lunedì 10 settembre 2012

Il Papa in Libano. Tauran: avrà dimensione politica ma non può fornire soluzioni. Delicato fare questo viaggio mentre c'è una guerra a poca distanza

"Ai libanesi interessa che tutto si svolga bene col massimo della sicurezza. Sicuramente è un po' delicato fare questo pellegrinaggio mentre c'è una guerra a poca distanza". Il cardinale francese Jean-Louis Tauran (nella foto con Benedetto XVI), presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, commenta così, in riferimento alla guerra civile in corso in Siria, l'ormai prossimo viaggio del Papa in Libano. Ex ministro degli Esteri della Santa Sede, il porporato, che farà parte della delegazione vaticana in Libano, ricorda in un'intervista al giornale SudOvest che "il Libano è l'unico paese della regione nel quale i cristiani partecipano all'esecutivo. La presenza del Papa avrà una dimensione politica, ma il Papa non può fornire soluzioni. Ricorderà dei principi: la dignità della persona umana, l'esigenza del diritto internazionale e il contributo a una certa etica. Dirà che è necessario fare in modo che la forza della legge prevalga sulla legge della forza. E' una cosa molto triste vedere che, quando c'è un problema, si ricorre subito alla violenza e non alla diplomazia. La Santa Sede contribuisce a ricordare il diritto internazionale". Il card. Tauran, che precisa di non aver letto i discorsi che Benedetto XVI pronuncerà nel paese dei Cedri, sottolinea che il viaggio papale "è innanzitutto un pellegrinaggio presso i cristiani del Medio Oriente. Il Papa desidera dire che lì sono a casa. Sono gli eredi della prima comunità cristiana. Dio li ha piantati in questa regione del mondo ed è lì che devono fiorire". Ma "ciò suppone l'accettazione di condizioni di vita molto solidali. La Chiesa Cattolica, che è una famiglia, deve essere solidale con questi cristiani per incoraggiarli a restare. E anche la comunità internazionale deve essere molto solidale".

TMNews

La conversione del vescovo-teologo Bruno Forte. La lettera del Papa ai vescovi tedeschi gli ha fatto cambiare idea sul 'per molti' nella consacrazione

La disputa sulla traduzione del “pro multis” della formula della consacrazione eucaristica si è arricchita, in Italia, di un nuovo interessante contributo. Sull’argomento, infatti, è sceso in campo su uno dei principali quotidiani italiani, il Corriere della Sera di domenica 26 agosto, un personaggio di gran nome, l’arcivescovo di Chieti e Vasto, Bruno Forte (nella foto con Benedetto XVI), già membro della commissione teologica internazionale e consacrato vescovo dall'allora card. Joseph Ratzinger. Nell'articolo, sulla scia della lettera indirizzata il 14 aprile scorso da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi, Forte prende nettamente posizione a favore della traduzione “per molti”, in sostituzione del "per tutti" entrato in uso dopo il Concilio in Italia e in numerosi altri paesi. "Teologicamente – scrive Forte – mi sembra più rispettoso della libertà di ognuno la traduzione 'per molti', che peraltro in nessun modo esclude l’offerta della salvezza a tutti fatta da Gesù in croce". "Per questo – aggiunge concludendo l’articolo – preferisco la traduzione 'per molti' e ritengo che ben spiegata possa essere di aiuto e di stimolo a tanti". Forte critica anche la traduzione che si trova nel Messale francese "pour la moltitude", apprezzata recentemente da due studiosi italiani, Francesco Pieri e Silvio Barbaglia. Forte liquida la versione "per una moltitudine", proposta da costoro, come una di quelle "soluzioni intermedie" che "per quanto apprezzabili" sono "inevitabilmente compromissorie". La discesa in campo di Forte è significativa e, per certi versi, sorprendente. Significativa perché egli è uno dei vescovi italiani più noti, anche a livello internazionale, e gode di un cospicuo seguito tra i suoi confratelli vescovi, che infatti lo hanno votato come loro rappresentante al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che si celebrerà a Roma in ottobre. Dei quattro prescelti è l’unico senza porpora, gli altri tre infatti sono tutti cardinali: Angelo Bagnasco, Giuseppe Betori e Angelo Scola. Sorprendente perché Forte è da sempre considerato un teologo del campo progressista, il campo che più si oppone, e non solo in Italia, al passaggio da “per tutti” a “per molti”. Nel memorabile Convegno Ecclesiale di Loreto del 1985, che segnò l’ascesa nella leadership della Chiesa italiana dell’allora vescovo ausiliare di Reggio Emilia Camillo Ruini, Forte militava, appunto, nell’altro campo, all'epoca vincente, assieme all’allora presidente della Conferenza Episcopale Anastasio Ballestrero e al card. Carlo Maria Martini. E fu lui a tenere la relazione teologica introduttiva. Per questo è finito non di rado nel mirino dei colleghi teologi più conservatori. Ad esempio, in un articolo del 2004 don Nicola Bux, consultore, allora e oggi, della Congregazione per la Dottrina della Fede, additò Forte come uno dei "divulgatori" di una "teologia debole e derivativa" riguardo alla risurrezione di Gesù, ridotta "a 'leggenda eziologica', ovvero a un artificio per suffragare il culto che i giudeo-cristiani svolgevano sul luogo della sepoltura di Gesù". Ma la discesa in campo di Forte è ancor di più sorprendente perché segna in lui un cambiamento di giudizio rispetto al passato. Durante l’Assemblea generale della CEI del novembre 2010, quando i vescovi italiani ribadirono con una votazione massiccia il proprio favore al mantenimento della versione “per tutti”, Forte fu tra i pochi che intervennero nella discussione in aula sull’argomento. E intervenne a sostegno della maggioranza. In quella occasione il teologo napoletano, zio per parte materna del procuratore John Henry Woodcock, molto noto per le sue indagini giudiziarie ad alto coefficiente mediatico, l’ultima contro l’ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, affermò sì che "l’alternativa 'per molti/per tutti' contiene una sfumatura teologicamente fondata" ma, aggiunse, si tratta di una sfumatura "troppo sottile da spiegare alla gente" e così espresse il parere di "mantenere la traduzione attualmente in uso". In quella assemblea i vescovi votarono plebiscitariamente a favore del mantenimento del “per tutti” con 171 voti su 187 votanti (oltre a una scheda bianca, solo 11 si espressero a favore del “per molti” e 4 per la versione “per le moltitudini”). E ciò nonostante la lettera circolare con cui nell’ottobre del 2006 la Congregazione per il Culto Divino aveva dato agli episcopati mondiali l’indicazione autorevole, su mandato del neoeletto Benedetto XVI, di tradurre con “per molti” il “pro multis” della "editio typica" latina del Messale romano. Attualmente il testo della nuova traduzione del Messale italiano è al vaglio della Congregazione per il Culto Divino, che deve dare la necessaria “recognitio”. E alla luce della lettera del Papa ai vescovi tedeschi dello scorso aprile è facilmente prevedibile che il dicastero non transigerà sul passaggio da "per tutti" a "per molti". La partita potrebbe restare ancora aperta, semmai, per quanto riguarda altri punti sensibili della traduzione. Come i cambiamenti proposti dai vescovi, con massicci voti a sostegno del distacco dall'originale latino, per il "pax hominibus bonae voluntatis" del Gloria e per il "ne nos inducas in temptationem" del Padre Nostro, o, con un criterio contrario, la richiesta di non toccare l'attuale versione italiana del "Domine non sum dignus", clamorosamente, e arbitrariamente, difforme dall’originale latino ("Signore, io non sono degno di partecipare alla tua mensa", invece di "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto" del Messale latino, ripreso alla lettera da Matteo 8, 7). In questo quadro si situa la svolta di Forte a favore del "per molti". Svolta che i più maliziosi leggono come un suo passaggio sul carro del vincitore in una battaglia per lui ormai persa, in vista di eventuali promozioni future. Forte era considerato in corsa per il patriarcato di Venezia e per quella carica ebbe un "endorsement" pubblico dell’ex sindaco di centrosinistra della città, il filosofo Massimo Cacciari. Ora sono già iniziate le grandi manovre per due sedi italiane di tradizione cardinalizia, Bologna e Palermo, i cui pastori, rispettivamente Carlo Caffarra e Paolo Romeo, compiranno 75 anni nel corso del 2013. Ma questa è un’altra storia.

Sandro Magister, www. chiesa

Quell'Ultima Cena con le sedie vuote

Il Papa in Libano. Voci dall'incontro per la pace della Comunità di Sant'Egidio: abbiamo bisogno di lui. Contro il fondamentalismo, per il dialogo

Il viaggio apostolico del Papa in Libano è tra gli argomenti all’incontro mondiale della pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio dal titolo “Living Together is the Future. Religioni e Culture in Dialogo” e in corso a Sarajevo (fino all’11 settembre). Secondo mons. Cyrille Salim Bustros, arcivescovo greco-melkita di Beirut e Byblos, “si tratta di una visita storica a causa della primavera araba e di ciò che è accaduto nei Paesi arabi e soprattutto di ciò che sta accadendo in Siria. Libano e Siria, in quanto confinanti, hanno interessi comuni. Speriamo che questo viaggio dia una visione chiara della necessità di arrivare a una pace durevole in tutti i Paesi arabi in conflitto e in Siria”. Parlando con SIR Europa, a margine di un dibattito sul mondo arabo, l’arcivescovo esprime l’auspicio che “i siriani possano giungere a un accordo pacifico. In Libano abbiamo sperimentato la guerra per 30 anni e nessuno ha vinto, abbiamo avuto 150 mila morti e decine di migliaia di feriti, emigrati e rifugiati. L’emblema di questo viaggio è la pace, basata sulla fiducia, sulla comprensione e sulla tolleranza”. Al tempo stesso, aggiunge, “alle Chiese mediorientali verrà chiesto maggiore comunione e testimonianza credibile e comune, unite alla solidarietà con i non cristiani, islamici in testa”. Per l’arcivescovo, “è necessario dialogare con i musulmani in vista di una visione comune del valore e della dignità dell’uomo. Siamo tutti credenti in Dio al di là delle differenze religiose. Vanno ricacciati indietro estremismi e fondamentalismi che approfittano delle crisi e delle guerre per insinuare divisioni. In Siria, purtroppo, ci sono attualmente molti combattenti di Al Qaeda”. “È una visita importante - dichiara il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, presente a Sarajevo come relatore - che non cambierà certo le attuali e difficili dinamiche del Medio Oriente, ma che avrà un grosso impatto mediatico sul mondo islamico mediorientale. Si tratta di un aspetto positivo che non dobbiamo trascurare. Una visita significativa che avviene, peraltro, nel cuore delle ferite aperte del Medio Oriente, la Siria è vicina al Libano, con tutti i problemi delle convivenze”. Per il custode, “cresce l’attesa per le parole che dirà Benedetto XVI la cui presenza è di per sé già altamente significativa. Il Papa volerà alto lanciando a tutti un profondo richiamo morale di cui sentiamo un grande bisogno in Medio Oriente dove i particolarismi si stanno sempre più imponendo”. “Le Chiese del Medio Oriente si attendono un grande incoraggiamento, i problemi sono tanti, vecchi e nuovi, e abbiamo bisogno di sentire il sostegno della Chiesa, anche fisico con il Papa che viene tra noi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a uscire dalle piccole paure quotidiane e c’indichi una visione e una direzione nella quale andare tutti insieme. La preoccupazione verso una certa deriva integralista islamica è legittima e doverosa ma non dobbiamo avere paura più di tanto”. “Le Chiese del Medio Oriente attendono dal Papa, innanzitutto, un appello ai belligeranti a deporre le armi. In Siria non importa chi abbia ragione o torto ciò che conta è che ogni giorno muoiono 200 persone, siamo ormai arrivati a 30 mila morti. I problemi si risolvono con il dialogo e il negoziato”: mons. Maroun Lahham, arcivescovo cattolico, vicario di Giordania, per il patriarcato latino di Gerusalemme, confida molto sugli effetti positivi che questo viaggio papale avrà per la situazione della regione. “La primavera araba - spiega a SIR Europa al termine del suo intervento - è nata per chiedere giustizia, dignità, diritti e libertà e ha di fatto posto fine a dittature ultradecennali. Purtroppo, alla spontaneità iniziale è subentrata una serie di pressioni politiche, internazionali, economiche, che ha allungato i tempi delle rivolte come in Libia, in Siria. Le grandi nazioni devono lasciare che i ‘piccoli’ Paesi arabi risolvano al loro interno la crisi poiché ne hanno le capacità”.

SIR

Il vescovo di Kansas City, condannato per omessa denuncia di un prete pedofilo, non ha intenzione di dimettersi. Fedeli della diocesi: deve andarsene

Ci sono stati casi di vescovi rimossi per motivi diversi, ma finora, si domandano increduli i fedeli della diocesi di Kansas City, non era mai accaduto che un vescovo fosse costretto a lasciare il suo incarico per questioni legate alla pedofilia, e nonostante mons. Charles Scicluna abbia ribadito che il Magistero papale su questo versante sia limpido e chiaro, restasse al suo posto. Il 19 maggio 2011 era finito in carcere Shawn Rattigan, prete diocesano di Kansas City, in servizio in parrocchia di St. Patrick e scuola annessa, dove era in prima fila nell’organizzare marce per la vita e pellegrinaggi mariani. L’accusa era possesso di foto pornografiche, che le indagini han poi rivelato essere scattate fra parrocchia e scuola: un prete pedofilo cui il suo direttore superiore, nello specifico il vescovo Finn, avrebbe dovuto applicare tutte le norme stabilite in accordo col Vaticano. Ma non è stato così. La segnalazione di casi di abuso era giunta già un anno prima sulla scrivania del vescovo a firma di numerosi genitori e di Julie Hess, dirigente della scuola, tanto che Rattigan aveva tentato il suicidio in un garage a dicembre 2010, ma la denuncia alle autorità competenti non è arrivata. Il prete rimosso dalla scuola venne inviato presso una struttura religiosa a Independence nel Missouri dove però avrebbe avuto accesso a computer e cellulare e pure celebrato con dei minori. Di qui denuncia, arresto, relativo processo e condanna in agosto 2011, ma altri capi d’imputazione pendono a suo carico. Incriminazione anche nei confronti del vescovo nell’ottobre scorso: Finn ha sempre dichiarato di aver omesso la denuncia “per salvare il sacerdozio di Rattigan”. Iter giudiziario un po’ più lungo e sentenza emessa dal giudice John Torrence il 7 settembre: in anni di scandali su abusi sessuali del clero è la prima volta che negli Stati Uniti viene condannato un vescovo (una condanna in Francia nel 2001). 2 anni di pena condizionata (tra le 9 condizioni c’è anche quella del rispetto dell’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria dei sospetti di pedofili) e in caso di buona condotta, la pena verrà cancellata. “Il mondo deve sapere che non importa chi sei, ma devi essere tenuto agli stessi standard come tutti gli altri”, ha commentato il procuratore Jean Peters Baker della Jackson County dopo il verdetto che invece ha scagionato la diocesi. Per i cattolici di Kansas City una sentenza annunciata, cui erano convinti seguissero le dimissioni del vescovo: “Non si può andare avanti come se nulla fosse accaduto - è il commento quasi unanime - il vescovo deve andarsene”. Ma la giustizia civile ha concluso il suo compito e solo il Papa può intervenire. Qualcuno invoca le dimissioni, come ha fatto per lo stesso motivo il card. Bernard Law a Boston nel 2002 o Daniel Walsh di Santa Rosa nel 2011, o il vescovo ausiliare di Los Angeles che ha lasciato il suo incarico lo scorso gennaio dopo aver confessato la paternità di due ragazzi. “Il vescovo si augura di poter continuare a svolgere le sue funzioni”, si legge invece in un comunicato del portavoce della diocesi Jack Smith. E intanto il card. Sean o’Malley di Boston è alle prese con decine di denunce e processi tanto che viene segnalata la carenza di avvocati canonisti in grado di farvi fronte e la diocesi , già costretta al licenziamento di personale e alla vendita del campus di Brighton, sta avviandosi ad un crack finanziario.

Maria Teresa Pontara Pederiva, Vatican Insider

Il Papa in Libano. Hani Fash: tutti i libanesi attendono Benedetto. Abbiamo bisogno che sia partecipe tutto il popolo nelle sue componenti religiose

''Tutti i libanesi attendono la visita di Benedetto XVI''. Lo ha detto Hani Fash, membro del Consiglio degli Sciiti per i teologi del Libano, intervenendo alla conferenza ''Mediterraneo lo spazio dell'Incontro'' tenutasi a Sarajevo nel quadro del Meeting organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio. Hani Fash ha ricordato con piacere il viaggio di Giovanni Paolo II in Libano, nel 1997, dicendo che quella visita fu ''un grande bene per il Libano e segno di una comune aspirazione al bene''. ''Quella visita - ha ricordato l'esponente sciita - è stato per noi un grande onore, e ci aiutò a non cadere un'altra volta nella discordia''. Facendo poi riferimento all'arrivo di Benedetto XVI ha detto: ''Abbiamo bisogno di visite come questa della quale possa essere partecipe tutto il popolo, in tutte le sue componenti religiose''. “Personalmente - ha continuato Fash - mi sento partecipe della visita del Papa, e tutto il Libano attende il Papa, perché questa è la stoffa del libanese, che anche se di religioni diverse, vuole difendere l’identità di un Paese multiculturale e multireligioso”.

Asca, SIR

Il Papa: in Colombia promuovere la cultura della pace, seminare il Vangelo della riconciliazione e proclamare la verità integrale sulla famiglia

Questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico di Castel andolfo, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrayo i vescovi del 2° gruppo della Conferenza Episcopale della Colombia, ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum". “Nonostante alcuni segnali incoraggianti, la violenza continua a portare dolore, solitudine, morte e ingiustizia a tanti fratelli in Colombia”, ha affermato il Papa esprimendo parole di apprezzamento per la missione pastorale che i vescovi portano avanti “spesso – ha detto - in luoghi pieni di difficoltà e pericoli”. Benedetto XVI ha incoraggiato a “continuare a contribuire a proteggere la vita umana e a promuovere la cultura della pace”, a “seminare il Vangelo della riconciliazione”, che può trasformare l’odio in perdono e la rivalità in fratellanza. Accanto a tutto ciò, poi, il Papa a proposito della società colombiana ha messo l’accento su “gli effetti devastanti della secolarizzazione”. Benedetto XVI ha parlato di “forte impatto sulle condizioni di vita”, di scala di valori sconvolta, di attentato alle fondamenta stesse della fede cattolica, al matrimonio, alla famiglia e alla morale cristiana. Benedetto XVI ha ribadito la “priorità” per i vescovi: la “difesa instancabile dell'istituto familiare”. E dunque li ha incoraggiati a continuare a proclamare "la verità integrale sulla famiglia, fondata sul matrimonio come Chiesa domestica e santuario della vita”. Il Papa ha sottolineato i frutti riconoscibili in “molte vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata”, nella “nascita di movimenti di apostolato, così come nella vitalità pastorale delle comunità parrocchiali”, ricordando che nei piani di impegno della Conferenza Episcopale della Colombia per i prossimi anni si legge proprio l’impegno a "promuovere i processi di nuova evangelizzazione”. Si è soffermato sulla formazione di nuovi presbiteri e religiosi, raccomandando “tutta l'attenzione di cui hanno bisogno: spirituale, intellettuale e materiale, in modo che possano vivere il loro ministero fedelmente e fruttuosamente”. “Se necessario – ha detto il Papa – anche con una correzione chiara e caritatevole”. E, a questo proposito, ha incoraggiato, sotto la guida del Magistero, “la revisione di contenuti e di metodi della formazione, perché possa rispondere alle sfide del momento presente e alle esigenze e alle richieste del popolo di Dio”. Poi si è soffermato su un altro punto definendolo “altrettanto importante” e cioè sulla pastorale giovanile. “Le nuove generazioni – ha esortato il Papa - devono percepire chiaramente che Cristo cerca e vuole offrire la sua amicizia”. I giovani devono scoprire che Cristo ha dato la sua vita per l’uomo perché conosca la pienezza di vita. L’appello di Benedetto XVI è chiaro: non lasciare che i giovani siano trascinati nella mediocrità di alcune proposte di vita che lasciano solo "vuoto e tristezza". “Cristo – ha detto il Papa – vuole aiutare coloro che hanno il futuro davanti a sé a seguire le loro aspirazioni più nobili”.

Radio Vaticana

Al gruppo dei presuli della Conferenza Episcopale della Colombia, in Visita "ad Limina Apostolorum" - il testo integrale del discorso del Papa