venerdì 2 dicembre 2011

'L'Osservatore Romano': un'interpretazione autentica dei testi del Concilio Vaticano II può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa

A poche settimane dal cinquantesimo anniversario della convocazione del Concilio Vaticano II (25 dicembre 1961), L'Osservatore Romano ricorda che "l'intenzione pastorale del Concilio non significa che esso non sia dottrinale" e che, per quanto riguarda gli elementi "non propriamente dottrinali" sui quali possono sorgere "controversie" circa la loro "compatibilità con la tradizione", una "interpretazione autentica" può essere fatta "soltanto" dal "magistero della Chiesa". Il giornale della Santa Sede pubblica un articolo intitolato "Sull'adesione al Concilio Vaticano II" a firma di Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei. "Il Concilio Vaticano II - puntualizza L'Osservatore Romano - non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell'infallibilità non significa che esso possa essere considerato 'fallibile' nel senso che trasmetta una 'dottrina provvisoria' oppure 'autorevoli opinioni'". Il giornale vaticano precisa, però, che "nei documenti magisteriali possono esserci - come di fatto si trovano nel Concilio Vaticano II - anche elementi non propriamente dottrinali, di natura più o meno circostanziale (descrizioni dello stato delle società, suggerimenti, esortazioni, ecc.). Tali elementi vanno accolti con rispetto e gratitudine, ma non richiedono un'adesione intellettuale in senso proprio". Ora, "sebbene di fronte alle novità in materie relative alla fede o alla morale non proposte con atto definitivo sia dovuto l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto, alcune di esse sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione. Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, l'atteggiamento cattolico, tenuto conto dell'unità del magistero, è quello di cercare un'interpretazione unitaria, nella quale i testi del Concilio Vaticano II e i documenti magisteriali precedenti s'illuminino a vicenda". Insomma, "un'interpretazione autentica dei testi conciliari può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa" e, di conseguenza, "rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi". L’articolo sottolinea che la caratteristica "essenziale" del magistero è "la sua continuità e omogeneità" nel tempo, ma questa continuità "non significa assenza di sviluppo", perché "la Chiesa lungo i secoli progredisce nella conoscenza, nell’approfondimento e nel conseguente insegnamento magisteriale della fede e della morale cattolica". Ocáriz spiega che nel Vaticano II "ci sono state diverse novità di ordine dottrinale: sulla sacramentalità dell’episcopato, sulla collegialità episcopale, sulla libertà religiosa, ecc.". E alcune di queste, riconosce l’autore, "sono state e sono ancora oggetto di controversie"; sebbene sia loro "dovuto l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto". Ocáriz a questo proposito precisa che non soltanto il magistero più recente va letto e interpretato alla luce di quello precedente. È anche quello più antico a dover essere letto alla luce di quello più recente. "Non soltanto il Vaticano II – si legge nell’articolo – va interpretato alla luce di precedenti documenti magisteriali, ma anche alcuni di questi vengono meglio capiti alla luce del Vaticano II. Ciò non è niente di nuovo nella storia della Chiesa. Si ricordi, a esempio, che nozioni importanti nella formulazione della fede trinitaria e cristologica adoperate nel Concilio I di Nicea furono molto precisate nel loro significato dai Concili posteriori". Rispetto al magistero, conclude il teologo, "rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi". Libertà di discussione, di approfondimento, anche "se rimanessero aspetti razionalmente non pienamente compresi".

TMNews, Vatican Insider

Sull’adesione al Concilio Vaticano II