lunedì 6 agosto 2012

La parola d’ordine per prelati e cardinali in vacanza è austerità. Benedetto XVI a 'castello' lavora e fa scuola. L’era Wojtyla ormai è finita

La lunga talare nera filettata di rosso resta nell’armadio, appesa su grucce ottocentesche pronta per un nuovo inizio, il lavoro ordinario che solitamente riprende dopo la festa dell’Assunta e cioè dopo metà agosto. Oggi, anche per i cardinali di Santa Romana Chiesa, è tempo di vacanze: clergyman d’ordinanza su pantaloni scuri, perché va bene vestire casual ma senza esagerare. Certo, c’è anche chi osa di più, soprattutto dopo i travolgenti anni del Pontificato di Karol Wojtyla.F u Giovanni Paolo II a sdoganare, anche per i porporati, il look da montanaro: camicia a scacchi, pantaloni alla zuava e scarponi chiodati. Un look spaventevole per i monsignori che si erano a mala pena abituati alla buriana post conciliare, ma un portamento che ha fatto scuola tanto che ancora oggi sono diversi i principi della Chiesa di passaggio sulle montagne italiane che accettano il rischio di farlo proprio. Certo, i tempi sono cambiati. Gli anni Ottanta, anni da bere non soltanto a Milano, anni di champagne come mai più, sono un ricordo sbiadito anche entro le mura leonine. Le vacanze di Wojtyla erano un evento, giorni spumeggianti in anni di brindisi. I giornalisti lo rincorrevano in ogni dove, lui scappava e improvvisava parecchio. Joaquín Navarro-Valls, il suo portavoce, ci costruì sopra una leggenda: il Papa saluta una mucca? Ecco i giornalisti chiamati per fotografare, riprendere, contribuire a creare una certa immagine dell’uomo vestito di bianco. Insomma: erano anni di abbondanza, in ogni senso, anche papale. E i cardinali, vescovi e monsignori che in qualche modo si adeguavano: non stupiva nessuno, allora, che il banchiere di Dio Paul Casimir Marcinkus organizzasse le sue vacanze lontano dal Vaticano muovendosi come un ministro o un capo di una grande “corporation”, uomini e soprattutto mezzi a propria disposizione. Quest’anno, invece, la regola d’oro è un’altra: austerity. I cardinali in vacanza sanno bene che anche per loro mala tempora currunt. Le casse sono piene, certo, ma non come una volta. Gli stipendi sono garantiti, ci mancherebbe, ma le parole pronunciate il 16 febbraio scorso alla riunione cardinalizia dedicata al bilancio preventivo del 2012 da mons. Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della Prefettura degli affari economici, sulla “necessità di adottare ulteriori riflessioni e approfondimenti” sulle previsioni di spesa della Santa Sede dell’anno in corso, hanno fatto venire il fiato corto a più d’una porpora. E, allora, largo alle vacanze a basso costo, più morigerate, in perfetto stile Ratzinger. E senza, ovviamente, dimenticare di portarsi dietro il proprio portadocumenti, perché il lavoro oggi non deve mai cessare del tutto. Anche Benedetto XVI a Castel Gandolfo si è portato il suo. E’ una vecchia borsa di pelle nera che usava anche quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Ancora oggi la porta con sé appena lascia le sue stanze, nonostante da quest’anno abbia a disposizione pure un iPad regalatogli da mons. Claudio Maria Celli, capo delle Comunicazioni sociali. Vi può scaricare i giornali italiani, in lingua inglese e soprattutto quelli tedeschi. Ma è difficile dire se questo iPad davvero lo usi. Il professor Ratzinger ama ancora la carta stampata, montagne di libri su scaffali di legno duro fatti incastonare appositamente nelle pregiate mura del suo appartamento privato al terzo piano del palazzo apostolico. Altro che digitale e nuove tecnologie, insomma. Tanto che c’è chi è pronto a giurare che anche quest’anno sono stati visti entrare nella residenza estiva due bauli molto pesanti: le “cassaforti” contenenti i libri del Pontefice. E quanto ai giornali valgono anche le immagini che due estati fa vennero girate entro il suo studio di Castel Gandolfo: il Papa sfogliava sulla sua scrivania di legno le pagine de L’Osservatore Romano, carta canta. Che i tempi siano cambiati l’ha confermato anche il direttore dello stesso giornale, Gian Maria Vian. A La Stampa ha detto che “Benedetto XVI approfitta del periodo estivo per concentrarsi maggiormente sui dossier, riducendo al minimo gli impegni pubblici e lavorando a quello che lui stesso considera il suo opus magnum: l’opera su Gesù di Nazaret”. Insomma una “estate operosa” nella quale il Pontefice, precisa Vian, “prepara i discorsi per il viaggio apostolico in Libano e quelli per il Sinodo ordinario dei vescovi che a ottobre precederà di quattro giorni l’apertura dell’Anno della fede”. Un appuntamento convocato “sul modello del suo predecessore Giovanni Battista Montini che nel diciannovesimo centenario del martirio dei patroni di Roma Pietro e Paolo inaugurò l’Anno della fede poi concluso con la proclamazione del Credo del popolo di Dio”. E poi, l’ha detto nelle scorse ore il Segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, una nuova Enciclica, probabilmente sulla fede, a completare la trilogia delle virtù riguardanti Dio, teologali appunto. Ma non solo: gli occhi sono puntati anche sul dossier Vatileaks: l’ex aiutante di camera Paolo Gabriele presto probabilmente rinviato a giudizio per un processo che il Vaticano vuole veloce ma senza sconti per lui ed eventuali complici. Quanto è distante l’era Wojtyla dall’attuale stile vaticano nessuno lo sa dire. Il Papa polacco non amava più di tanto il “castello”, come è chiamata in Vaticano la residenza papale sui colli albani. “Si stufava”, conferma Bruno Bartoloni, vaticanista di pregio e fresco autore del libro “Le orecchie del Vaticano” (Mauro Pagliai Editore). “Gli regalarono una piscina, tutt’ora esistente all’interno dei giardini del castello. Vi nuotava coi suoi amici polacchi. Si racconta venissero in tanti, anche intere famiglie. I Rizzoli riuscirono a fornirsi di alcune foto di lui che sguazzava in costume. Le offrirono al Vaticano che le comperò subito per non si sa quale cifra. Nessuno le vide mai, le foto, ma esistono da qualche parte, a meno che qualche monsignore particolarmente scrupoloso non le abbia distrutte”. Di certo c’è un fatto: Joseph Ratzinger, nella piscina “Wojtyla” non si è mai tuffato. Lo si è visto soltanto due estati fa dirigersi, cappellino da baseball bianco sul capo, verso un laghetto dei giardini dotato di pesci rossi ai quali ha offerto un po’ di pane. Ma nulla di più. “A vederlo lì a castello” dice oggi il decano dei vaticanisti Benny Lai, “viene in mente per forza di cose Pio XII. Papa Pacelli amava Castel Gandolfo tanto quanto Papa Ratzinger. Un giorno si prodigò in una breve passeggiata, fuori dall’orario consueto. Sentì un fischio prolungato in lontananza, si affacciò da un muraglione dei giardini e vide, più sotto, un treno. Era la tratta che dai colli portava a Roma e il treno, forse in onore del Papa, ogni volta che passava sotto la sua residenza era solito farsi sentire. Pio XII fu elettrizzato dalla cosa tanto che da qual giorno volle fare la sua passeggiata sempre a quella stessa ora, per dirigersi al muraglione e affacciarsi giù. Voleva vedere il ‘suo’ treno passare. Era il suo diversivo estivo. Le estati di Pacelli mi ricordano molto quelle di Ratzinger. Ma va anche detto che pure Wojtyla, una volta avanti con l’età, dovette gioco forza rallentare, seppure Castel Gandolfo non credo sia stato mai nel suo cuore”. Altri anni, altri tempi, un altro Pontificato. La montagna è rimasta la meta preferita per gli uomini di Chiesa. Seppure oggi sia di fatto vigente la “linea Benedetto XVI”, vacanze low cost, di studio e anche di lavoro. Una linea che ha fatto sua il segretario di stato Tarcisio Bertone seppure la casa che lo ospita nel periodo estivo, la “papale” Les Combes, a Introd, la casa che, appunto, ha già accolto non soltanto Papa Ratzinger ma prima di lui anche Giovanni Paolo II, ha al suo interno confort importanti: c’è perfino una sorta di montacarichi adibito al trasporto di una persona, che sale al primo piano, dove è situata la camera dove sua eminenza dorme. Sullo stesso piano un’altra stanza, quella che ospitò per più volte il segretario particolare del Papa, e un piccolo studio. Al piano terra, la sala da pranzo, la cucina e le stanze destinate alle altre persone eventualmente al servizio del cardinale. Infine, davanti allo chalet, un giardino dotato di un barbecue sotto un grande ombrellone, che sfocia direttamente nei boschi circostanti. Che farà Bertone durante le vacanze? Rispondono in Segreteria di Stato: “Non mancherà di seguire a distanza l’attività ordinaria del governo della Chiesa, come sempre del resto, e si concederà, speriamo, qualche passeggiata”. Le vacanze del card. Gianfranco Ravasi, invece, sono solitamente sempre dedicate alla scrittura. Un fiume di scritti escono dalla casa con giardino dove si ritira per riposare vicino al lago di Como. Non lontano dalla sua Milano, ma in diocesi “straniera”, dunque, Ravasi scrive aiutato dalle sue due sorelle. Ma questa estate deve anche pensare al padiglione col quale il prossimo anno per la prima volta il Vaticano sbarcherà alla Biennale. Meno di dieci artisti si confronteranno sui primi undici capitoli della Genesi, la creazione e la coppia, l’amore e la salvaguardia del creato, la caduta del peccato originale e il male, la violenza, il diluvio universale e infine il pellegrinaggio verso la fede di Abramo. Con Ravasi è già al lavoro un Comitato scientifico composto dal critico de L’Osservatore Romano Sandro Barbagallo, dal direttore della Collezione d’arte contemporanea dei musei vaticani Micol Forti, dal segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa Francesco Buranelli e da padre Andrea Dall’Asta, direttore della Raccolta Lercaro di Bologna e della Galleria San Fedele di Milano.Chi non ha una casa, sceglie solitamente piccoli alberghi, luoghi ritirati spesso vicino a santuari amici. Così l’ex prefetto della Congregazione dei vescovi, il card. Giovanni Battista Re, che è in Valcamonica, il card. Achille Silvestrini che passerà parte delle vacanze accompagnando, come fa da anni, i ragazzi di Villa Nazareth a Dobbiaco, il prefetto del clero, il card. Mauro Piacenza, che ha scelto soltanto per pochi giorni l’alta Val di Non dove c’è il santuario della Madonna del Senale. Mentre il prefetto di "Cor Unum", il cardinale guineano Robert Sarah, ha scelto il sud Italia e precisamente Padula, la cittadina della grande Certosa dove tra l’altro è nato il suo segretario particolare. In controtendenza, invece, il cardinale oggi novantaseienne Fiorenzo Angelini. Come ogni anni prenderà l’aereo per il cuore dell’Africa, Butembo, nella Repubblica Democratica del Congo, in una casa delle suore benedettine riparatrici del Santo volto di nostro Signore Gesù Cristo, congregazione religiosa fondata dal servo di Dio Abate Ildebrando Gregori, di cui Angelini è stato figlio spirituale. Un caso a parte è quello del card. Roberto Tucci. Napoletano, di madre anglicana, ha diretto dal 1985 al 2001 la Radio Vaticana, radio nella quale torna ancora oggi, ogni mattina, per una visita di cortesia. Tucci è sempre andato in vacanza in un piccolo paese della Toscana. A fare? A sostituire un parroco. Un cardinale parroco per qualche giorno, dunque. Una scelta pastorale che piace molto ai fedeli. Torna invece come ogni anno in Abruzzo il card. Angelo Sodano, ex Segretario di Stato. La sua meta è sempre la medesima: Rocca di Mezzo. Vacanze di lavoro anche per lui: a mezzogiorno si dice abbia già letto tutti i giornali. Alloggia in una casa chiamata “Casa dei Papi”, un’abitazione a un piano che il prelato rocchigiano Vittorio Di Paola donò al vicariato di Roma. La casa guarda il Gran Sasso e Terranera da una parte e Rocca di Mezzo dall’altra. Fu nel 2009 che Sodano offrì simbolicamente questa casa a Benedetto XVI. Disse: “Ci sono le case degli uomini, poi ci sono le chiese, tante e belle, delle città e dei paesi. Poi c’è questa piccola casa che, se il Papa vorrà, potrà essere un luogo di residenza per brevi periodi, tipo Castel Gandolfo. Bisogna adattarsi, ma ci si sta bene”. Bisogna adattarsi, come stanno facendo la maggior parte degli uomini di chiesa in queste vacanze dal profilo basso, in stile Joseph Ratzinger.

Paolo Rodari, Il Foglio

Quell’abbraccio del connazionale divenuto Papa: una perla nei ricordi di Hermann Scheipers, novantanovenne sacerdote tedesco sopravvissuto a Dachau

E' trascorso quasi un anno da quando Benedetto XVI, durante il viaggio in Germania, lo salutò a Erfurt: la foto del Papa che si china per abbracciare l’anziano prete, fece il giro del mondo, perché testimoniava l’incontro tra il Pontefice tedesco e l’ultimo dei sacerdoti, suoi connazionali, sopravvissuti allo sterminio nel campo di Dachau. Con quell’immagine nel cuore ieri il prelato Hermann Scheipers (foto) ha festeggiato a Ochtrup, nel Münsterland, il 75° di ordinazione. La Messa è stata celebrata dal vescovo di Münster, monsignor Felix Genn, alla presenza del vescovo Joachim Reinelt, emerito di Dresden-Meissen, dove il prelato ha svolto gran parte del suo ministero sacerdotale ai tempi dell’ex Repubblica democratica tedesca. Novantanove anni, compiuti lo scorso 24 luglio, mons. Scheipers di certo conserva tra le memorie più care il ricordo di quella bella mattina di settembre, era sabato 24, quando al termine della Messa celebrata sulla Domplatz, il suo connazionale, divenuto Papa, volle intrattenersi alcuni momenti con lui. A fare da colonna sonora a quell’incontro, i rintocchi della "Gloriosa", la campana del Duomo considerata tra le più grandi d’Europa, con i suoi due metri e mezzo di altezza e le oltre undici tonnellate di peso. Quell’’abbraccio del Papa al vecchio sacerdote, nella città legata all’opera di Lutero, rappresentò anche la volontà di rendere onore a tutti quei preti nati in Germania, che hanno pagato un prezzo altissimo per la loro fedeltà alla Chiesa: sia quelli che hanno subito il martirio durante la notte buia del nazismo, sia quelli che, sopravvissuti, hanno poi subito nuove persecuzioni durante l’ateismo di stato imposto nella ex Ddr. E mons. Scheipers è uno di loro, l’ultimo testimone vivente di un’epoca segnata dal secondo conflitto mondiale e poi dalla "guerra fredda" che ne seguì. Durante la solenne liturgia per il suo giubileo sacerdotale, l’anziano prelato ha citato una frase di Sant’Agostino sul perdono e un passo del Salmo 90 (91), "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi", per sottolineare come esso sintetizzi molto bene la sua vicenda umana e sacerdotale. Il vescovo Genn all’omelia ha aggiunto che la vita di mons. Scheipers è come una predica e che il suo profondo abbandono a Dio e il suo agire per la causa di Gesù e per gli altri sono una grande testimonianza di fede. Per averne conferma basta sfogliare il libro autobiografico intitolato "Gratwanderungen - Priester unter zwei Diktaturen", "In bilico - Sacerdote sotto due dittature" in cui il prelato racconta le proprie vicissitudini: originario di Ochtrup, negli anni Trenta del secolo scorso si trasferì a Bautzen, nella Germania centrale. Qui iniziò la propria missione come cappellano nella parrocchia rurale di Hubertusburg. A causa del suo ministero tra i giovani, finì subito nel mirino dei nazisti; passò allora a occuparsi dei polacchi costretti ai lavori forzati, celebrando per loro la Messa e ascoltando le loro confessioni, fino all’ottobre 1940 quando fu arrestato. Cinque mesi dopo fu trasferito a Dachau, in quanto ritenuto "un fanatico paladino della Chiesa Cattolica, e pertanto porta disordine tra la popolazione". Detenuto "numero 24255", Scheipers fu accolto dal comandante del lager con la solita cantilena riservata a tutti i nuovi arrivati. "Non avete onore, né difesa, né diritti. Qui dovete lavorare o crepare". E come tanti confratelli, Scheipers sgobbò nei campi, ricevendo come cibo una zuppa acquosa. Alcuni venivano frustati, appesi per le braccia o bagnati con acqua gelida. Molti morivano. "Si poteva solo bestemmiare o pregare", spiega Scheipers, senza dire, quasi per pudore, che lui ha sempre fatto parte del secondo gruppo. Il lager di Dachau era considerato il "campo dei preti": tra il 1933 e il 1945 vi furono imprigionati 2.700 religiosi cattolici, più di mille dei quali vi lasciarono la vita. Tanto che dopo il 1940 fu creato un «blocco per sacerdoti». Scheipers descrive così quell’esperienza: "Il fatto di vivere insieme tra preti era un gran bene. Potevamo farci forza e incoraggiarci a vicenda. Quando non eravamo stremati potevamo discutere, spiegare i testi e meditare. Recitavamo il Rosario. La fonte migliore per raccogliere le nostre forze spirituali era la cappella, nella quale ogni giorno, prima del lavoro verso le tre e mezzo del mattino, potevamo celebrare la Messa e la domenica talvolta anche dilungarci in bellissime celebrazioni". Dopo un malore, nel 1942 rischiò quasi di essere eliminato. Lo salvò l’intraprendenza della sorella gemella, Anna, che si recò a Berlino all’ufficio centrale per la sicurezza del Reich per impetrare la grazia. Come argomento portò la possibile ribellione dei cattolici del Münsterland: avrebbero tutti preso quell’assassinio come un affronto personale. Scheipers, da parte sua, era fiducioso nella vicinanza e nell’aiuto di Dio. "Ho potuto provare molto spesso questa vicinanza" ha scritto. Una prossimità che lo accompagna per tutta la vita. Così come resta indelebile l’immagine di quel prete che, internato con lui a Dachau, prima di essere giustiziato, gli offrì la propria razione di pane. "Lo ricordo ogni volta che celebro la Messa e spezzo il pane", ha confidato. Nell’aprile 1945, durante una marcia della morte verso Bad Tölz, riuscì a fuggire; ma nel dopoguerra, come sacerdote nella diocesi di Dresden-Meissen, conobbe altre umiliazioni nei territori fortemente scristianizzati della Ddr, poiché si oppose ai potenti di quello "Stato di non diritto". Per questo è stato spiato, controllato, minacciato. Tanto che quando, dopo la caduta del muro, poté accedere alla propria documentazione negli archivi della Stasi, la terribile polizia segreta del regime, rimase sconvolto da ciò che scoprì: gli erano stati messi alle calcagna ben quindici informatori. Dalla cartella emerse inoltre che lo si voleva processare per aver condotto una campagna denigratoria contro lo Stato. "Per quella stessa ragione sono stato a Dachau", ha commentato in proposito. Negli ultimi anni Scheipers è tornato nel Münsterland. Nonostante la veneranda età, continua a viaggiare per parlare soprattutto ai giovani delle sue esperienze, perché imparino dagli orrori del passato a costruire un presente e un futuro migliori.

Gianluca Biccini, Matthias Hoch, L'Osservatore Romano

Il Papa: aiutare la comunità cattolica a riconoscere e a dare risposta alla gravità senza precedenti di queste nuove minacce alla libertà della Chiesa

In un’epoca in cui si va restringendo l’esercizio del diritto alla libertà religiosa, il Papa elogia in un messaggio, pubblicato oggi dalla Sala Stampa vaticana e a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, la testimonianza di fede dei Cavalieri di Colombo che si riuniranno da domani fino al 9 agosto in California. “Proclamare la libertà in tutto il Paese”: su questo tema si svilupperà il 130° Convegno Supremo annuale dei Cavalieri di Colombo ad Anaheim, in California. Un tema, scrive il Papa nel suo messaggio, che evoca “gli ideali biblici di libertà e giustizia”, alla base della fondazione degli Stati Uniti d’America, e che richiama le nuove generazioni alla responsabilità di “preservare, difendere e promuovere questi grandi ideali”. “In un’epoca in cui azioni concertate vengono messe in atto per ridefinire e restringere l'esercizio del diritto alla libertà religiosa – evidenzia Benedetto XVI – i Cavalieri di Colombo hanno lavorato senza sosta per aiutare la comunità cattolica a riconoscere e a dare risposta alla gravità senza precedenti di queste nuove minacce alla libertà della Chiesa e alla testimonianza morale pubblica''. Hanno poi difeso “i diritti di tutti i credenti, come cittadini individuali e nelle istituzioni, lavorando responsabilmente alla costruzione di una società democratica ispirata dalle loro credenze, valori e aspirazioni”. Da qui il richiamo al laicato cattolico, decisivo per il progresso della missione della Chiesa e soprattutto di fronte alle sfide del momento. “I Cavalieri di Colombo - scrive il Papa - sono stati pionieri nello sviluppo dell’apostolato laico”. Così ricorda quanto detto all’inizio dell’anno ai vescovi degli Stati Uniti, in visita ad limina, riguardo la necessità di “un laicato cattolico impegnato, articolato e ben preparato, dotato di un senso critico forte dinanzi alla cultura dominante e del coraggio di contrastare un secolarismo riduttivo che vorrebbe delegittimare la partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico sulle questioni che determineranno la futura società americana”. Di fronte a questi urgenti bisogni, il Papa incoraggia il Supremo Consiglio a continuare nell’attività di catechesi e nella formazione spirituale, attività che a lungo hanno caratterizzato l’Ordine. “Ogni Cavaliere – aggiunge – è chiamato a testimoniare la sua fede in Cristo, il suo amore per la Chiesa e il suo impegno” per diffondere nel mondo il messaggio di Cristo. Richiamando poi l’imminente apertura dell’Anno della fede, Benedetto XVI assicura le sue preghiere perché ogni Cavaliere manifesti con la vita la sua fede. In conclusione, il Papa esprime la sua gratitudine per le preghiere offerte dai Cavalieri in questo anno, nel 35° anniversario della sua ordinazione episcopale. “Un atto di solidarietà spirituale, una testimonianza di amore per il Successore di Pietro, un segno di fedeltà, lealtà e sostegno – ha concluso il Papa - durante questi tempi difficili”.

Radio Vaticana

Scoppia il caso pedofilia nelle scuole del Cile. Al centro della bufera il Colegio Cumbres e il sacerdote irlandese sospeso per presunti abusi

E' soprattutto il Colegio Cumbres, uno degli istituti scolastici più rinomati di Santiago del Cile, al centro della bufera. In particolare è stato sospeso dalla sua attività il sacerdote di origine irlandese John O’ Reilly, appartenente ai Legionari di Cristo, in seguito alla denuncia della famiglia di un’alunna, per presunti abusi sessuali che avrebbe commesso su di lei dal 2010 al 2012. Lo ha reso noto la stessa scuola in un comunicato ai genitori degli allievi, precisando che il sacerdote si è detto innocente e pronto a collaborare con la giustizia. In merito, il quotidiano on line El Mostrador, rileva che il Colegio Cumbres, appartiene alla Congregazione dei Legionari di Cristo fondata dal messicano Marcial Maciel e che John O’Reilly è legato alle famiglie più ricche del Paese ed ha abituali contatti con l’establishment imprenditoriale. La "tolleranza zero" introdotta da Benedetto XVI ha fatto crollare ultradecennali coperture garantite dalle gerarchie ecclesiastiche agli abusi del clero. Inoltre il provvedimento dell’istituto, situato in una zona residenziale di Santiago, ha luogo nella stessa settimana in cui la Procura della Repubblica ha avviato le indagini, sempre per presunti casi di pedofilia, in altre 48 scuole della stessa aerea della capitale. Per altro lo stesso presidente Sebastian Pinera ha annunciato nuove misure per arginare i crescenti casi di abusi sessuali nei confronti di minorenni in tutto il Paese, situazione ritenuta da molti una sorta di piaga sociale. Intanto si estendono a macchia d’olio, in Cile, le denunce di pedofilia nelle scuole: il procuratore della Repubblica, Sabas Chahuan, ha confermato l’avvio di indagini in oltre 120 istituti scolastici di Santiago del Cile a seguito di più di 200 denunce di pedofilia registrate. "I genitori sono preoccupati, disperati ed angosciati», ha ammesso il procuratore generale Sabas Chauan, dopo una riunione con l’associazione nazionale che li rappresenta. Più netto l’antropologo Osvaldo Torres, sul quotidiano on line El Mostrador: "Che un capo di Stato debba parlare al Paese su questo tema, testimonia la gravità e la diffusione di questo tipo di reati, la debolezza delle politiche in merito ed il ritardo legislativo nella difesa dei diritti dei bambini". A spingere prima Pinera e poi Chaun è stato innanzitutto l’aumento delle denunce di pedofilia: il 22% a livello nazionale nell’ultimo semestre per ragazzi sotto i 14 anni, secondo la Procura. Ma anche l’indignazione perchè non pochi colpevoli o presunti tali finiscono per restare impuniti. Negli ultimi giorni, nei rioni in di Santiago, ci sono stati i casi di 3 bambini delle elementari e 4 di asili d’infanzia. Tutti gli accusati sono maestre o assistenti sociali. Anche se, a far più spicco mediatico nella piaga della pedofilia, sono stati esponenti della Chiesa Cattolica. Come l’influente sacerdote Fernando Karadima (per il quale l’Arcivescovado ha chiesto formalmente scusa, pur se il processo è ancora in corso) o suor Paola, ex superiora di un prestigioso collegio di Santiago, deceduta nei giorni scorsi per un tumore. Per tentare di arginare la situazione, Pinera ha annunciato, tra l’altro, la creazione di un "Ombudsman del bambino", un "Registro dei pedofili", l’assegnazione di 1,6 milioni di dollari al Servizio Medico Legale e l’aumento delle pene per i condannati. "Pur se positive sono insufficienti", ha assicurato Torres. E gli organismi che si occupano dell’infanzia hanno specificato che Pinera ha praticamente ignorato la loro quotidiana esperienza in merito. I loro specialisti sottolineano però che la società cilena, proprio per questi casi, si sta squassando di dosso la sua proverbiale introversione, come evidenzia il continuo aumento delle denunce. "È indispensabile che il governo presenti in parlamento un progetto di legge per la protezione di diritti dei bambini", avverte Torres. Quella in vigore risale al 1929, riciclata nel 1968. Il che la dice lunga sul cammino politico del Paese.

Giacomo Galeazzi, Vatican Insider

Un volto limpido, santo e insieme tormentato: il 6 agosto 1978 moriva Paolo VI. La Messa con gli operai degli altiforni di Taranto e l'Anno della fede

Trentaquattro anni fa, il 6 agosto 1978, moriva Paolo VI (nella foto con l'allora card. Ratzinger). Alle ore 21.40, a Castel Gandolfo, nel giorno della festa della Trasfigurazione di Gesù Cristo. 
C’è un altro 6 agosto che ricorre nel pontificato di Papa Montini. Il 6 agosto del 1964, quando firma la sua prima Enciclica, "Ecclesiam suam", il documento programmatico del dialogo con il mondo contemporaneo, del chiarimento dottrinale della Chiesa e del suo rinnovamento interiore, della ricomposizione dell’unità dei cristiani. Temi che Paolo VI affiderà ai lavori del Concilio, della cui ripresa si era espresso subito favorevole. 
Quest’anno ci sono stati, ci sono e ci saranno diversi motivi per ritornare con la memoria sulla figura di questo grande Pontefice, spesso non compreso in vita, ma rivalutato e amato sempre più, a mano a mano che la storia e gli anni gli rendono giustizia. Lo abbiamo ricordato pochi giorni fa, quando è scoppiata a Taranto la vicenda dell’Ilva. Paolo VI vi era stato in visita la vigilia di Natale del 1968, per celebrare la Messa di mezzanotte tra gli operai al lavoro negli altiforni a ciclo continuo del centro siderurgico, allora dell’Italsider. Una notte memorabile, più di diecimila persone tra maestranze e le loro famiglie raccolte nel grande capannone del laminatoio, con il Papa che si era inginocchiato sul palco della celebrazione per stringere la mano agli operai che gli si appressavano e poi era andato in mezzo a loro, aveva visitato il presepio fatto di lamiere e assistito alla colata d’acciaio. "Noi vi comprendiamo", aveva detto ai lavoratori, "la Chiesa vi comprende. Abbiamo in comune la stessa sete di giustizia". 
E sempre in questi giorni lo abbiamo ricordato quando si è aperto, il 31 luglio, a Nairobi in Kenya, il Congresso "Paolo VI e la Chiesa in Africa". Nel continente c’è un vero e proprio culto di papa Montini. Come non ricordare che Paolo VI fu il primo Pontefice a visitare l’Africa, con il viaggio a Kampala, in Uganda, tra il 31 luglio e 2 agosto 1969? 
 E lo abbiamo ricordato all’inizio dell’anno, come ogni anno del resto, quando si celebra la Giornata Mondiale della Pace. A Paolo VI va infatti il merito di aver consacrato il primo giorno dell’anno alla Pace, istituendo questa Giornata mondiale la cui prima celebrazione si svolse il 1° gennaio 1968. 
Non solo all’inizio, ma per tutto il 2012, anno cinquantenario del Concilio, è inevitabile che il ricordo si posi, oltre che su Giovanni XXIII, su Paolo VI, che del Concilio fu il continuatore e la guida illuminante, lo concepì e lo volle come compimento del Vaticano I, lo condusse a termine, ne promulgò le costituzioni e i decreti, e ne iniziò l’applicazione con fedeltà e coerenza. E lo ricorderemo a maggior ragione adesso, il prossimo 7 ottobre, quando si aprirà la tredicesima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (fu appunto Paolo VI a istituire nel 1965 il Sinodo episcopale), e l’11 ottobre, allorché sarà celebrato il 50° dell’apertura del Concilio e si aprirà l’Anno della fede indetto da Benedetto XVI. 
Anche queste saranno due occasioni per andare con la memoria al volto limpido, santo e insieme tormentato, di Paolo VI nel ricordo non solo del Concilio, ma pure del fatto che anch’egli, il 22 febbraio 1967, con l’Esortazione Apostolica "Petrum et Paulum", indisse un Anno della fede, nella ricorrenza del diciannovesimo centenario del martirio dei due apostoli. Un Anno della fede in un periodo come l’attuale, per dirla con le parole di Benedetto XVI, il quale appunto si richiamava al suo predecessore, "di grandi rivolgimenti culturali" e che si svolse dal 29 giugno 1967 al 30 giugno del 1968. Si era nel pieno degli anni della contestazione.

SIR

Paolo VI, il Papa che guardava lontano

Il Papa in Libano. Messaggi di benvenuto a Benedetto XVI dei Patriarchi delle Chiese del Medio Oriente: ti attendiamo, pellegrino di pace e speranza

I Patriarchi delle Chiese del Medio Oriente hanno inviato dei messaggi di benvenuto a Benedetto XVI, in vista del viaggio apostolico in Libano, in programma dal 14 al 16 settembre prossimo. Si tratta di sette documenti, pubblicati sul sito web ufficiale del viaggio papale, in cui viene sottolineata la grande attesa per un avvenimento già definito storico. I Patriarchi auspicano che il viaggio in Libano, 15 anni dopo quello di Giovanni Paolo II, possa dare rinnovato slancio alle speranze di pace, dialogo e sviluppo dei popoli del Medio Oriente. Santo Padre, scrive il Patriarca maronita Béchara Boutros Rai, verrete in Libano come “pellegrino di solidarietà e di compassione”. Il vostro viaggio, soggiunge, incoraggerà “quanti sono oppressi nella loro libertà e nella loro dignità”. Verrete, scrive il Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, come “pellegrino d’unità” e di pace per tutti i popoli del Medio Oriente. “Noi – conclude – attendiamo con fervore il momento” della visita che “farà vivere al nostro Paese e alla regione dei momenti intensi di preghiera, riconciliazione e di fruttuosa apertura gli altri”. Sul tema della pace si sofferma anche il Patriarca di Cilicia degli Armeni, Nersès Bébros XIX, che vede nel viaggio del Papa un invito a percorrere “una via possibile per cambiare il volto delle società” mediorientale. Il Patriarca si sofferma sull’insicurezza che contraddistingue la realtà del Medio Oriente ed auspica dunque che i cristiani siano “agenti di pace e collaborazione” anche riguardo al “movimento per la democrazia e la responsabilità politica” nella regione. Dal canto suo, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, evidenzia che tutto il Medio Oriente, “vivendo in difficili condizioni”, ha bisogno di “ascoltare la voce” del Papa, “il suo insegnamento, la sua preghiera e la sua condivisione con quanti soffrono”. Particolarmente importante, sottolinea il messaggio, sarà la consegna dell’Esortazione Apostolica post-sinodale che aiuterà i cristiani del Medio Oriente ad essere “un segno di comunione e testimonianza”. Il nostro auspicio, conclude mons. Twal, è che la visita in Libano “rafforzi la speranza dei cristiani, il processo del dialogo islamo-cristiano e i valori della giustizia e della pace”. Gratitudine al Papa viene espressa dal Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, che sottolinea come Benedetto XVI abbia sempre levato alta la voce per la pace e la riconciliazione, di cui tutto il Medio Oriente, segnato da guerre e violenze, ha un grande bisogno. Il viaggio in Libano, è la speranza del Patriarca, seminerà “ovunque la fratellanza e il dialogo costruttivo”. Noi cristiani, si legge ancora, abbiamo “un grande bisogno dell’unità”, del dialogo e dell’“impegno collettivo”. E un aiuto in questa direzione, ne è convinto, potrà venire dall’Esortazione post-sinodale per il Medio Oriente. Anche il Patriarca melchita Gregorios III auspica che la visita aiuti a costruire la pace e ad allontanare “le paure dell’islamofobia e della cristianofobia” rafforzando la convivenza comune e “i valori della libertà religiosa, di culto e di coscienza”. Il Patriarca sottolinea, quindi,che l’Esortazione post-sinodale aiuterà i cristiani libanesi e del mondo arabo a comprendere “il proprio ruolo, la propria missione e la propria testimonianza” in Paesi a maggioranza musulmana. Ancora, ribadisce l’urgenza di risolvere il conflitto israelo-palestinese. E sottolinea il ruolo che la Santa Sede, con la sua leadership “morale e diplomatica”, può esercitare affinché “si arrivi ad un pieno riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina”. Della grande attesa per la visita parla anche il Patriarca Copto Anba Boulos Najib. In un tempo segnato dall’instabilità, si legge nel messaggio, la visita del Papa potrà ricolmare i cuori della gente di gioia e di tranquillità radicando i cristiani “nel cammino di speranza al quale sono stati chiamati”. La vostra visita, scrive il Patriarca dei siro-cattolici Ignace Youssef III Younan, “ci ispirerà coraggio laddove c’è paura, chiarezza laddove c’è confusione”. Ricorda così il terribile massacro compiuto nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad due anni fa. Quella strage, scrive il Patriarca di Antiochia dei siri, ci ricorda come “l’annuncio del Vangelo sia al tempo stesso testimonianza e martirio”. Una vocazione, soggiunge, che “la nostra Chiesa condivide oggi come nel passato con le Chiese sorelle, visto anche lo sconvolgimento in Siria che richiama e rischia di ripetere la tragedia dell’Iraq”. Il Patriarca spera infine che, anche grazie alla visita in Libano, i diritti dei cristiani siano rispettati e in particolare il loro diritto alla libertà religiosa.

Radio Vaticana

Le Chiese in Medio Oriente pubblicano sul sito ufficiale del viaggio di Benedetto XVI in Libano i loro Messaggi di Benvenuto al Papa

Il 6 agosto 1962 la promulgazione di Giovanni XXIII del Regolamento del Concilio Vaticano II: tutto si faccia con decoro e con ordine

Mancava l’ultimo atto ufficiale e normativo per la celebrazione del Concilio, giunta praticamente al termine la complessa fase di preparazione e prima che l’assise ecumenica avesse inizio: la promulgazione del regolamento. Giovanni XXIII vi provvede con la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio "Appropinquante Concilio" che reca la data del 6 agosto 1962, festa della Trasfigurazione. Il tono, nonostante il carattere di ufficialità del documento, è quello abituale a Papa Giovanni, paterno e confidenziale. Roncalli confessa che il suo animo "si riempie di grande gioia pensando già al prossimo e meraviglioso spettacolo che offrirà la moltitudine dei vescovi riuniti nella città santa di Roma" e si dice fiducioso "che non mancherà l’abbondanza delle benedizioni divine per il buon fine dell’opera cominciata". Nella gioia, ma anche nell’ansia comprensibile dell’attesa, il Papa tuttavia non nasconde le sue preoccupazioni, poiché "il prossimo Concilio, per il numero e la varietà di coloro che parteciperanno alle sue sessioni, è evidentemente il più grandioso di quanti ne siano stati celebrati finora", e quindi "non sarà facile interpretare correttamente le proposte di un’assemblea così numerosa, assecondare il pensiero di molti oratori, esaminare a fondo i voti e i desideri di tutti, così come porre in pratica tutto ciò che sarà deciso". Ancora una volta, però, interviene la fiducia sorretta dalla fede, quell’abbandonarsi nelle mani di Dio, tipico dello spirito giovanneo. "I Padri conciliari", osserva il Papa, "anche se di nazionalità e lingua diverse, sono tutti nostri fratelli in Cristo e tutti agiscono in un unico e medesimo Spirito". Da qui la certezza che produrranno frutti "in tutta bontà, giustizia e verità". Perché questi frutti siano abbondanti Giovanni XXIII confida nell’aiuto, soprattutto, di "Dio Onnipotente, che abbiamo invocato in tutte le nostre preghiere per mezzo di Gesù Cristo e per la mediazione della Beata Vergine Maria e del suo sposo Giuseppe, sotto il cui speciale patrocinio abbiamo voluto mettere il Concilio". Auspica infine che il lavoro dei partecipanti alla grande assemblea proceda secondo le norme stabilite , affinché - citando l’apostolo Paolo - "tutto si faccia con decoro e con ordine". Segue quindi la formula di rito: "Pertanto, dopo matura riflessione, con questo ‘Motu proprio’ e con la nostra autorità apostolica, deliberiamo e promulghiamo che le seguenti disposizioni e comandamenti siano osservati fedelmente da tutti nel Concilio Vaticano II". Il Regolamento, redatto ovviamente in lingua latina ("Ordo Concilii oecumenici Vaticani II celebrandi"), si compone di 70 articoli, suddivisi in tre parti, per complessivi 24 capitoli. In alcuni articoli si fa espresso riferimento al Codice di diritto canonico, che allora era ancora il Codice Pio-Benedettino. In pratica è trattata tutta la materia regolatoria dello svolgimento del Concilio, dalle persone che ne fanno parte, alle norme riguardanti le sessioni pubbliche, le congregazioni generali, le commissioni conciliari, il tribunale amministrativo, e poi le votazioni, i periti, gli osservatori, fino alle vesti e ai paramenti da indossare a seconda delle occasioni e del proprio titolo da parte dei Padri conciliari, alle precedenze da rispettare negli interventi e alla lingua da usarsi, il latino. Esemplare, nella traduzione letterale, il primo articolo, per la semplicità (quasi ovvia) e la chiarezza (perfino ripetitiva):"Insieme con il Sommo Pontefice costituiscono il Concilio ecumenico i vescovi e gli altri convocati al Concilio dal Sommo Pontefice, i quali tutti sono chiamati Padri conciliari".

SIR

Festa della Trasfigurazione del Signore. Il Papa: la contemplazione si attua ad occhi chiusi, grazie alla luce interiore accesa dalla Parola di Dio

Oggi la Chiesa celebra la Festa della Trasfigurazione del Signore. Un evento, ha affermato Benedetto XVI, che ci invita a seguire la luce di Dio per emergere dalle tenebre della vita. Il mistero del male avvolge l’esistenza di ogni uomo e la vita del mondo, introducendosi anche nei meandri della Chiesa perché il nemico semina la sua zizzania. La comprensione umana delle cose, osserva il Papa, si fa difficile quando la sofferenza e l’iniquità oscurano il nostro pellegrinaggio terreno: “L'esistenza umana infatti è un cammino di fede e, come tale, procede più nella penombra che in piena luce, non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto. Finché siamo quaggiù, il nostro rapporto con Dio avviene più nell'ascolto che nella visione; e la stessa contemplazione si attua, per così dire, ad occhi chiusi, grazie alla luce interiore accesa in noi dalla Parola di Dio" (Angelus, 12 febbraio 2006).
Come Pietro, vorremmo restare tutti sul Tabor a gustare pezzetti di Paradiso in terra. Vorremmo seguire noi stessi, chiusi nel nostro egoismo, ma la strada che indica Gesù è un’altra: "Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio” (Angelus, 17 febbraio 2008).
“La Trasfigurazione – ricorda il Papa - è un avvenimento di preghiera: pregando Gesù si immerge in Dio … e così la luce lo invade”: ma “non esce dalla storia, non sfugge alla missione per la quale è venuto nel mondo”.
“Per un cristiano...pregare non è evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore” (Angelus, 4 marzo 2007).
Nella Trasfigurazione di Gesù compare una nube luminosa: c’è buio e c’è luce, il buio della nostra comprensione e la luce interiore del cuore aperto alla voce del Padre che invita ad ascoltare il Figlio. Ascoltarlo come ha fatto Maria: “Ascoltarlo nella sua Parola, custodita nella Sacra Scrittura. Ascoltarlo negli eventi stessi della nostra vita cercando di leggere in essi i messaggi della Provvidenza. Ascoltarlo, infine, nei fratelli, specialmente nei piccoli e nei poveri, in cui Gesù stesso domanda il nostro amore concreto. Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce: è questa la via maestra, l'unica, che conduce alla pienezza della gioia e dell'amore” (Angelus, 12 febbraio 2006).

Radio Vaticana