dignità trascendente della persona umana, radicata nel suo essere immagine del Creatore e fine ultimo di ogni giustizia sociale autenticamente umana". “Il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale - con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica - è un impegno che si intreccia infatti con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare". "Nella famiglia fondata sul matrimonio e aperta alla vita - ha ripetuto il Papa - che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e l'amore gratuito, ricevendo al tempo stesso, dal bambino al malato, all'anziano, la solidarietà che gli occorre", "a costituire il principale e più incisivo luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per aiutarli a trarre fuori il meglio di sé. La famiglia, cellula originaria della società - ha affermato ancora il Papa - è pertanto radice che alimenta non solo la singola persona, ma anche le stesse basi della convivenza sociale". Motivo per il quale "correttamente Giovanni Paolo II - ha sottolineato Benedetto XVI - aveva incluso tra i diritti umani il 'diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità". “Un autentico progresso della società umana non potrà dunque prescindere da politiche di tutela e promozione del matrimonio e della comunità che ne deriva, politiche che spetterà non solo agli Stati ma alla stessa Comunità internazionale adottare, al fine di invertire la tendenza di un crescente isolamento dell’individuo, fonte di sofferenza e di inaridimento sia per il singolo sia per la stessa comunità”. Per il Papa "tale responsabilità concerne in modo particolare quanti sono chiamati a ricoprire un ruolo di rappresentanza. Essi, specialmente se animati dalla fede cristiana, devono essere 'capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza', ha detto citando la "Gaudium et Spes". Utilmente risuona in questo senso il monito del libro della Sapienza, secondo cui ‘il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto’; monito dato però non per spaventare, ma per spronare e incoraggiare i governanti, ad ogni livello, a realizzare tutte le possibilità di bene di cui sono capaci, secondo la misura e la missione che il Signore affida a ciascuno”, ha concluso Benedetto XVI.
 
TMNews, Radio Vaticana

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’INTERNAZIONALE DEMOCRATICO-CRISTIANA - il testo integrale del discorso del Papa
 

Sinodo dei vescovi 2012. Un'analisi dei nomi dei Padri sinodali che Benedetto XVI ha voluto aggiungere ai partecipanti indicati dalle Conferenze Episcopali del mondo

Nei giorni scorsi sono stati resi noti i nomi degli altri 36 ecclesiastici che Benedetto XVI ha chiamato a far parte della tredicesima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà dal 7 al 28 ottobre sul tema "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Si tratta di 12 cardinali, di 20 arcivescovi e vescovi, di 4 sacerdoti. Costoro si aggiungeranno ai Padri sinodali eletti dalle Conferenze Episcopali di tutto il mondo e dall’unione dei superiori generali degli ordini religiosi (che comunque devono essere approvati dalla Santa Sede e il cui elenco ufficiale non è stato ancora pubblicato), come pure ai membri di diritto dell’assise, come il segretario generale del Sinodo e i capidicastero della Curia romana. Sono state nominate dal Papa anche le figure apicali del Sinodo. Come i tre presidenti delegati, e cioè i cardinali John Tong Hon, vescovo di Hong Kong, Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara in Messico, e Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo. Come il relatore generale, e cioè il cardinale statunitense Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington. E come il segretario speciale, e cioè il francese Pierre-Marie Carré, arcivescovo di Montpellier. Scorrendo l’elenco dei Padri sinodali nominati direttamente dal Papa si incontrano nomi di ecclesiastici che sono stati scelti per cortesia istituzionale (come il cardinale decano Angelo Sodano) o perché presiedono importanti organismi ecclesiali che riuniscono Conferenze Episcopali regionali o continentali. È il caso, quest'ultimo, del card. Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam in Tanzania, presidente del Symposium des Conférences Episcopales d’Afrique et de Madagascar; del card. Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest in Ungheria, presidente del Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae; del card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay in India, segretario generale della Federation of Asian Bishops’ Conferences; di John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington in Nuova Zelanda, presidente della Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania; di Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla in Messico, presidente del Consejo Episcopal Latinoamericano, CELAM; di Santiago Jaime Silva Retamales, ausiliare di Valparaiso in Cile, segretario generale dello stesso CELAM. Tra i rettori delle Pontificie Università romane il Papa ha scelto come Padre sinodale il rettore della Lateranense, il vescovo salesiano Enrico dal Covolo, che nell’assise ritroverà i suoi due immediati predecessori alla testa della stessa università, l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e il cardinale di Milano Angelo Scola. Come già nel Sinodo generale precedente del 2008, Benedetto XVI ha voluto annoverare tra i Padri sinodali il cardinale vicario della diocesi di cui è vescovo, Roma, cioè Agostino Vallini. Con le sue nomine il Papa può inoltre inserire tra i Padri sinodali anche ecclesiastici da lui stimati, o particolarmente raccomandati dalla segreteria generale del Sinodo o dalla Curia romana, che non sono stati votati dai rispettivi episcopati. E questo serve anche a “bilanciare” in qualche modo i risultati delle votazioni che si sono avutie nelle Conferenze Episcopali. Sembra essere questo il caso dei cardinali Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia in Germania; Vinko Puljic, arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo in Bosnia; Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; George Pell, arcivescovo di Sydney in Australia; Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria in Croazia; Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona in Spagna; André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi in Francia. Nella maggior parte dei casi (Meisner, Schönborn, Pell, Vingt-Trois) si tratta di porporati più “conservatori” rispetto alla maggioranza dei rispettivi episcopati. Guardando poi ai vescovi diocesani inclusi da Benedetto XVI tra i Padri sinodali si può notare, ad esempio, la scelta caduta sul vescovo di Tolone Dominique Rey, dell’ala più tradizionalista-carismatica della Chiesa francese. O quella del patriarca di Venezia Francesco Moraglia, ratzingeriano in dottrina e liturgia e con una spiccata sensibilità sociale, che è stato preferito ai più anziani titolari di altre sedi cardinalizie italiane, come Torino, Bologna, Napoli o Palermo. O quella dell’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Aguer, l’esponente più illustre della minoranza conservatrice dell’episcopato argentino. Di diverso segno è invece la nomina dell’arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle, tra gli autori della storia del Concilio Vaticano II promossa dalla "scuola di Bologna", che nei due precedenti Sinodi generali, quando era vescovo di Imus, era stato eletto dai suoi confratelli, mentre ora è stato il papa a doverlo ripescare. Scorrendo l’elenco dei presuli scelti dal Papa come Padri sinodali balzano infine agli occhi due curiosità. Tre su venti appartengono alla prelatura dell’Opus Dei. E cioè il secondo successore di San Josemaría Escrivá, il vescovo spagnolo Javier Echevarría Rodríguez, nonché l’arcivescovo di Los Angeles José Horacio Gómez e l’arcivescovo di Guayaquil Antonio Arregui Yarza, che pur essendo presidente della Conferenza Episcopale ecuadoriana non era stato eletto dai suoi confratelli. Nessun ripescaggio invece per l’unico cardinale dell’Opus Dei che è anche elettore in conclave, l’arcivescovo di Lima Juan Luis Cipriani Thorne, cui i confratelli peruviani hanno preferito gli arcivescovi Salvador Pineiro Garcia di Ayacucho e Miguel Cabrejos Vidarte di Trujillo. E altri tre appartengono a Comunione e Liberazione, il movimento ecclesiale fondato da don Luigi Giussani. E cioè don Julián Carrón, successore di Giussani come presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto (già nominato Padre sinodale nel 2008 quando era vescovo di Petrópolis in Brasile) e Luigi Negri, combattivo vescovo di San Marino-Montefeltro, una delle poche diocesi italiane finora visitate da Benedetto XVI. Tenendo conto del fatto che tra i Padri sinodali c’è anche il cardinale di Milano Scola, risulta quindi che ben tre dei sette vescovi diocesani italiani che parteciperanno al Sinodo provengono da Comunione e Liberazione (gli altri quattro sono i cardinali Angelo Bagnasco e Giuseppe Betori, l’arcivescovo Bruno Forte e il patriarca Moraglia). Avendo presente che sono "ciellini" appena una mezza dozzina degli oltre 200 vescovi italiani, sembra proprio che in Benedetto XVI, nonostante CL in Italia non goda in questi ultimi tempi dei favori della stampa, non è venuta meno la stima verso questo movimento ecclesiale.

Sandro Magister, www. chiesa

Rapporto della Chiesa Cattolica dello Stato di Vittoria: almeno 620 bambini hanno subito violenze da sacerdoti a partire dagli anni '30 in Australia, maggioranza tra gli anni '60 e '80

Oltre 600 bambini hanno subito violenze da sacerdoti a partire dagli anni '30 del secolo scorso in Australia. Lo afferma la Chiesa Cattolica dello Stato di Vittoria, in un rapporto presentato a una commissione parlamentare, ripreso dai media nazionali. Secondo il documento, almeno 620 adolescenti sono stati vittime di abusi sessuali con una maggioranza di casi registrati tra gli anni '60 e '80. L'arcivescovo di Melbourne, Denis Hart, in una nota diffusa alla stampa, parla di episodi "orribili" e "vergognosi", mentre le associazioni delle vittime sostengono che i giovani abusati potrebbe essere oltre 10.000. Durante il viaggio apostolico in Australia nel luglio 2008, in occasione della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, Papa Benedetto XVI ha incontrato alcune delle vittime e ha chiesto pubblicamente scusa per gli abusi.

TMNews 

Il Papa in Libano. George Sabra: sulla Siria quello che ha detto non lo abbiamo sentito da nessun'altra autorità religiosa del Medio Oriente. Fiero di essere cristiano

Cristiano, esponente di spicco dell'opposizione siriana a Bashar al-Assad, George Sabra, a Roma in questi giorni con l'Internazionale democristiana, questa mattina avrà modo di salutare personalmente Papa Benedetto XVI, che riceve a Castel Gandolfo i partecipanti all'assemblea del movimento centrista. Benché l'occasione sia un'udienza collettiva, è comunque la prima volta che, ufficialmente, la Santa Sede prende contatto con la "rivoluzione siriana". E Sabra non mancherà di ringaziare Joseph Ratzinger "per quello che ha detto in Libano". "Quello che abbiamo sentito da Benedetto XVI non lo abbiamo sentito da nessun'altra autorità religiosa del Medio Oriente", ha spiegato Sabra, che è portavoce del Consiglio nazionale siriano, in un incontro con un gruppo di giornalisti. "Il Papa ha detto che la primavera araba è una ricerca di dignità e libertà da parte dei popoli arabi e ha detto ai cristiani che non devono lasciare i loro paesi perché ne fanno parte e non sono ospiti ma devono perseguire assieme agli altri la libertà e la democrazia. Per questo la sua visita è un sostegno alla nostra causa e alla causa della libertà. I cristiani non hanno bisogno di chi li protegge perché sono comproprietari del paese assieme agli altri siriani. Da cristiano posso dire di essere fiero di essere cristiano dopo aver finalmente sentito una voce cristiana vera". Sabra è netto nel prendere le distanze da quanti, leader religiosi cristiani in Siria e nei paesi vicini, sostengono l'appello di Assad ad una "rinconciliazione": "Non ci si può riconciliare con un regime che uccide il suo popolo. Se Assad se ne va, saremo riconciliati. La vera riconciliazione a cui lavorare è quella tra settori della società divisi in questi anni dal regime. Non vogliamo vendetta, ma dobbiamo voltare pagina". In questo senso, "vogliamo rassicurare la Santa Sede che il cambiamento in Medio Oriente, al contrario di quel che si dice, non comporta nessun pericolo per i cristiani e nessuna deriva islamista. Il pericolo, per i cristiani come per le altre confessioni, sono i regimi dittatoriali". Sul piano più strettamente politico, Sabra si è detto deluso dalla comunità internazionale. "L'atteggiamento di Russia e Cina ha bloccato ogni soluzione politica. I siriani sono rimasti soli con bombardamenti, cannoneggiamenti e missili". L'esponente della ribellione siriana all'estero afferma che ci sono stati sinora 30mila "martiri", il 15% delle case demolite, 30mila sfollati e oltre 400mila profughi hanno abbandonato il paese. "Nessuno però ha abbandonato la rivoluzione e nessuno impedirà al popolo siriano di rinunciare alla libertà". L'Italia, per Sabra, fa parte dei "paesi amici della Siria", ha mandato ospedali da campo in Giordania ed ha già iniziato "corsi di formazione" per il dopo-Assad. Il portavoce del Consiglio nazionale siriano, però, chiede di più alla comunità internazionale. "Apprezziamo gli sforzi economici e ne siamo grati, ma non basta perché quello che è avvenuto in Siria non è un terremoto, ma una rivoluzione. C'è un problema politico e gli aiuti umanitari non bastano". E' necessario un intervento militare? "Eventualmente anche un intervento militare".

TMNews

Esequie di mons. Sergio Lanza. Telegramma del Papa: fedele e zelante sacerdote che ha servito il Vangelo in particolare nel campo dell'educazione

Il Papa ha espresso le sue condoglianze per la morte di mons. Sergio Lanza, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e docente della Pontificia Università Lateranense. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di stato Bertone, e inviato a mons. Crociata segretario generale della CEI, che ha presieduto ieri pomeriggio i funerali del presule, il Papa ha ricordato mons. Lanza come "fedele e zelante sacerdote che ha servito il Vangelo in particolare nel campo dell'educazione". Al rito, concelebrato con Crociata anche dai vescovi Enrico Dal Covolo, rettore della Lateranense, e Lorenzo Leuzzi, incaricato delle pastorali sanitaria e universitaria di Roma, hanno assistito il card. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita, e il ministro dei beni culturali Lorenzo Ornaghi, rettore ancora in carica della Cattolica, e il generale Domenico Giani, comandante della Gendarmeria Vaticana. Il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, ha voluto aggiungere al messaggio inviato a nome del Pontefice anche la personale espressione della propria partecipazione al lutto delle due istituzioni universitarie.

Radio Vaticana, Agi

Il Papa a Loreto. Joseph Ratzinger torna per la seconda volta alla Santa Casa come Pontefice. Come cardinale vi si recò in pellegrinaggio sette volte

Oltre alla visita che Benedetto XVI fece a Loreto il 1° e 2 settembre 2007 per presiedere l'Agorà dei giovani italiani, sono ben sette le visite del card. Joseph Ratzinger, tra il 1985 e il 2002, alla città mariana per rispondere ad una lontana e tenera devozione a Maria. La prossima visita, il 4 ottobre 2012, sarà dunque il nono pellegrinaggio alla Santa Casa di Maria a Loreto. In alcune visite, registrate dalle cronache del Santuario, il card. Ratzinger rispondeva all’invito di manifestazioni religiose o culturali, in altre occasioni alla sua personale devozione a Maria. Dal particolare legame con la Santa Casa non è escluso che, durante o prima il suo cardinalato, possa aver pellegrinato altre volte in incognito.
Il 28 maggio 1985 il card. Joseph Ratzinger, nella veste di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha accompagnato al Santuario di Loreto una trentina di collaboratori di quel dicastero. Un pellegrinaggio con momenti preghiera e la concelebrazione eucaristica in Santa Casa, durante la quale il card. Ratzinger ha pronunciato una profonda omelia. Il cardinale, insieme all’arcivescovo Alberto Bovone, segretario della Congregazione, ha poi visitato il Santuario, con la guida del direttore della Congregazione Universale. Un viaggio attraverso la tradizione lauretana e il mirabile patrimonio artistico del Santuario, lungo un percorso che dalla Santa Casa e dal suo Rivestimento, attraverso le cappelle delle absidi e delle due navate laterali, conduce alla Sala del Tesoro fino alla Piazza della Madonna.
“La Santa Casa, con le sue origini così antiche, è il più vivo e indicativo collegamento con gli inizi della nostra fede, ci indica quegli stessi inizi vissuti nell’umiltà e nella povertà della Palestina, della Terra Santa. Il cristianesimo non è mai una cosa del passato, è sempre presente come il ‘sì’ di Maria, è un ‘sì’ in eterno, che ci aiuta, ci accompagna. L’espressione corporale, storica di questo ‘sì’, quindi dell’aspetto familiare della Chiesa, dell’obbedienza della Chiesa, della bontà di Dio, ci aiuta ad entrare in questo stesso ‘sì’, nel suo significato di promessa, di sofferenza, di grande gioia. Con una parola: il Mistero dell’Incarnazione, questo mistero fondamentale della nostra fede, è qui toccabile e diventa così un punto di riferimento centrale per la nostra devozione”. Fu la risposta di Ratzinger, in visita a Loreto il 6 marzo 1988, in un’intervista rilasciata al marchese Adalberto Solari, collaboratore del Messaggio della Santa Casa. Joseph Ratzinger giunse a Loreto in una serata fredda e piovigginosa, per partecipare a una “Tre–Giorni mariana”, organizzata durante l’Anno Mariano dall’Episcopato e dal clero marchigiano. In quel occasione celebrò la Messa nella Santa Casa con la solita grande devozione .
Fu il card. Ratzinger a celebrare il gemellaggio tra i Santuari mariani di Loreto e di Altötting (Baviera), stipulato nel 1991, con due distinte celebrazioni. La prima ebbe luogo ad Altötting, il 19 e il 20 luglio, con significativi momenti culminati nella solenne concelebrazione presieduta da mons. Pasquale Macchi, arcivescovo di Loreto. La seconda celebrazione si svolse a Loreto, il 7 e 8 settembre, in presenza del card. Joseph Ratzinger che presiedette alla celebrazione dei Primi Vespri in Basilica e partecipò alla processione con il simulacro della Madonna con una fervida esortazione rivolta ai pellegrini sia in tedesco che in italiano.
Il card. Joseph Ratzinger tornò a Loreto il 19 marzo 1994, accompagnato dal suo segretario particolare mons. Josef Clemens per un pellegrinaggio suggerito dalla sua fervida devozione mariana. Accolto dall’arcivescovo Pasquale Macchi e ospite nel Palazzo Apostolico, il 20 marzo celebrò devotamente in Santa Casa insieme al proprio segretario, assistito dallo stesso arcivescovo Macchi.
“La realtà più personale, l’annuncio dell’Incarnazione e la risposta della Vergine esigono la descrizione della Casa. Le ricerche del padre Bagatti hanno messo in luce che già nel secondo secolo una mano ha tracciato sulla grotta di Nazaret in lingua greca il saluto dell’Angelo a Maria: Ave Maria. Gianfranco Ravasi nota a riguardo molto opportunamente: ‘questa testimonianza del ricercatore ci attesta che il messaggio cristiano non è una collezione astratta di tesi teologiche su Dio, ma l’incontro di Dio con il nostro mondo, con le realtà della nostre case e della nostra vita’. Proprio di questo si tratta qui presso la Santa Casa e nell’anno del suo grande giubileo: ci lasciamo toccare dalla concretezza dell’agire divino, per proclamare con la rinnovata gratitudine e consapevolezza: Egli si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. E’ la prolusione pronunciata dal card. Ratzinger al Congresso Mariologico Internazionale a Loreto, dal 22 al 25 marzo 1995),sul tema “Maria nel Mistero del Verbo Incarnato”. Organizzato dall’associazione mariologica interdisciplinare nell’ambito del VII Centenario laureano. Nella prolusione il porporato si è soffermato sulla grammatica e sul contenuto della frase del Credo, sul passo 1,18-25 del Vangelo di San Matteo, su quello 1,26-38 del Vangelo di san Luca e sul prologo del Vangelo di San Giovanni.
Nel pomeriggio del 29 maggio 1999 un auto targata SCV giunse in Piazza della Madonna. Dall’auto uscì un sacerdote: era il card. Ratzinger. Appena lo vide padre Corrado Brida, incaricato ai tempi dell’accoglienza pastorale dei pellegrini infermi, lo pregò di voler impartire la benedizione ai pellegrini dell’Unitalsi lombarda, in Piazza della Madonna, in attesa della cerimonia. Il cardinale, nonostante la stanchezza del viaggio, accettò, si recò subito in sagrestia per indossare i paramenti sacri e si avviò in processione in Piazza per impartire la benedizione agli infermi. Il giorno successivo, celebrò in Santa Casa insieme con il fratello don George. Volle quindi visitare con lui il santuario, accompagnato dal padre Giuseppe Santarelli. Sostò a lungo nella Cappella Tedesca, della quale ammirò il ricco contenuto teologico, a partire dalle prefigurazioni mariane delle lunette con personaggi del Vecchio Testamento, fino alle mirabili scene della vita della Vergine e di Gesù.
Il card. Ratzinger il 26 novembre 2002 si è recato all’Istituto Teologico Marchigiano ad Ancona per tenere una lezione sul “Sacramento dell’ordine: ministri in comunione”. Il giorno prima, 25 novembre, sostò a Loreto, ospite dell’arcivescovo Angelo Comastri, e pernottò nel Palazzo Apostolico. Prima di partire alla volta di Ancona, volle fare una visita in Santa Casa dove si intrattenne in silenziosa preghiera.

Luis Badilla, Il Sismografo

Un anno fa il discorso del Papa al Bundestag mise in evidenza che il diritto naturale coadiuva il politico nella sua ricerca di ciò che è giusto, compito essenziale della politica

di Miguel Delgado Galindo
sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici

Nell’autorevole discorso pronunziato da Benedetto XVI al Bundestag, il Parlamento federale tedesco, il 22 settembre 2011 a Berlino, in occasione del suo terzo viaggio apostolico in Germania, il Papa volle affrontare la questione dei fondamenti del diritto negli Stati democratici, mettendo a confronto la ragione aperta al linguaggio dell’essere con la ragione positivista, e incalzando, al contempo, un dibattito pubblico sull’argomento. Nel suo intervento, il Papa ebbe a citare il celebre filosofo del diritto Hans Kelsen (1881-1973). Nato a Praga, in seno a una famiglia ebrea, Kelsen è stato, senza dubbio, il giusfilosofo più influente del ventesimo secolo. Studiò giurisprudenza nella capitale dell’impero austro-ungarico, e frequentò le sedute del Circolo di Vienna, il cui approccio neopositivista contribuì a segnare il suo pensiero. Kelsen insegnò prima presso l’università di Vienna e, successivamente, in quella di Colonia, fino all’avvento dei nazisti, la "banda di briganti" a cui si riferì il Papa, prendendo spunto di una citazione del "De civitate Dei" di Sant’Agostino, nel gennaio del 1933, circostanza che lo portò a trasferirsi a Ginevra, dopo essere stato privato ingiustamente della sua cattedra universitaria. All’inizio della seconda guerra mondiale, Kelsen emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò presso l’università di Harvard e, finalmente, in quella di California, a Berkeley. Tra le numerose pubblicazioni di Kelsen, spicca per la sua importanza La dottrina pura del diritto (Reine Rechtslehre), pubblicata per la prima volta a Vienna nel 1934, nella quale egli sintetizzò il suo pensiero giuridico. È, questa, un’opera che ha avuto un influsso significativo nella cultura giuridica del secolo scorso, specialmente in Europa. A proposito della risonanza di questo volume, mi si permetta un breve cenno autobiografico che ritengo rilevante: quando intrapresi gli studi di giurisprudenza, "La dottrina pura del diritto" era il testo fondamentale di riferimento del corso di Diritto naturale, ancora esistente, almeno formalmente, nel piano di studi vigente di giurisprudenza, e l’aula destinata alle matricole era intitolata proprio a Kelsen. L’intento di questo giurista era quello di restituire al diritto il suo carattere di scienza, ristabilendo la purezza del suo oggetto proprio. Per raggiungere tale scopo, Kelsen sosteneva che il metodo giuridico deve liberare il diritto da qualsiasi legame con l’etica, la sociologia e la psicologia. Egli riteneva che la giustizia è un ideale irrazionale, il cui contenuto non può essere determinato dalla conoscenza razionale. L’oggetto di studio del giurista è soltanto il diritto positivo, il quale di per sé non è giusto né ingiusto, ma semplicemente è quello che è stato prodotto secondo la procedura stabilita dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. "La dottrina pura del diritto", secondo Kelsen, si occupa soltanto del diritto reale e possibile, senza alcun tipo di ulteriore valutazione assiologica. Soltanto agendo secondo questo principio il giurista rimane tale, e la sua attività può essere qualificata veramente come scienza. Stando alla concezione kelseniana, il diritto appartiene all’ambito del dover essere (Sollen), e non al piano dell’essere (Sein), cioè della natura, dalla quale invece, secondo la dottrina giusnaturalista, anche nota come dottrina del diritto naturale, il diritto può essere dedotto. Questa dottrina ritiene che nella natura esista un ordinamento universale, immutabile e vincolante per tutti, preesistente al diritto positivo, che l’uomo può conoscere grazie alla ragione, e così distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Il diritto naturale non sarebbe una sorta di diritto confessionale della Chiesa Cattolica, ma è alla portata di tutti, al di là della propria fede religiosa, giacché i suoi principi sono fondati appunto sulla ragione umana. Infatti, come affermava Benedetto XVI nel suo discorso al Bundestag, i teologi cristiani si sono appellati alla natura e alla ragione come fonti originarie del diritto, rifiutando il diritto religioso. Negli anni Sessanta Kelsen pubblicò, anche questa volta a Vienna, la seconda edizione, notevolmente ampliata, della sua opera "La dottrina pura del diritto". Quest’ultima pubblicazione rivela un’evoluzione del suo pensiero giuridico su parecchi temi, evoluzione dovuta anche all’influsso della filosofia del diritto nordamericana. Sebbene nei primi scritti di Kelsen il mondo del diritto risulti completamente scollato dal mondo dei fatti, posteriormente egli ammette che le norme giuridiche sono il risultato di un atto creatore della volontà. Pertanto, la natura potrebbe contenere delle norme giuridiche soltanto se una volontà le avesse inserite previamente in essa. Ciò presupporrebbe un Dio creatore, la cui volontà si introduce nella natura. A questo proposito, Kelsen asserisce che è assolutamente vano discutere sulla verità di questa fede. Ma, si interroga Benedetto XVI: "Lo è veramente? - vorrei domandare. È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus?". Su tale assunto pare adeguato citare l’opera del giurista tedesco Heinrich Rommen (1897-1967) L’eterno ritorno del diritto naturale (Die ewige Wiederkehr des Naturrechts), pubblicata a Leipzig nel 1936. Rommen nacque a Colonia e studiò presso le università di Münster e di Bonn. Perseguitato anch’egli dal regime nazista a causa delle sue pubblicazioni e per il suo coinvolgimento in diversi gruppi cattolici tedeschi, nel 1938 Rommen si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò all’università di Saint Joseph (Connecticut), all’università di Saint Thomas (Minnesota) e, infine, alla Georgetown University (Washington, D. C.), dal 1953 fino al 1967, anno della sua morte. Rommen riteneva che la sfera centrale del diritto risiede proprio nell’ambito dell’essere e che tra il livello ontologico e quello pratico esiste un nesso inscindibile. Di conseguenza, la ragione pratica non sarebbe altro che l’applicazione, in termini di dovere, del principio dell’essere. Ad esempio, ogni uomo possiede il diritto alla vita per la sua stessa dignità di persona; da questo principio segue necessariamente che la vita umana è indisponibile, va difesa in ogni suo stadio e qualsiasi attentato contro di essa va punito dall’ordinamento giuridico statale. L’uomo, dotato di libera volontà, partecipa alla legge naturale tramite la sua ragione. E dunque, l’intera creazione non è altro che una partecipazione alla legge eterna. La storia del XX secolo ha palesato chiaramente cosa accade quando la politica e il diritto si allontanano dalla legge di natura; il regime nazista e quello comunista ne sono esempi eclatanti. Un anno fa, il Papa fece presente ai parlamentari tedeschi che, nelle materie che riguardano la dignità dell’uomo, in uno Stato democratico di diritto, il principio della maggioranza, pur essendo necessario nell’adottare una decisione, non è sufficiente: il politico deve interrogarsi sulla giustizia di un dato provvedimento. E in questo processo viene in aiuto il diritto naturale. Il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazione Unite nel 1948, recita: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". Sarebbe stato possibile che i membri dell’Assemblea generale dell’Onu, anche a larga maggioranza, avessero redatto questo articolo. come anche gli altri ventinove di questa dichiarazione di diritti, in senso negativo? Assolutamente, no; sarebbe stato completamente assurdo e impensabile. Perché? Perché sarebbe totalmente irragionevole e contrario alla natura e alla giustizia negare qualsiasi di questi diritti a ogni persona umana. Essi sono preesistenti a qualsivoglia dichiarazione di diritti, in quanto fondati sulla dignità umana. Quando il diritto si dissocia dall’etica, immediatamente prendono il sopravvento ideologie totalitarie. A prima vista, sembrerebbe che nel XXI secolo le ideologie siano scomparse dal nostro pianeta; ma non e così. Al giorno d’oggi esiste un’ideologia più sottile e camuffata, portatrice di pseudo diritti, che è quella dell’egoismo morale, la quale tende a promuovere una legislazione, ad esempio in materie come la bioetica e la famiglia, che si adatti ai capricci etici di ogni momento. Allo stesso modo, quando l’economia viene scissa dall’etica sociale, sono i più potenti della finanza mondiale a prendere in mano il governo ("Caritas in veritate", nn. 36 e 45). Ma questa strada conduce al despotismo dei più forti nella società in ogni tappa della storia. Il discorso di Benedetto XVI al Bundestag ha messo in evidenza che il diritto naturale coadiuva il politico nella sua ricerca di ciò che è giusto, che è appunto il compito essenziale della politica. È per questo che il diritto naturale ritorna, e ritornerà sempre. Dopo la sua fine che alcuni avevano preconizzato, non ci resta null’altro che ritornare proprio al diritto naturale.

L'Osservatore Romano