martedì 18 settembre 2012

Il Papa in Libano. Card. Tauran: cristiani e musulmani hanno un nemico in comune, l'islamismo. Card. Sandri: Benedetto XVI, trascinatore nella fede

Cristiani e musulmani hanno un nemico comune: l'islamismo: intervista a Jean-Louis Tauran

Il card. Leonardo Sandri al rientro del viaggio con il Papa in Libano: trascinatore nella fede

Un docufilm sul Concilio Vaticano II realizzato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali: immagini della Filmoteca vaticana e interviste

Alla vigilia del 50° anniversario dell’avvio del Concilio Vaticano II, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, in collaborazione con Micromegas Comunicazione, ha lanciato un docufilm sul tema, che sarà presto diffuso dalle televisioni di tutto il mondo. La diffusione inizierà proprio l’11 ottobre prossimo, data di inizio dell’Anno della fede e cinquantennale dell’assise conciliare. Il documentario, girato in HD, è della durata complessiva di 12 ore ed intende ricostruire il clima storico, teologico, culturale ed emotivo di un evento che ha segnato profondamente non solo la storia della Chiesa ma di tutto il mondo contemporaneo. Le immagini di repertorio del docufilm attingono a piene mani alla Filmoteca vaticana, che dispone di circa 200 ore di filmati originali che precedono l’apertura del Concilio. “Inizialmente la tentazione è stata quella di realizzare un prodotto 'autocelebrativo', selezionando i momenti salienti del materiale della Filmoteca”, ha spiegato ieri mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, durante la conferenza stampa di presentazione del docufilm. “Abbiamo voluto, tuttavia – ha proseguito il presule - arricchire il documentario con interviste a cardinali, patriarchi e vescovi di tutto il mondo. L’intento è quello di vedere come era stato recepito il Concilio Vaticano II anche in Africa, in America Latina, nelle Chiese orientali: sono stati gli stessi porporati ad indicare le chiavi di lettura dei documenti più importanti del Concilio, offrendo così uno spaccato culturale ecclesiale molto ricco”. Sono in totale 14 gli alti prelati intervistati per il docufilm; tra questi il card. Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, il card. Antonio Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il card. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, il card. Andrè Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, mons. Béchara Pierre Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, mons. Loris Capovilla, già segretario particolare di Papa Giovanni XXIII. Non si tratterà “esclusivamente di immagini – ha proseguito mons. Celli -. Il nostro obiettivo è quello di raccontare la storia del Concilio a chi non l’ha vissuta, farne percepire la ricchezza a chi non era presente o lo conosce troppo poco”. Una delle immagini che colpiranno di più il pubblico sarà quella dell’intervento al Concilio di un giovane Karol Wojtyla: “È suggestivo ascoltare la sua voce, quando interviene in latino durante una delle sessioni”, ha commentato mons. Celli. Come spiegato da Erminio Fragassa, presidente ed amministratore delegato di Micromegas, l’opera è stata realizzata nell’arco di circa un anno, cui si aggiungono due mesi di post-produzione, con il contributo di un team di circa 50 persone. Il set è stato allestito ad hoc presso i Micromegas Studios di Roma, con riprese ed immagini dei luoghi più significativi del Vaticano, dall’Archivio Segreto alla Biblioteca Apostolica, dalla Basilica di San Pietro alla Cappella Sistina, dalle Stanze di Raffaello alle Grotte Vaticane. Secondo quanto riferito da mons. Celli, il docufilm sarà trasmesso dalla RAI in due puntate di un’ora e 50 minuti (la prima l’11 ottobre, la seconda in data da definire); in considerazione della notevole durata, solo una parte del filmato sarà riprodotta sulla prima rete nazionale. Il passo successivo sarà la riproduzione in DVD, in 4 o 5 volumi, “confezionati” a seconda delle esigenze delle Chiese locali e delle Conferenze Episcopali. L’opera sarà introdotta dalla giornalista di Rai News Vania De Luca, mentre le varie sezioni di approfondimento sono affidate al teologo Marco Vergottini, professore presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. A breve il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali avvierà contatti con le principali emittenti televisive mondiali, europee e statunitensi in particolare, per la distribuzione del docufilm, di cui è in corso la traduzione in tutte le principali lingue. Una proiezione speciale avverrà durante il Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione (7-28 ottobre 2012), alla presenza dei Padri sinodali.

Luca Marcolivio, Zenit

Il Papa in Libano. Il ministro Terzi: il viaggio ha avuto un valore storico, anche per la decisione di confermarlo nonostante gli evidenti rischi

La rinascita della Siria non può che passare attraverso il ''modello-Libano'', esempio storico in Medio Oriente di convivenza possibile tra culture e religioni. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in un'intervista ad Avvenire, precisando che non si tratta di ''un'utopia'', ma di ''una politica necessaria''. ''Il viaggio di Benedetto XVI - ha poi aggiunto il titolare della Farnesina - ha avuto un valore storico, anche per la decisione di confermarlo nonostante gli evidenti rischi. Il messaggio è che il Libano deve continuare a essere un modello di convivenza, grazie all'apporto di tolleranza e dialogo che la cristianità ha nel suo carattere primigenio. Il Papa ha anche dato vigore alla volontà dei cristiani del Medio Oriente a non emigrare: si indebolirebbero le forze del dialogo. E' una politica necessaria - ha concluso Terzi - anche per la Siria''.

Asca

Terzi: modello libanese per la rinascita siriana

Anno della fede. Card. Rylko: una sfida che continuamente ci interpella, una sorta di provocazione salutare e permanente, a lasciar prevalere l'essere

“Nessun cristiano può considerare la fede come una questione chiusa una volta per tutte nella vita”. Ne è convinto il card. Stanislaw Rylko (nella foto con Benedetto XVI), presidente del Pontificio Consiglio per i laici, che in un articolo pubblicato da L’Osservatore Romano di oggi descrive l’ormai imminente Anno della fede indetto dal Papa come “una sfida che continuamente ci interpella, una sorta di provocazione salutare e permanente, un forte richiamo a lasciar prevalere nella nostra esistenza l’essere e non il fare”. Per il Papa, infatti, “la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede”: la fede, quindi, “deve essere ripensata e, soprattutto, rivissuta in modo nuovo”. “Davanti a tale non facile sfida - afferma il cardinale - la Chiesa guarda con grande speranza ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità”, che “offrono specifici itinerari di fede generati dai rispettivi carismi proprio allo scopo di vivere la fede in modo nuovo, nei nuovi scenari sociali e culturali del mondo che ci circonda. Itinerari di fede che permettono di scoprire ogni giorno la bellezza della fede, che consentono di ritrovare il gusto di Dio”. In una società “liquida” come la nostra, conclude il card. Rylko, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità “sono quei luoghi in cui nascono personalità cristiane solide, forti, adulte nella fede”.

SIR


Quella sfida decisiva. Movimenti ecclesiali e nuove comunità verso l’Anno della fede

La Santa Sede attende la risposta della Fraternità San Pio X, disponibile a discutere di questioni pastorali e disciplinari ma non dottrinali

La risposta del vescovo Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X, al preambolo dottrinale che gli è stato consegnato in Vaticano lo scorso 13 giugno non è ancora arrivata a Roma. "È chiaro che la palla adesso è nel campo della Fraternità", aveva commentato all’indomani dell’incontro il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Si sapeva del resto che difficilmente una risposta sarebbe potuta arrivare prima del capitolo generale dei lefebvriani, celebrato all’inizio di luglio. E anche se ora sono già passati oltre tre mesi dalla consegna del documento dottrinale, Oltretevere non sembrano avere fretta. Innanzitutto non bisogna dimenticare che successivamente a quell’incontro del 13 giugno, il Papa ha cambiato il vertice della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" che si occupa del dialogo con i lefebvriani, nominando l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller al posto del dimissionario card. William Levada come Prefetto; e l’arcivescovo Joseph Augustine Di Noia come vicepresidente di "Ecclesia Dei". Gli interlocutori romani con cui Fellay si troverà a confrontarsi non sono dunque più gli stessi di tre mesi fa. Inoltre, la Santa Sede sa bene quanto sia delicata la situazione interna alla Fraternità San Pio X: conosce l’esistenza di una fronda contraria all’accordo con Roma, come pure sa, d’altra parte, che un gruppo non piccolo di sacerdoti non vuole essere penalizzato dalle scelte oltranziste di alcuni. C’è fermento in alcuni distretti lefebvriani in America Latina, e si attende anche una sanzione contro il vescovo Richard Williamson, ormai in rotta di collisione con Fellay. Fino ad ottobre, dunque, è assai probabile che dal Vaticano non partano sollecitazioni per richiedere al superiore della San Pio X la risposta sul preambolo. Come si ricorderà, nel giugno scorso Fellay, oltre al preambolo dottrinale, formulato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvato dal Papa, contenente anche alcune modifiche suggerite dallo stesso superiore lefebvriano, ma non tutte quelle da lui desiderate, aveva ricevuto anche una bozza di proposta per la regolarizzazione canonica della Fraternità come prelatura personale. Da quanto apprende Vatican Insider, l’attesa risposta di Fellay dovrebbe essere ancora interlocutoria e contenere alcune condizioni. Se si tratterà di richieste che riguardano la pastorale o la disciplina, la Santa Sede è disposta a prenderle in considerazione. Dopo il capitolo di luglio erano state messe a punto alcune condizioni. Le prime tre, considerate "irrinunciabili", riguardavano la "libertà" di "correggere, riprendere, anche pubblicamente, i fautori di errori o delle novità del modernismo, del liberalismo, del Concilio Vaticano II e delle loro conseguenze". La seconda riguardava "l’uso esclusivo della liturgia del 1962". La terza, "la garanzia di almeno un vescovo". Altre condizioni, meno vincolanti, erano la possibilità di avere tribunali ecclesiastici propri di prima istanza; l’esenzione delle case della Fraternità dal rapporto con i vescovi diocesani. Su molti di questi punti, l’accordo è possibile e la Santa Sede è disposta a discutere, per apportare modifiche alla bozza riguardante la futura sistemazione canonica della San Pio X. Non è più possibile, invece, aprire dibattiti sulle questioni dottrinali formulate nel preambolo. Ai lefebvriani è chiesto di accettare il Motu Proprio "Summorum Pontificum" e dunque, pur se sarà loro garantito di celebrare sempre con il Messale antico (forma straordinaria del rito romano), dovranno riconoscere che la forma ordinaria è quella scaturita dalla riforma post-conciliare, la cui validità e liceità non potrà essere messa in dubbio.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Sinodo dei vescovi 2012. 36 tra cardinali, vescovi e religiosi nominati Padri sinodali da Benedetto XVI. Tra loro Sodano, Vallini, Moraglia e Negri

Papa Benedetto XVI ha nominato oggi 36 tra cardinali, vescovi e religiosi che parteciperanno alla XXIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolgerà in Vaticano dal 7 al 28 ottobre prossimi sul tema ''La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana''. Tra loro ci sono i cardinali italiani Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, e Agostino Vallini, vicario per la diocesi di Roma, gli arcivescovi Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, e Filippo Santoro, della diocesi di Taranto, e il ciellino mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro. Il Papa ha nominato tra i membri il presidente di Comunione e Liberazione, il sacerdote spagnolo Julian Carron. Tra gli stranieri, Benedetto XVI ha scelto come Padri sinodali i cardinali Joachim Meisner (Colonia), Vinko Puljic (Sarajevo), Polycarp Pengo (Dar-es-Salaam), Christoph Schönborn (Vienna), George Pell (Sydney), Jozip Bozanic (Zagabria), Peter Erdo (Budapest), Lluis Martinez Sistach (Barcellona), Andrè Vingt-Trois (Parigi), Oswald Gracias (Bombay).

Asca

RINUNCE E NOMINE

Sabato durante l'udienza ai rappresentanti dell’Internazionale democratico cristiana il Papa incontrerà il leader dell'opposizione al regime siriano

Sabato prossimo a Castel Gandolfo Benedetto XVI avrà modo di incontrare uno dei maggiori leader dell’opposizione siriana. Si tratta di George Sabra, membro e portavoce della segreteria generale del Consiglio Nazionale Siriano, l’organismo che riunisce le opposizioni impegnate nella lotta contro il regime di Bashar al Assad. Non sarà però un’udienza specificà quella concessa solo a Sabra: si tratta infatti dell’udienza del Papa con i rappresentanti dell’Internazionale democratico cristiana presieduta da Pier Ferdinando Casini. In tutto circa 120 persone che saranno ricevute nel Salone degli svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, fra le quali ci dovrebbero essere anche alcuni parenti del dissidente cattolico cubano Osvaldo Payà, morto di recente. Secondo quanto apprende l’Adnkronos, l’idea della partecipazione di George Sabra all’udienza è nata in concomitanza con il viaggio del Papa in Libano. Sabra nei giorni scorsi ha infatti incontrato il nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia, in quell’occasione ha portato al nunzio un documento e una richiesta di udienza con il Pontefice. La Santa Sede ha accolto la richiesta collocandola in un contesto più ampio per non dare un rilievo troppo evidente a un incontro che in questa fase della crisi siriana, può essere facilmente strumentalizzato o male interpretato. E tuttavia si tratta di una significativa presa di contatto fra la Santa Sede e l’opposizione al regime di Damasco, anche perchè Sabra dovrebbe avere altri colloqui con rappresentanti della Chiesa di Roma.

Adnkronos

Il Papa in Libano. Mons. Audo: con le parole e i gesti ci ha voluto dire che condividiamo lo stesso suo sguardo sulle sofferenze del popolo siriano

Il viaggio di Benedetto XVI ha dato conforto anche ai cristiani di Aleppo, la metropoli siriana da due mesi al centro degli scontri armati tra i ribelli e l’esercito siriano. Lo racconta all’agenzia Fides il gesuita Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e Presidente di Caritas Siria. Lui e gli altri vescovi cattolici della città non hanno potuto recarsi in Libano per incontrare Benedetto XVI, rimanendo al fianco dei propri fedeli. Una rinuncia che, paradossalmente, ha permesso loro di sperimentare in modo particolare il vincolo di comunione che li unisce al Successore di Pietro: “Come vescovi di Aleppo . nota mons. Audo - avevamo inviato un messaggio a Sua Santità prima che iniziasse il suo viaggio in Medio Oriente. Ascoltando le sue parole e guardando ai suoi gesti, mi è sembrato che Benedetto XVI abbia letto la nostra lettera. Con le parole e con i gesti, ci ha voluto dire che condividiamo lo stesso suo sguardo sulle sofferenze del nostro popolo”. Il vescovo sta rileggendo i discorsi di Benedetto XVI in Libano, assaporandoli frase per frase. Confida a Fides: “Il Papa ha saputo parlare con semplicità evangelica. Non c’era complicazione, le sue parole sono state semplici e profonde, sgorgavano dal cuore della fede e per questo toccavano il cuore delle cose. Ha saputo parlare con grande affetto anche ai musulmani, ringraziandoli in maniera particolare per la riuscita della visita”. Anche i riferimenti del Papa alla situazione siriana hanno rincuorato il vescovo caldeo: “Benedetto XVI - dice - non parla come i media. Non si accoda alle frasi fatte che tutti ripetono. Dice una parola personale di fede e di libertà, questa è la sua forza. Quello che ha detto sul traffico di armi, definendolo un ‘peccato grave’, fa capire che è anche bene informato di quanto sta succedendo qui. E certo le sue sono le parole del Pastore. Non sono al servizio di una qualche potenza economica o militare”. Il vescovo difende i suoi confratelli, e tutti i cristiani del Medio Oriente, da chi li rimprovera di essere sottomessi ai regimi autoritari: “Si tratta di critiche ingiuste e infondate. Anche tra i cristiani ci sono tanti che sperano in un cambiamento che porti davvero a una maggiore libertà. I cristiani sono in gran maggioranza gente semplice, esposta a tutte le violenze. Conoscono la realtà del Paese e aspettano di vedere cosa accadrà. Come ha detto anche il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, non vogliono difendere nessun regime. Desiderano solo vivere nella pace, nella libertà e nel rispetto reciproco, lontano da ogni estremismo. Ma questo è un discorso che adesso molti non vogliono ascoltare”. Il vescovo Audo racconta di come il desiderio di una vita calma e tranquilla affiori anche in questi giorni tragici, con i raid aerei e gli scontri armati che si spostano di quartiere in quartiere: “Troviamo il modo di lavorare. Le celebrazioni continuano in tutte le parrocchie che si trovano fuori dalle zone di pericolo. In questa situazione tra i cristiani fiorisce un nuovo sentimento di unità, si mette da parte ogni divisione tra le diverse comunità. Lavoriamo tutti insieme nelle opere di assistenza per i più poveri e per i profughi che hanno trovato rifugio nelle scuole. Anche qui, nella chiesa dove risiedo, c’è ogni giorno la Messa alle 18, e vedo che poi tutti rimangono nel grande cortile, e si crea un ambiente familiare e fraterno. Mi accorgo che tutti hanno bisogno di trovarsi insieme, e di sentirsi protetti dalla Chiesa”.

Fides

Anno della fede. Card. Ruini: una grande opportunità e un compito al quale dedicarsi con autentica passione. Saper motivare la nostra testimonianza

L’Anno della fede “è una grande opportunità e un compito al quale dedicarci con autentica passione”. Così si esprime il card. Camillo Ruini, presidente del Comitato Cei per il progetto culturale, in un’intervista a RomaSette.it, giornale on line della diocesi di Roma, alla vigilia della presentazione del suo libro “Intervista su Dio”. Per il cardinale, ai credenti è chiesto “di essere ‘estroversi’” nella fede”, poiché “occorre annunciare e testimoniare la fede, ma anche saper motivare la nostra testimonianza”. Il cardinale affronta il rapporto tra fede e ragione, laddove la ragione “può rendersi conto dell’esistenza di Dio”, mentre “la rivelazione di Dio in Gesù Cristo, invece, ci permette di conoscere il volto di Dio”, la “questione di Dio” e il dialogo sulle grandi domande dell’esistenza, al cui interno “vi è, almeno implicitamente, la ricerca di Dio”. Guardando al nostro Paese, il card. Ruini vede uno spazio per l’espressione pubblica della fede che bisogna saper “mantenere, con pazienza e umiltà cristiana ma anche con fermezza e determinazione”. La vera sfida per i cristiani di oggi, conclude, “è anzitutto essere saldi nella fede dentro noi stessi e per questo serve in primo luogo la preghiera. Dobbiamo inoltre sostenerci e motivarci a vicenda nella nostra scelta di fede; non ritirarci dalla cultura di oggi ma cercare di evangelizzarla in profondità”.

SIR

Il card. Ruini: le ragioni della fede

Ritorno a San Giovanni in Laterano. Martini e quell’idea di Chiesa. Via dal Vaticano, con un Papa di nuovo là dove egli è anzitutto il vescovo

Ritorno a San Giovanni, nel senso del Laterano. Qui molti vorrebbero tornasse ad abitare il Papa, qui dove ancora è la sua vera cattedra, qui dove egli è anzitutto vescovo di Roma prima che capo di stato. Un tema, quello del ritorno alle origini del papato, tornato di moda in questi tempi in cui la Chiesa, oppressa dalle colpe dei suoi membri (non soltanto la pedofilia del clero ma anche Vatileaks e le guerre intestine al Vaticano) cerca una nuova strada. Un tema, ancora, che la morte del card. Carlo Maria Martini, emerito di Milano, vescovo di popolo prima che d’istituzione (la base prima delle gerarchie, la collegialità prima del primato petrino, l’orizzontalità più che la verticalità) ha a suo modo ringalluzzito. Ma il primo a volere il gran ritorno non è un alfiere della Chiesa pauperistica, tantomeno del cattolicesimo cosiddetto del dissenso, è piuttosto un ratzingeriano doc pronto a entrare, nel mese di ottobre, nelle librerie italiane con un saggio su Bernadette Soubirous e la “verità storica” delle apparizioni di Lourdes. Roba, insomma, da far rabbrividire (o quanto meno sorridere) i discepoli di Martini, quelli che, come il defunto cardinale, credono più al Cristo della fede che al Gesù storico, alla fede che non necessita, anzi a tratti può addirittura arrivare ad aborrire, la miracolistica da santuari, l’afflato dei mistici, la fede tutta carne e corpo di Cristo. L’insospettabile è lo scrittore cattolico Vittorio Messori che dice: “Ben venga un ritorno a San Giovanni”. Spiega: “Beninteso, a me la Chiesa peccatrice piace, la Chiesa dove la maggioranza dei fedeli non è, perché non può esserlo, del tutto santa. E ho paura d’ogni richiamo alla purezza che non tenga conto che il peccato spinge l’uomo, ogni uomo, giù, negli abissi, rendendolo in qualsiasi momento capace d’ogni possibile malvagità. La Chiesa dove gli uomini tendono alla santità pur restando dei potenziali assassini. Ma nello stesso tempo penso che un ritorno a San Giovanni sì, sia un tema. E lo sia da tempo, almeno dall’elezione di Albino Luciani”. Giovanni Paolo I, Pontefice di popolo, spinge il Vaticano a ripensare se stesso? “Ma va – dice –. Che c’entra?”. E allora? “Quando venne eletto Luciani capii che il Vaticano era finito”. Prego? “Mi chiamò Valerio Volpini, allora direttore de L’Osservatore Romano, e mi raccontò un episodio appena capitatogli che mi lasciò senza fiato. E pensai: a tal punto s’è ridotto il Vaticano, l’istituzione che tutto il mondo invidiava per la sua diplomazia, governance, tatto e praticità?”. Che successe? “Volpini era un esperto latinista. Mi disse, sconvolto, che la notte dell’elezione di Luciani dovette stracciare la prima edizione de L’Osservatore già data alle stampe. Stracciarla e farne una tutta nuova. I suoi giornalisti, infatti, sbagliarono clamorosamente il titolo d’apertura. Al posto di scrivere ‘Qui sibi nomen imposuit…’ scrissero a tutta pagina ‘nominem’, dimenticando che ‘nomen, nominis’ è termine neutro e all’accusativo resta ‘nomen’”. Un errore veniale? “Un errore madornale, peccato mortale altro che veniale, che diceva già allora dell’incompetenza che serpeggiava in Vaticano. Un’incompetenza che ha investito oggi diversi settori. Cosa dice in fondo tutto l’affair denominato Vatileaks? Che ci sono troppe persone inadeguate in posti nei quali non dovrebbero stare. Un tempo le diocesi mandavano i propri migliori sacerdoti a lavorare in Vaticano. E anche i pochi laici venivano scelti con giudizio. I seminari straboccavano di candidati al sacerdozio e da ogni nidiata veniva scelto il migliore e lo si spediva a Roma. Era anche un modo con cui i vescovi si facevano belli con cardinali e Papi. Oggi non è più possibile. Oggi i seminari sono vuoti. A Torino, per esempio, l’anno scorso sono stati ordinati due, dico due, preti dei quali uno nemmeno cresciuto in diocesi. Mentre a Milano si parla di chiudere Venegono, lo storico seminario ambrosiano. Certo, preti scelti come erano quelli di decenni fa non ce ne possono più essere. Ma questa mancanza, questa deficienza, seppure data dai tempi e non da colpe particolari della Chiesa, obbliga la stessa chiesa a un ripensamento che ancora non è avvenuto. Questa carenza numerica, insomma, incide anche sulla qualità di coloro che lavorano in Vaticano. Ecco perché il ritorno a San Giovanni avrebbe un senso. Perché sarebbe un ridimensionamento legittimo. E’ una questione di realismo: la Chiesa di Pio XI e di Pio XII, la Chiesa delle grandi masse popolari, non esiste più. La Spagna cattolica, l’Austria cattolica, il Québec cattolico, dove sono finiti? Spariti, volatilizzati. Un Vaticano tutto ‘ministeri’ e personale addetto non ha nessun senso. Non c’è nessun bisogno di tutta questa burocrazia, di tutti questi uffici, di tutta questa manovalanza. Meglio il ritorno al Laterano, il ridimensionamento. Occorrerebbe in questo senso guardare di più al card. John Henry Newman. Egli pensava che alle virtù cardinali occorresse aggiungerne due: l’humor e il realismo. Humor e realismo potrebbero convincere chi di dovere che il tempo è maturo: tutti al Laterano”. Il Papa capo della Chiesa, dunque, ma anzitutto vescovo di Roma, anche se non italiano. Anche perché, tra l’altro, chi pensava valesse soltanto l’esatto contrario, chi pensava che cioè il vescovo di Roma dovesse essere per forza di cose solo e soltanto un italiano, si è contraddetto alla prova dei fatti. Il card. Stefan Wyszynski, primate polacco, disse in occasione del primo conclave del 1978: “Personalmente ritengo che il vescovo di Roma, e quindi il primate d’Italia, può essere solamente un italiano. Ciò è conforme al diritto naturale”. Ma nelle settimane successive, dopo la morte di Luciani, lavorò strenuamente per la nomina di un non italiano, appunto Karol Wojtyla. E poi Joseph Ratzinger. Gli chiesero prima dell’elezione di Wojtyla se ritenesse che, dopo Paolo VI, sarebbe stato eletto un Papa non italiano. Rispose: “Diciamo che in linea di massima potrebbe accadere. In passato è già avvenuto. Personalmente non sarei molto a favore”, perché “occorre ricordare che il Papa è il vescovo di Roma. Egli non riveste soltanto una carica al di sopra di altre cariche, ma è il vescovo di una Chiesa locale, in questo caso quella di Roma. Nella sua veste di vescovo di Roma, è contemporaneamente responsabile per la Chiesa nel mondo. A mio avviso è necessario ribadire questa impronta locale della carica papale. Vale a dire: egli è prima di tutto vescovo di una città, e questo va ribadito”. Già, egli è anzitutto vescovo locale, di Roma, e può esserlo anche se tedesco, come la sua elezione al Soglio di Pietro dimostra. Non è necessario essere giornalisti per lanciare l’idea di un ritorno al Laterano e non rischiare d’incappare in scomuniche dall’ex Sant’Uffizio. Anche un teologo domenicano di fama mondiale fece la medesima operazione nel 1982 e sostanzialmente nessuno lo contestò. L’idea di padre Jean-Marie Tillard, infatti, figura chiave del cattolicesimo nel dialogo tra le diverse confessioni cristiane, è, secondo quanto scrisse nel fortunato saggio “Il vescovo di Roma”, una: la messa in discussione del primato giuridico del Papa, ostacolo principale per la riconciliazione tra le Chiese separate. Il suo modello ecumenico è l’autonomia di giurisdizione delle Chiese locali, riunite da relazioni privilegiate con il vescovo di Roma. Il suo, insomma, non è un semplice ritorno ai tempi dei Papi residenti al Laterano. E’ di più, è un ritorno che scavalca il primato, un ritorno che insiste sull’essere vescovo di Roma del Papa più che sul suo essere capo della Chiesa in quanto “monarca” del Vaticano. Il ritorno a una Chiesa “meno istituzione” è un tema che Martini ha fatto più volte proprio. E che nei giorni della sua morte è tornato attuale. Del resto, ne ha parlato sostanzialmente lui stesso nell’intervista che ha rilasciato a Federica Radice Fossati e al gesuita padre Georg Sporschill dedicata al futuro della Chiesa Cattolica. Un’intervista pubblicata postuma dal Corriere della Sera col titolo: “Chiesa indietro di 200 anni”. Martini ricorda Karl Rahner che “usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere”. E aggiunge: “Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque”. Dodici persone fuori dalle righe. Dodici e non di più. Qui, più che un ritorno a San Giovanni, c’è un ritorno agli apostoli, ai tempi evangelici, come se la Chiesa attuale non sapesse più essere quella di un tempo. E’ forse questo desiderio di purezza che anche il mondo cosiddetto laico apprezza in Martini.Una purezza ipotizzata, ad esempio, da Franco Battiato, che ha detto a un giornalista de Il Fatto Quotidiano nelle ore seguenti il trapasso di Martini: “Prenda le esequie del cardinal Martini. Ratzinger, in un momento simile, sarebbe dovuto andare a Milano a piedi”. Perché? Perché Martini, nell’idea di Battiato, è l’immagine della purezza, del cattolicesimo inteso come biancore abbagliante. Dice in proposito Messori: “Qui faccio un passo indietro. Questa purezza è un mito e come tale non può esistere. Come mitologica è l’immagine che in molti si sono fatti del card. Martini. Egli non voleva un ritorno a San Giovanni – continuiamo pure a chiamarlo così – contro il Vaticano o il primato di Pietro. Egli voleva un ritorno a San Giovanni nel senso di un ritorno a una fede senza storia. Una fede in Cristo e non in Gesù storico. Credere in Gesù significa credere nella Chiesa, anche nell’istituzione come necessaria. Ma lui, come molti biblisti avvezzi a scandagliare col metodo storico critico la scrittura fino ad arrendersi all’evidenza che il testo sacro può essere tagliuzzato in mille modi e portare anche a ritenere che Gesù non è mai esistito, in fondo non credeva. Almeno questa è la convinzione che mi sono fatta da decine di incontri che ho avuto con lui. O meglio, egli credeva al Cristo della fede ma non a Gesù come persona realmente esistita. Per lui il Cristo dei vangeli non era assolutamente il Cristo reale. In questo senso egli è stato eroico. Ha vissuto una vita esemplare senza credere nella persona di Gesù. E, infatti, quando divenne biblista e iniziò a studiare, voleva lasciare la Compagnia di Gesù. Voleva fare un passo indietro tanto fu lo scandalo che il suo cuore subì. Come Martini la pensavano anche Karl Barth e Rudolf Karl Bultmann. Ma più che a loro, quando penso a Martini mi viene in mente il teologo luterano tedesco Albert Schweitzer. Questi, nell’impossibilità di ricostruire storicamente e in modo compiuto la vita di Gesù, fece una scelta di vita puramente etica che lo condurrà a recarsi come missionario in Africa, dove si dedicherà al lebbrosario di Lambaréné. Una vita dedicata a Gesù quale modello di eticità più che una vita spesa per Gesù in quanto Figlio di Dio realmente esistito. Una scelta opinabile ma comunque senz’altro eroica”. Non solo per Martini, ma per molti insieme a lui la Chiesa è vecchia e stanca, logora anche nei suoi paramenti. A quando un ritorno all’essenziale? Pietro De Marco, docente all’Università di Firenze e alla facoltà teologica dell’Italia centrale, scrive in una nota pubblicata sull’Occidentale e poi in forma più sintetica su Chiesa.it, che “l’idea delle dodici persone al governo della Chiesa, vicine ai poveri e circondate da giovani, ‘in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque’, sa di utopismo visionario. La letteratura del Novecento europeo (penso al ‘Maximin’ di Stefan George) è ricca di giovani che aprono la storia ‘nuova’ col passo leggero e lo sguardo puro di chi non è gravato di passato. Ma nella vitalità di una tradizione religiosa non è la condizione giovane come tale che conta. Giovanni Battista non è profeta perché giovane”.Che sia utopismo visionario o che non lo sia, un dato è certo. Palazzo e basilica del Laterano sono pronti. I segni dei tempi che furono sono rimasti intatti. C’è ancora l’antica incisione lungo l’architrave del nobile portico che indica la basilica come “Madre di tutte le chiese”. Basilica anteposta anche alla Basilica di San Pietro, così ancora oggi, nonostante dopo il ritorno dei Papi da Avignone abbia perso la sua importanza. Sulla balaustra della facciata le statue raffigurano il Cristo, i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista e i dottori della Chiesa. All’interno la pianta è a croce latina con cinque navate. Il soffitto è sontuoso, e alle pareti si schierano i profeti, i santi e gli apostoli voluti dal Borromini, ma eseguiti nel XVIII secolo dai suoi seguaci. Ricchissima di opere, affreschi, sculture e sepolcri, questa basilica è un autentico tesoro per l’architettura italiana. E pure per il Vaticano. Non è un mistero per nessuno che Giovanni XXIII pensasse di tornare in Laterano, non definitivamente, ma almeno per qualche giorno durante l’anno. Per lui era un modo per ridare importanza alla cattedra papale. Ma insieme, chissà, anche un modo per ridimensionare l’enorme struttura vaticana. Dopo di lui Paolo VI, che molto insistette sul ruolo del Papa come vescovo di Roma, chiedendo alla diocesi di Roma di “non intraprendere alcunché di importante prima di averlo riferito a noi”. Paolo VI teneva molto al Laterano, Basilica e palazzo. In un discorso del 1975 ricordò quando era piccolo e vide per la prima volta il palazzo decadente e disabitato. Disse: “Io mi ricordo che la prima volta che venni a Roma (avevo otto anni e mezzo) si fece con la mia famiglia una escursione fino a San Giovanni in Laterano; ricordo ancora benissimo il senso di desolazione che mi sorprese in quella grande casa, tetra, chiusa, abbandonata d’intorno… e mi dissero: questa è la ‘Mater et caput…’ Ricordo poi tutte le volte che, venuto a Roma, giovane studente, appena detta la santa messa, avevo occasione di passare davanti a quell’edificio, bello ma cadente: lo si vedeva dalle finestre e dalle porte chiuse, dall’impossibilità d’entrare. Ricordo il senso di disagio che mi metteva la stessa basilica di San Giovanni: la sera era come penetrare in una caverna, senza luce; cinque navate buie e paurose a chi osava inoltrarsi. E sempre, fino da allora, i ragazzi e i giovani sognano: da qui bisogna ridare vita alla chiesa romana”. E non solo a quella, pensano oggi in molti. Ma anche alla chiesa nel suo insieme.

Paolo Rodari, Il Foglio

Mons. Beschi invita ufficialmente il Papa a visitare Bergamo nel 50° dell'inizio del Concilio Vaticano II e della morte del Beato Giovanni XXIII

Il vescovo Francesco Beschi, insieme a Comune e Provincia, ha ufficialmente invitato Papa Benedetto XVI a visitare la diocesi di Bergamo in occasione del 50° anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II e della morte del Beato Papa Giovanni XXIII. L'annuncio, accolto dal caloroso applauso delle oltre mille persone presenti, è stato dato venerdì sera 14 settembre dal vescovo Beschi durante l'assemblea diocesana, svoltasi in Seminario. "Questi anniversari - ha sottolineato il vescovo -, con convinzione e desiderio, condivisi dalle istituzioni del Comune e della Provincia, mi hanno portato a rivolgere l'invito al Santo Padre di visitare la nostra diocesi. Siamo consapevoli degli impegni gravosi e dell'età del Santo Padre. Qualsiasi risposta verrà data al nostro invito sarà accolta con gratitudine, grande libertà d'animo e come segno di comunione con il Papa". Per la celebrazione della Beatificazione di Fra Tommaso da Olera, il prossimo 21 settembre 2013, la Santa Sede ha comunicato che il Santo Padre sarà rappresentato dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

L'Eco di Bergamo

Anno della fede. La vita di Joseph Ratzinger ha avuto una sola ispirazione, portarci a una fede limpida. Illumina un tempo che non ci vuole distratti

Ancora un po’ di tempo e inizierà l’Anno della fede: vorrei evitare in me l’atteggiamento di chi considera quest’appuntamento un’occasione edificante come le altre. Ripenso alla vita di Joseph Ratzinger, al clima della sua famiglia e alla fede forte e serena in cui è stato formato: da lì la decisione di farsi sacerdote. Penso al suo insegnamento come teologo stimatissimo dai suoi allievi: essi stessi ricordano come le sue lezioni sembravano preghiera. Poi il Concilio, vissuto con atteggiamento riformatore per presentare il contenuto della fede in modo comprensibile per l’uomo contemporaneo. Poi le lezioni all’università di Tubinga sul Credo (raccolte in un libro imperdibile: "Introduzione al cristianesimo") quando, dopo il Concilio, tentarono d’introdurre le categorie marxiste nel messaggio cristiano. Invece no: Joseph Ratzinger ribadì chiaramente che la fede viene da Dio e non dalla politica. Poi il lavoro presso la Congregazione per la Dottrina della fede, grazie al quale, fra l’altro, abbiamo il nuovo Catechismo. Poi le Encicliche (sull’amor di Dio, sulla speranza, sulla carità operativa e, la prossima, sulla fede), i libri bellissimi e profondissimi su Gesù (il terzo è in arrivo) e i discorsi da Pontefice. La vita di Joseph Ratzinger ha avuto una sola aspirazione: illustrarci la fede. Tutta la sua attività è una freccia che ha questo bersaglio: portarci a una fede limpida. Non posso avvicinarmi a quest’Anno della fede in modo distratto. Intanto ringrazio Dio di averci dato Joseph Ratzinger.

Pippo Corigliano. Tempi.it