"L’Africa è attualmente il continente più dinamico dal punto di vista dell'espansione della Chiesa e del cristianesimo in generale, e dove le vocazioni sono percentualmente più numerose".
Lo ha ricordato un recente articolo della Civiltà Cattolica dedicato a un convegno dedicato a “Paolo VI e l’Africa” nel quale da più relatori è stata sottolineata "la grande attenzione" che quel Papa dedicò al continente, "intuendone profeticamente anche la disponibilità al messaggio evangelico".
Nell’articolo si evidenzia come anche Benedetto XVI "si è riferito all’Africa come al 'polmone' della Chiesa".
E in effetti il Pontificato di Joseph Ratzinger si sta rivelando di anno in anno sempre più attento a quello che si muove nel continente nero.
L'attenzione di Benedetto XVI all'Africa è evidentissima dal punto di vista diplomatico, tanto per iniziare.
Nel corso dell’attuale Pontificato la rete di nunziature in Africa si è ulteriormente sviluppata.
Con Benedetto XVI infatti sono state aperte due nuove sedi di nunziature in Burkina Faso e Liberia. Non solo. Incaricati vaticani residenti stabilmente sono stati inviati in Ciad, Gabon e Malawi.
Ma anche i paesi africani hanno manifestato un crescente interesse ad avere rapporti più stretti con la Santa Sede.
Nel 2008, infatti, anche il Botswana ha allacciato pieni rapporti diplomatici con la Santa Sede. Così, oggi, solo tre paesi africani, tutti a stragrande maggioranza islamica, non hanno ancora uno scambio di rappresentanze con il Vaticano. Sono le isole Comore, la Mauritania e la martoriata Somalia.
Con Papa Ratzinger, poi, proprio mentre l’Irlanda ha declassato la sua storica rappresentanza diplomatica da residente a non residente, cinque nazioni hanno intrapreso il percorso inverso, stabilendo a Roma la residenza del loro ambasciatore. Di queste ben tre sono africane: il Camerun, il Benin e, da quest’anno, la Nigeria, il più popoloso stato del continente.
A questo si deve aggiungere il moltiplicarsi di accordi diplomatici tra Santa Sede e paesi africani. Prima dell'attuale Pontificato, il Vaticano aveva stipulato un "modus vivendi" con la Tunisia nel 1964, c’era stato poi uno scambio di lettere tra il re del Marocco e Giovanni Paolo II nel 1983-84, quindi due accordi col Camerun riguardanti l’Institut Catholique di Yaoundé e un paio di convenzioni parziali con la Costa d’Avorio. L’unico accordo-quadro, di più ampio respiro, era quello con il Gabon del 1997.
Con Benedetto XVI sono stati stipulati già tre accordi-quadro: col Mozambico nel 2011, con la Guinea Equatoriale e il Burundi quest’anno.
Ma la speciale attenzione dell'attuale Papa all’Africa non si manifesta esclusivamente o primariamente nell’ambito diplomatico.
Prendiamo i viaggi. Il Papa vi si è recato finora due volte, nonostante l’età avanzata. Giovanni Paolo II fece il suo ultimo viaggio africano, in Nigeria, nel 1998, quando aveva 78 anni. Benedetto XVI è andato in Camerun e Angola nel 2009 a 82 anni e nel 2011 in Benin quando ne aveva 84.
Passiamo alle creazioni cardinalizie. Con Ratzinger Papa, tra i 74 nuovi porporati elettori da lui creati, 7 sono africani, il 9,5 per cento. È la quota più alta di sempre. Giovanni Paolo II ne fece 16 su 210 (il 7,6 per cento), Paolo VI 12 su 143 (l’8,4 per cento).
Anche nelle nomine nella Curia romana Benedetto XVI ha un occhio di riguardo per il continente africano.
Ha chiamato il cardinale ghanese Peter Turkson a presiedere il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e ha promosso il guineano Robert Sarah a presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", concedendogli la porpora.
Papa Ratzinger ha inoltre chiamato l’arcivescovo tanzaniano Novatus Rugambwa a ricoprire l’incarico di segretario aggiunto di "Propaganda Fide", mentre ha scelto il beninese Barthélemy Adoukonou come segretario del Pontificio Consiglio per la Cultura, elevandolo all’episcopato, e mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, della Repubblica Democratica del Congo, come nuovo segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria.
Con Benedetto XVI un africano è diventato per la prima volta cerimoniere pontificio: è Jean-Pierre Kwambemba Masi della Repubblica Democratica del Congo.
E per la prima volta un figlio del continente nero ha avuto il delicato incarico di capo del protocollo della Segreteria di Stato. Si è trattato di mons. Fortunatus Nwachukwu, nigeriano, che recentemente, dopo cinque anni di servizio, è stato promosso arcivescovo e nunzio in Nicaragua, diventando il quarto rappresentante pontificio africano nominato durante questo Pontificato. Gli altri sono Leon Kalenga, della Repubblica Democratica del Congo, il nigeriano Jude Thaddeus Okolo, e il tanzaniano Rugambwa (poi, come detto, chiamato in Curia).
Anche questo è un piccolo record ratzingeriano. Sino al 2005 infatti il primo e unico nunzio africano era l’ugandese Augustine Kasujja, nominato da Giovanni Paolo II nel 1998.
Ma qual è la radice di questa predilezione africana di Papa Ratzinger?
Lo ha spiegato lo stesso pontefice nell’omelia di apertura del sinodo africano del 2009: "L’Africa rappresenta un immenso 'polmone' spirituale per un’umanità che appare in crisi di fede e speranza".
Benedetto XVI ha ulteriormente approfondito questa sua intuizione parlando ai giornalisti durante il viaggio in Benin del 2011:
"Questa freschezza del sì alla vita che c’è in Africa, questa gioventù che esiste, che è piena di entusiasmo e di speranza, anche di umorismo e di allegria, ci mostra che qui c’è una riserva umana, c’è ancora una freschezza del senso religioso e della speranza; c’è ancora una percezione della realtà metafisica, della realtà nella sua totalità con Dio: non questa riduzione al positivismo, che restringe la nostra vita e la fa un po’ arida, e anche spegne la speranza...Quindi, direi, l'umanesimo fresco che si trova nell’anima giovane dell’Africa, nonostante tutti i problemi che esistono e che esisteranno, mostra che qui c’è ancora una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale possiamo contare".
E il successivo 22 dicembre, nel discorso prenatalizio alla Curia romana, ha ribadito di non aver percepito in Africa "alcun cenno di quella stanchezza della fede tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile...Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa".
Due anni prima, il 21 dicembre 2009, tirando le somme del suo viaggio in Camerun e Angola, Benedetto XVI ha anche valutato positivamente lo stile con cui in Africa si celebra la liturgia:
"In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle celebrazioni liturgiche. Le celebrazioni della Santa Eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente...Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano 'sobria ebrietas': l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole".
Certamente Papa Benedetto non ignora i limiti e le difficoltà della Chiesa africana, divenuti eclatanti, ad esempio, con le dimissioni da lui imposte ai vescovi centroafricani di Bangui e Bossangoa nel 2009 per problemi morali e a quello di Koudougou in Burkina Faso nel 2011 per incapacità gestionale, o con il “sollevamento” d’autorità del vescovo di Point-Noire in Congo sempre nel 2011.
Ma questo non impedisce al canuto “bianco Padre” di continuare a puntare sul continente nero per il futuro della Chiesa.
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