lunedì 24 ottobre 2011

Nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica mondiale

E' stata pubblicata la Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace "Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale". “La costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune” è “l’unico orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo”. La nota del dicastero vaticano che vuole offrire “un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà” di fronte all’attuale crisi economica e finanziaria mondiale che “ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala”. Il documento sottolinea che “è in gioco il bene comune dell’umanità e il futuro stesso”: oltre un miliardo di persone vivono con poco più di un dollaro al giorno, sono “aumentate enormemente le disuguaglianze” nel mondo, “generando tensioni e imponenti movimenti migratori”. “Nessuno, in coscienza – sottolinea il testo - può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri”, “nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come ‘un lupo per l’altro uomo’, come diceva Hobbes: “se non si pone un rimedio” alle ingiustizie che affliggono il mondo, “gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide”. Si analizzano le cause della crisi, riscontrate “anzitutto” in “un liberismo economico senza regole e senza controlli”. I pericoli del liberismo erano già stati “lucidamente e profeticamente denunciati da Paolo VI” con l’Enciclica "Populorum progressio", del 1967; e “dopo il fallimento del collettivismo marxista”, Giovanni Paolo II aveva già messo in guardia dal rischio di “un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci”. La nota denuncia “l’esistenza di mercati monetari e finanziari a carattere prevalentemente speculativo, dannosi per l’economia reale, specie dei Paesi più deboli”. Parla di “un’economia mondiale sempre più dominata dall’utilitarismo e dal materialismo”, caratterizzata da un’espansione eccessiva del credito e da bolle speculative, che hanno generato “crisi di solvibilità e di fiducia”; un fenomeno culminato nel 2008 nel “fallimento di un importante istituto finanziario internazionale” negli Stati Uniti – deciso proprio in seguito ad “un orientamento di stampo liberista, reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati”, con conseguenze nefaste su miliardi di persone. La crisi – rileva la nota – è causata anche da altre ideologie che hanno “un effetto devastante”: anzitutto l’utilitarismo e l’individualismo, secondo le quali “l’utile personale conduce al bene della comunità”. Ma non sempre è così. Infatti, nonostante i progressi dell’economia mondiale, “non è aumentata l’equa distribuzione della ricchezza”, anzi, in “in molti casi è peggiorata”: per questo è necessaria la solidarietà. Benedetto XVI denuncia anche “una nuova ideologia, l’ideologia della tecnocrazia”, ossia “di quell’assolutizzazione della tecnica che 'tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia' ed a minimizzare il valore delle scelte dell’individuo umano concreto che opera nel sistema economico-finanziario, riducendole a mere variabili tecniche” con la conseguenza di impoverire “sempre più, sul piano materiale e morale, le principali vittime della crisi”. La radice di una crisi, come afferma Benedetto XVI, “non è solamente di natura economica e finanziaria, ma prima di tutto di natura morale”. L’economia “ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento”. “Occorre recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza”. E’ necessario colmare il divario tra “formazione etica e preparazione tecnica” evidenziando la sinergia tra “praxis” (agire morale) e “poièsis” (agire tecnico e produttivo). In questa prospettiva sono ipotizzabili: “misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque”, anche per “contribuire alla costituzione di una riserva mondiale, per sostenere le economie dei Paesi colpiti dalle crisi, nonché il risanamento del loro sistema monetario e finanziario”; “forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti 'virtuosi' e finalizzati a sviluppare l’economia reale”; la “definizione dell’ambito dell’attività di credito ordinario e di Investment Banking. Tale distinzione consentirebbe una disciplina più efficace dei 'mercati-ombra' privi di controlli e di limiti”. La nota ipotizza “la riforma del sistema monetario internazionale” per dare vita “a qualche forma di controllo monetario globale” riscoprendo “la logica di fondo, di pace, coordinamento e prosperità comune che portarono agli Accordi di Bretton Woods” nel 1944, sulla regolamentazione della politica monetaria internazionale, sospesi nel 1971. Accordi che portarono all’istituzione del Fondo monetario internazionale che oggi ha perso la sua capacità di garantire la stabilità della finanza mondiale. Si tratta di mettere “in discussione i sistemi dei cambi esistenti, per trovare modi efficaci di coordinamento e supervisione” in “un processo che deve coinvolgere anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo”. E’ necessario “un corpus minimo condiviso di regole” per gestire il “mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell’economia reale” grazie all’”abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali” e alla “deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie”. “Sullo sfondo si delinea, in prospettiva, l’esigenza di un organismo che svolga le funzioni di una sorta di 'Banca centrale mondiale' che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua delle Banche centrali nazionali”. Già Papa Roncalli nella "Pacem in terris", del 1963, avvertendo che “il mondo si stava avviando verso una sempre maggiore unificazione...auspicava la creazione, un giorno, di 'un’Autorità pubblica mondiale'”. Su questa scia, anche Benedetto XVI, sottolineando che la crisi “ci obbliga...a darci nuove regole”, “ha espresso la necessità di costituire un’Autorità politica mondiale” di fronte alla “crescente interdipendenza” tra gli Stati. “Tale Autorità sovranazionale deve...essere messa in atto con gradualità, con l’obiettivo di favorire...mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro giuridico”. “Si tratta di un’Autorità dall’orizzonte planetario, che non può essere imposta con la forza, ma dovrebbe essere espressione di un accordo libero e condiviso” e “dovrebbe sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà”, coinvolgendo “coerentemente tutti i popoli”, nel pieno rispetto delle loro diversità. “L’esercizio di una simile Autorità, posta al servizio del bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamente super partes”. I Governi non dovranno “servire incondizionatamente l’Autorità mondiale. È piuttosto quest’ultima che deve mettersi al servizio dei vari Paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà”, offrendo il suo “sussidio” nel rispetto della libertà e delle responsabilità di persone e comunità: si evita così “il pericolo dell’isolamento burocratico” dell’Autorità, creando le condizioni indispensabili “all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche” e promuovendo, attraverso l’adozione di “politiche e scelte vincolanti”, “un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale”. La nota indica l’Onu come punto di riferimento di questo processo di riforma: “Un lungo cammino – si legge nel testo - resta però ancora da percorrere prima di arrivare alla costituzione di una tale Autorità pubblica a competenza universale”. Obiettivo che, tra l’altro, non può essere raggiunto “senza la previa pratica del multilateralismo”. Positivo, in questo senso, è il passaggio dal G7 al G20, con un coinvolgimento di più Paesi nei processi decisionali mondiali. Oggi esistono le condizioni “per il definitivo superamento di un ordine internazionale 'westphaliano', nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle rispettive sovranità per il bene comune dei popoli” (la pace di Westfalia del 1648, seguita alla Guerra dei 30 anni, segna convenzionalmente la nascita degli Stati moderni). “È compito delle generazioni presenti riconoscere e accettare consapevolmente questa nuova dinamica mondiale verso la realizzazione di un bene comune universale. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali”. Oggi “appare surreale e anacronistico” che uno stato possa ritenere “di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini”. “La globalizzazione sta unificando maggiormente i popoli, sollecitandoli a muoversi verso un nuovo 'stato di diritto' a livello sopranazionale”, verso “un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa delle identità di ciascun popolo, entro la molteplice ricchezza di un’unica umanità”. Si tratta di “costruire soprattutto un futuro di senso per le generazioni a venire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anche se possono destabilizzare equilibri di forze preesistenti che dominano sui più deboli”. Paolo VI ha sottolineato la forza rivoluzionaria dell’"immaginazione prospettica", capace di percepire nel presente le possibilità in esso inscritte, e di orientare gli uomini verso un futuro nuovo. Liberando l’immaginazione, l’uomo libera la sua esistenza. Mediante un impegno di immaginazione comunitaria è possibile trasformare non solo le istituzioni ma anche gli stili di vita, e suscitare un avvenire migliore per tutti i popoli”. Impegnarsi in questo processo di cambiamento è “una missione al tempo stesso sociale e spirituale”. E’ passare dallo spirito di Babele, dove regna la divisione o l’unità di facciata, allo Spirito di Pentecoste, che è il “disegno di Dio per l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità. Solo uno spirito di concordia, che superi divisioni e conflitti, permetterà all’umanità di essere autenticamente un’unica famiglia, fino a concepire un nuovo mondo con la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune”.

Radio Vaticana

Testo del documento in lingua italiana