lunedì 18 ottobre 2010

Relazione dopo la discussione: i cristiani non sono soli. Fedeli alla Parola di Dio e non proselitismo. No all'antisemitsmo e alla violenza

Mattinata densa oggi al Sinodo per il Medio Oriente. Alla presenza di Benedetto XVI il relatore generale Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei copti in Egitto, ed il segretario speciale Joseph Soueif, arcivescovo di Cipro dei Maroniti, hanno presentato la “Relazione dopo la discussione” in cui sono stati riassunti gli argomenti principali trattati finora dal Sinodo, in base ai quali si elaboreranno le Proposizioni finali.
“Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità e rinnovare la comunione ecclesiale per offrire ai cristiani le ragioni della loro presenza, per confermarli nella loro missione di rimanere testimoni di Cristo”: questi gli scopi del Sinodo dei vescovi. “La nostra regione – ha detto il Relatore – rimane fedele alla Parola di Dio, fonte di ispirazione della nostra missionarietà e testimonianza. I nostri fedeli hanno grande sete della Parola di Dio e non trovandola da noi, vanno spesso a dissetarsi altrove. Per questo abbiamo bisogno di molte persone specializzate in Sacra Scrittura, abbiamo bisogno che la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione nelle nostre famiglie, Chiese, scuole, soprattutto nella nostra condizione di minoranze in società a maggioranza non cristiana, dove predominano valori e cultura di questa maggioranza che invadono tutti i campi della vita pubblica e rischiano di impadronirsi del nostro pensiero e dei nostri comportamenti”. Naguib ha passato in rassegna la situazione dei cristiani in Medio Oriente evidenziando la necessità dell’essere missionari, “l’annuncio è un dovere”, e “se rispettoso e pacifico non è proselitismo”. “La formazione missionaria è indispensabile. E’ auspicabile stabilire nella regione almeno un istituto di formazione missionaria”. Missionarietà che deve sostenere il ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo: “i cristiani appartengono all’identità stessa dei loro Paesi, bisogna rafforzare questa convinzione per aiutarli a vivere con serenità e impegno nella loro patria”. Parlando di “laicità positiva”, Naguib ha ribadito che la “religione non deve essere politicizzata né lo Stato prevalere sulla religione. E’ richiesta una presenza di qualità perché possa avere un impatto efficace sulla società. Ciò che conta non è il numero di persone nella Chiesa ma che queste vivano la fede e servano onestamente il bene comune”. Il Relatore ha insistito sul “formare le menti alla cittadinanza” anche attraverso i media, la presentazione della Dottrina sociale della Chiesa, l’istruzione, “campo privilegiato della nostra azione. Le scuole devono essere mantenute ad ogni costo”. “Per assicurare la sua credibilità evangelica – ha rimarcato il Relatore – la Chiesa deve trovare i modi per garantire la trasparenza nella gestione del denaro”. Ripercorrendo le principali sfide che i cristiani devono affrontare, tra le quali i conflitti politici nella regione, il Patriarca Naguib “pur condannando la violenza da dovunque provenga ed invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese” ha espresso la solidarietà del Sinodo al popolo palestinese, “la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq. I cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia, la pace e la laicità positiva. Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi per gli dimenticando il punto di vista degli altri”. Nella Relatio il Sinodo condanna anche “l’avanzata dell’Islam politico che colpisce i cristiani nel mondo arabo” poiché “vuole imporre un modello di vita islamico a volte con la violenza e ciò costituisce una minaccia per tutti” e la limitazione dell’applicazione di diritti quali la libertà religiosa e di coscienza che comporta, ha ricordato il patriarca, anche “il diritto all’annuncio della propria fede”. Conseguenza delle crisi politiche, del fondamentalismo, della restrizione delle libertà è l’emigrazione, che pur essendo “un diritto naturale”, interpella la Chiesa che “ha il dovere di incoraggiare i suoi fedeli a rimanere evitando “qualsiasi discorso disfattista”. “La comunione è la prima necessità nella realtà complessa del Medio Oriente e la migliore testimonianza alle nostre società” si legge nella Relatio post disceptationem che nella seconda parte passa in rassegna temi più pastorali, come la comunione, la testimonianza, il dialogo ecumenico ed interreligioso. A tale riguardo il documento raccomanda ai pastori “di insegnare e annunciare il senso della Chiesa una e la bellezza della varietà plurale della Chiesa; espressione concreta di questa comunione sarebbe la solidarietà del personale e dei beni fra le diocesi”, e ricorda come “il confessionalismo e l’attaccamento esagerato all’etnia rischiano di trasformare le nostre Chiese in ghetti. Una Chiesa etnica e nazionalista è in contrasto con la missione universale della Chiesa”. Vanno perciò incoraggiate “le relazioni inter-ecclesiali anche con le chiese orientali, con quella latina della diaspora in stretta unione col Papa”. Incoraggiamento che deve estendersi anche alla comunione ecclesiale tra vescovi, clero e fedeli. Sul piano ecumenico “occorre uno sforzo sincero per capirsi” ed il Sinodo dovrebbe favorire “la comunione e l’unità con le chiese sorelle ortodosse” attraverso “comportamenti appropriati: preghiera, conversione, scambio di doni, rispetto, amicizia” e proposte come “commissioni locali di dialogo, un congresso ecumenico per ogni Paese, media cristiani ecumenici”. “Le nostre chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo”. “Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi ed il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà politica e religiosa. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti” ribadisce il testo che, parlando di dialogo interreligioso, ricorda le iniziative pastorali di dialogo con l’ebraismo, come ad esempio “la preghiera in comune a partire dai Salmi, la lettura e meditazione dei testi biblici”. Il Sinodo esorta anche il Vicariato per i cristiani di lingua ebraica “ad aiutare la società ebraica a conoscere meglio la Chiesa, per favorire “una presenza pacifica dei cristiani in Terra Santa. L’interpretazione tendenziosa di alcuni versetti della Bibbia giustifica e favorisce la violenza”. Il dialogo interreligioso e interculturale tra cristiani e musulmani “è una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”. Riprende le parole di Benedetto XVI a Colonia nel 2005 per riaffermare l’importanza del dialogo islamo-cristiano. “Le ragioni per intessere rapporti con i musulmani sono molteplici, sono tutti connazionali, condividono stessa cultura e lingua, le stesse gioie e sofferenze. Fin dalla sua nascita l’Islam ha trovato radici comuni con Cristianesimo ed Ebraismo. Il contatto con i musulmani può rendere i cristiani più attaccati alla loro fede”. Per il Sinodo vanno, tuttavia, “affrontati e chiariti i pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti. Nel dialogo sono importanti l’incontro, la comprensione reciproca. Prima di scontrarci su cosa ci separa, incontriamoci su ciò che ci unisce, specie per quanto riguarda la dignità umana e la costruzione di un mondo migliore”. “Serve – si legge nella Relatio – una nuova fase di apertura, sincerità e onestà. Dobbiamo affrontare serenamente e oggettivamente i temi riguardanti l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori della vita sociale dignitosa e la reciprocità. La libertà religiosa è alla base dei rapporti sani tra musulmani e cristiani. Dovrebbe essere un tema prioritario nel dialogo interreligioso”.


Radio Vaticana, SIR