Si chiama Gerhard Ludwig Müller (nella foto con Benedetto XVI), ha 64 anni, è un colosso di quasi due metri, e il Papa lo ha nominato lo scorso due luglio prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Viene contestato dai lefebvriani, tra l’altro, per lo stesso motivo per cui Sant’Ignazio di Loyola, cinque secoli fa, rischiò di scannare un miscredente. A raccontare l’episodio è lo stesso fondatore dei gesuiti che, nell’autobiografia "Il racconto del pellegrino", racconta, parlando di sé in terza persona, di quando incontrò per strada un moro. “Si misero a conversare e il discorso cadde su Nostra Signora. Il moro sosteneva che, certo, la Vergine aveva concepito senza intervento d'uomo; ma che avesse partorito restando vergine, questo non lo poteva ammettere; e a sostegno di ciò adduceva i motivi naturali che gli si presentavano alla mente. Da questa opinione il pellegrino, per quanti argomenti portasse, non riuscì a smuoverlo. Poi il moro si allontanò velocemente, tanto che lo perse di vista; ed egli rimase pensieroso, riflettendo su quanto era intervenuto con quell'uomo. E insorsero in lui impulsi che gli provocavano un senso di scontentezza sembrandogli di aver mancato al suo dovere, e lo movevano a sdegno contro il moro. Gli pareva di aver fatto male a permettere che egli facesse quelle affermazioni su nostra Signora, e di essere obbligato a difenderne l'onore. Gli veniva voglia di andarlo a cercare e di prenderlo a pugnalate per le affermazioni che aveva fatto”. Alla fine Sant’Ignazio desistette. Non così i lefebvriani, che sono andati a scovare un passaggio della Dogmatica cattolica di Müller per accusarlo, sostanzialmente, di essere un eretico cripto-protestante: il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio, hanno scritto i seguaci di Marcel Lefebvre in una nota, “nega il dogma della verginità di Maria. Per lui la verginità non ha a che fare con le ‘caratteristiche fisiologiche nel processo naturale della nascita di Gesù (come la non-apertura della cervice, l’incolumità dell’imene o l’assenza di doglie), ma con l’influsso salvifico e redentore della grazia di Cristo per la natura umana’”. La controversia è sottile, ben più teologica che fisiologica, apparentemente anacronistica, ma mostra, inequivocabilmente, che con il nuovo responsabile dell’ortodossia cattolica scelto da Papa Ratzinger, le polemiche tornano a ruotare attorno ai fondamentali della fede. Non che in passato la Santa Sede non si occupasse delle questioni di fede. Ma, soprattutto con il Pontificato di Giovanni Paolo II, molta attenzione è stata assorbita da altri problemi, a partire dalla politica. Karol Wojtyla passerà alla storia per essere stato un profeta, forse, prima o poi, un Santo, sicuramente un gigante della sua epoca. Uno dei principali nemici del comunismo e dell’Unione sovietica, se non il suo avversario più efficace. Sulla linea dell’anticomunismo wojtyliano si sono coagulate alleanze sociali, strategie geopolitiche, focalizzazioni pastorali, nonché flussi di finanziamento che, dall’Occidente all’Oriente, passando non di rado dallo Ior, foraggiarono la resistenza dei cattolici di oltrecortina. Defunto il maestoso Pontefice polacco, archiviata la sua corte variopinta, non senza resistenze e colpi di coda, chiusa la lunga e drammatica parentesi della guerra fredda, eletto al Soglio petrino Joseph Ratzinger, la Santa Sede è tornata ad occuparsi, principalmente, di teologia e liturgia, peccato e virtù, vita di Gesù e eredita del Concilio vaticano II. Insomma, della fede cattolica. E la sostituzione del grigio cardinale statunitense William Levada con Gerhard Ludwig Müller, amico personale del Papa, confidente del fratello, sinora arcivescovo della città tedesca d’adozione della famiglia Ratzinger, sancisce che un’epoca, quella wojtyliana, è definitivamente tramontata. E con lei, almeno questa sembra l’intenzione, vanno in soffitta le polarizzazioni ideologiche che hanno intriso gli ultimi trent’anni di storia ecclesiale. Accusato in Germania di essere un conservatore, temuto come un teologo della liberazione dalla destra della Curia romana (che prima della nomina ha fatto circolare fino all’ultimo l’accusa di eterodossia poi abbracciata entusiasticamente dai tradizionalisti), Müller, nei prossimi mesi, dovrà affrontare più di un dossier spinoso. Si dovrà occupare di concludere, o sotterrare, il negoziato con i lefebvriani, con i quali già in passato ha avuto più di un attrito e ai quali, di fronte all’accusa di eresia, ha risposto senza giri di parole: “Non devo rispondere a ogni stupidaggine”. Dovrà gestire i postumi dello scontro dei mesi scorsi tra il Vaticano e le suore statunitensi. Dovrà proseguire nella delicatissima politica di contrasto alla pedofilia dei preti. In un’intervista a L’Osservatore Romano del 26 luglio, ad ogni modo, ha chiarito: “I problemi che ci si prospettano sono molto grandi se guardiamo alla Chiesa universale, con le molte sfide che occorre affrontare e di fronte a un certo scoramento che si sta diffondendo in alcuni ambienti ma che dobbiamo superare. Abbiamo anche il problema di gruppi - di destra o di sinistra, come si usa dire - che occupano molto del nostro tempo e della nostra attenzione. Qui nasce facilmente il pericolo di perdere un po’ di vista il nostro compito principale, che è quello di annunciare il Vangelo e di esporre in modo concreto la dottrina della Chiesa. Siamo convinti che non esista alternativa alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. La Rivelazione risponde alle grandi domande degli uomini di ogni tempo. Qual è il senso della mia vita? Come posso affrontare la sofferenza? Esiste una speranza che va oltre la morte, visto che la vita è breve e difficile?”.
Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta